Pensiero
San Pio X, un piccolo pellegrinaggio. E una grande storia
Ho partecipato con mio figlio al pellegrinaggio organizzato dalla Fraternità San Pio X per venerare il corpo di San Pio X presso il Santuario della Beata Vergine delle Cendrole, a Riese San Pio X.
Le spoglie del santo papa veneto sono state eccezionalmente riportate in Veneto, sua terra natale, per il 120° anniversario della sua elezione al Soglio pontificio.
È stata una giornata speciale. Perché, come dicevo a mio figlio, quando mai ricapiterà: forse tra un secolo, se l’umanità non cesserà di esistere, forse tra due. Io non riuscirò a rivedere una cosa del genere, lui forse nemmeno, ma il senso della Tradizione sta proprio qui – tramandare, di padre in figlio. Potrà esserci un momento, in un futuro che non riesco a vedere, in cui mio figlio lo racconterà a suo figlio, e questi a suo figlio… e alla fine, qualche discendente forse tornerà a vedere il corpo del Santo che aveva capito tutto degli ultimi secoli, che aveva lucidamente visualizzato l’ora presente.
Per questa chiarezza, noi gli siamo grati, e abbiamo offerto la nostra venerazione di pellegrini.
Vi sono tuttavia delle note frivoli, cioè, essenziali, da fare. Partecipare al pellegrinaggio, con il suo serpentone infinito di fedeli della Tradizione cattolica, è stato un toccasana per l’umore.
Si incontrano tante persone, da tutta Italia, da tutta Europa, da tutto il mondo, che non si vedevano da tempo, ma che si sa esistono, persistono, in una dimensione lontana tuttavia in piena consonanza di spirito.
Ci sono tanti, tantissimi giovani. Bambini. Neonati. Famiglie, magari tre generazioni tutte presenti al contempo.
Si vedono i preti: tanti, da ogni angolo del pianeta (dall’Italia all’Alaska). Alcuni sono cresciuti dentro la Fraternità, provengono da famiglie che li hanno portati sin da bambini alla vera Messa. Sono preti veri, e a chi non li conosce basta la talare per capirlo. Nei giorni in cui esce la notizia delle messe senza prete a Genova e in altre parti del Paese, vedere questa quantità di consacrati, presenti e determinati, è un segno di forza spirituale potentissimo.
Ci sono i seminaristi, questi ragazzotti giovanissimi, elegantissimi nella loro lunga veste nere – un’eleganza che promana dalla forza della loro scelta – che ho beccato dietro la chiesa, dopo la Messa, a mangiare delle merendine, perché la colazione, per fare la comunione, la avevano certamente saltata.
E poi, soprattutto, ecco le suore: tante, tantissime, venute con un pullman dal monastero nel Lazio, giovanissime, quasi tutte italiane, la madre superiora che irradia rispetto a centinaia di metri di distanza. Quando mai capita di vederla, questa distesa di suorine? Non spesso, a me può capitare qualche volta l’anno, ed è sempre una visione edificante, che rigenera una qualche parte di me che mi ero scordato di avere.
(La figura della suora è oramai completamente disintegrata dalla società: un discorso che prima o poi faremo è sulla sparizione delle suore negli ospedali, dove un tempo imperavano, e senza di loro si è visto come è andata)
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Durante la marcia, oltre al Santo Rosario, è risuonato il canto Noi vogliam Dio. «Noi vogliam Dio, Vergin Maria / (…) Noi vogliam Dio nelle famiglie / (…) Noi vogliam Dio in ogni scuola / (…) Noi vogliam Dio nell’officina / (…) Noi vogliam Dio nella coscienza».
Quanto è bello cantare a squarciagola questo fiero anacronismo, questo pugno nello stomaco a chi ha distrutto la società: perché qui è detto tutto, togli Dio dalle aule, dalle case, dal lavoro, dalla tua vita e quello che ottiene è l’avanzata dell’Inferno che è sotto i nostri occhi.
