Ambiente
Alluvione, undici scienziati dimostrano che le inondazioni non sono correlate ai cambiamenti climatici

Undici scienziati, membri del gruppo Clintel-Italia, hanno pubblicato una dichiarazione il 20 maggio, in cui respingono l’affermazione avanzata dagli isterici climatici secondo cui l’attuale alluvione in Italia è correlata al cambiamento climatico antropogenico, cioè da cambiamenti meteorologici indotti dall’attività umana.
Gli undici hanno promosso una petizione chiamata «Non c ‘è alcuna emergenza climatica» indirizzata al Presidente della Repubblica Mattarella.
Secondo il comunicato di Clintel (che sta per Climate Intelligence), «studi scientifici riportati anche dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) concludono che non ci sono sufficienti evidenze che possibili cambiamenti nella probabilità o della magnitudo degli eventi alluvionali possano essere attribuiti all’influenza umana sui cambiamenti climatici. Inoltre, numerose alluvioni e inondazioni disastrose hanno interessato il territorio italiano nel passato. Solo per fare pochi esempi: nel 1557, il 13 settembre a Firenze e, pochi giorni dopo, il 23 settembre a Palermo (7000 morti); nel 1951, il 14 ottobre in Calabria (68 morti) e il 14 novembre nel Polesine (101 morti); nel 1966, il 3 novembre a Firenze (47 morti) e il 4 novembre nel Triveneto, quando esondarono tutti i fiumi del bacino dell’Adige (87 morti) e a Venezia l’acqua alta toccò i 2 metri».
Gli scienziati italiani dimostrano con i dati che inondazioni simili e anche più gravi si sono verificate più volte in passato e chiedono investimenti infrastrutturali per prevenire tali inondazioni in futuro.
«Dobbiamo essere consapevoli che sull’Italia piovono ogni anno oltre 250 chilometri-cubi d’acqua, a fronte di un fabbisogno del Paese di meno di 20 chilometri-cubi. È allora necessario che si attuino interventi mirati al generale governo delle acque (creazione di invasi montani, casse di espansione, argini e quant’altro la migliore ingegneria idraulica e le scienze geologiche hanno da offrire) e al miglioramento del sistema di gestione del rischio meteorologico da parte della Protezione Civile (ad esempio attraverso lo sviluppo di sistemi di nowcasting). Questi interventi proteggeranno meglio la popolazione da fenomeni alluvionali, da un lato e, dall’altro, consentiranno, nei momenti di abbondanti precipitazioni, la raccolta di acque pronte da distribuire nei periodi più siccitosi».
«Ridurre l’uso di carbone, petrolio e gas con l’obiettivo di mitigare il clima al fine di prevenire disastri ambientali – continuano gli scienziati – è non solo illusorio ma, peggio, storna risorse da possibili interventi di sicura efficacia. Sollecitiamo pertanto il Governo a non giustificare, col presunto scopo di proteggerci da eventi meteorologici avversi, iniziative volte a realizzare una illusoria transizione energetica verso tecnologie inadeguate, per inaffidabilità e intermittenza, ai bisogni della nostra società. Invitiamo, invece, a rivolgere l’attenzione a interventi di adattamento che realizzino una protezione del nostro territorio maggiore di quella attuale».
«Troppe aree del nostro Paese sono sotto-protette ed esposte ad eventi sporadici, una circostanza che continuerà a farci confrontare con situazioni simili a quella che nostri concittadini stanno vivendo oggi. Una circostanza in essere, questa, non solo per gli eventi meteorologici ma anche per quelli di origine sismica» puntualizza Clintel, che rifiuta le semplificazioni e al contempo possiede il realismo di pensare anche ai terremoti, grande e crescente problema del Paese.
I firmatari sono Uberto Crescenti, Presidente di Clintel-Italia, Professore Emerito di Geologia Applicata, Università di Chieti-Pescara (già Magnifico Rettore e Presidente della Società Geologica Italiana); Alberto Prestininzi, Ambasciatore per l’Italia della Fondazione Internazionale Clintel, Professore di Geologia Applicata (già presso l’Università La Sapienza di Roma); Franco Battaglia, Professore di Chimica Fisica (già presso le Università di Roma Tre e di Modena); Mario Giaccio, Professore di Economia delle Fonti d’Energia, Università di Chieti-Pescara (già Preside della Facoltà di Economia); Enrico Miccadei, Professore di Geografia Fisica e Geomorfologia, Università di Chieti-Pescara; Giuliano Panza, Professore di Geofisica (già presso l’Università di Trieste), Professore Emerito della China Earthquake Administration di Pechino, Accademico dei Lincei e dell’Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei XL; Ernesto Pedrocchi, Professore Emerito di Energetica (già presso il Politecnico di Milano); Franco Prodi, Professore di Fisica dell’Atmosfera (già presso l’Università di Ferrara), già Direttore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR; Renato Angelo Ricci, Professore Emerito di Fisica, Università di Padova, Presidente onorario della Società Italiana di Fisica e già Presidente della European Physics Society; Nicola Scafetta, Professore di Fisica dell’Atmosfera e Oceanografia, Università Federico II di Napoli; Ugo Spezia, Ingegnere nucleare, già dirigente SOGIN.
