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La marcia della Wagner su Kiev e la macchina che crea la realtà

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Ci ho pensato a lungo, come tutti. Chiunque conservi un po’ di attenzione per la cronaca, e un minimo di scetticismo sulle narrazioni ufficiali, si è ritrovato, magari in ora tarda, a tentare di rispondersi alla domanda: l’intera rivolta della Wagner è stata una scenata.

 

Un po’ lo ho scritto nell’articolo precedente, quello sul «golpe gobbo» alla wagnerita.

 

Potrebbe essere una grande maskirovka, come da dottrina militare russa del XX secolo. La parola inizialmente significava semplicemente il camuffamento di mezzi e truppe, per poi andare a significare, più ampiamente tutte le manovre di inganno condotte sul nemico: esche, disinformazione, manipolazioni di ogni tipo.

 

Già nel 1944 L’Enciclopedia militare sovietica definiva la maskirovka come costituita dai «mezzi per garantire le operazioni di combattimento e le attività quotidiane delle forze; una complessità di misure, dirette a fuorviare il nemico riguardo alla presenza e alla disposizione delle forze». Esempi di maskirovka sarebbero riscontrabili nella battaglia di Stalingrado, nella battaglia di Kursk (1943), nella crisi cubana dei missili (quando Kennedy ordinò il blocco navale, ma testate atomiche sovietiche erano già sull’isola di Castro) e, qualcuno sostiene, durante l’annessione della Crimea, quando comparvero quelli che chiamarono «gli omini verdi», mentre Mosca negava ogni coinvolgimento.

 

Nelle ultime ore quantità di personaggi del fandom incondizionato di Vladimir Putin ha optato ciecamente per la versione della maskirovka, che ancora una volta dimostrerebbe la superpotenza strategica del personaggio. I mistici putiniani dicono che si tratta solo di una grande manovra, un colpo da maestro per portare truppe in Bielorussia.

 

Sarà vero? Potrebbe esserlo.

 

Partiamo dal fatto che dell’evento scatenante, cioè l’attacco contro la Wagner condotto dall’aviazione russa, non si sono avute immagini, ma solo i famosi tre audio di Prigozhin usciti venerdì sera, poche ore prima che occupasse il quartier generale militare di Rostov. Se sono usciti nel frattempo documenti visivi dell’attacco non lo sappiamo, ma lì per lì abbiamo considerato la cosa bizzarra: il Wagner boss ama le telecamere, e negli ultimi mesi non si tirato indietro mai quando c’era da farsi riprendere con fondali incredibili ed indicativi, cioè in ambienti che dicevano tutto: eccolo che insulta Shoigu e Gerasimov mostrando i cadaveri freschi dei suoi combattenti, eccolo che porta mandarini ai prigionieri ucraini, eccolo con alle spalle Bakhmut che chiede la resa di Zelens’kyj, eccolo che sfida il presidente ucraino mentre vola con un MiG, eccolo che si fa fotografare nelle tenebre di una miniera di sale

 

Stavolta, invece, niente video. Solo audio. I media russi hanno usato l’assenza di video per smontare l’accusa dei bombardamenti; a noi sembra invece altro.

 

Ma allora, hanno finto tutto? Da certe scene viste in giro, verrebbe da pensarlo: lo spazzino che continua il suo lavoro tra i carrarmati, senza percepire minimamente la tensione del momento. La folla che acclama i wagneriani, i genitori che danno ai mercenari i bambini perché facciano la foto sul tank, Prigozhin che lascia tra selfie e strette di mano di folle di giovani in visibilio.

 

C’è la faccenda dei velivoli abbattuti, però: sono sei elicotteri e un grande aereo da trasporto. Hanno parlato di 15 piloti morti. Questa, in teoria, è la prova che non si tratta neanche lontanamente di una scenata. In realtà, abbiamo visto qualche video o qualche foto dei mezzi abbattuti, ma niente di dirimente. E verificare è, ovviamente, impossibile. Possibile cedere all’ipotesi, invero dal cospicuo sapore complottista, per cui gli aerei abbattuti sarebbero state simulazioni, parti integranti della maskirovka?

 

È un pensiero che abbiamo paura a fare. Tuttavia, è il momento di ricordare al lettore che egli con probabilità ha già veduto, nel corso della propria esistenza, un’altra maskirovka, e di proporzioni molto, molto maggiori: l’11 settembre 2001?

 

Ricordate? Degli aerei di linea centrarono perfettamente le due Torri di Nuova York: a pilotarli, in una manovra che riuscirebbe sì e no ad un Top Gun, dei sauditi che avevano malamente cercato di imparare i rudimenti del volo con dei CESSNA ad elica nelle settimane precedenti, tutti personaggi peraltro, è stato confermato di recente, che erano nelle liste dei controllati dei servizi americani.

 

Ebbene, le Twin Tower cascano verticalmente su loro stesse, e per soprammercato cade pure un palazzo limitrofo, la Torre 7, così, senza essere colpito nemmeno da un aereo di carta. Chi scrive ricorda di averlo visto in diretta, e sul momento non c’era da cercare tante spiegazioni, al massimo avrebbero detto poi cosa era stato a cagionarne il crollo. Così, lo sapete, non è stato…

 

Ora, non vogliamo tornare sui dettagli dell’11 settembre, una storia che quasi è oramai sepolta dalla storia e dai nostri cuori oberati dalle mille altre catastrofi delle ultime due decadi.

 

Tuttavia, vale la pena di ricordare cosa seguì all’atto megaterrorista del World Trade Center: trilioni di dollari vennero spostati verso il budget della Difesa americana, guerre sanguinarie ed inutili vennero combattute in Asia, dove perirono forse uno o forse due milioni di locali, con diaspore lancinanti (quella dei cristiani, ad esempio, spariti dall’Iraq) e creazioni di mostri ulteriori come l’ISIS e il nuovo Emirato d’Afghanistan.