Il canto venne rifatto, per osceno dileggio, dai partigiani delle Brigate Garibaldi organizzate dal Partito Comunista Italiano. Ma a noi cosa interessa? Potete sentire le voci angeliche delle suorine in sottofondo? Potete comprendere che nulla e nessuno può fermare un popolo armato della Fede?
Santuario della Beata Vergine delle Cendrole era uno dei luoghi dove, quasi due secoli fa, era possibile incontrare Giuseppe Melchiorre Sarto, il futuro San Pio X. Il percorso della processione d’un tratto è uscito dalla strada principale per andare su un sentiero nella boscaglia che sbucava proprio davanti alla chiesa: «era la scorciatoia che prendeva per tagliare» mi hanno detto.
Si faceva un po’ di fila per entrare, ma niente di che. Quando sono entrato in chiesa – che è antica, e molto bella – ammetto di essermi fatto distrarre stupidamente. Un tizio con una camicia hawaiana era salito sull’altare, e con un microfono proferiva invocazioni, organizzate probabilmente dalla parrocchia locale o dalla diocesi – l’evento era organizzato dal Comune e da altri enti del territorio.
Ho fatto in tempo a sentire le parole «custodia del creato», «casa comune», e forse pure «conversione ecologica». Il dogma ambientalista bergogliano microfonato sul corpo di San Pio X.
Poi mi sono reso conto che stavo sbagliando: non dovevo sintonizzare il mio essere sul presente, sul presente papato, sul cattolicesimo moderno. Dovevo prendere la mia anima e mio figlio e cercare di disporla nell’altra dimensione, quella dell’eterno. Il rifiuto del modernismo articolato in maniera infallibile da San Pio in fondo dice questo.
Mi sono così inginocchiato davanti alla teca con il corpo del Santo. Anche il mio piccolo lo ha fatto. Abbiamo pregato. Poi quando era venuto il momento di alzarsi, era come se non ne avessi voglia. Sentivo, nei pellegrini della Fraternità che entravano e circondavano le spoglie del papa, come un senso di stupore, e di gratitudine, che si diffondeva nell’aria. Era, credo, devozione. Qualcosa di rarissimo, oggi. Qualcosa che però se cerchi, puoi ancora trovare.
Sono rimasto in ginocchio fino a perdere consapevolezza di esserlo. Il bambino non ha battuto ciglio, ed è rimasto come me per tutto il tempo. È stato Don Massimo a svegliarmi toccandomi una spalla, come per dire pragmaticamente: «in piedi, dai».
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San Pio X è il papa dell’enciclica Pascendi Dominici gregis (1907), quella con cui condannava il modernismo «sintesi di tutte le eresie». Il mondo agnostico e materialista di oggi era già stato compreso perfettamente da papa Sarto. Gli era chiaro che stavano preparando una società del rifiuto del divino, un’umanità che considera la verità come mutante, progressivamente cangiante – cioè, nessuna verità possibile. Gli era chiaro che era in caricamento una religione fatta a misura di ciascuno, una religione interiore, soggettivistica, che quindi non aveva più bisogno né di Rivelazione (cioè di Gesù, cioè di Dio), né, in ultima analisi, di riti – se pensate alle «messe senza prete» apparse ora potete capire tutto.
Recidere il legame tra l’essere umano e il reale: il mondo dell’individualismo più autistico, delle religioni fai-da-te, delle perversioni liberali, della realtà virtuale più catatonica, dove l’uomo è titolato a credere e operare secondo qualsiasi sciocchezza interiore, era pienamente prevista da Pio X. I semi nella filosofia e nella teologia del tempo erano incontrovertibili.
Non è chiaro come sia possibile che una società che oggi ricorda Pio X non si renda conto dell’abisso che divide il Santo dall’ora presente – l’abisso che lui aveva indicato, e operato per scongiurare.