Insieme ad altri, hanno scritto il libro Dialogo sul clima recentemente pubblicato in Italia.
«I cambiamenti climatici – concludono gli scienziati – non vanno confusi – come troppo spesso si ascolta dai mezzi di informazione e dalle dichiarazioni di alcuni responsabili politici – con gli eventi meteorologici, e le alluvioni non dipendono solo da eventi meteo-climatici ma anche dalla geomorfologia e dall’uso del suolo. Le cause dei danni dovuti agli eventi alluvionali e che vengono associati ai cambiamenti climatici sono invece dovuti nella loro quasi totalità a scelte di pianificazione territoriale e costruttive umane non corrette, ad una lettura sbagliata del territorio e del sistema fluviale e marino nella loro continua dinamicità».
«Questo dovrebbe essere un momento fondamentale per la politica che veda finalmente, in maniera multiscalare, geologia dei territori e del mare, pianificazione territoriale, meteorologia e climatologia. Dobbiamo essere consapevoli che sull’Italia piovono ogni anno oltre 250 chilometri-cubi d’acqua, a fronte di un fabbisogno del Paese di meno di 20 chilometri-cubi».
È allora necessario che si attuino interventi mirati al generale governo delle acque (creazione di invasi montani, casse di espansione, argini e quant’altro la migliore ingegneria idraulica e le scienze geologiche hanno da offrire) e al miglioramento del sistema di gestione del rischio meteorologico da parte della Protezione Civile (ad esempio attraverso lo sviluppo di sistemi di nowcasting). Questi interventi proteggeranno meglio la popolazione da fenomeni alluvionali, da un lato e, dall’altro, consentiranno, nei momenti di abbondanti precipitazioni, la raccolta di acque pronte da distribuire nei periodi più siccitosi
L’iniziativa di Clintel ha già trovato una sponda parlamentare in Lucio Malan, capogruppo al Senato di Fratelli d’Italia, che ha rilasciato un’intervista all’ANSA il 20 maggio, dicendo che «In ogni campo scientifico non esistono verità definitive, c’è sempre la ricerca. Sul tema del cambio climatico ci sono tante voci, a partire da quella di Franco Prodi, diverse dal pensiero diffuso dai media. Persino in teologia s’è pronti alla ricerca, figuriamoci sul clima.
«Poi non è vero che sono fenomeni mai visti negli ultimi decenni» continua il senatore valdese. «Penso al Polesine, all’alluvione di Pisa, di Firenze, di Venezia. I dogmi possono andare bene in altri campi, ma è sempre bene, avere un atteggiamento non assolutistico».
Lo stesso giorno, Malan ha twittato: «gli unici veri negazionisti dei cambiamenti climatici sono i talebani del clima che parlano come se prima del 1880 la temperatura fosse sempre stata stabile e come se prima del 1970 non ci fossero stati eventi estremi.».
Gli unici veri negazionistindei cambiamenti climatici sono i talebani del clima che parlano come se prima del 1880 la temperatura fosse sempre stata stabile e come se prima del 1970 non ci fossero stati eventi estremi.
— Lucio Malan (@LucioMalan) May 20, 2023
Le dichiarazioni di Malan hanno suscitato reazioni isteriche da parte del PD, dei Cinque Stelle e di altre fazioni dell’opposizione.
Le reazioni arrivano dopo che sul quotidiano di Carlo De Benedetti Domani, il professor Gianfranco Pellegrino aveva affermato, titolandoci pure l’articolo, che «il negazionismo climatico dovrebbe essere un reato».
Non è chiaro, di fronte ad una simile legge da psicopolizia, che fine potrebbe fare Spock, il vulcaniano di Star Trek, il quale qualche anno fa raccontava – sulla scorta del «consenso scientifico» e di «dati scientifici inoppugnabili» professati dai baroni del tempo – che la Terra stava andando verso un’altra glaciazione.
