Geopolitica
Storia segreta dell’ucronazismo

Il tabù dei tabù su giornali, TV e social è l’esistenza, più che mai centrale nelle faccende ucraine di queste ore, di milizie apertamente neonaziste.
Svastiche e crudeltà: i racconti si susseguono dagli anni di Maidan, tanto che gli avversari hanno coniato la parola «ucronazismo».
Si tratta di un fenomeno complesso: vi sono radici storiche di collaborazione con il III Reich, connivenze con servizi segreti occidentali, controintuitivi finanziamenti da parte di oligarchi ebrei.
Le milizie neonaziste ucraina attuali si rifanno a Stepan Bandera (1909-1959), ideologo e leader dell’ultranazionalismo ucraino, collaborazionista del III Reich e considerato da alcuni storici un terrorista e un criminale di guerra, accusato di massacri di polacchi e financo di responsabilità nella tragedia degli ebrei ucraini. Si tratta di una figura assai controversa in Ucraina, perché, nonostante le accuse, nel 2010 il presidente Viktor Yushenko (avversario del filorusso Yanukovic, che gli succederà poco dopo, nonché marito di un ufficiale del Dipartimento di Stato USA) gli conferì il titolo postumo di «Eroe dell’Ucraina», suscitando la condanna non solo della Russia, ma anche dell’Unione Europea, oltre che di organizzazioni polacche ed ebraiche. Il presidente Yanukovic nel 2011 annullò il titolo.
Bandera aveva dichiarato nel 1941 l’Ucraina come Stato, asserendo che avrebbe lavorato con la Germania nazista. Tuttavia, i nazisti lo misero in campo di concentramento, per poi tirarlo fuori nel 1944 mentre le truppe sovietiche avanzavano verso Occidente. Dopo la guerra, Bandera si stabilì nella Germania Ovest, dove continuò a capeggiare l’OUN (l’organizzazione dei nazionalisti ucraini) e dove si dice lavorò anche con i servizi segreti britannici. Fu assassinato da agenti del KGB a Monaco nel 1959.
Ucronazisti, un fenomeno complesso: vi sono radici storiche di collaborazione con il III Reich, connivenze con servizi segreti occidentali, controintuitivi finanziamenti da parte di oligarchi ebrei
Tuttavia, la rete antirussa creata prima, durante e dopo la guerra era troppo preziosa per essere perduta. Non solo gli inglesi se ne interessarono, ma pure, ovviamente, gli americani.
Un documento della CIA dell’agosto 1950, citato dal giornalista investigativo Wayne Madsen in articoli dei tempi di Maidan, rivela che già agli albori della Guerra Fredda, l’Intelligence statunitense (all’epoca chiamata OSS) sfruttò l’Intelligence e la strategia naziste che usarono vari gruppi nazionalisti ucraini durante la Seconda Guerra Mondiale.
«Altri gruppi ucraini identificati dai nazisti e abbracciati dalla CIA includono lo Sluzhba Bezopasnosti o Servizio di sicurezza dell’OUN, il gruppo Bandera, il gruppo Mel’nik, l’unità partigiana Taras Bulba (Borovets) in Galizia, l’esercito rivoluzionario ucraino dell’Ucraina occidentale e Galizia (la cui bandiera rossa e nera è stata reintrodotta dai gruppi finanziati da George Soros durante le attuali proteste in Ucraina), il movimento Hetman, l’Unione per la liberazione dell’Ucraina (che aveva sede a Parigi) e il cosacco nazionale ucraino Movimento (che aveva sede a Berlino). Il leader dell’Unione filo-nazista per la liberazione dell’Ucraina a Parigi si chiamava Levitsky, un ebreo ucraino» scriveva Madsen.
«Il documento dell’intelligence nazista sottolinea anche che molti nazionalisti ucraini, alcuni dei quali sarebbero poi entrati nei ranghi della CIA, furono addestrati nei “campi dell’esercito e della polizia tedeschi a Cracovia, Neuhammer, Brandeburgo e Francoforte-Oder” e furono successivamente “assegnati all’est per la guerra partigiana”».