C’è, visibile, anche in cartelloni ora issati per l’occasione sulle strade del suo Paese natale, una – per così dire – «banalizzazione» di Giuseppe Sarto. Si ricordano varie sue battute in Veneto, come quando sua madre vedendolo per la prima volta vestito da cardinale gli disse «Ti xé tuto roso» («Sei tutto rosso») e lui rispose «e ti te sì tuta bianca» («e tu sei tutta bianca»).
Gli annali ricordano poi la battuta con cui salvò il tango, quando la liceità del sensuale ballo argentino fu portata al suo giudizio, dopo che la chiesa parigina aveva chiesto l’interdizione: «Mi me pàr che sia più bèo el bało a ‘ea furlana; ma no vedo che gran pecài ghe sia in stò novo bało!» (A me pare che si più bello il ballo alla friulana, ma non vedo esservi grandi peccati in questo nuovo ballo») disse dopo aver assistito ad una esibizione del ballo fatta per lui.
Per capire la profondità della figura, tuttavia, noi vogliamo ricordare un’altra udienza privata, che serve a capire la portata della mente del Santo.
Theodor Herzl (1860-1940) è stato l’intellettuale (non un rabbino…) che fondò il movimento politico del sionismo: fu lui a programmare, quindi, il ritorno degli ebrei in quello che all’epoca era il mandato britannico della Palestina, al fine di creare uno Stato Ebraico. Per gli appassionati: è lo stesso personaggio citato da Walter, il singolare cattolico polacco convertito all’ebraismo, ne Il Grande Lebowski. (– «Se lo vuoi con forza non è un sogno» – «… che cosa hai detto?» – «Theodor Herzl. Lo Stato di Israele. Se lo vuoi con forza non è un sogno»)
Il 26 gennaio 1904 papa Pio X concesse udienza a Herzl. L’incontro era stato organizzato da un ritrattista papale austriaco, Berthold Dominik Lippay (1864-1919), che il sionista aveva incontrato a Venezia. Lo scopo dell’incontro, per Herzl, era chiedere il sostegno papale per la creazione di uno Stato Ebraico in Palestina.
«Fui condotto dal Papa attraverso numerose piccole sale. Mi ricevette in piedi e mi porse la mano, che io non baciai» scrive Herzl nei suoi diari. «Lippay mi aveva detto di farlo, ma io non lo feci. Credo che questo gli dispiacque perché chiunque va in visita da lui si inginocchia o per lo meno gli bacia la mano. Questo baciamano mi causò molti dispiaceri. Sono stato molto contento quando finalmente cadde in disuso» assicura fiero il fondatore del sionismo.
«Egli sedette su una poltrona, un trono per occasioni minori. Poi mi invitò a sedermi accanto a lui e sorrise in amichevole attesa. (….) Gli presentai brevemente la mia richiesta. Tuttavia egli, forse infastidito dal mio rifiuto di baciargli la mano, rispose in modo duro e risoluto».
«”Noi non possiamo favorire questo movimento. Non potremo impedire agli Ebrei di andare a Gerusalemme — ma favorire non possiamo mai. La terra di Gerusalemme se non era sempre santa, è santificata per la vita di Jesu Christo” (egli non pronunciò Gesù, ma Yesu, secondo la pronuncia veneta)». Incredibile come le doti superomistiche del sionista gli dessero piena conoscenza della lingua veneta. Tuttavia, specifichiamo, in Veneto si dice «Gesù» e non «Yesu», ma questo forse è un errore di traduzione.
Quindi il papa santo arrivò al dunque.
«”Io come capo della Chiesa non posso dirle altra cosa. Gli Ebrei non hanno riconosciuto nostro Signore, perciò non possiamo riconoscere il popolo ebreo”» disse Pio X.
«Il conflitto tra Roma, rappresentata da lui, e Gerusalemme, rappresentata da me, si aprì ancora una volta» annota Herzl sul suo diario – e non si sa se con amarezza o con minacciosa superbia.