Insomma, fa freddo, fa caldo, non ci sono più le mezze stagioni. Piove, governo ladro. Per fare queste affermazioni servono lauree in climatologia, e il sostegno delle Nazioni Unite – peraltro coinvolte in progetti di geoingegneria – e dei miliardari che sostengono questa follia distruttiva (George Soros, Bill Gates, ad esempio), che ora chiamano, senza più pudore, «geoingegneria solare».
Siamo, chiaramente, dinanzi ad un’altra isteria che, come il COVID, serve come power grab, presa di potere e di danaro da parte dell’élite dei soliti noti, tutti stranamente convergenti (dalla grande industria ai vertici politici) nell’allarme climatico e sulla conseguente necessità di deindustrializzare, sorvegliare la popolazione (con l’impronta carbonica e il carbon tracker: le banche già lo fanno, le amministrazioni lo faranno presto con gli smart-meter e le smart-city), e magari anche, visto che ci siamo, ridurre l’umanità, come si discute da anni a certe cene.
Non serve davvero un genio per capire che il Cambiamento Climatico è una maschera ulteriore della Necrocultura. La più insidiosa, forse, perché penetra negli adepti come una vera religione, sostitutiva di quella cristiana.
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Ambiente
ESG: un altra frode che le élite progressiste hanno imposto all’economia

Il fascino degli obiettivi ambientali, sociali e di governance (ESG) ha ipnotizzato l’America aziendale nell’offrire fondi ESG che segnano investimenti per dare priorità agli obiettivi sociali. Le aziende che tengono conto degli obiettivi ambientali, sociali e di governance nelle loro decisioni detenevano collettivamente 8,4 trilioni di dollari in attività di investimento statunitensi all’inizio del 2022.
La principale società di investimento BlackRock ha più che raddoppiato le sue partecipazioni a oltre 500 miliardi di dollari e altri attori stanno seguendo il suo esempio.
Gli investimenti ESG stanno diventando un appuntamento fisso nel panorama aziendale globale, ma non senza contraccolpi.
Alcuni imprenditori e politici negli Stati Uniti sostengono che dare la priorità agli investimenti ESG a scapito del benessere degli azionisti ridurrà i rendimenti per gli investitori. Le forti preoccupazioni sulla fattibilità degli investimenti ESG hanno portato la Florida a ritirare attività per un valore di 2 miliardi di dollari da BlackRock in un’epurazione ESG a livello nazionale.
Ma la battaglia si sta riscaldando solo perché il presidente Joe Biden ha ribaltato un disegno di legge del Senato che impediva ai gestori di fondi di tenere conto degli obiettivi ambientali, sociali e di governance nelle loro decisioni di investimento. Nel settore privato, alcuni magnati hanno lanciato aziende per contrastare gli investimenti ESG acquistando azioni di società come Apple e Disney per minare l’attivismo del management.
Indubbiamente, gli investimenti ESG stanno creando una tempesta negli Stati Uniti, ma a parte l’entusiasmo che circonda gli investimenti ESG, quali sono le implicazioni?
Massimizzare il benessere degli azionisti è l’obiettivo primario di un fondo di investimento e i fondi ESG non dovrebbero essere perseguiti se non riescono a raggiungere questo obiettivo.
Alcuni ipotizzano che, poiché gli azionisti sono i proprietari della società, debbano essere liberi di sostenere politiche che raggiungano gli obiettivi ESG. Pertanto, gli investimenti ESG possono essere compatibili con la massimizzazione del benessere degli azionisti.
Tuttavia, le aziende devono garantire che gli azionisti apprezzino i costi e i benefici degli investimenti ESG. Gli azionisti potrebbero percepire la virtù nell’usare i loro investimenti per effettuare il cambiamento sociale, ma apprendere che i fondi ESG non sono competitivi cambierà sicuramente le loro prospettive. Sebbene la ricerca sulla fattibilità dei fondi ESG sia agli inizi, gli studi dimostrano che non hanno funzionato per gli investitori.
I fondi ESG hanno fatto peggio delle loro controparti S&P e le commissioni tipiche dei fondi ESG possono essere tre volte superiori alla cifra riportata. Inoltre, la ricerca empirica non fornisce argomenti convincenti per gli investimenti ESG.
Secondo un documento finanziario di Samuel M. Hartzmark e Abigail B. Sussman, non ci sono prove che i fondi ad alta sostenibilità superino i fondi a bassa sostenibilità. È importante che le revisioni e le meta-analisi dei fondi ESG siano ugualmente deludenti nella valutazione. Una revisione di 1.141 articoli primari sottoposti a revisione paritaria e ventisette metarevisioni pubblicati tra il 2015 e il 2020 ha dimostrato che il caso dei fondi ESG è inconcludente perché la loro performance è indistinguibile dai fondi non ESG.