 

Insomma, se era una mascherata, ha funzionato: le operazioni sono andate avanti come volevano i padroni del mondo, che spesso sono molto disinteressati degli effetti finali, e soprattutto del costo in termini di vite umane.

 

E quale era il fine a breve termine, quindi? Cosa c’era in gioco? Semplice: con la dimostrazione del suo potere distruttivo, l’America definiva una volta per tutte l’assetto unipolare del pianeta. Avrebbe comandato Washington, nella libertà di distruggere qualsiasi Paese e prenderne le risorse per sé e i suoi vassalli sviluppati, come previsto dalla purtroppo mai abbastanza citata dottrina Rumsfeld-Cebrowski.

 

Mi preme a questo punto ricordare la posizione espressa da un anonimo alto funzionario americano durante il lancio delle guerre post-9/11, che si espresse con parole terribili e visionarie.

 

Uscì nel 2004 un articolo sul New York Times Magazine, dove il giornalista premio Pulitzer Ron Suskind faceva parlare questa allora anonima figura dell’amministrazione Bush.

 

«Siamo un impero ora, e quando agiamo, creiamo la nostra realtà» diceva il personaggio. «E mentre studiate quella realtà, con giudizio, come volete, noi agiremo di nuovo, creando altre nuove realtà, che potete studiare anche voi ed è così che le cose si sistemeranno. Siamo gli attori della storia… e voi, tutti voi, sarete lasciati solo a studiare quello che facciamo»

 

In pratica, gli USA imperiali avevano ottenuto la macchina della realtà. Non si trattava più di conquistare il mondo, da di creare direttamente l’universo in cui vivono gli uomini, e poi ricrearlo, e crearne altri ancora.

 

Le Torri Gemelle, e la devastazione globale che ne seguì, avevano fornito allo Stato profondo americano strumenti di onnipotenza. Così almeno pensava il personaggio, che, sarebbe poi emerso, altri non era se non Karl Rove, fedelissimo dei Bush e vice capo dello staff di Dubya, neocon che ancora vediamo ad abundantiam su Fox News. Per intenderci: fu lui ad avvertire George Bush dell’attacco alle Twin Tower mentre il presidente si trovava in visita ad una scuola elementare della Florida.

 

A questo punto ci viene alla mente, per riflesso chirale, un’altra figura, in Russia però. Vladislav Surkov è oggi considerato un personaggio fuori dai giochi. Tre lustri fa, o più, uno stilista russo mi fece per la prima volta il suo nome, in una conversazione il cui tema erano le figure che davvero hanno potere in Russia. «È un oligarca?» chiesi. «No, è molto di più. È una specie di mago. E pure si diverte». Surkov è uno dei nomi sparati da Prigozhin negli ultimi giorni nelle sue tirate populiste contro i gerarchi moscoviti che si sono arricchiti in questi anni. È stato vicepremier di Medvedev, e assistente del presidente Putin dal 2013 al 2020.

 

Appassionato di musica hip hop e di arte astratta (teorizza l’inesistenza della libertà democratica, ma la verità della «libertà artistica»), oggetto di sanzioni americane da un decennio e oltre, Surkov, il «Karl Rove di Putin», è anagraficamente di origine cecena, parente, a quanto dice, di Dzhokar Dudaev, il primo presidente della Repubblica separatista di Ichkeria, assassinato da due missili a guida laser mentre parlava al telefono satellitare nel 1996: al film non manca davvero niente.

 

Molti chiamano Surkov una sorta di demiurgo in grado di plasmare la realtà secondo i suoi disegni, precisi quanto apparentemente incoerenti.

 

«Il suo scopo è minare la percezione del mondo da parte delle persone, in modo che non sappiano mai cosa sta realmente accadendo» dice il cineasta britannico Adam Curtis in un suo articolo del 2014. «Surkov ha trasformato la politica russa in uno sconcertante pezzo di teatro in continua evoluzione. Ha sponsorizzato tutti i tipi di gruppi, dagli skinhead neonazisti ai gruppi liberali per i diritti umani. Ha anche sostenuto i partiti contrari al presidente Putin».

 

Tuttavia «la cosa fondamentale è stata che Surkov ha poi fatto sapere che questo era quello che stava facendo, il che significava che nessuno era sicuro di cosa fosse vero o falso. Come ha affermato un giornalista: “È una strategia di potere che mantiene costantemente confusa qualsiasi opposizione”».

 

«Un incessante mutare forma, inarrestabile perché indefinibile. È esattamente ciò che Surkov avrebbe fatto quest’anno in Ucraina» scrive il pezzo che, ricordiamo, e del 2014 – i tempi di piazza Maidan e della Crimea riannessa. «In modo tipico, all’inizio della guerra, Surkov pubblicò un racconto su qualcosa che chiamò guerra non lineare. Una guerra in cui non sai mai cosa stiano realmente facendo i nemici, o anche chi siano. Lo scopo di fondo, dice Surkov, non è vincere la guerra, ma utilizzare il conflitto per creare uno stato costante di percezione destabilizzata, al fine di gestire e controllare».

 

Ad un certo punto, la faccenda assunse le tinte della fantascienza, anche grottesca. I giornali occidentali, BBC e Corriere della Sera inclusi, iniziarono a parlare di un dispositivo misterico e totipotente che sarebbe caduto nelle mani di Putin, il «nooscopio», una macchina che può attingere alla coscienza globale e «rilevare e registrare i cambiamenti nella biosfera e nell’attività umana». Ci sarebbe da ridere, e se qualcuno sghignazzava dietro le quinte, quello era Surkov – l’uomo che aveva capito che poteva disporre davvero di armi creatrici di mondi, di macchinari di magia imperiale in grado di produrre la realtà. Ecco che subentra il divertimento, l’ironia di livello meta: i giornaloni mondiali se la bevono tutta – Putin ha in mano la macchina che cambia l’universo.

 

Surkov nell’aprile 2020, a pochi giorni dall’operazione russa in Ucraina, è stato messo agli arresti domiciliari, con l’accusa di appropriazione indebita fondi per il Donbass. Nonostante questo, la sua lezione potrebbe essere rimasta.