Madsen racconta come questa rete sovversiva sia stata tenuta in piedi dalla CIA per tutta la guerra fredda, tramite servizi di dezinformatsja come quello del giornale del New Jersey Ukraine Weekly, che nel 1986 riuscì a smerciare sulla prima pagina del New York Post di Murdoch la più incredibile bufala su Chernobyl: «Fosse comuni, 15.000 morti per l’esplosione del sito nucleare», era il sobrio titolo a 9 colonne. Sappiamo invece che durante tutto il 1986 i morti per l’esplosione del reattore 4 sono stati al massimo 31 – per gli effetti a lungo termine, c’è ovviamente una immane guerra di cifre, rinfocolata dalla truffaldina serie TV di qualche anno fa.
L’uomo dietro ai piani americani sull’Ucraina fu per tutta la Guerra Fredda fu il professore di economia ucraino-statunitense della Georgetown University Lev Dobriansky, un nome che torna sempre tra i front della CIA, come l’Istituto Slavo della Marquette University o il Byzantine Slavic Arts Center attivo nella capitale USA.
L’ucrainista Dobriansky chiamava l’URSS «Impero colonialista di Mosca», e fu contrario ad ogni sorta di distensione tra Mosca e Washington. Si oppose al trattato sulla messa al bando delle esplosioni nucleari, alla convenzione consolare USA-URSS, all’Outer Space Treaty delle Nazioni Unite, al trattato di non proliferazione nucleare, perfino agli accordi sulla rotta commerciale Mosca-New York. Dobriansky fu, ça va sans dire, mentore di tanti neocon.
La compagnia di questo signore vale infatti la pena di citarla: «gli accoliti di Dobriansky, acerrimi neoconservatori come Donald Kagan, un ebreo lituano di Kursenai, Lituania, suo figlio Frederick Kagan, un funzionario del neo-conservatore American Enterprise Institute ed ex-consigliere del generale David Petraeus in Afghanistan, e Robert Kagan della Brookings Institution, architetto del Progetto per il Nuovo Secolo Americano (PNAC) ed editorialista del Washington Post. La moglie di Robert Kagan, assistente del segretario di Stato per gli affari europei ed euroasiatici è Victoria Nuland». Tutti oramai la conosciamo, Lady «Fuck the EU» Kagan. Dopo aver fatto disastri nel 2014 (e prima ancora, in Iraq) come sappiamo ora è tornata in pista.
La figlia di Dobrianski, Paula, ha ricoperto ruoli importanti nel Dipartimento di Stato dell’amministrazione Bush jr. Neanche a dirlo, faceva parte della colonna dei neocon.
Nel 2014, emersero squadre come il famoso battaglione Azov, considerato pubblicamente neonazista e composto da estremisti di destra da vari Paesi d’Europa. Nato dagli ultras del Metalist Kharkiv, il Battaglione Azov è ora inquadrato nella Guardia Nazionale Ucraina. È stato detto che molti miliziani Azov sono seguaci di un paganesimo slavo – chiamato Rodnovery – dedito al culto di antichi dei, per i quali avrebbero creato un tempio a Mariupol.
I rapporti pubblicati dall’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) hanno collegato il battaglione Azov a crimini di guerra come saccheggi di massa, detenzione illegale e tortura.
Un rapporto dell’OHCHR del marzo 2016 affermava che l’organizzazione aveva «raccolto informazioni dettagliate sulla condotta delle ostilità da parte delle forze armate ucraine e del reggimento Azov dentro e intorno a Shyrokyne (31 km a est di Mariupol), dall’estate del 2014 ad oggi. Saccheggio di massa di sono state documentate abitazioni di civili, nonché attacchi ad aree civili tra settembre 2014 e febbraio 2015».
Un altro rapporto dell’OHCHR ha documentato un caso di stupro e tortura: «Un uomo con disabilità mentale è stato oggetto di trattamenti crudeli, stupri e altre forme di violenza sessuale da parte di 8-10 membri dell’Azov e del Donbas (un altro battaglione ucraino) nell’agosto-settembre 2014. La salute della vittima è successivamente peggiorata ed è stata ricoverata in ospedale in un ospedale psichiatrico». Un rapporto del gennaio 2015 affermava che un sostenitore della Repubblica di Donetsk è stato detenuto e torturato con elettricità e waterboarding.