Né è evidente che i fondi ESG registrino performance sociali superiori. Una ricerca del Massachusetts Institute of Technology afferma che gli obiettivi ESG non sempre sono in linea con le preferenze degli azionisti. Anche in presenza di un esplicito mandato a perseguire obiettivi sociali, i fondi ESG continuano a votare contro gli azionisti.
I risultati del MIT mostrano che Vanguard e BlackRock hanno votato contro le proposte che richiedono la divulgazione della diversità e delle qualifiche del consiglio di amministrazione di Apple, Salesforce, Twitter, Discovery e Facebook.
Abbastanza scioccante è che il Vanguard Social Index Fund abbia votato contro quasi tutte le risoluzioni ambientali e sociali esaminate nel periodo 2006-2019. I fondi ESG non solo non si impegnano a perseguire gli obiettivi sociali degli azionisti, ma ottengono anche scarsi risultati sugli indicatori ambientali e di governance.
Uno studio ad ampio raggio condotto da ricercatori universitari indica che i fondi ESG detengono azioni con emissioni di carbonio più elevate per unità di reddito, dimostrano prestazioni inferiori alla media in relazione alle emissioni di carbonio in base alla produzione di emissioni grezze e all’intensità delle emissioni e hanno livelli inferiori di indipendenza del consiglio di amministrazione.
Con misure oggettive, i fondi ESG non riescono a promuovere gli obiettivi sociali e a fornire rendimenti per gli azionisti. Tuttavia, poiché gli azionisti possiedono società, possono sempre esercitare pressioni per i fondi ESG, ma le società non dovrebbero mai progettare questi strumenti senza il consenso degli azionisti o la fornitura di informazioni accurate sulla loro fattibilità. Inoltre, i politici e le autorità di regolamentazione dovrebbero desistere dall’imporre obiettivi ESG alle aziende.
L’investimento ESG è attivismo e le aziende possono determinare se intendono perseguire l’attivismo sociale per volere degli azionisti senza che i politici interferiscano.
Lipton Matthews
Articolo apparso su Mises Institute, tradotto e pubblicato su gentile concessione del signor Matthews.
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Scienziati russi confutano la tesi antropogenica del cambiamento climatico

Il consenso scientifico totale sul cambiamento climatico provocato dall’uomo – il dogma strombazzato dall’establishment occidentale ad ogni piè sospinto – non è così totale, visto che in Russia c’è avanza altre teorie geofisiche a riguardo.
La recente pubblicazione di un documento del Consiglio scientifico dell’Accademia russa delle scienze sulle questioni complesse dell’integrazione economica eurasiatica, della modernizzazione, della competitività e dello sviluppo sostenibile, presieduto da Sergej Glazev, che confuta l’«origine antropogenica» del cambiamento climatico, presenta una teoria molto interessante che era basato su alcuni degli ultimi lavori dello scienziato russo Vladimir Ivanovic Vernadskij (1863-1945).
Mentre le persone guardano al fattore più ovvio qui – il rapporto mutevole tra il Sole e la Terra come possibile fonte del «riscaldamento» – il capo ricercatore dell’Istituto per la ricerca nucleare dell’Accademia delle scienze russa, il dottor Leonid Bezrukov, ha posto l’ipotesi del riscaldamento della superficie terrestre e degli oceani a seguito del decadimento radioattivo dell’isotopo potassio-40 sotto la superficie terrestre, la cui potenza di flusso termico è di circa 1 watt per metro quadrato, molto più del flusso di calore antropogenico influenza sull’atmosfera.
La fonte del lavoro teorico su cui si basa questa ipotesi è attribuita al dottore in scienze geologiche e mineralogiche Vladimir Larin, che ha studiato la composizione dell’idruro metallico della Terra, la cui espansione rilascia idrogeno e altri gas.
Tuttavia, la prima persona a formulare la teoria dell’esistenza dell’idrogeno sulla superficie terrestre fu Vernadskij, che fu anche il primo a indicare un effetto molto più ampio del decadimento degli elementi nucleari della Terra nel determinare il calore della Terra, attraverso il suo concetto di «migrazione degli atomi» ben al di sotto del sottile strato della biosfera terrestre, un teoria che sviluppò in modo più esteso nella sua ultima opera incompiuta, Chimicheskoe stroenie biosferii zemli i ee okruzhenija («La struttura chimica della biosfera e dei suoi dintorni»), considerata dal geniale biochimico russo come il «libro della vita».
I membri del consiglio scientifico stanno progettando di presentare domanda al Ministero dell’Istruzione e della Scienza e all’Accademia delle scienze russa per organizzare uno studio interdisciplinare dei processi descritti.