 

La rivolta della Wagner rientra nella categoria della «guerra non-lineare» surkoviana? Della creazione di mondi come strumento politico?

 

E quindi, più in concreto cosa avrebbe in gioco la Russia con una simile sceneggiata? Specularmente all’11 settembre, qui si tratta di far finire una volta per tutte ogni parvenza di mondo unipolare, stabilendo una volta per tutte la multipolarità come stato delle cose globali. E ci si gioca, ovviamente, molto altro: la dedollarizzazione, per esempio, che è un cambiamento di assetto della geopolitica planetaria di cui ancora nessuno ha davvero preso le misure.

 

Se quindi fosse tutto vero, Prigozhin – come un bad boy, come una bad bank – si è agglutinato ogni negatività per procedere spedito lasciando al Cremlino la totale plausible deniability (concetto tipico della CIA: la possibilità di negare in maniere plausibile). Ad ogni nuova mossa della Wagner, Mosca potrà dire al mondo: «noi non li controlliamo! È un pazzo! È un animale! Ha tentato pure di attaccare noi»…

 

Ecco che quindi ogni rivolgimento, capovolgimento strategico diventa possibile.

 

I Wagner potrebbero marciare da Nord su Kiev, anche senza una vera capacità di conquista, obbligando la coperta ucraina ad essere tirata verso la capitale, lasciando libero il Sud, così magari da lasciar libero l’esercito russo di entrare, finalmente, ad Odessa, la città più russa del Mar Nero, della cui presa però, strambamente mai si è parlato davvero, anche se questa significherebbe in pratica la risoluzione della questione della Transnistria, che verrebbe definitivamente riannessa alla Russia (facendo partire il domino moldavo-romeno, dove di mezzo c’è la NATO…)

 

E se non fosse Odessa? Kharkov, la seconda maggiore città del Paese, dove pure non c’è stata la penetrazione che pareva esserci a inizio conflitto, dove perfino i Tinder delle ragazze kharkovite pullulavano di soldatini da Belgorod o da Grozny che ci provavano spudoratamente.

 

E se non fosse nemmeno Kharkov?

 

A fianco della Bielorussia c’è proprio la Polonia, che già è preoccupata per le armi atomiche che Putin sposterà ai suoi confini tra circa dieci giorni. Possibile che la Russia attacchi un Paese NATO? Con quello che ne consegue?

 

A questo punto, turlupinati dalle narrative magiche e sconvolti dagli eventi degli ultimi anni, possiamo pure dire che non lo riteniamo impossibile. Avete visto come gli intellettuali russi ora inizino a parlare di utilizzo delle armi atomiche contro i Paesi occidentali: fine del tabù dell’atomo, e Finestra di Overton termonucleare spalancata. Avete visto quanto il Cremlino abbia sorpreso tutti il 24 febbraio 2022, e in tante altre occasioni. Avete visto Medvedev annunciare la possibilità di spazzare via l’«avversario in eterno», la Gran Bretagna, con uno tsunami radiattivo generato da droni Poseidon. Avete visto che la realtà è illeggibile, irrazionale, irricevibile. Forse è programmata per essere così, per disorientarci.

 

Di certo, sappiamo che mai saremo arrivati qui se non fosse stata per la follia di Washington – dove, invece che un impero creatore di realtà, ci sono dei dementi che dalla realtà hanno divorziato, e sul serio.

 

La guerra ucraina è stata provocata da individui che credono che un uomo possa diventare femmina, che il clima possa essere modificato dalle virtù civiche, che uccidere feti in massa rientri nella salute delle donne, che castrare bambini faccia loro bene, che i nazisti siano democratici, che predare gli organi a persone incoscienti sia salvarle, che obbligare la popolazione a farmaci di alterazione genica sia una forma di libertà, che uccidere gli anziani, i deboli, i depressi e i poveri sia giusto, che un vecchio demente e corrotto possa vincere le elezioni con una decina di milioni di voti di scarto.

 

Questa è la vera maskirovka lanciata verso di noi, è la realtà che vogliono farci vivere, che hanno prodotto per noi, ma a cui per fortuna un certo segmento della società non crede più, né crederà mai più.

 

Ciò non toglie il fatto che siamo a un passo dall’abisso: ed è verità, realtà materiale, non illusione, menzogna, malìa.

 

È la nostra vita, e quella della nostra prole, che dobbiamo difendere dall’inganno e dai fabbricanti di realtà fatte per sterminarci.

 

Perché l’ora presente non è un Götterdämmerung, non è il «crepuscolo degli dei» di Wagner – è il crepuscolo nostro e della nostra umanità. In qualsiasi direzione andrà a finire questa guerra.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

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Voi che uccidete Dio. E noi che lo permettiamo

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Accuso voi che avete ucciso Dio quasi duemila anni fa, e che continuate a farlo ogni mese, ogni giorno, in ogni istante.

 

Voi uccidete Dio, nella costanza dell’Impero della morte di cui siete schiavi e soldati, e non volete smettere di farlo – perché molti di voi sanno esattamente quello che stanno facendo, e di questo, godono.

 

Voi che sterminate bambini, nati e non nati, su tutta la superficie della terra – e avete inventato leggi per farlo in tranquillità.

 

Voi che pervertite i bambini, li drogate, li mutilate.

 

Voi che i bambini li bombardate senza pietà – quando sono a casa, per strada, in ospedale.

 

Voi che distruggete le famiglie con tutti i mezzi sociali, politici, legali che avete a disposizione.

 

Voi che sfruttate i lavoratori, che fate loro pagare una tassazione che li strangola.

 

Voi che condannate i malati a veleni del corpo e della mente.

 

Voi che bestemmiate il Suo nome, con indifferenza, o rabbia infame.

 

Voi che bruciate le Sue chiese, o le demolite, o le trasformate in appartamenti e Bed and Breakfast.

