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San Pio X, un piccolo pellegrinaggio. E una grande storia

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Ho partecipato con mio figlio al pellegrinaggio organizzato dalla Fraternità San Pio X per venerare il corpo di San Pio X presso il Santuario della Beata Vergine delle Cendrole, a Riese San Pio X.

 

Le spoglie del santo papa veneto sono state eccezionalmente riportate in Veneto, sua terra natale, per il 120° anniversario della sua elezione al Soglio pontificio.

 

È stata una giornata speciale. Perché, come dicevo a mio figlio, quando mai ricapiterà: forse tra un secolo, se l’umanità non cesserà di esistere, forse tra due. Io non riuscirò a rivedere una cosa del genere, lui forse nemmeno, ma il senso della Tradizione sta proprio qui – tramandare, di padre in figlio. Potrà esserci un momento, in un futuro che non riesco a vedere, in cui mio figlio lo racconterà a suo figlio, e questi a suo figlio… e alla fine, qualche discendente forse tornerà a vedere il corpo del Santo che aveva capito tutto degli ultimi secoli, che aveva lucidamente visualizzato l’ora presente.

 

Per questa chiarezza, noi gli siamo grati, e abbiamo offerto la nostra venerazione di pellegrini.

 

Vi sono tuttavia delle note frivoli, cioè, essenziali, da fare. Partecipare al pellegrinaggio, con il suo serpentone infinito di fedeli della Tradizione cattolica, è stato un toccasana per l’umore.

 

Si incontrano tante persone, da tutta Italia, da tutta Europa, da tutto il mondo, che non si vedevano da tempo, ma che si sa esistono, persistono, in una dimensione lontana tuttavia in piena consonanza di spirito.

 

Ci sono tanti, tantissimi giovani. Bambini. Neonati. Famiglie, magari tre generazioni tutte presenti al contempo.

 

Si vedono i preti: tanti, da ogni angolo del pianeta (dall’Italia all’Alaska). Alcuni sono cresciuti dentro la Fraternità, provengono da famiglie che li hanno portati sin da bambini alla vera Messa. Sono preti veri, e a chi non li conosce basta la talare per capirlo. Nei giorni in cui esce la notizia delle messe senza prete a Genova e in altre parti del Paese, vedere questa quantità di consacrati, presenti e determinati, è un segno di forza spirituale potentissimo.

 

Ci sono i seminaristi, questi ragazzotti giovanissimi, elegantissimi nella loro lunga veste nere – un’eleganza che promana dalla forza della loro scelta – che ho beccato dietro la chiesa, dopo la Messa, a mangiare delle merendine, perché la colazione, per fare la comunione, la avevano certamente saltata.

 

E poi, soprattutto, ecco le suore: tante, tantissime, venute con un pullman dal monastero nel Lazio, giovanissime, quasi tutte italiane, la madre superiora che irradia rispetto a centinaia di metri di distanza. Quando mai capita di vederla, questa distesa di suorine? Non spesso, a me può capitare qualche volta l’anno, ed è sempre una visione edificante, che rigenera una qualche parte di me che mi ero scordato di avere.

 

(La figura della suora è oramai completamente disintegrata dalla società: un discorso che prima o poi faremo è sulla sparizione delle suore negli ospedali, dove un tempo imperavano, e senza di loro si è visto come è andata)

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Durante la marcia, oltre al Santo Rosario, è risuonato il canto Noi vogliam Dio. «Noi vogliam Dio, Vergin Maria / (…) Noi vogliam Dio nelle famiglie / (…) Noi vogliam Dio in ogni scuola / (…) Noi vogliam Dio nell’officina / (…) Noi vogliam Dio nella coscienza».

Quanto è bello cantare a squarciagola questo fiero anacronismo, questo pugno nello stomaco a chi ha distrutto la società: perché qui è detto tutto, togli Dio dalle aule, dalle case, dal lavoro, dalla tua vita e quello che ottiene è l’avanzata dell’Inferno che è sotto i nostri occhi.

 

Il canto venne rifatto, per osceno dileggio, dai partigiani delle Brigate Garibaldi organizzate dal Partito Comunista Italiano. Ma a noi cosa interessa? Potete sentire le voci angeliche delle suorine in sottofondo? Potete comprendere che nulla e nessuno può fermare un popolo armato della Fede?

 

 

Santuario della Beata Vergine delle Cendrole era uno dei luoghi dove, quasi due secoli fa, era possibile incontrare Giuseppe Melchiorre Sarto, il futuro San Pio X. Il percorso della processione d’un tratto è uscito dalla strada principale per andare su un sentiero nella boscaglia che sbucava proprio davanti alla chiesa: «era la scorciatoia che prendeva per tagliare» mi hanno detto.

 

Si faceva un po’ di fila per entrare, ma niente di che. Quando sono entrato in chiesa – che è antica, e molto bella – ammetto di essermi fatto distrarre stupidamente. Un tizio con una camicia hawaiana era salito sull’altare, e con un microfono proferiva invocazioni, organizzate probabilmente dalla parrocchia locale o dalla diocesi – l’evento era organizzato dal Comune e da altri enti del territorio.

 

Ho fatto in tempo a sentire le parole «custodia del creato», «casa comune», e forse pure «conversione ecologica». Il dogma ambientalista bergogliano microfonato sul corpo di San Pio X.

 

Poi mi sono reso conto che stavo sbagliando: non dovevo sintonizzare il mio essere sul presente, sul presente papato, sul cattolicesimo moderno. Dovevo prendere la mia anima e mio figlio e cercare di disporla nell’altra dimensione, quella dell’eterno. Il rifiuto del modernismo articolato in maniera infallibile da San Pio in fondo dice questo.

 

Mi sono così inginocchiato davanti alla teca con il corpo del Santo. Anche il mio piccolo lo ha fatto. Abbiamo pregato. Poi quando era venuto il momento di alzarsi, era come se non ne avessi voglia. Sentivo, nei pellegrini della Fraternità che entravano e circondavano le spoglie del papa, come un senso di stupore, e di gratitudine, che si diffondeva nell’aria. Era, credo, devozione. Qualcosa di rarissimo, oggi. Qualcosa che però se cerchi, puoi ancora trovare.