Nel frattempo, nell’Italia sconvolta dalle alluvioni in Romagna, c’è chi avanza l’idea del carcere per chi nega il cambiamento climatico: nel giornale dell’imprenditore ora svizzero Carlo De Benedetti Domani abbiamo letto che «il negazionismo climatico dovrebbe essere un reato».
Come riportato da Renovatio 21, undici scienziati membri del gruppo Clintel hanno pubblicato una dichiarazione in cui respingono l’affermazione secondo cui l’attuale alluvione in Italia è correlata al cambiamento climatico antropogenico, cioè da cambiamenti meteorologici indotti dall’attività umana.
I firmatari, insieme ad altri, hanno scritto il libro Dialogo sul clima recentemente pubblicato in Italia.
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Ambiente
A giudizio in Vaticano gli ambientalisti incollati al Lacoonte

Il 24 maggio 2023 si è svolta la seconda udienza della causa promossa dallo Stato del Vaticano nei confronti di due attivisti ambientalisti che si erano incollati alla celebre statua del Laocoonte nell’agosto 2022. Gli imputati si sono difesi dall’accusa di aver voluto danneggiare la scultura, ma i rappresentanti dei «Musei dei papi» affermarono da parte loro di temere danni «permanenti».
Il 18 agosto 2022, gli attivisti italiani del movimento Ultima Generazione si sono incollati alla statua del Laocoonte, con l’obiettivo di dimostrare l’inerzia delle autorità sul cambiamento climatico. Questa statua è databile al I o II secolo d.C.: fu riscoperta nel XVI secolo.
Il 9 marzo si è svolta una brevissima prima udienza preliminare. Gli imputati sono accusati di danneggiamento a «monumento pubblico di inestimabile valore storico-artistico» mediante collante «tenace e corrosivo»: erano presenti Guido Viero ed Ester Goffi, che si erano incollati alla statua, ma Laura Zorzini, che aveva fatto la foto della scena, era assente all’udienza.
Guido Viero, 62 anni, ha spiegato di voler agire per la figlia e la nipote, e «per le generazioni future». Voleva protestare contro la mancanza di investimenti del governo italiano nell’energia sostenibile. Sulla base della scultura in questione, gli attivisti avevano attaccato un cartello in cui si chiedeva niente gas o carbone.
Un simbolo mediatico
Il giudice Giuseppe Pignatone ha sottolineato che i Musei Vaticani si trovano nel territorio della Città del Vaticano, e non in Italia. Guido Viero ha risposto argomentando sulla portata «più mediatica». Ha spiegato di aver scelto il Laocoonte per riferirsi al mito di colui «che cercava di avvertire i suoi concittadini delle disgrazie a venire». La scultura rappresenta infatti il sacerdote troiano che cercò di smascherare l’inganno del cavallo di Troia raccontato nell’Eneide.
Ha anche affermato di aver «assolutamente escluso» possibili danni. «Le nostre azioni non danneggeranno mai persone o cose», ha detto. Gli imputati si erano così «informati» sul materiale utilizzato: un collante «che si toglie facilmente con l’acetone».
L’altra imputata, Ester Goffi, laureata in arte contemporanea, ha affermato di non essere a conoscenza di eventuali danni che la statua avrebbe potuto subire. Un esperto gli aveva assicurato che questo prodotto non lasciava segni sulla pelle né danneggiava il marmo. Non aveva subito alcun danno durante le operazioni di distacco.
I testimoni dei Musei Vaticani
Sono stati ascoltati diversi testimoni, tra cui un addetto alla sicurezza, un gendarme, e il responsabile del restauro dei Musei, Guy Devreux, contattato per riparare il Laocoonte. Quest’ultimo ha dichiarato al tribunale che i lavori di restauro del marmo hanno richiesto meno tempo di quanto previsto dalla stima iniziale, che era di poco superiore ai 15.000 euro.
In totale, gli esperti hanno impiegato una settimana, soprattutto perché i Musei avevano chiesto «un lavoro rapido», ha spiegato. Allo stato attuale, Guy Devreux ha accennato a un danno che potrebbe essere «permanente», perché l’intervento effettuato è servito solo a «nascondere» il danno subito dal marmo.
La base, su cui si sono incollati gli attivisti, è «parte integrante» dell’opera d’arte, ha aggiunto il restauratore. La parte superiore del basamento «sostiene tutta la scultura», ha spiegato, precisando che tale basamento è stato datato tra il 1815 e il 1957.
La causa è stata presa in esame e la sentenza sarà pronunciata nell’udienza fissata per il 12 giugno.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
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