 

Voi che perseguitate i cristiani praticamente in tutto il pianeta, trucidandoli nel silenzio delle istituzioni.

 

Voi che inquinate con droghe statali le menti delle persone, rendendole ancora più infelici, se non omicide.

 

Voi che squartate a cuor battente le persone – sempre per legge! – solo perché hanno fatto un incidente.

 

Voi che producete bambini con gli alambicchi, disintegrandone quantità immani nel processo.

 

Voi che agite per popolare la Terra con una generazione di mostri biologici.

 

Voi che state riprogrammando l’Europa in un luogo di caos e devastazione, paganesimo e massacro.

 

Voi che avete deviato la carità in una follia suicida e genocida.

 

Voi che godete dell’iniquità demoniaca inflitta a tutti noi.

 

Voi uccidete Nostro Signore anche nell’anno 2025, in ogni singolo momento di esso.

 

E noi. Noi che lo permettiamo. Noi che rifiutiamo di intervenire dinanzi a queste stragi senza fine.

 

Noi che parliamo, cianciamo, ma che in fondo nulla otteniamo per fermare questa macchina di Morte.

 

Noi che alziamo le mani dinanzi allo Stato della Necrocultura, anzi continuiamo ad obbedirgli, a versargli le nostre tasse – a breve automaticamente.

 

Noi che conosciamo l’ingiustizia sterminatrice, ma spesso facciamo finta di nulla.

 

Noi che piangiamo, ma non sappiamo impedire l’orrore.

 

Noi che riconosciamo che Cristo è il Sacrificio di Dio per l’uomo, mentre il mondo moderno è – esattamente come nei tempi degli dèi pagani, nei programmi dell’Inferno – il sacrificio dell’uomo per il Dio: l’inversione satanica della vita, della creazione, del cosmo, dell’amore divino.

 

Noi che sappiamo, noi che abbiamo visto, eppure scappiamo davanti alla Croce.

 

Dio muore per i nostri peccati. Oggi stesso. Sì.

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine: Carl Bloch (1834-1890), Crocifissione (180), Museo Nazionale di Storia Naturale, Copenhagen.

Immagine di sdalry via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0

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Il re della morte parla in Parlamento. La democrazia italiana applaude

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È una tremenda verità rivelata, quasi per isbaglio, da un kolossal non riuscitissimo di una ventina di anni di fa.   Ricordate? Il futuro imperatore, adepto del Lato Oscuro, si presentava a camere galattiche unite per proclamare la «riorganizzazione» della Repubblica e, implicitamente, l’avvento di un impero totalitario sotto il suo comando.   «Così muore la democrazia, tra scroscianti applausi» commentava la senatrice che aveva capito il piano diabolico.   La frase non è esattamente questa – forse il film di Giorgio Lucas diceva «libertà» invece che «democrazia», ma sappiamo come nel fondale di cartapesta dello Stato moderno queste parole sono intercambiabili. La verità contenuta in questa battuta, tuttavia, la riteniamo incontrovertibile.

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Specie dopo aver visto lo spettacolo allucinante del Re britannico che pontifica nel cuore della sedicente democrazia italiana, il Parlamento. Di certo, un’esperienza rivelatoria, su tanti, troppi livelli. Perché il discorso che ha fatto, con tutti i tasti politici, geopolitici, metapolitici toccati con decisione, ha un’importanza storica di conferma sia del rapporto di sudditanza occulta tra Roma e Londra sia del ruolo metafisico che Albione e gli Windsor hanno nella storia del mondo.   Notate come i giornali, e gli ebeti che si fanno riempire la testa delle loro menzogne, abbiano sottolineato, nel discorso di re Carlo, il fatto che abbia citato Dante e persino «parlato», per qualche secondo, in Italiano. Cioè: ha letto da un foglio. Applausi.   Come se il re parlasse davvero la nostra lingua, con la tranquillità di utilizzare il connettivo «peraltro», che i parlamentari di interi partiti italiani mai pronunciato in vita loro, ammesso che sappiano che esistano gli avverbi.   Certo, voleva fare il figurone, come, peraltro, lo aveva fatto a Parigi due anni fa: Renovatio 21 ne parlò, il repubblicano Macron gli organizzò un festone, con quantità di divi veri (da Mick Jagger in giù) a… Versailles, luogo che ovviamente oggi ha un suo significato preciso. Lì, nel più totale disprezzo della plebe che venivano da mesi in erano stati proibite perfino i pranzi di Pasqua in famiglia e da costi energetici insostenibili, tra banchetti e sfarzo assoluto, il Carlo aveva dimostrato di parlare un francese ottimo, come una volta usava nell’Inghilterra che studiava.  