Scrive Wikipedia che «il gruppo ha utilizzato Facebook per reclutare individui di estrema destra da altri paesi europei. Nel 2019, in base alla politica di Facebook per gli individui e le organizzazioni pericolose, il supporto per il gruppo non era consentito, sebbene questo sia stato temporaneamente allentato durante l’invasione russa dell’Ucraina del 2022».
Il Battaglione Aidar è stato invece creato dal Ministero della Difesa ucraino nel 2014 per raccogliere volontari. Due suoi comandanti sono stati eletti alla Rada, il Parlamento ucraino nel 2014, ma non sono stati rieletti nel 2019. Si parlò di legami con il nazismo a causa dell’adesione al battaglione di due del Svenkarnas parti, un partito neonazista svedese. Il motto del battaglione, «s namu Bog», «Dio è con noi», è pure di origine nazista. Nel settembre 2014 Amnesty International ha dichiarato che il Battaglione aveva commesso crimini di guerra, inclusi rapimenti, detenzione illegale, maltrattamenti, furti, estorsioni e possibili esecuzioni. Nell’aprile 2015, il governatore di Luhansk nominato dal governo ucraino Hennadiy Moskal ha dichiarato che il Battaglione Aidar stava «terrorizzando la regione» e ha chiesto al ministero della Difesa ucraino di tenere a freno i suoi membri dopo una serie di furti, tra cui ambulanze e l’acquisizione di una fabbrica di pane.
C’è poi Pravij Sektor («Settore destro»), un partito di estrema destra con una proiezione paramilitare, fattosi notale durante gli scontri di piazza Maidan, e definito da molti neonazista. Pravij Sektor è il gruppo che più esplicitamente si richiama a Bandera e raccoglie i resti dell’OUN Come Aidar, ha vinto un seggio alla Rada nel 2014, ma non nel 2019. Secondo il rapporto del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite del 4 maggio 2016, Pravij Sektor è una delle «milizie potenzialmente violente che hanno agito apparentemente di propria autorità, grazie a un alto livello di tolleranza ufficiale, e con quasi totale impunità, sia nel Donbass regione e nella più ampia Ucraina».
L’insieme di questi miliziani è stato utilizzato in abbondanza negli otto anni di violenza in Donbass. In questo momento a queste formazioni è assegnata la difesa di città strategiche, come Mariupol, difesa dal Battaglione Azov, che in queste ore è sotto l’assedio delle truppe russe.
Accusati di antisemitismo, hanno con probabilità ricevuto armi automatiche provenienti da Israele vendute al governo ucraino, cosa che ha spinto gruppi israeliani per i diritti umani a protestare.
È riportato che vari membri della comunità ebraica ucraina hanno supportato i battaglioni. In particolare, i più ricchi.
«Queste forze sono state finanziate privatamente da oligarchi: il più noto è Igor Kolomojskij, un magnate dell’energia miliardario e allora governatore della regione di Dnipropetrovska» scrive Al Jazeera.
Kolomojskij, già governatore dell’oblast’ di Dnipropetrovsk, networth attorno a 1,8 miliardi di dollari e considerato nel 2019 il terzo uomo più potente d’Ucraina, è presidente della Comunità Ebraica Unita dell’Ucraina, e nel 2010 è stato nominato – con quello che poi sarà definito «un putsch» – presidente del Consiglio Europeo delle ComunitàEbraiche (ECJC). Tuttavia, dopo le veementi proteste degli altri membri del consiglio, dovette lasciare e fondarsi una lega ebraica tutta sua, la European Jewish Union. Si crede che l’oligarca ebreo abbia non solo finanziato il Battaglione Azov, ma anche il Battaglione Aidar, Donbas, Dnepr 1, Dnepr 2 e avrebbe investito 10 milioni di dollari nella creazione del Battaglione Dnipro. Insomma, un gran finanziatore delle milizie.
L’immagine controintuiva di un ebreo che finanzia miliziani nazisti ha creato in Ucraina una sorta di espressione scherzosa, «zhidobandera», cioè giudeobanderista, che veniva stampata su t-shirt dove il simbolo nazionale ucraino del tridente era fuso ad una torah. Vi è una simpatica fotografia del Kolomojskij che ne indossa una.