 

Sono rimasto in ginocchio fino a perdere consapevolezza di esserlo. Il bambino non ha battuto ciglio, ed è rimasto come me per tutto il tempo. È stato Don Massimo a svegliarmi toccandomi una spalla, come per dire pragmaticamente: «in piedi, dai».

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San Pio X è il papa dell’enciclica Pascendi Dominici gregis (1907), quella con cui condannava il modernismo «sintesi di tutte le eresie». Il mondo agnostico e materialista di oggi era già stato compreso perfettamente da papa Sarto. Gli era chiaro che stavano preparando una società del rifiuto del divino, un’umanità che considera la verità come mutante, progressivamente cangiante – cioè, nessuna verità possibile. Gli era chiaro che era in caricamento una religione fatta a misura di ciascuno, una religione interiore, soggettivistica, che quindi non aveva più bisogno né di Rivelazione (cioè di Gesù, cioè di Dio), né, in ultima analisi, di riti – se pensate alle «messe senza prete» apparse ora potete capire tutto.

 

Recidere il legame tra l’essere umano e il reale: il mondo dell’individualismo più autistico, delle religioni fai-da-te, delle perversioni liberali, della realtà virtuale più catatonica, dove l’uomo è titolato a credere e operare secondo qualsiasi sciocchezza interiore, era pienamente prevista da Pio X. I semi nella filosofia e nella teologia del tempo erano incontrovertibili.

 

Non è chiaro come sia possibile che una società che oggi ricorda Pio X non si renda conto dell’abisso che divide il Santo dall’ora presente – l’abisso che lui aveva indicato, e operato per scongiurare.

 

C’è, visibile, anche in cartelloni ora issati per l’occasione sulle strade del suo Paese natale, una – per così dire – «banalizzazione» di Giuseppe Sarto. Si ricordano varie sue battute in Veneto, come quando sua madre vedendolo per la prima volta vestito da cardinale gli disse «Ti xé tuto roso» («Sei tutto rosso») e lui rispose «e ti te sì tuta bianca» («e tu sei tutta bianca»).

 

Gli annali ricordano poi la battuta con cui salvò il tango, quando la liceità del sensuale ballo argentino fu portata al suo giudizio, dopo che la chiesa parigina aveva chiesto l’interdizione: «Mi me pàr che sia più bèo el bało a ‘ea furlana; ma no vedo che gran pecài ghe sia in stò novo bało!» (A me pare che si più bello il ballo alla friulana, ma non vedo esservi grandi peccati in questo nuovo ballo») disse dopo aver assistito ad una esibizione del ballo fatta per lui.

 

Per capire la profondità della figura, tuttavia, noi vogliamo ricordare un’altra udienza privata, che serve a capire la portata della mente del Santo.

 

Theodor Herzl (1860-1940) è stato l’intellettuale (non un rabbino…) che fondò il movimento politico del sionismo: fu lui a programmare, quindi, il ritorno degli ebrei in quello che all’epoca era il mandato britannico della Palestina, al fine di creare uno Stato Ebraico. Per gli appassionati: è lo stesso personaggio citato da Walter, il singolare cattolico polacco convertito all’ebraismo, ne Il Grande Lebowski. (– «Se lo vuoi con forza non è un sogno»  – «… che cosa hai detto?»  – «Theodor Herzl. Lo Stato di Israele. Se lo vuoi con forza non è un sogno»)

 

Il 26 gennaio 1904 papa Pio X concesse udienza a Herzl. L’incontro era stato organizzato da un ritrattista papale austriaco, Berthold Dominik Lippay (1864-1919), che il sionista aveva incontrato a Venezia. Lo scopo dell’incontro, per Herzl, era chiedere il sostegno papale per la creazione di uno Stato Ebraico in Palestina.

 

«Fui condotto dal Papa attraverso numerose piccole sale. Mi ricevette in piedi e mi porse la mano, che io non baciai» scrive Herzl nei suoi diari. «Lippay mi aveva detto di farlo, ma io non lo feci. Credo che questo gli dispiacque perché chiunque va in visita da lui si inginocchia o per lo meno gli bacia la mano. Questo baciamano mi causò molti dispiaceri. Sono stato molto contento quando finalmente cadde in disuso» assicura fiero il fondatore del sionismo.

 

«Egli sedette su una poltrona, un trono per occasioni minori. Poi mi invitò a sedermi accanto a lui e sorrise in amichevole attesa. (….) Gli presentai brevemente la mia richiesta. Tuttavia egli, forse infastidito dal mio rifiuto di baciargli la mano, rispose in modo duro e risoluto».

 

«”Noi non possiamo favorire questo movimento. Non potremo impedire agli Ebrei di andare a Gerusalemme — ma favorire non possiamo mai. La terra di Gerusalemme se non era sempre santa, è santificata per la vita di Jesu Christo” (egli non pronunciò Gesù, ma Yesu, secondo la pronuncia veneta)». Incredibile come le doti superomistiche del sionista gli dessero piena conoscenza della lingua veneta. Tuttavia, specifichiamo, in Veneto si dice «Gesù» e non «Yesu», ma questo forse è un errore di traduzione.

 

Quindi il papa santo arrivò al dunque.

 

«”Io come capo della Chiesa non posso dirle altra cosa. Gli Ebrei non hanno riconosciuto nostro Signore, perciò non possiamo riconoscere il popolo ebreo”» disse Pio X.

 

«Il conflitto tra Roma, rappresentata da lui, e Gerusalemme, rappresentata da me, si aprì ancora una volta» annota Herzl sul suo diario – e non si sa se con amarezza o con minacciosa superbia.