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Carlo nel lusso di Versailles, ospite dei figli della Rivoluzione francese. Era come dire: i re rimangono re, se sono dalla nostra parte.   Ci viene in mente, tuttavia, che la poliglossia dei reali britannici ci aveva fornito, in passato, un’altra visione, secondo alcuni (quelli che non conoscono la storia dell’aristocrazia europea, e degli Windsor) inquietante: il principe Filippo, padre di Carlo, che parla un tedesco ultrafluente. Gli Windsor, dove Filippo ha appeso il cappello, sono in realtà una famiglia della nobiltà germanica, i Sassonia Coburgo-Gotha, e Windsor è un nome preso da un paesino di campagna a caso (un rebranding si direbbe nel marketing) per sembrare più inglesi.     È proprio lui, il principe di Edimburgo, consorte della regina Elisabetta: quello che aveva giurato di volersi reincarnare in un patogeno in grado per uccidere milioni di persone. Come sa il lettore di Renovatio 21, l’ambientalismo, cioè l’antiumanismo, è una costante degli Windsor, vera famiglia della morte, e viene trasmesso, a quanto sembra, geneticamente.   E l’antiumanismo ereditario è tornato anche nel discorso di Roma, con i nostri rappresentanti a spellarsi le mani: quando con il secondo avvento di Trump pare essere cominciato il tramonto dell’ambientalismo di Stato e dei suoi dogmi, ecco che il re proclama l’emergenza del Cambiamento Climatico (argomento da cui, abbiamo visto, pare guadagnarci…), con tutte le solite storielle ripetute a pappagallo: le tempeste che ora sono ogni anno invece che ogni generazione, etc. Piove, governo ladro, avrebbe detto i mazziniani – che del resto erano pagati e programmati proprio dagli inglesi.   Anche questo, incredibilmente, è stato detto dal re nel suo discorsone: l’importanza del supporto inglese a Garibaldi, che poi andava ospite dagli inglesi. Chi conosce la vera storia dell’Italia unita non può che sorridere, nell’amarezza più profonda: il re sbatte in faccia agli italiani il fatto che, con il Risorgimento (fiancheggiato e ideato dai britannici), la penisola è divenuta uno Stato vassallo di Londra.   Si tratta di un momento di sincerità storica che, infine, va apprezzato, anche se un pat-pat – di quelli che operano sui loro amati cagnolini – in testa a qualche rappresentante democratico italiano avrebbe completato il quadretto in modo consono.   Poi, l’Ucraina: il messaggio è lo stesso, sempre. Tre anni fa lo aveva detto agli italiani anche Boris Johnson prima di mollare Downing Street: fate il governo che volete, ma continuate ad armare e sostenere Kiev.   Il re britannico ordina all’Italia di immolarsi nella sua guerra, quella che Londra porta avanti da almeno duecento anni: il «Grande Gioco» dello scontro di Albione, potenza talassocratica, con la Russia, potenza tellurica, per il controllo del mondo. La teoria della Heartland del pioniere della geopolitica Alfred Mackinder – l’idea per cui chi controlla il centro dell’Eurasia controlla il mondo – è venuta dopo, quando già Londra combatteva una guerra occulta con i russi nell’India, Pakistan, Afghanistan di Kipling.   L’enormità storica e metastorica del discorso di Carlo si fa, per noi, intollerabile. Ma, che volete farci, da queste parti si ha una visione delle cose di un certo tipo. Non possiamo pensare che gli altri la pensino come noi… oppure sì?  
  Perché, effettivamente, l’immagine più significativa offerta da Carlo in Parlamento riguarda chi era al suo lato. Da una parte, il presidente della Camera Ignazio La Russa, un uomo cresciuto nel MSI e ora militante in FDI, partiti che definiscono post-fascisti, dove la fiamma contenuta nel loro simbolo, raffigurerebbe la fiaccola che arde sulla tomba di Benito Mussolini a Predappio.   Benito Mussolini, quello che la giovane Meloni definiva come «statista», e che aveva diffuso quell’espressione chiarissima: «la perfida Albione».   Come non farsi venire in mente l’impressionante manifesto di Gino Boccasile (1901-1952) che celebrava la distruzione di Londra da parte dei V2 tedeschi.  

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Insomma: chi è cresciuto nella destra italiano aveva della Gran Bretagna una certa idea. Almeno fino a Fini, che, notate, prima di essere mandato a Gerusalemme con la kippah, aveva fatto i suoi giri di sdoganamento a Londra – dove peraltro, altro mistero, ad una certa hanno cominciato a rifugiarsi gli estremisti neri che avevano la Giustizia italiana alle calcagna…   La Russa sorride e batte le mani sul fianco destro del re della «perfida Albione». Sul fianco sinistro un’altra figura che, in teoria, proviene da una cultura non esattamente anglofila il tradizionalismo cattolico. Un giro che legge la storia britannica, e le sue ramificazioni mondiali, in modo un po’ diverso da come viene presentata: dal tradimento di Enrico VIII all’assassinio del cattolico Guido Fawkes, eroe fatto squartare dal re per aver cospirato per il ritorno del cattolicesimo in terra anglica, dalla follia della Chiesa anglicana alla decadenza dei costumi recenti proveniente dalla swinging london, dalla massoneria alle persecuzioni dei cattolici nei secoli.   E niente, anche da parte cattolica: sorrisi e applausi.   E sì che, anche senza essere integristi con il pallino della storia del mondo, da cattolici ci sarebbe tanto da dire al re, anzi, basterebbe fare qualche nome: Alfie Evans, Charlie Gard, Indi Gregory… e tanti altri bambini trucidati da Giudici della Corona e dal sistema sanitario del Regno votato all’utilitarismo più mostruoso e assassino del «best interest».   Rammentiamo: all’epoca i partiti pseudocattolici si mossero per dare ad Alfie la cittadinanza italiana, di fatto per togliere il bambino dalla condanna a morte del Regno sul cui trono ora siede il Carlo.  
  Come abbiamo scritto su Renovatio 21, il mancato intervento della famiglia reale in questi tragici casi – che smuovevano anche laggiù masse di persone, con miriadi di persone in lacrime che circondavano gli ospedali in preghiera, e gli ultras delle curve a cantare allo stadio a favore dei bambini in procinto di essere massacrati – non è un caso, non è una svista: è una feature precisa della famiglia, la cui consonanza con la Necrocultura è un dato storico, dalle proto-vaccinazioni dei reali con i relativi danni, all’uccisione del re per eutanasia di re Giorgio (bisnonno di Carlo), dai sospetti di fecondazione artificiale ante-litteram da cui sarebbe nata Elisabetta, all’ambientalismo stragista di Filippo (che, tenetelo sempre a mente, ha fondato il WWF, organizzazione ora proibita in Russia…), dai discorsi di Guglielmo figlio di Carlo sulla sovrappopolazione, agli attacchi contro gli USA che defederalizzano l’aborto fatti da principe Enrico dallo scranno ONU… la lista è pressoché infinita, e davanti a tutto questo cadono le illazioni su Jack lo Squartore o i milioni consegnati a Carlo in buste della spesa dai famigli di Bin Laden, il rapporto con il controverso miliardario russo-americano Armand Hammer, o i rapporti sporadici con i nazisti, il ritratto inquietante saltato fuori mesi fa…   La verità è che la materia inquietante non è in superficie, non è chiacchiera da rotocalco, né misfatto dietro le quinte: pare essere nella struttura stessa del casato.   Perché, ribadiamo, quella degli Windsor è una dinastia della morte, come ve ne sono, ai vertici mondiali, altre, anche non coronate, ad esempio i Rockefeller. Giornali e politicanti non solo non condividono questa prospettiva, ma la occultano con l’arma di distrazione di massa del gossip. Anni a parlarci delle vicende della Casa Reale, come se ciò avesse qualche importanza per noi. La famiglia media che mangia dinanzi al televisore magari non sa nulla di Alfie Evans e Guy Fawkes, ma sa tutto delle avventure amorose di Guglielmo ed Enrico, che per qualche ragione ora, a differenza di Carlo, vengono chiamati nelle loro lingua (i principi «William» ed «Henry»: sudditi, abituatevi all’inglese, è l’era CLIL).   Abbiamo visto l’arma di distrazione di massa sparata anche nel discorso romano del re. Carlo si è riferito alla «regina», e la cosa ha fatto un certo effetto: Camilla, i TG ci hanno insegnato a chiamarla così, ora in effetti è regina. Il re ha amorevolmente detto che era il ventesimo anniversario di matrimonio. Applausi.   Ma come? Camilla? Per anni i giornali ce l’avevano definita come la homewrecker reale, la spacca famiglia di Corte, con ogni storia a suo favore amplificata a più non posso: ecco i commenti animali sul suo aspetto fisico, ecco la questione del figlio birichino che potrebbe avere una cattiva influenza sull’erede al trono (e futuro fratellastro).  
  Nessuno pare avercela più con Camilla: i giornali del resto servono a questo, ti dicono cosa devi pensare, e poi ti fanno dimenticare, per farti pensare altro. Ecco che la love story di Carlo e Camilla da prurigine grottesca diventa evento da applaudire a Camere riunite.   Perché poi, scusate, avete scordato Diana? Avete scordato cosa il quivis de populo, britannico come italiano, dice della morte della principessa sotto il tunnel dell’Alma a Parigi? Tutti quei servizietti ammiccanti che talvolta potevano far capolino brevemente nella stampa mainstream… Tutto è perdonato.   Dimenticate tutto. Tanto a ricordarvi le vostre priorità ci pensa il capo di quel Regno che trucida i bambini malati e ti arresta per un tweet o una preghiera fatta nella tua mente. Carlo, con gli italiani, è stato chiaro, e sincero: vivete nello Stato creato dal nostro agente Garibaldi, ora sottomettevi del tutto al dogma climatico, e continuate a sostenere la guerra contro la Russia.   Scroscianti applausi.   Questa è la realtà della «democrazia» in Italia.   Roberto Dal Bosco