Ci sono secoli di questioni che Herzl, che si sente di rappresentare Gerusalemme, non conosce. Sorvoliamo, cercando solo di indicare al lettore la realtà odierna, di cui può farsi un’idea da solo. È oggettivo, ad ogni modo, che il ritorno degli ebrei in Palestina non è stato un processo indolore – per nessuno – e continua a non esserlo. E, come sappiamo, non solo alcuni israeliani «non hanno riconosciuto nostro Signore», ma oggi sputano materialmente sopra ai suoi fedeli.
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Scendiamo ancora più a fondo, per dire qualcosa di incredibile – una mia opinione, una mia piccola, tragica visione metastorica.
La storia – negata da alcuni sacerdoti che stimo molto, tuttavia persistente – vuole che quando dopo la morte di Leone XIII si aprì il conclave (primo di agosto 1903) il candidato più papabile fosse l’allora segretario di Stato Mariano Rampolla del Tindaro (1843-1913), cardinale arcivescovo siciliano considerato vicino alla Terza Repubblica francese, che usava politiche antireligiose e massoniche, e ad idee, diciamo così, «liberali».
Nel solenne momento della scelta del futuro papa, vi fu però una grande sorpresa: il vescovo di Cracovia, cardinale Puzyna, annunciò che l’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe usava un suo antico diritto come sovrano di del Sacro Romano Impero per porre il veto sull’elezione del cardinale Rampolla. Paradossalmente, una delle prime azioni di Pio X fu l’abolizione del cosiddetto jus exclusivae (o veto laicale) attraverso la costituzione apostolica Commissum Nobis. Tale forma di veto, che era in mano a certi sovrani cattolici e che aveva contribuito alla sua elezione come pontefice, è stata eliminata.
Eletto con 50 voti su 62, Giuseppe Sarto cominciò la sua opera di lotta all’infiltrazione modernista e alla laicizzazione della società.
Ma perché Francesco Giuseppe si era opposto all’elezione del cardinale Rampolla? Perché era filo-francese, cioè filo-Terza Repubblica «laica», dicono gli storici mainstream. All’epoca invece ambienti come quelli dell’Action Française, e non solo, dichiararono che invece l’opposizione dell’imperatore cattolico era dovuta ad una presunta appartenenza di Rampolla alla massoneria, o forse perfino ad un ordine neotemplare. Un vescovo straniero, tanti anni fa, mi disse che prove dell’affiliazione del cardinale sarebbero emerse anche quando questi morì, tuttavia nessuno storico ha mai portato prova certa.
Quindi, ipotizziamo, la massoneria era già infiltrata nella Chiesa nel XIX secolo? Già allora stava per fare il colpaccio e prendersi il Soglio di Pietro? Secondo queste voci, parrebbe.
Il progetto, per chi conosce le istruzioni dell’Alta Vendita – le lettere dei vertici ultramassonici Nubius, Piccolo Tigre, Volpe, Vindice – sa che era già segnato da decenni: «Or dunque, per assicurarci un Papa secondo il nostro cuore, si tratta prima di tutto, di formare, a questo Papa, una generazione degna del regno che noi desideriamo. Lasciate in disparte i vecchi e gli uomini maturi; andate, invece, diritto alla gioventù, e, se è possibile, anche all’infanzia».
Sappiamo come tali lettere poi raccontassero del programma di rovina morale, attaccando soprattutto la donna: «Per abbattere il cattolicismo, bisogna prima sopprimere la donna. La frase è vera in un senso, ma poiché non possiamo sopprimere la donna, corrompiamola».
Pio X, con la sua azione, ribaltò di fatto il programma massonico, lo individuò, ne scovò i dettagli più intimi tramite il Sodalitium Pianum, la rete segreta di informazione affidata a monsignor Umberto Benigni (1862-1934). Nessuno ostacolo fu più grande, per l’adempiersi del progetto della Loggia, del Santo di Riese.