 

Ci sono secoli di questioni che Herzl, che si sente di rappresentare Gerusalemme, non conosce. Sorvoliamo, cercando solo di indicare al lettore la realtà odierna, di cui può farsi un’idea da solo. È oggettivo, ad ogni modo, che il ritorno degli ebrei in Palestina non è stato un processo indolore – per nessuno – e continua a non esserlo. E, come sappiamo, non solo alcuni israeliani «non hanno riconosciuto nostro Signore», ma oggi sputano materialmente sopra ai suoi fedeli.

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Scendiamo ancora più a fondo, per dire qualcosa di incredibile – una mia opinione, una mia piccola, tragica visione metastorica.

 

La storia – negata da alcuni sacerdoti che stimo molto, tuttavia persistente – vuole che quando dopo la morte di Leone XIII si aprì il conclave (primo di agosto 1903) il candidato più papabile fosse l’allora segretario di Stato Mariano Rampolla del Tindaro (1843-1913), cardinale arcivescovo siciliano considerato vicino alla Terza Repubblica francese, che usava politiche antireligiose e massoniche, e ad idee, diciamo così, «liberali».

 

Nel solenne momento della scelta del futuro papa, vi fu però una grande sorpresa: il vescovo di Cracovia, cardinale Puzyna, annunciò che l’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe usava un suo antico diritto come sovrano di del Sacro Romano Impero per porre il veto sull’elezione del cardinale Rampolla. Paradossalmente, una delle prime azioni di Pio X fu l’abolizione del cosiddetto jus exclusivae (o veto laicale) attraverso la costituzione apostolica Commissum Nobis. Tale forma di veto, che era in mano a certi sovrani cattolici e che aveva contribuito alla sua elezione come pontefice, è stata eliminata.

 

Eletto con 50 voti su 62, Giuseppe Sarto cominciò la sua opera di lotta all’infiltrazione modernista e alla laicizzazione della società.

 

Ma perché Francesco Giuseppe si era opposto all’elezione del cardinale Rampolla? Perché era filo-francese, cioè filo-Terza Repubblica «laica», dicono gli storici mainstream. All’epoca invece ambienti come quelli dell’Action Française, e non solo, dichiararono che invece l’opposizione dell’imperatore cattolico era dovuta ad una presunta appartenenza di Rampolla alla massoneria, o forse perfino ad un ordine neotemplare. Un vescovo straniero, tanti anni fa, mi disse che prove dell’affiliazione del cardinale sarebbero emerse anche quando questi morì, tuttavia nessuno storico ha mai portato prova certa.

 

Quindi, ipotizziamo, la massoneria era già infiltrata nella Chiesa nel XIX secolo? Già allora stava per fare il colpaccio e prendersi il Soglio di Pietro? Secondo queste voci, parrebbe.

 

Il progetto, per chi conosce le istruzioni dell’Alta Vendita – le lettere dei vertici ultramassonici Nubius, Piccolo Tigre, Volpe, Vindice – sa che era già segnato da decenni: «Or dunque, per assicurarci un Papa secondo il nostro cuore, si tratta prima di tutto, di formare, a questo Papa, una generazione degna del regno che noi desideriamo. Lasciate in disparte i vecchi e gli uomini maturi; andate, invece, diritto alla gioventù, e, se è possibile, anche all’infanzia».

 

Sappiamo come tali lettere poi raccontassero del programma di rovina morale, attaccando soprattutto la donna: «Per abbattere il cattolicismo, bisogna prima sopprimere la donna. La frase è vera in un senso, ma poiché non possiamo sopprimere la donna, corrompiamola».

 

Pio X, con la sua azione, ribaltò di fatto il programma massonico, lo individuò, ne scovò i dettagli più intimi tramite il Sodalitium Pianum, la rete segreta di informazione affidata a monsignor Umberto Benigni (1862-1934). Nessuno ostacolo fu più grande, per l’adempiersi del progetto della Loggia, del Santo di Riese.

 

Qui diviene interessante notare la coincidenza: l’anno della morte di papa Sarto e lo stesso anno dello scoppio della Prima Guerra Mondiale – il fatale 1914.

 

Molti ritengono che la Grande Guerra altro non sia che una parte di un piano per togliere di mezzo il cristianesimo dal Vecchio Continente: di fatto, il risultato fu la distruzione, dopo secoli e secoli, del Sacro Romano Impero, e aggiungiamo pure della Russia Zarista, ancorata sul cristianesimo ortodosso.

 

Lo schema di disintegrazione del cattolicesimo prevedeva la sparizione dell’Impero d’Austria, suo garante e protettore – come dimostrato dal veto su Rampolla papa.

 

Qui faccio la mia considerazione: la Grande Guerra è un effetto indiretto del conclave del 1903? Non potendo sconfiggere San Pio X, e vedendo la portata della sua opera, i massoni hanno scatenato una guerra mondiale, con strage infinita di poveri ragazzi?

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Nessuno può togliermi per la testa questa idea. Così come si può finire a pensare che il primo dopoguerra, con le sue richieste impossibili alla Germania sconfitta, di fatto preparasse una nuova guerra, il cui risultato sarebbe stato l’esclusione definitiva dell’Europa – il continente radice del cristianesimo – dalla scena mondiale. Sono stati creati, dopo il 1945, due blocchi, più o meno extraeuropei, la cui sfida combacia perfettamente con il principio dialettico massonico-hegeliano per cui gli opposti che creano una sintesi – una sintesi desiderata. Il pavimento a scacchi delle logge massoniche può significare proprio questo.

 

L’Europa è morta due volte: con una guerra per distruggere gli imperi e il cattolicesimo, e con una per togliere di mezzo qualsiasi sua pretesa sulla storia mondiale. Non ci stupiamo, quindi, se ora è invasa da africani e islamici ed incapace di reggere a qualsiasi conflitto le si pone dinanzi.

 

Questo massacro è finito? No.