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Perché non stupirsi se Mattarella premia Burioni

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Proprio così: il virologo di social e programmi TV Roberto Burioni è stato premiato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

 

La cerimonia svoltasi al Quirinale – palazzo dei papi, poi usurpato dal re savoiardo, per finire ereditato dalla presidenza repubblicana – consisteva nella consegna di medaglie al «Merito della Sanità Pubblica» e ai «Benemeriti della Salute Pubblica». Al Burioni il presidente, accompagnato del ministro della Salute Orazio Schillaci (già nel famigerato CTS pandemico, poi passato tranquillamente a fare il ministro per la Meloni) ha consegnato una medaglia di bronzo.

 

Siamo informati che per l’occasione era presente anche il Capo di Stato Maggiore della Difesa Luciano Portolano: presenza militare non solo simbolica, visto che la vaccinazione genica sperimentale è stata portata sul territorio con grande sforzo dalle Forze Armate della Repubblica Italiana.

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I giornali riportano la motivazione del prestigioso premio al medico conosciuto sui social: «Per essersi distinto per il suo impegno costante a difesa della scienza e nella promozione delle vaccinazioni come indispensabili e fondamentali strumenti di prevenzione della Salute Pubblica».

 

 

«È stata una grandissima emozione» ha commentato il Burioni secondo Il Resto del Carlino. «Il presidente mi ha fatto i complimenti. Ed è stato anche un bel momento per incontrare il generale Francesco Paolo Figliuolo, un amico dai tempi della pandemia, così come il professor Franco Locatelli (presidente del Consiglio superiore di sanità)».

 

Già: Figliuolo, pensavamo di averlo dimenticato. Locatelli, pure. Anzi forse lui e l’Ospedale Bambin Gesù no.

 

 

È stato notato che siamo dinanzi ad un bel paradosso – specie per il ministro Schillaci, espressione del governo della destra che tenta di mettere in piedi una Commissione parlamentare sull’era COVID, ma poi premia uno dei suoi attori più discussi.

 

Perché Burioni non è stato spettatore dello spettacolo pandemico, così come non lo è stato durante tutto il teatro vaccinale iniziato anni prima del coronavirus. La polvere sollevata dal professore del San Raffaele è stata tantissima, provocando reazioni che non venivano unicamente da antivaccinisti e compari.

 

Rammenterete: nel febbraio 2020 va da Fazio a dire che non c’è nessun pericolo («in Italia il rischio di contrarre questo virus è 0, perché il virus non circola»), la mascherina non proteggono dal virus, poi cambia tutto con il mutare degli ordini internazionali. Assicura che chi sostiene che il virus sia fuggito dal laboratorio non ha capito nulla e va deriso («L’ultima scemenza è la derivazione del coronavirus da un esperimento di laboratorio. Tranquilli, è naturale al 100%, purtroppo»), poi, sempre con il cambiamento estero, fa retromarcia anche lì. Si fa plurime dosi di siero genico sperimenale, poi prende lo stesso il COVID («Mi sono vaccinato poco prima della ripresa delle lezioni universitarie ma non è servito»). Capita.