Master of Ze puppet, Ukrainian oligarch Kolomoisky, known sponsor of neo-nazi Azov battalion. The writing on a t-shirt is “jew-banderist”. pic.twitter.com/cEkzxKGeoU
— Mur Mur Myau (@popoff_alex) April 22, 2019
È del resto un uomo di spirito: ha tre passaporti (ucraino, cipriota, israeliano) e quando gli chiedono come faccia – l’Ucraina è Paese che non ammette la doppia nazionalità – risponde che per Kiev non è possibile avere due passaporto, ma non tre.
Kolomojskij, per inciso, è ritenuto un puparo dietro all’ascesa di Volodymyr Zelens’kyj. È suo il canale TV che ha lanciato l’attuale presidente con la serie Sluha Narodu («Servitore del popolo»), dove interpretava, appunto, un onesto e determinato presidente dell’Ucraina. Una voce ricorrente in queste ore, forse messa in circolo dalla dezinformatsija moscovita, vuole che adesso a difendere personalmente il presidente-attore sia una milizia e non l’esercito.
Non sappiamo se anche l’attuale guardia personale di Zelens’kyj abbia fatto i corsi intensivi organizzati dalla CIA in America dal 2015. Come riportato da Renovatio 21, giornali statunitensi hanno rivelato che gli USA stavano «preparando un’insurrezione» in Ucraina con un programma insegna agli ucraini come «uccidere i russi». «Se i russi invadono, quelli [i diplomati dei programmi della CIA, ndr] saranno la tua milizia, i tuoi leader ribelli», ha detto l’ex alto funzionario dell’Intelligence a Yahoo News. «Alleniamo questi ragazzi ormai da otto anni. Sono davvero dei bravi combattenti. Ecco dove il programma dell’agenzia potrebbe avere un serio impatto».
Nello scoop era sentito anche un ex ammiraglio che si lasciava scappare che «il livello di supporto militare» per un’insurrezione ucraina, dice l’ex ammiraglio USA, «farebbe sembrare i nostri sforzi in Afghanistan contro l’Unione Sovietica insignificanti al confronto». Da nessuna parte, nei racconti dei giornali americani sui «ragazzi» ucraini addestrati in USA, si specificava che essi con grande probabilità fanno parte di battaglioni neonazisti.
Nel suo discorso di apertura del conflitto, il presidente Putin aveva parlato di «denazificazione» dell’Ucraina. Molti non hanno capito. Altri, non informatissimi, hanno riso: per esempio, Maureen Dowd sul New York Times e Antonio Polito sul Corriere della Sera – come si può denazificare un Paese in cui il presidente è un ebreo?
Il lettore di Renovatio 21 ora può rispondere. Coloro che si informano su media mainstream invece non potranno mai.
Roberto Dal Bosco
Immagine di GianlucaAgostini via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0); immagine modificata
Geopolitica
I morti nella costruzione della «città lineare» saudita sarebbero decine di migliaia

Il bilancio delle vittime sul lavoro nella costruzione di NEOM, la megalopoli lineare lunga 15o chilometri in Arabia Saudita, sarebbe impressionante. Lo riporta il canale britannico Channel 3.
Nel documentario della TV inglese andato in onda a fine 2024, il segreto sottaciuto sulle morti bianchi sulla via del megaprogetto viene rivelato da una giornalista si reca sotto copertura sul posto.
Nel corso del suo reportage, l’inviata in incognito scopre una verità molto scomoda: nel corso del progetto Vision 2030 da miliardi di dollari, lanciato nel 2017 e che include un edificio, attualmente in costruzione, lungo oltre centocinquanta chilometri chiamato «The Line» («la linea»), dove si stima siano morti più di 21.000 lavoratori stranieri.
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La maggior parte delle persone morte mentre lavoravano a Vision 2030 provengono da paesi dell’Asia meridionale come Bangladesh, India e Nepal. Quelle ancora in vita hanno raccontato in termini crudi alla giornalista, quanto siano orribili le loro condizioni di lavoro.