 

Il 15 agosto 1871 Albert Pike (1809-1891), il cosiddetto «papa della massoneria», generale sudista americano e forse fondatore del Ku Klux Klan, scrive al supermassone e agente britannico Giuseppe Mazzini (1805-1872), ancor ‘oggi considerato eroe nazionale in Italia (pur essendo morto, come Bin Laden, da latitante): «Noi scateneremo i nichilisti e gli atei e provocheremo un cataclisma sociale formidabile che mostrerà chiaramente, in tutto il suo orrore, alle Nazioni, l’effetto dell’ateismo assoluto, origine della barbarie e della sovversione sanguinaria».

 

Alcuni dicono che il carteggio tra l’antipapista statunitense e l’antipapista italiano non esistono. Tuttavia, un commodoro della marina canadese, William Carr, dice di avere vedute le lettere a Londra, e in seguito vi scrisse un libro che le riassumeva. Altri ritengono che tali documenti siano secretati alla Temple House, sede della massoneria di Rito Scozzese di Washington.

 

Vale la pena di leggere le supposte parole del Pike. Tanti campanelli, a un secolo e mezzo di distanza, potrebbero risuonare nella mente del lettore.

 

«Allora ovunque i cittadini, obbligati a difendersi contro una minoranza mondiale di rivoluzionari, questi distruttori della civiltà, e la moltitudine disingannata dal cristianesimo, i cui adoratori saranno da quel momento privi di orientamento alla ricerca di un ideale, senza più sapere ove dirigere l’adorazione, riceveranno la vera luce attraverso la manifestazione universale della pura dottrina di Lucifero rivelata finalmente alla vista del pubblico, manifestazione alla quale seguirà la distruzione della Cristianità e dell’ateismo conquistati e schiacciati allo stesso tempo!»

 

Si prepara, insomma, la guerra ulteriore, la guerra satanica. Il processo, definitivo, per la sottomissione dell’umanità al demonio – la concrezione del Regno sociale di Satana. Se ciò stia per accadere, o se stia già accadendo, decidetelo da voi.

 

San Pio X aveva, tuttavia, già l’antidoto pronto: «Instaurare omnia in Christo». Restaurare ogni cosa in Cristo. Riformare, riformulare, ridisegnare, riedificare la società secondo Dio – e non secondo l’uomo, né secondo altro; non secondo «Gaia», non secondo la Pachamama, la «madre Terra» o qualsiasi altra follia idolatrica portata avanti dalla mostruosa neochiesa, per la quale, abbiamo visto, potrebbe valere il detto «Instaurare omnia in Chtulhu».

 

La soluzione ai problemi del mondo – in Palestina, in Ucraina, in Italia, nel vostro quartiere, nella vostra famiglia, nel vostro cuore – è tutta qua.

 

Tutta quella gente con cui sabato scorso io e il mio bimbo abbiamo camminato cantando «Noi vogliam Dio» lo sa. È già tanto, è tantissimo.

 

È la speranza con cui costruiamo, ora, il futuro dei nostri figli, e dei loro figli, e dei figli di questi, nella catena sacra della vita umana che da Adamo arriverà sino all’Apocalisse.

 

Sancte Pie Decime, ora pro nobis.

 

Roberto Dal Bosco

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Pensiero

Oligarchia e aristocrazia eurodemocratica mondialista, da Ventotene a Kalergi e oltre

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La sinistra italiana perde la testa di fronte alla semplice lettura di brani del Manifesto di Ventotene, che evidentemente nessuno aveva mai letto, soprattutto tra cui se ne riempie la bocca scendendo pure in piazza.   Capiamo che per i sinceri democratici capire che – incontrovertibilmente – il testo base dell’eurodemocrazia spinge per la dittatura è un evento che può portare ad una dissonanza cognitiva esplosiva.  

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«La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno».   Il Manifesto che si vuole alla base dell’Europa scrive proprio così: «La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio». Gulp: notiamo però anche come continua il passaggio, con un vero cortocircuito per i fan del ReArm Europe: «questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale».   «La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista»   Ma c’è di peggio: «nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente». Ri-gulp. «Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solito un torbido tumultuare di passioni».   Questa cosa della mancanza di consenso popolare tenetela a mente per dopo, ma il concetto – il comando di pochi sul popolo refrattario: cioè, in pratica, il primato assoluto delle élite – è sviluppato davvero lucidamente:   «Durante la crisi rivoluzionaria» scrive il Manifesto, il movimento «attinge la visione e la sicurezza di quel va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma dalla coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato ed attorno ad esso la nuova democrazia».   Potete riconoscere bene cosa è teorizzato qui: il popolo non conta nulla, comandiamo noi, gli esperti che conoscono davvero cosa vuole il mondo moderno. È un pensiero oscuro, aristocratico, dittatoriale – e sa di esserlo. Abbiamo imparato a vedere questa idea pienamente realizzata con il COVID – e di fatto immaginiamo gli estensori del Manifesto ventoteniano tutti mascherinati e penta, esa, epta, octavaccinati.   Giorgia, per una volta, ha fatto una cosa giusta, con tanto di esecuzione perfetta. Vedere Elly Schlein (che su tre passaporti, ne ha solo uno pienamente Schengen) che si strappa i capelli assieme ai compagni di partito con le lacrime agli occhi («oltraggio!») è bellissimo.   Bravo premier: leggere in Parlamento passi come questo era la cosa migliore da fare. Trump lo sta indicando con chiarezza: sgonfiare il pallone di menzogne e corruzione dello Stato-partito è possibile, oltre che doveroso.   Anche perché, sinceramente, non tutti capiscono da dove salta fuori questa cosa di Ventotene oramai assurto a culto di Stato.   Crediamo che sia un’operazione di ridefinizione della storia (con occultamento di verità lapalissiane) nello stile che conosciamo: la guerra in Italia non l’anno vinta americani e inglesi (e i loro bombardieri, che mi racconta ancora oggi lo zio sopravvissuto, erano tanti da oscurare il cielo sopra una piccola città di provincia), macché, la vittoria è stata dei partigiani.   Eccerto: e ce lo hanno ripetuto sino a che ciò non è divenuto dogma inscalfibile e fondamentale (la «Repubblica fondata dalla resistenza»), al contempo cancellando altri fattori del processo – e qui vorremo, al solito, fare il nome di James Jesus Angleton, la superspia americana cresciuta in Italia che fu «madre della CIA», poeta e stratega che fu con probabilità il vero padre dello Stato italiano del dopoguerra.   E quindi: l’Europa non nasce da interessi geopolitici immani, e probabilmente non Europei. Viene piantata a Bruxelles, dove sta la NATO, per caso. L’Europa non nasce nemmeno da macchinazioni massoniche che affondano nei secoli. No, ora ci dicono che l’Europa Unita parte da tre signori messi al confino da Mussolini. Ecco, qui sorge una domanda, scusate: ma perché i fascisti, che sono tremendi, mandavano su un’isola i dissidenti invece di metterli in galera o peggio? Riconosciamo che per alcuni questa domanda suona come una bestemmia, ma non credo che ci possano dare una risposta. Il fascismo uccide Matteotti ma lascia vivere Spinelli? (È vero, tuttavia, che i fascisti uccisero Colorni: ci torneremo sotto)