 

Nel mezzo, la quantità di uscite spietate, come quella sui no-vax «agli arresti domiciliari chiusi in casa come dei sorci», frecce a tutti, persino a coloro che gli avevano giustamente fatto notare che valigie si scriva con la i (aveva scritto in un post «valige», rivendicandone erroneamente la correttezza ortografica). Addosso a tutti, alla ragazza disabile leghista, all’endocrinologa della Statale, all’influencer, a Susanna Tamaro, a Heather Parisi, a Novak Djokovic, a chiunque osi contraddirlo.

 

Anthony Fauci, quello che ha ottenuto la grazia preventiva nelle ultime ore di Biden (anche lì: virologi protetti da presidenti…), ad un certo punto della sbornia di potere pandemico arrivò a suggerire di essere lui stesso la scienza. Burioni non ha mai avuto bisogno di arrivare a tanto.

 

C’è da chiedersi come il presidente Mattarella, il nutrito team che lo assiste, non si renda conto che premiare chi attaccava e canzonava mezza Italia manda un messaggio preciso, e tremendo, a tutta quella parte della popolazione italiana, che non è poca, ed è pure – grazie ai danni da vaccino – in netto aumento.

 

Del resto, abbiamo visto ancora ai tempi della legge Lorenzin – la grande prova prodromica della biopolitica pandemica e del totalismo vaccinale – il ruolo che le istituzioni avevano ritagliato per questo dottore diventato famoso improvvisamente.

 

Aveva iniziato con post su Facebook che terrorizzavano assai: ecco la foto di quello che, avendo avuto il morbillo perché non vaccinato, è cresciuto rovinato. Ecco i commenti contro chiunque osasse contraddirlo. Ecco la gioia per i primi medici che venivano radiati causa vaccini (è il caso del dottor Roberto Gava, la cui radiazione fu salutata dal nostro come «un atto di civiltà») – sì, avevano iniziato prima dell’mRNA.

 

Ci stupiva la velocità con cui la figura di questo ricercatore mai sentito prima veniva ingigantita. Colpiva il dato bibliografica: prima della legge che obbliga i nostri figli ad essere sierati per andare a scuola, Burioni aveva pubblicato con altri un libro scientifico per un editore minore di Urbino.

 

Come entra in gioco la Lorenzin le maggiori case editrici nazionali lo pubblicano a ripetizione, con frequenza mai vista. Libri con titoli non troppo sibillini: Il vaccino non è un’opinione. Le vaccinazioni spiegate a chi proprio non le vuole capire (Mondadori, 2016); La congiura dei somari. Perché la scienza non può essere democratica (Rizzoli, 2017); Balle mortali. Meglio vivere con la scienza che morire coi ciarlatani (Rizzoli, 2018). Tutto chiarissimo. L’insuperato sito satirico italiano Lercio ci fece un titolo: «Uscito nuovo libro di Burioni, si intitola ‘”Cazzo lo compri a fare ché sei un analfabeta di merda”».

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Il dottore marchigiano, la cui carriera fino ad allora, non era stata quella di star della scienza, pareva ben appoggiato. Venne presentato a Milano nel 2019 il «patto trasversale per la scienza» in cui Burioni si univa con Enrico Mentana (la cui testata Open fu poi assunta da Facebook nella lotta alle fake news anche su virus e vaccini: Renovatio 21 lo sa bene) e pure Beppe Grillo, oltre che Matteo Renzi e radicali eutanatici vari.

 

Gli va riconosciuto che anche se le istituzioni gli sono andate incontro – apice l’ospitata fissa in RAI da Fabio Fazio, lui mica si è istituzionalizzato. È rimasto quello di sempre: sparate sui social come non mai.

 

Insomma: il potere vaccinista – su cosa intendiamo speriamo di dare qualche ragguaglio nelle prossime righe – se lo teneva stretto, forse perché non aveva altro (pensate a Lopalco: ronzava da quelle parti, per poi essere ficcato dal PD alla Regione Puglia), forse perché, come usiamo dire su Renovatio 21, le sceneggiature di cui dispongono sono poche, sono sempre le stesse, e lo stiamo vedendo in questi giorni con Kennedy: voilà, epidemie di morbillo, e poi Gardaland, pardon, Disneyland

 

Il tema tuttavia non nemmeno è Burioni: è la decisione della presidenza della Repubblica di premiarlo, nonostante sia in polemica, oltre che con una larga fetta della popolazione, anche con vari politici (il ministro Salvini, per esempio) e pure qualche giornale dell’establishment (Travaglio non lo ama certo). Perché?

 

Bene, riveliamo che il rapporto tra il Quirinale e i vaccini è più serio di quanto si pensi. E non solo per il capolavoro visto in tribunale a Milano, quando in una sentenza sulla vaccinazione di una minore (il papà separato voleva sierare la figlia, la mamma proprio no) Mattarella venne citato a mo’ di fonte giuridica: si tratta di un discorso dato nell’estate 2021 alla tradizionale cerimonia del Ventaglio organizzata dall’associazione stampa parlamentare al Quirinale: si «trascura tra l’altro il monito del Presidente della Repubblica che il 28 luglio ha detto che la vaccinazione è un dovere morale e civico» avevano scritto i giudici.

 

 

C’è qualche segno più interessante che è stato dato in passato.

 

Ottobre 2016, a Roma arriva il dottor Andrew Wakefield per presentare il film sui danni da vaccino Vaxxed. Wakefield è gastroenterologo di successo che, avendo pubblicato nel 1998 uno studio (con altri dieci ricercatori!) in cui chiedeva più ricerche riguardo alla possibile correlazione tra vaccino trivalente e autismo. Una figura primaria per gli antivaccinisti e per il sistema (fatto di tutto il consenso di medici e politici che i soldi di Big Pharma possono comprare) che li combatte.

 

Ebbene, nelle stesse ore in cui Wakefield mostrava il suo film in Italia, incredibilmente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella attacca pubblicamente chi osa dubitare dei vaccini: «Le affermazioni di chi li critica sono sconsiderate e prive di fondamento».