Qui diviene interessante notare la coincidenza: l’anno della morte di papa Sarto e lo stesso anno dello scoppio della Prima Guerra Mondiale – il fatale 1914.
Molti ritengono che la Grande Guerra altro non sia che una parte di un piano per togliere di mezzo il cristianesimo dal Vecchio Continente: di fatto, il risultato fu la distruzione, dopo secoli e secoli, del Sacro Romano Impero, e aggiungiamo pure della Russia Zarista, ancorata sul cristianesimo ortodosso.
Lo schema di disintegrazione del cattolicesimo prevedeva la sparizione dell’Impero d’Austria, suo garante e protettore – come dimostrato dal veto su Rampolla papa.
Qui faccio la mia considerazione: la Grande Guerra è un effetto indiretto del conclave del 1903? Non potendo sconfiggere San Pio X, e vedendo la portata della sua opera, i massoni hanno scatenato una guerra mondiale, con strage infinita di poveri ragazzi?
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Nessuno può togliermi per la testa questa idea. Così come si può finire a pensare che il primo dopoguerra, con le sue richieste impossibili alla Germania sconfitta, di fatto preparasse una nuova guerra, il cui risultato sarebbe stato l’esclusione definitiva dell’Europa – il continente radice del cristianesimo – dalla scena mondiale. Sono stati creati, dopo il 1945, due blocchi, più o meno extraeuropei, la cui sfida combacia perfettamente con il principio dialettico massonico-hegeliano per cui gli opposti che creano una sintesi – una sintesi desiderata. Il pavimento a scacchi delle logge massoniche può significare proprio questo.
L’Europa è morta due volte: con una guerra per distruggere gli imperi e il cattolicesimo, e con una per togliere di mezzo qualsiasi sua pretesa sulla storia mondiale. Non ci stupiamo, quindi, se ora è invasa da africani e islamici ed incapace di reggere a qualsiasi conflitto le si pone dinanzi.
Questo massacro è finito? No.
Il 15 agosto 1871 Albert Pike (1809-1891), il cosiddetto «papa della massoneria», generale sudista americano e forse fondatore del Ku Klux Klan, scrive al supermassone e agente britannico Giuseppe Mazzini (1805-1872), ancor ‘oggi considerato eroe nazionale in Italia (pur essendo morto, come Bin Laden, da latitante): «Noi scateneremo i nichilisti e gli atei e provocheremo un cataclisma sociale formidabile che mostrerà chiaramente, in tutto il suo orrore, alle Nazioni, l’effetto dell’ateismo assoluto, origine della barbarie e della sovversione sanguinaria».
Alcuni dicono che il carteggio tra l’antipapista statunitense e l’antipapista italiano non esistono. Tuttavia, un commodoro della marina canadese, William Carr, dice di avere vedute le lettere a Londra, e in seguito vi scrisse un libro che le riassumeva. Altri ritengono che tali documenti siano secretati alla Temple House, sede della massoneria di Rito Scozzese di Washington.
Vale la pena di leggere le supposte parole del Pike. Tanti campanelli, a un secolo e mezzo di distanza, potrebbero risuonare nella mente del lettore.
«Allora ovunque i cittadini, obbligati a difendersi contro una minoranza mondiale di rivoluzionari, questi distruttori della civiltà, e la moltitudine disingannata dal cristianesimo, i cui adoratori saranno da quel momento privi di orientamento alla ricerca di un ideale, senza più sapere ove dirigere l’adorazione, riceveranno la vera luce attraverso la manifestazione universale della pura dottrina di Lucifero rivelata finalmente alla vista del pubblico, manifestazione alla quale seguirà la distruzione della Cristianità e dell’ateismo conquistati e schiacciati allo stesso tempo!»
Si prepara, insomma, la guerra ulteriore, la guerra satanica. Il processo, definitivo, per la sottomissione dell’umanità al demonio – la concrezione del Regno sociale di Satana. Se ciò stia per accadere, o se stia già accadendo, decidetelo da voi.