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Qui vengono pensieri balzani. Non è che questi avessero qualche copertura, di quelle alle quali nemmeno il fascismo poteva resistere? Ci sovviene il caso di Alberto Beneduce (1877-1944), già collaboratore del primo sindaco anticlericale e massone, oltre che ebreo, Ernesto Nathan (che voci sussurrano potrebbe essere figlio di Mazzini), tesserato del PSI e massone a sua volta, uomo dietro alla creazione dell’assicurazione INA e dell’IRI, tanto importante per l’Italia mussoliniana che per quella democristiana.   Le idee socialiste di Beneduce, che fu senatore e ministro del Lavoro, non è che fossero tanto nascoste: tre delle sue figlie si chiamavano Idea Nova, Vittoria Proletaria e Italia Libera. Un altro figlio lo ha chiamato Ernesto, immaginiamo in onore al Nathan. Essendo questo un articolo in cui parliamo di famiglie e aristocrazie democratiche (abietta contradictio in adjecto), vale la pena di ricordare che Idea Nova Beneduce nel 1939 divenne moglie di Enrico Cuccia, il mitico dominus, potentissimo e silentissimo, di Mediobanca.   Nel 1936, in pieno ventennio, Beneduce era al contempo presidente dell’IRI, delle banche pubbliche Crediop e ICIPU, dell’Istituto per il credito navale, nonché membro del Consiglio d’amministrazione dell’IMI e dell’Istituto nazionale dei cambi. Nel privato era presidente della Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali (la società chiamata Bastogi). Assieme al governatore della Banca d’Italia Donato Menichella fu ispiratore della legge bancaria del 1936.   Insomma, il socialista Beneduce era fuso pienamente con il deep state dell’Italia fascista. Intoccabile ed indisturbato. Che cosa permetteva a chi veniva da mondi politici distanti e non aderiva all’ideologia del totalitarismo italiano di rimanere in circolazione? Non sappiamo dire.   Qualcuno può pensare che, anche allora, vi fosse un piano più grande all’opera, che non riguardava solo l’Italia – del resto, la Giovine Europa era proprio un’idea, ci fanno studiare a scuola, del Mazzini, proprio quello che alcuni dicono fosse padre del Nathan, morto da terrorista latitante come un Bin Laden qualsiasi.   Ecco che ci viene in aiuto il libro della scomparsa antropologa Ida Magli, il cui titolo è più che mai d’attualità, La dittatura europea: «(…) ad Altiero Spinelli è stato indispensabile delle potenti società semisegrete di cui abbiamo parlato, e della grande finanza nelle vesti di Gianni Agnelli. Spinelli era infatti membro del Bilderberg e fondatore assieme ad Agnelli dell’Istituto per gli Affari Internazionali Italiano».   Lo Spinelli nel Bilderberg: sì, pare se lo siano dimenticati tutti nella costruzione dell’eurosantino – non che la cosa, tuttavia, disturbi le sensibilità piddine. Al contempo, la Magli non aveva paura di fare nome e cognome dell’ingrediente ulteriore che con l’oscura aristocrazia eurodemocratica ha voluto riformulare i Paesi del continente: l’oligarchia.   «Non sappiamo se fosse la sua condivisione degli interessi di Agnelli alla mondializzazione del mercato, o il suo odio per la Nazione Italia a spingerlo su posizioni europeiste assolute» accusa la Magli. «Fatto sta che non è mai riuscito, pur avendo ottenuto grandi vantaggi dall’europeismo, quali un seggio parlamentare e il posto di Commissario europeo, a far conoscere e apprezzare il suo movimento all’opinione pubblica italiana».

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Proprio quello che sembra: l’europeismo, anche in Italia, è un movimento inflitto, in nessun modo organico alla popolazione, che di suo lo respinge. Gli europeisti convinti che si vedono in giro – con tanto di foto lombrosiane – esistono solo all’interno di piazza artificiali, come quella vista negli scorsi giorni, dove ad organizzare vi è un sedicente giornalista di satira, con doppio cognome, scrivente per qualche ragione da sempre sul giornale dei casati aristo-capitalisti dei Caracciolo e degli Agnelli, ora confluiti nella dinastia rabbinica degli Elkann.   Parliamo ovviamente di Repubblica, creata dal «laico» (sapete, in Italia, questo aggettivo a cosa è equivalente…) Eugenio Scalfari, che più di ogni altro riuscì negli ultimi decenni ad agglutinare un consenso popolare all’ascesa della sinistra di governo, vezzeggiando e rimestando il «ceto medio riflessivo» (professori, impiegati del para-Stato, e altre demografie con la pancia riempita automaticamente e tanto tempo libero), in modo da far percolare certi ideali – come l’amore incondizionato per l’Europa, non condiviso, per esempio, dal PSI – ed essere dirimente nella politica di era prodiana.   Eppure, nemmeno con i cannoni di Repubblica si è riusciti a rendere Spinelli una figura popolare (che è quello che, un po’ in ritardo, stanno cercando di fare ora).   «(…) È probabile che questa mancanza di riscontro popolare sia stata dovuta anche all’arroganza e dittatorialità del suo comportamento, un comportamento che appare, sotto questo aspetto, perfino peggiore di quello di Coudenove-Kalergi» tuona la Magli.   Qui spunta ancora, inevitabile, la figura del conte austriaco di famiglia greco-veneziana e di madre giapponese (cosa che, crediamo, gli ha creato qualche scompenso: leggetevi le sue conclusioni su razze e genere nei suoi libri per capire lo squilibrio): di Kalergi – di fatto progettatore del piano di invasione immigrazionista che stiamo vivendo – non si deve parlare, e perfino i ministri che vengono dall’ex MSI dicono di non conoscerlo. Non se ne deve parlare soprattutto vicino a Ventotene: anche se la Pan-Europa kalergiana è riconosciuta essere prodromo del Manifesto di Spinelli e compagni.   Dicevamo: quello che propongono qui, sotto la vernice democratica, è non solo una dittatura (appunto: la Dittatura europea) ma una vera aristocrazia, in cui comandano i pochi che sono nel giusto. E magari, trasmettono un po’ di potere anche ai figli.