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Mattarella non fece alcun nome, ma in tanti pensarono che il riferimento al dottore no-vax par excellence fosse incontrovertibile.

 

Di qui la domanda: perché il capo dello Stato di un Paese G7 da 60 milioni di abitanti deve muoversi per un’inezia simile? Wakefield è un medico radiato (se leggete il suo nome in un articolo di Repubblica o del Corriere difficile che non sia preceduto dalle parole «screditato» o «ciarlatano»), vive con discrezione in Texas dopo una persecuzione professionale assoluta nel suo Paese, la Gran Bretagna.

 

La proiezione di Vaxxed era una cosetta che riguardava pochi scappati di casa antivaccinisti adirati per la legge Lorenzin, con le sale cinematografiche affittate alle bisogna, col problema che talvolta i gestori si potevano pure tirare indietro all’ultima.

 

Un presidente che si muove contro un (ex) dottorino della frangia più impresentabile e vituperata…? Perché?

 

La risposta che ci siamo dati, allora come oggi, è semplice-semplice: con ogni evidenza, i vaccini sono per il sistema mondialista un argomento misteriosamente fondamentale, ed ogni critica – costi pure far muovere un presidente – deve essere ridotta a tabù.

 

Vogliamo far risuonare nella testa del lettore qualche altra eco. Renovatio 21 è tra le poche voci al mondo che ricorda i legami arcaici tra vaccinismo e massoneria. Abbiamo scritto dello strano caso dei medici massoni italiani che si palesarono da Jenner prima ancora che questi finisse i suoi esperimenti omicidi. Abbiamo scritto dei programmi di «vaccinazione universale», portati avanti con fake news e coercizione, realizzati dalle élite massoniche che avevano fatto l’Italia unita – provocando, in casi indicibili, rivolte tra la popolazione che vedeva i danni.

 

È quell’Italia unita che celebriamo a forza anche oggidì quando ci parlano di «Risorgimento». L’Italia progettata e realizzata da forze massoniche, che hanno continuato a lavorare salvo (forse) una pausa sanguinaria del ventennio e della Seconda Guerra.

 

Ora, facciamo uno sforzo per capire che certe cose, anche a distanza di secoli, non si possono dimenticare. Lo abbiamo visto, in tutto il suo orrore, alle Olimpiadi di Parigi, quando è divenuto chiaro che a distanza di due secoli e mezzo al potere in Francia c’è ancora chi è ossessionato dal sangue della regina decapitata, dallo scherno ad ogni costo del cristianesimo, dall’umiliazione dell’essere umano da sottomettere alla meccanica della Rivoluzione.

 

I vaccini, riteniamo, non sono un tema dissimile da questi. Un’eredità di un passato che solo apparentemente è rimosso, ma i cui attori ancora tramano, e strepitano, nell’ombra. Sempre meno, nell’ombra…

 

Da qui alle premiazioni ritualizzate dello Stato moderno, figlio delle devastazioni degli ultimi tre secoli, il passo è breve.

 

 

Abbiamo voglia di notare come il figlio di Bernardo Mattarella altre volte ha lanciato strali – sempre senza fare nomi… – contro figure che non sembrano congeniali all’ordine internazionale così come lo conosciamo: rammentiamo i ripetuti attacchi a Elon Musk.

 

Elone aveva da poco comperato Twitter. Il presidente dichiarò che «il modello culturale dell’Occidente è sotto sfida (…) bisogna evitare che pochi gruppi possano condizionare la democrazia».

 

Parole che non sentimmo nel maggio 2022 quando Marco Zuckerberg calò in Italia venendo ricevuto a Palazzo Chigi dal premier Mario Draghi (che era presente all’ultimo discorso di Mattarella) e dal ministro della Transizione Digitale Vittorio Colao.

 

È lo stesso Mattarella che nel 2016, abbiamo preso nota anche di questo, parlava alla plenaria Commissione Trilaterale riunitasi a Roma ringraziando David Rockfeller, il quale «ebbe l’intuizione di dar vita alla Commissione, si mosse nell’intento di capitalizzare le risorse e le energie degli ambienti imprenditoriali, culturali e sociali in America, Europa e Giappone, per superare le rigidità che sovente accompagnano le relazioni ufficiali tra Governi, così da fornire interpretazioni non formali ma originali di fenomeni complessi e dalle ampie ramificazioni».

 

Insomma: attenti agli oligarchi, a parte certi. E se parliamo della pianta dei Rockefeller, come per massoneria e vaccinismo, e ancora più in là sulla loro idea per la popolazione terrestre, il discorso si fa davvero abissale

 

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Il gioco, quindi, è un po’ più grande e profondo di quello di Burioni.

 

Il quale Burioni epperò, a differenza di noi sudditi che durante il COVID abbiamo perso il lavoro e abbiamo preso sputi dai volenterosi carnefici dell’apartheid biotica, ha ricevuto dalla massima carica dello Stato italiano una medaglia di bronzo.

 

Di bronzo. A questo punto scatta inaspettatamente una memoria musicale: è la voce di Rocco Tanica, al secolo Sergio Conforti (1964-), che, con potente poesia, canta: «Fra le maschere che un uomo può indossare ricordiamo l’argilla / Fra le maschere che un uomo può indossare come non citare il bronzo».

 

Si tratta della canzone di Elio e le Storie Tese intitolata «Shpalman» (2005), che narra di un improbabile supereroe del Naviglio piccolo che vendica coloro che sono stati derubati da «tamarri dietro l’angolo» spalmando materia in faccia agli aggressori.

 

E così, eccoci qui, anche noi, ridotti nella nostra mente ad invocare un vendicatore, che viaggi nei secoli e riporti quella Giustizia di cui andiamo fantasticando nel nostro cuor.

 

Le maschere, anche quelle di bronzo, siamo sicuri, ad una certa cadranno tutte. Quel che si farà dopo, non lo sappiamo bene.

 

Roberto Dal Bosco

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