Nonostante alcuni tentativi maldestri di riforma del lavoro, i lavoratori migranti in Arabia Saudita sono sottoposti a uno sfruttamento estremo che rasenta la schiavitù. Infatti, durante il documentario, alcuni dei lavoratori incaricati di costruire trincee e tunnel ferroviari a NEOM hanno affermato di essere «trattati come mendicanti» e costretti a lavorare 16 ore al giorno.
«C’è poco tempo per riposare», ha detto uno dei lavoratori. «Ci stanchiamo. Soffriamo di ansia giorno e notte».
Non sorprende che in tali condizioni – aggravate dalla candidatura saudita di ospitare la Coppa del Mondo nel 2034 in uno stadio di calcio che non è ancora stato costruito – gli incidenti sul lavoro siano all’ordine del giorno. Tuttavia, data la natura ultra-segreta del regno wahabita, è impossibile conoscere la vera portata di quanti feriti e vittime si siano effettivamente verificati.
La notizia del raccapricciante bilancio delle vittime di NEOM segue i precedenti resoconti sulle decine di migliaia di indigeni che sono stati allontanati con la forza per far posto alla città lunga 100 miglia. Come ha rivelato la BBC l’anno passato, i funzionari sauditi avrebbero ricevuto l’ordine di uccidere tutti i membri non conformi della tribù Huwaitat che abitavano la regione desertica.
Quando il quotidiano londinese Guardian ha chiesto a NEOM di commentare le affermazioni fatte nel documentario di Channel 3, un rappresentante ha affermato che il progetto sta «valutando le affermazioni fatte in questo [programma] e, ove necessario, adotterà misure appropriate».
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«Richiediamo a tutti gli appaltatori e subappaltatori di rispettare il codice di condotta di NEOM, basato sulle leggi dell’Arabia Saudita», ha continuato il rappresentante.
Come riportato da Renovatio21, un’analisi sempre del Guardian ha rivelato che più di 6.500 lavoratori provenienti da India, Pakistan, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka sono morti in Qatar da quando la monarchia del Golfo si è aggiudicata il principale torneo internazionale di calcio alla fine del 2010. Senz’acqua, a lavorare per una manciata di monete, nel caldo torrido di un Paese desertico, costretti in situazioni di pericolo: qualcuno è arrivato a dire che sono stati dei Mondiali costruiti sulla schiavitù.
Il calcio è sempre attento e sensibile a qualsiasi tipo di tematica etica qua in occidente, ma pare soffrire di miopia nei Paesi dove certi principi non sono nemmeno contemplati e soprattutto pare non esserci il minimo rispetto per la vita umana, persino durante l’inaugurazione della manifestazione calcistica di tre anni fa. Un lavoratore migrante impiegato nelle opere legate ai Mondiali di calcio morì in Qatar proprio durante lo svolgimento del torneo. Il tutto senza alcuna reale forma di interesse da parte delle autorità di Doha e della FIFA.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
L’Ucraina non è invitata ai colloqui tra Russia e USA, dice Zelens’kyj

🚨President Zelensky tells me Ukraine hasn’t received an invitation for a meeting between national security advisers from U.S. & Russia in Saudi Arabia. “It is strange to hold a meeting in such format before we had consultations with our strategic partners”. He said pic.twitter.com/C8X1PAuCLB
— Barak Ravid (@BarakRavid) February 15, 2025
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Geopolitica
Il Vaticano al centro della questione ucraina

La Russia ha appena riconosciuto il ruolo chiave svolto dalla Santa Sede nello scambio di prigionieri con l’Ucraina. Giocando la carta umanitaria, il Vaticano si ritrova al centro della partita diplomatica sulla questione ucraina, in un momento in cui l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca rischia di rimescolare le carte.
Le scelte diplomatiche della Santa Sede sulla questione ucraina darebbero i loro frutti? Probabilmente secondo la dichiarazione delle autorità russe del 23 gennaio 2025: «con la partecipazione personale e attiva dell’inviato speciale del Papa in Ucraina, il cardinale Zuppi, 16 militari feriti delle forze armate del nostro Paese sono tornati in Russia nell’ambito dello scambio di prigionieri di guerra», ha affermato Maria Zakharova, portavoce del ministro degli Esteri russo.