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Certo è che le famiglie dei ventoteniani sono interessanti.   Ernesto Rossi (1897-1967) si sposò nel 1931 in reclusorio con rito civile: era un anticlericale sfegatato. La sposa, Ada Rossi, è definita «partigiana» e «antifascista», oltre che fondatrice con il marito e i ventoteniani del Movimento Federalista Europeo. Si ricordano i suoi legami con Gaetano Salvemini, che gli disse «avessi mai potuto fabbricarmi un figlio su misura me lo sarei fabbricato pari pari come te» e più tardi con il giovane Marco Pannella: finito il Partito d’Azione, Rossi era entrato nel Partito Radicale ai suoi albori, accettando di presiedere, poche ore prima di morire, la manifestazione dell’«apertura dell’Anno anticlericale».   Eugenio Colorni (1909-1944), l’unico a non morire nel suo letto effettivamente assassinato dai fascisti della banda Koch a pochi giorni dalla liberazione, proveniva da una famiglia ebraica di commercianti lombardi. La madre era una Pontecorvo, ulteriore famiglia ebraica pisana che conta nella sua discendenza il fisico nucleare Bruno Pontecorvo (allievo di Fermi, con cittadinanza britannica, poi fuggito in URSS) e il regista Gillo (autore di film anti-colonialisti ammaniti al pubblico cinefilo mondiale come il tremendo La battaglia di Algeri o Queimada!).   Sposò una correligionaria ebrea, Ursula (anche lei) Hirschmann (1913-1991), che proveniva da un’agiata famiglia dell’ebraismo tedesco. Il fratello, Albert Otto Hirschmann, era un economista che fu poi candidato al premio Nobel. Conobbe Colorni a Berlino, lo frequentò a Parigi per poi seguirlo a Trieste e Venezia. Come ribadito da Elly Schlein in Parlamento, la Hirschmann è riconosciuta tra i fondatori del mito di Ventotene.   Con Colorni ebbe tre figlie, tra cui Renata – traduttrice dei capolavori della letteratura tedesca, con molti anni spesi a collaborare con l’editore Adelphi – e Eva, che nel 1973 fu presa in moglie da un’altra figura centrale del mondialismo, l’economista e filosofo indiano premio Nobel Amartya Sen. Più tardi, sempre per parlare di «aristocrazie» e casati giudaici, il Sen avrebbe sposato Emma Georgina Rothschild, della nota famiglia di banchieri.   Dopo la morte di Colorni, la moglie Ursula – in un caso di endogamia tra europionieri – si risposò proprio con Altiero Spinelli. Nel 1975 aveva formato a Bruxelles il movimento Femmes pour l’Europe («donne per l’Europa»). Morta nel 1991 dopo anni in cui perse la parola a seguito di un aneurisma, è sepolta a Roma al cimitero acattolico. Il matrimonio con Spinelli portò nel 1946 la nascita della giornalista (zona Repubblica, ça va sans dire) ed europarlamentare (con il partito biodegradabile «L’Altra Europa con Tsipras») Barbara Spinelli, di cui si ricorda l’attivismo per impedire l’eligibilità di Silvio Berlusconi al Senato.   Barbara Spinelli è stata la compagna del grand commis superfunzionario italico Tommaso Padoa Schioppa (1940-2010), già ministro dell’economia del governo Prodi II (quello de «le tasse sono una cosa bellissima e civilissima»), vicedirettore generale della Banca d’Italia, presidente della CONSOB, dirigente del Fondo Monetario Internazionale, nonché Membro del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, considerato da alcuni come uno dei fondatori della moneta unica, l’euro. Una mela non cade molto dall’albero…

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Le ridondanze e le ramificazioni, in questa storia (possiamo dire, anche per ischerzo, euro-pluto-giudaico-massonica?) di piccole dinastie, aristocrazie, oligarchie, sono tantissime.   Ora con il culto di Ventotente pare che dobbiamo riverire questo demi-monde eurodemocratico come si trattasse di famiglie di una monarchia: in realtà lo sono, perché l’accentramento del potere, pure a dispetto del popolo, è da essi teorizzato apertis verbis. Non dovete quindi stupirvi delle elezioni romene, né di altro.   Il problema più grande è che ora, l’Europa di questi qui vuole armarsi per poi – con ogni probabilità – scontrarsi con la Russia. Cioè, mette in pericolo tutti noi.   Quanto potremmo ancora tollerare di essere dominati da chi ci pone in un simile pericolo?   Roberto Dal Bosco  

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Pensiero

Mons. Viganò: la UE concepita per distruggere la sovranità nazionale

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L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha scritto su X alcune considerazioni riguardo l’Unione Europea, tema più che mai attuale nel momento in cui questa chiede un riarmo del continente.