San Pio X aveva, tuttavia, già l’antidoto pronto: «Instaurare omnia in Christo». Restaurare ogni cosa in Cristo. Riformare, riformulare, ridisegnare, riedificare la società secondo Dio – e non secondo l’uomo, né secondo altro; non secondo «Gaia», non secondo la Pachamama, la «madre Terra» o qualsiasi altra follia idolatrica portata avanti dalla mostruosa neochiesa, per la quale, abbiamo visto, potrebbe valere il detto «Instaurare omnia in Chtulhu».
La soluzione ai problemi del mondo – in Palestina, in Ucraina, in Italia, nel vostro quartiere, nella vostra famiglia, nel vostro cuore – è tutta qua.
Tutta quella gente con cui sabato scorso io e il mio bimbo abbiamo camminato cantando «Noi vogliam Dio» lo sa. È già tanto, è tantissimo.
È la speranza con cui costruiamo, ora, il futuro dei nostri figli, e dei loro figli, e dei figli di questi, nella catena sacra della vita umana che da Adamo arriverà sino all’Apocalisse.
Sancte Pie Decime, ora pro nobis.
Roberto Dal Bosco
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I biofascisti contro il fascismo 1.0: ecco la patetica commedia dell’antifascismo
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Pensiero
«Preghiera» pagana a Zeus ed Apollo recitata durante cerimonia di accensione della torcia olimpica. Quanti sacrifici umani verranno fatti, poi, con l’aborto-doping?
All’inizio di questo mese, il rituale dell’accensione della torcia olimpica – di fatto la prima cerimonia dei Giochi Olimpici – si è tenuta ad Olimpia, in Grecia, presso l’antico tempio di Era, la moglie di Zeus, padre degli dei greci detti, appunto, olimpici. Lo riporta LifeSite.
Accompagnata da uno stuolo di vestali per qualche ragione tutte bianche, l’attrice greca Mary Mina ha interpretato il ruolo di «alta sacerdotessa» che aveva funzione, tra le altre cose, di offrire una «preghiera» agli dèi olimpici.
«Apollo, dio del sole e dell’idea della luce, invia i tuoi raggi e accendi la sacra fiaccola per la città ospite», cioè Parigi. «E tu, Zeus, dona la pace a tutti i popoli della terra e incorona i vincitori della corsa sacra».
🗣️ “Apollo, God of sun, and the idea of light, send your rays and light the sacred torch for the hospitable city of Paris. And you, Zeus, give peace to all peoples on earth and wreath the winners of the Sacred Race.”#Paris2024 | @Paris2024 pic.twitter.com/FHMEmJ134U
— The Olympic Games (@Olympics) April 16, 2024
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Il Comitato Olimpico Ellenico organizza l’evento, che ha una durata di circa 30 minuti, ed elenca sul suo sito il resto dell’«Invocazione ad Apollo».
Silenzio sacro
Risuonino il cielo, la terra, il mare e i venti.
Le montagne tacciono.
I suoni e i cinguettii degli uccelli cessano.
Per Febo, il Re portatore di Luce ci terrà compagnia.
Apollo Dio del sole e dell’idea della luce
manda i tuoi raggi e accendi la sacra fiaccola
per l’ospitale città di…
E tu Zeus dona la pace a tutti i popoli della terra e
incorona i vincitori
della Razza Sacra
Il gruppo spiega che la prima cerimonia di accensione della torcia ebbe luogo nel 1936 con «l’alta sacerdotessa Koula Pratsika, considerata una pioniera della danza classica in Grecia e fu la prima coreografa della cerimonia di accensione». La Pratsika nell’ambito dei celeberrimi Giochi di Berlino – quelli dello Hitler e di Jesse Owens, e di Leni Riefenstahl – e che da allora si è svolta più o meno prima di ogni Olimpiade.