Da diversi mesi il Vaticano ha cambiato atteggiamento nei confronti del conflitto ucraino: anziché cercare di mettere insieme punti di vista inconciliabili, è meglio giocare la carta umanitaria per riannodare i labili fili del dialogo e preparare i belligeranti a potersi sedere allo stesso tavolo in un futuro più o meno prossimo.
Così, dal maggio 2023, data di inizio della missione del cardinale Matteo Zuppi, sono stati scambiati tra Ucraina e Federazione Russa 400 prigionieri di guerra e diverse centinaia di minori sfollati: «intendiamo continuare la cooperazione costruttiva con il Vaticano sulle questioni umanitarie», ha dichiarato Maria Zakharova.
Il portavoce ha aggiunto che, a differenza dell’Occidente, accusato di aver «provocato la guerra», «salta favorevolmente la posizione equilibrata del Vaticano e di Papa Francesco, che cercano di dare il loro contributo». Una soddisfazione di cui i diplomatici della Santa Sede, spesso accusati, in particolare dai cattolici ucraini, di una neutralità che ai loro occhi rasenta la complicità con Mosca, avrebbero fatto volentieri a meno.
Una cosa è certa: con questa dichiarazione inaspettata, la parte russa rimette visibilmente il Vaticano al centro del gioco diplomatico, in un momento in cui il conflitto in Ucraina entra in una nuova fase con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Il 24 gennaio, Vladimir Putin ha dichiarato di essere pronto a negoziare con la controparte americana sull’Ucraina, senza tuttavia fornire una data concreta.
«Non mi dilungherò su questo punto, ma posso solo dire che l’attuale presidente ha dichiarato di essere pronto a lavorare insieme. (…) Lo abbiamo sempre detto e voglio sottolinearlo ancora una volta: siamo pronti per questi negoziati sulle questioni ucraine», ha affermato il Presidente della Federazione Russa.
E per aggiungere qualcosa alla sua controparte americana: «non posso che essere d’accordo con [Donald Trump] nel dire che se fosse stato presidente, se non gli avessero rubato la vittoria nel 2020, forse non ci sarebbe stata la crisi in Ucraina che si è verificata nel 2022».
Per alcuni, il presidente russo sta cercando di guadagnare tempo per avanzare il più possibile nel teatro delle operazioni militari e arrivare in una posizione di forza al tavolo delle trattative: le recenti dichiarazioni, siano esse sull’aspetto umanitario con il Vaticano o diplomatico, costituirebbero, in questa prospettiva, altrettante manovre dilatorie.
Ma Donald Trump è intenzionato a negoziare rapidamente, minacciando Mosca con nuove sanzioni. «Se non troveremo rapidamente un accordo, non avrò altra scelta che imporre tariffe elevate (…) su tutto ciò che la Russia venderà agli Stati Uniti. Mettiamo fine a questa guerra che non sarebbe mai iniziata se fossi stato presidente. (…) Non devono più essere perse vite», ha affermato.
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La parte americana opta per i negoziati, basati su un mix di pressioni e incentivi, per portare Russia e Ucraina a un accordo. Le Figaro, da parte sua, suggerisce che i futuri colloqui potrebbero essere ospitati dalla Svizzera e dalla Slovacchia e inizieranno con un cessate il fuoco che congeli le posizioni dei due eserciti, pur accettando la possibilità di uno scambio di territori.
La parte russa sostiene una «pace a lungo termine» che includa il riconoscimento delle regioni conquistate all’Ucraina dal 2014 e del Donbass. Perché sul campo il vantaggio militare è chiaramente a favore della Russia, che ha bisogno di tempo per vincere la sua guerra di logoramento. Ma l’economia di guerra, che sta provocando un’inflazione del 9,5% in un anno, un’impennata degli affitti e dei prezzi dei prodotti alimentari, non può durare per sempre…
Come si vede, la situazione è tutt’altro che chiara sul terreno di ipotetici negoziati, ma nei cento giorni che si è concesso per risolvere la questione ucraina, il presidente americano avrà probabilmente interesse a fare affidamento sugli sforzi discreti messi in atto dal Vaticano. Per evitare che questi cento giorni sfocino, da un punto di vista puramente umano, in una drammatica Waterloo diplomatica.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News.
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Immagine di Mstyslav Chernov via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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