 

«L’Unione Europea è un’entità concepita per sottrarre sovranità alle Nazioni, assorbendole in un superstato tecnocratico totalmente asservito agli interessi di una ristrettissima oligarchia finanziaria, eversiva e criminale» accusa monsignore. «I principi che la ispirano, gli scopi che si prefigge e i mezzi che intende usare sono antitetici rispetto alla nostra identità, alla nostra civiltà, alla nostra Religione».

 

Viganò lancia quindi un accorato appello alle superpotenze planetarie.

 

«Il Presidente Putin e il Presidente Trump devono aver ben chiara la minaccia costituita dal globalismo guerrafondaio dell’Unione Europea, nella quale emergono sempre più evidenti i tratti di una dittatura contro i propri stessi cittadini. Ed anche se la questione ucraina sembra prossima ad una soluzione grazie ai colloqui tra Mosca e Washington, è indispensabile estromettere dalla scena politica internazionale quanti – come Macron, Starmer e Carney, ma anche von der Lyen e Draghi – si credono investiti di un ruolo che nessuno riconosce loro».

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«Quanto più emergeranno gli scandali e i conflitti di interesse di questi cortigiani dell’élite globalista – che la censura di regime non riesce più a insabbiare – tanto più la loro azione diverrà marginale e la loro presenza imbarazzante» dice l’arcivescovo lombardo.

 

Quindi un auspicio per il futuro, dove giudizio e castigo siano possibili per quanti hanno portato il continente sull’orlo del baratro.

 

«Un futuro di pace e di concordia tra i popoli è possibile solo dove gli eversori che da decenni tramano contro i loro popoli siano portati a rispondere dinanzi all’opinione pubblica dei propri tradimenti, dei propri crimini, delle proprie menzogne».

 

Come riportato da Renovatio 21, un mese fa in merito alla UE contraria l’accordo per la pace in Ucraina monsignor Viganò aveva dichiarato che «è a dir poco sconcertante vedere con quale cinismo l’Unione Europea e la NATO stiano cercando di impedire la fine di un conflitto provocato dall’élite globalista che manovra entrambi».

 

Quindi, «di fronte a questa ostinata determinazione a creare morte e distruzione, e ai vergognosi tentativi di ostacolare il processo di pace, dobbiamo esprimere il nostro sostegno a coloro che agiscono nell’interesse della pace e condannare apertamente le azioni dei guerrafondai asserviti al globalismo massonico».

 

In un discorso su governo mondiale e sinarchia del gennaio 2024, Viganò aveva detto che «in un certo senso, l’élite è riuscita a estromettere lo Stato dal suo ruolo naturale per favorire un super-Stato che agisce non nell’interesse della collettività, ma dell’élite stessa. Questo in definitiva è il ruolo dell’Unione Europea e del governo federale americano in mano al deep state».

 

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Immagine di Thijs ter Haar via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

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Economia

Draghi della distruzione: reloaded

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La verità è che vi eravate dimenticati di lui. Pensavate di averla fatta franca: del resto, gli italiani hanno votato la Meloni proprio in reazione ai due anni di suo governo. E poi ce lo siamo evitato come presidente della Repubblica con il bis a Mattarella, con nasi tappatissimi un po’ dappertutto. No?   Mario Draghi, invece, riappare. Intonso, pontificante: il suo potere, che non è facile capire bene da dove derivi, pare non essere scalfito in nessuna parte. Draghi invincibili. Draghi intrombabili. E dove trovarli.   E quindi, eccolo che dà, in italiano nel testo, il suo contributo per lanciare l’Italia nel suo futuro di guerra ipersonica e termonucleare.

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«Occorre definire una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti, e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema di difesa continentale» ha detto in un’audizione al Senato l’ex premier.   Perché, le azioni di Trump – cioè dell’uomo che lavora per la pace mondiale – «hanno drammaticamente ridotto il tempo disponibile»: Washington ha votato con Mosca all’ONU sulla risoluzione a difesa dell’Ucraina, lasciando Bruxelles sola (e con il cerino in mano). I «valori costituenti» dell’Europa sono quindi «posti in discussione».   «La nostra sicurezza è oggi messa in dubbio dal cambiamento nella politica estera del nostro maggior alleato rispetto alla Russia che, con l’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l’Unione Europea».   «Il ricorso al debito comune è l’unica strada. Per attuare molte delle proposte presenti nel rapporto, L’Europa dovrà dunque agire come un solo Stato».   Il contorno di filosofia politica è gustosissimo, con tanto di aneddoti messi a ciliegina. «Diversi di voi mi hanno chiesto: questo significa cedere sovranità?» dice il Super Mario, rispondendo: «ebbehcerto!». Quindi parte la storiella: «guardate, vi racconto una cosa che riguarda il presidente Ciampi… molti anni fa eravamo insieme in uno degli ultimi negoziati sulla costruzione dell’euro. Lui mi diceva: “tutti mi dicono: ma perché vuoi fare l’euro, tu ora sei sovrano della tua politica monetaria… ma che sovrano, io non conto niente, oggi devo fare quello che fa la Bundesbank [la Banca Centrale tedesca, ndr]… domani sto intorno ad un tavolo ed avrò una fettina di sovranità… e questa è la storia, la politica monetaria italiana è stata fondamentalmente non una politica monetaria sovrana».  