La coreografa Artemis Ignatiou dirige lo spettacolo dal 2008. Originaria della Grecia, ha precedentemente interpretato il ruolo di «alta sacerdotessa» ed è stata coinvolta nella produzione dagli anni Novanta.
È, ammetterà anche il lettore, molto molto curioso: la preghiera ai dei dell’Ellade rispunta per lo Sport, quando invece, l’invocazione che nei secoli si è pronunziata per la medicina – il giuramento di Ippocrate – è oramai quasi del tutto sparito in tutto il mondo – e mica lo vediamo solo in Israele, lo abbiamo visto anche sotto casa durante il COVID. I motivi, li sapete: quelle frasi sul fatto che il medico non darà sostanze abortive, né cagionerà la morte del paziente… Siamo lontani anni luce da ciò che oggi deve fare il dottore, e cioè servire la Necrocultura, estendendo la morte ovunque si possa.
È bene ricordare anche che il mondo moderno ora esige un altro culto pagano greco, quello alla dèa preolimpica (cioè, ctonia) Gaia, che tramite le elucubrazioni dell’ambientalismo è divenuta la Terra stessa, intesa come unico essere vivente minacciato dalla presenza umana. Del resto, Gaia apparteneva alla stirpe dei titani, come Crono, il dio che divorava i suoi figli…
Ma torniamo al fuoco pagano dei Giuochi. Il sito olimpico ricorda che i giochi iniziarono nel 776 a.C. e continuarono fino al 393 d.C. quando l’imperatore cristiano Teodosio I li abolì. «Le sue cerimonie di apertura sembrano quasi sempre incorporare temi massonici o globalisti» scrive LifeSite. «I giochi di quest’anno sono stati annunciati come le prime Olimpiadi “della parità di genere”. Ciò significa che uomini e donne avranno una rappresentanza 50-50 nella competizione. Detto in altro modo, ci saranno tanti atleti maschi quante sono le atlete. Questo è stato presentato come un importante segno di “progresso”».
Alla cerimonia di accensione della torcia, il presidente del Comitato Olimpico Internazionale Thomas Bach ha sottolineato che i giochi di quest’anno saranno «più giovani, più inclusivi, più urbani, più sostenibili». Si riferiva al fatto che sarà allestita una «Pride House» pro-LGBT per «sostenitori, atleti e alleati LGBTI+».
«I Giochi sono una celebrazione della diversità», afferma il sito ufficiale delle Olimpiadi. «In occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, Parigi 2024 ribadisce il suo impegno nella lotta contro ogni forma di discriminazione», riferendosi eufemisticamente a qualsiasi opposizione all’omosessualità o al transgenderismo e aggiungendo che la «Pride House» ha lo scopo di «celebrare» le «minoranze» LGBT e il loro «orgoglio».
LifeSiteNews ci tiene a ricordare che «come i precedenti Giochi Olimpici, Parigi 2024 sarà probabilmente una cloaca di impurità. (…) la fornicazione è dilagante e nel Villaggio Olimpico dove soggiornano gli atleti vengono distribuiti contraccettivi gratuiti».
Riguardo al sesso al villaggio olimpico, chi ha partecipato da atleta ad un’Olimpiade in genere torna con racconti impressionanti – dionisiaci, erotici, del resto sempre di dèi greci si tratta, Dioniso, Eros, e mettiamoci pure dentro pure la poetessa greca Saffo, che dea non è, ma popolare di certo lo deve essere presso certe giocatrici di basket, ad esempio, e neanche solo quelle.
Del resto, metti quantità di giovani sani (in teoria: da Tokyo sappiamo quanti ne ha rovinati, financo sportivamente, l’mRNA) tutti insieme nello stesso luogo, e cosa vuoi che succeda? Sappiamo che la cosa capita anche alla Giornate Mondiale della Gioventù organizzate dai papati moderni, al termine delle quali trovano a terra tra la spazzatura, oltre che le ostie consacrate, anche preservativi usati da giovani e previdenti papaboys.