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Mario, qua la mano: e grazie della sincerità. Il re è nudo – e nemmeno è sovrano di nulla.   Queste affermazioni, tuttavia, non sono state fatte ad un evento incentrato sul ReArm UE dell’ex bundesministro della Difesa Von der Leyen, ora Commissario Supremo dell’Europa Unita. No: il contesto è quello dell’Audizione presso le Commissioni riunite Bilancio, Attività produttive e Politiche Ue di Camera e Senato in merito al Rapporto sul futuro della competitività europea».   Cioè: in teoria, si parlava di economia, e nel suo discorso Draghi lo ha fatto, pure soffermandosi a lungo sulla questione della guerra, includendo «anche l’intelligenza artificiale, i dati, la guerra elettronica, lo spazio e i satelliti, la silenziosa cyberguerra».   Insomma si parlava di crescita economica, che ora, senza tanti infingimenti, finisce per identificarsi con l’industria delle armi. È evidente a tutti: la Germania – contro la cui rimilitarizzazione sono state create la NATO e forsanche la stessa UE – ora gode perché la Volkswagen, messa in ginocchio dai diktat green, ora può felicemente riconvertirsi alla costruzione di veicoli da guerra come faceva ai tempi di Adolfo – che in un contesto di guerra di droni, robot e missili ipersonici non sappiamo bene a cosa serviranno.   La crescita insomma passa per strumenti di offesa. La nuova creazione del valore passa per la distruzione. Non è che avevamo già sentito questa musica?   Sì. Renovatio 21 ne aveva parlato tre anni fa, quando Draghi, ancora a Palazzo Chigi, parlava di «ricostruzione» del «dopo-emergenza». L’articolo si chiamava «“Ricostruire l’Italia” con i draghi della distruzione», di cui ora bisogna fare il reload.   «La “ricostruzione” che abbiamo davanti non pare in nulla simile a quella del dopoguerra. Soprattutto, perché non è una vera ricostruzione. Essa è, innanzitutto, e sempre più dichiaratamente, distruzione» scrivevamo. Perché non si tratta mica di un’opinione nostra, ma di un concetto economico-filosofico abbracciato alla luce del sole. Eccoci ripiombati nell’idea della «distruzione creatrice».   Possiamo dire che Draghi la distruzione la conosce: anzi, possiamo dire che persino la teorizza e la invoca. Lo si capisce leggendo un testo fatto uscire dal cosiddetto Gruppo dei Trenta, un consorzio elitista transnazionale di finanzieri ed accademici creato decenni fa dalla Rockefeller Foundation a Bellagio – un organismo, anche abbreviato in G30, di cui Draghi ha fatto parte come «membro senior».   A fine 2020 il Gruppo pubblicò saggio di analisi che riguardava i cambiamenti economici del mondo post-COVID chiamato Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-COVID. Nel testo il nome di Mario Draghi compare co-presidente del comitato direttivo. Nelle prime pagine del libro Draghi scrive, con tanto di firma autografa, anche alcuni ringraziamenti «per conto del Gruppo dei Trenta».

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Nel saggio compare apertis verbis la «distruzione creativa», un concetto coniato dall’economista austriaco Joseph Schumpeter (1883-1950), nominato nel 1919 a pochi mesi dalla fine dell’Impero degli Asburgo ministro delle finanze per la prima Repubblica d’Austria. Non seppe tenere il posto, andando quindi a dirigere una banca, per poi tornare all’accademia ed emigrare oltreoceano nel 1932 approdando alla prestigiosa università di Harvard – cuore intellettuale pulsante del patriziato transatlantico – dove fece il professore fino alla morte.   Qui compose il trattato economico Capitalismo, socialismo e democrazia (1942), dove lo Schumpeter lancia l’idea della distruzione creatrice (schöpferische Zerstörung) come «processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall’interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova».   La distruzione di interi comparti professionali è per l’economista austriaco la condizione ideale per l’economia e la sua necessaria evoluzione. Ora tornate a leggere la data di pubblicazione di questo inno alla distruzione: uscì in America quando la distruzione concreta della guerra si abbatteva sulla guerra, e gli USA di Roosevelt si armavano per entrare in Guerra su due fronti, riconvertendo la propria industria e, di fatto, uscendo così del tutto dalla Grande Depressione.   A questo punto vi viene in mente qualcosa, se guardate dalla finestra?   Schumpeter, nel documento 2020 del Gruppo dei 30 del dicembre 2020, è menzionato una sol volta, tuttavia l’intero testo sembra girare intorno al suo concetto di distruzione creatrice.   «I governi dovrebbero incoraggiare le trasformazioni e gli adeguamenti aziendali necessari o desiderabili nell’occupazione.» scrive il testo del Gruppo di Draghi. «Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creativa” poiché alcune aziende si restringono o chiudono e ne aprono di nuove e poiché alcuni lavoratori devono spostarsi tra aziende e settori, con un’adeguata riqualificazione e assistenza transitoria».   Insomma, il piano è noto. È noto anche ciò che lo anima: non la creazione – un concetto, se vogliamo, cristiano – ma la distruzione, che più che al Dio creatore e salvatore che ha informato l’Europa e legata a concetti oscuri dello shivaismo e del tantrismo, sistemi di pensiero gnostici trapelati nel codice sorgente dell’Occidente moderno.   Il sanscritista britannico Monier-Monier Williams (1819-1899) aveva per questo pensiero delle parole lucidissime: «la perfezione buddista è distruzione». Così: per le filosofie orientali, la scomparsa dell’io (in sanscrito, anatman) o l’estinzione del ciclo cosmico stesso (nirvana) sono i segni dell’illuminazione raggiunta. Illuminazione è distruzione.   Possiamo dire ciò è vero anche per gli arconti che ci governano: gli illuminati sono distruttori. I sapienti esperti ed intoccabili, saliti sulle loro torri ed eurotorri senza che si comprenda davvero perché, ci indicano la via della distruzione come l’unica da seguire.   Vedete come il quadro diviene perfettamente comprensibile: distruggere per procedere, procedere per distruggere. Solo così, comprendendo che la Cultura della Morte è un fondamento del mondo moderno e dei suoi padroni, è possibile spiegare la follia di questi anni, dai sieri genici allo scontro sempre più diretto con la maggiore superpotenza atomica mondiale.   Solo con la Necrocultura della distruzione è possibile spiegarsi la persistenza dei draghi.   Là fuori c’è chi vuole distruggervi – e ve lo dice in faccia, ed è pure pagato da voi. Non è una questione economica, ma materiale, metafisica: perché in gioco c’è la vostra stessa esistenza e quella dei vostri figli. Che sono minacciati di essere disintegrati in quindici minuti dalle scelte dei draghi distruttori.   Roberto Dal Bosco

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