La questione, semmai, è capire che l’abominio pagano dello sport olimpico potrebbe essere andato molto oltre le semplici fornicazioni degli atleti: da anni si parla sommessamente del fenomeno dell’aborto-doping. Funziona così: per giovarsi della biochimica ormonale fantastica offerta dalla gravidanza e migliorare quindi le proprie prestazioni sportive, le atlete si fanno ingravidare per poi uccidere il figlio e godere del beneficio organico e muscolare della gravidanza.
Praticamente: vero e proprio doping, senza alcuno steroide sintetico – quindi perfettamente legale. Specie, immaginiamo, nelle Olimpiadi delle «pari opportunità».
«Ora che i test antidroga sono di routine, la gravidanza sta diventando il modo preferito per ottenere un vantaggio sulla concorrenza» avvertiva ancora nel 2013 Mona Passiganno, direttrice di un gruppo pro-life texano. In quell’anno emerse anche la storia di un atleta russo che avrebbe raccontato a un giornalista che già negli anni Settanta, alle ginnaste di appena 14 anni veniva ordinato di dormire con i loro allenatori per rimanere incinte e poi abortire. La procedura sarebbe così conosciuta da arrivare persino anche sui libri di testo: un libro di testo online di fisiologia del dipartimento di Fisiologia Medica dell’Università di Copenaghen sembra averne ancora traccia.
«Le atlete di punta – proprio dopo il momento in cui hanno dato alla luce il loro primo figlio – hanno stabilito diversi record mondiali» scrive il testo danese di fisiologia sportiva. «Naturalmente, questo è accettabile come evento naturale e non intenzionale. Tuttavia, in alcuni Paesi le atlete rimangono incinte per 2-3 mesi, al fine di migliorare le loro prestazioni subito dopo l’aborto».
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Altro che preghiera ad Apollo: questo è un sacrificio umano, un atto propiziatorio tramite l’uccisione della propria prole al dio pagano della prestanza fisica, della vittoria sportiva, della ricca sponsorizzazione, dell’ego incoronato etc.
E quindi: quanti sacrifici umani agli dèi antichi e moderni verranno consumati per i Giochi parigini?
Va ricordato l’aborto nel mondo sportivo non è una novità, una importante multinazionale di vestiario, negli anni, è stata accusata di aver fatto pressioni affinché le proprie atlete sponsorizzate abortissero, anche se non è chiaro se semplicemente per continuare a sfruttarne le prestazioni o per ottenerne anche i benefici corporei del doping feticida.
Diciamo pure che la strage olimpica occulta dei bambini delle atlete non potrebbe essere l’unico accento di morte da aspettarsi a Giochi di Parigi. Come noto, Macron ha fatto capire di temere per l’incolumità della sua Olimpiade, arrivando a chiedere, anche grottescamente, una «tregua» dei conflitti in corso – lui che, contro l’opinione degli omologhi europei e dello stesso popolo francese, paventa truppe NATO in Ucraina, e che secondo alcuno già sarebbero state spedite ad Odessa.
Abbiamo visto, nel frattempo, come qualcuno degli organizzatori olimpici si stia lamentando del fatto che per il nuoto la Senna sembra non andare bene: è stata rilevato troppo Escherichia Coli, cioè troppa materia fecale. Parigi è baciata da un fiume escrementizio, e vuole che gli atleti di tutto il globo vi si tuffino.
Questa immagine, del fiume di cacca in cui obbligano la gente ad immergersi, racconta bene il senso occulto dell’Olimpiade.
Tuffatevi anche voi nell’acqua marrone: dietro l’Olimpiade non c’è solo l’afflato neopagano e massonico (con le logge che da sempre rivendicano la consonanza con i principi olimpici), potrebbe esserci un’ondata di morte vera e propria.
Giochi di morte: lo Stato moderno pare volerceli infliggere a tutti i costi.
Roberto Dal Bosco
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