Connettiti con Renovato 21

Geopolitica

Macron, dopo aver parlato di truppe NATO in Ucraina, vuole un cessate il fuoco per le Olimpiadi di Parigi

Pubblicato

il

La Francia proporrà un cessate il fuoco nel conflitto ucraino per la durata dei Giochi olimpici di Parigi, ha detto il presidente francese Emmanuel Macron, aggiungendo che Parigi è pronta a reagire se il conflitto dovesse intensificarsi, ma non avvierà un’aggressione.

 

«Lo chiederemo», ha detto Macron in un’intervista ai canali televisivi ucraini quando gli è stato chiesto se avrebbe offerto alla Russia un cessate il fuoco per la durata delle Olimpiadi. Le Olimpiadi di Parigi si terranno dal 26 luglio all’11 agosto.

 

Il presidente francese ha anche affermato di essere pronto a discutere proposte per allentare il conflitto in Ucraina con il presidente russo Vladimir Putin.

Sostieni Renovatio 21

«Prenderò la telefonata. Questa è la mia responsabilità e ascolterò ciò che propone. Il ruolo della Francia è quello di essere il “nervo della guerra”… D’altro canto, è necessario trasferire all’Ucraina tutto il necessario per rafforzare le sue capacità di difesa, l’equipaggiamento militare, ma allo stesso tempo promuovere la riduzione dell’escalation… Se Putin vuole offrire qualcosa, ascolterò la sua proposta», ha detto il presidente.

 

Macron ha aggiunto che Parigi è pronta a reagire in caso di escalation in Ucraina, ma non sarà l’iniziatore dell’aggressione.

 

«Siamo pronti a qualsiasi sfida, se dovesse verificarsi un’altra escalation da parte della Russia, saremo pronti a reagire per la sicurezza dell’Ucraina e degli europei, ma la Francia non sarà la prima ad avviare un’aggressione», ha affermato.

 

A seguito di una conferenza sull’Ucraina tenutasi a Parigi alla fine di febbraio, Macron ha affermato che i leader occidentali hanno discusso la possibilità di inviare truppe in Ucraina e, sebbene non sia stato raggiunto alcun consenso al riguardo, nulla può essere escluso.

 

La dichiarazione ha ricevuto critiche diffuse e la maggior parte dei membri dell’UE, tra cui Germania, Repubblica Ceca e Polonia, hanno rifiutato l’idea di schierare truppe occidentali in Ucraina. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha affermato che «non verranno inviati soldati sul suolo ucraino» da parte degli Stati europei o dei membri della NATO.

 

Commentando le dichiarazioni di Macron – che in seguito ha persino parlato di un ritorno della Crimea a Kiev – il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha sottolineato che l’eventuale intervento delle truppe NATO sul terreno in Ucraina porterà a un inevitabile conflitto tra la Russia e l’alleanza.

 

La Russia ha ripetutamente avvertito i paesi della NATO che le forniture di armi all’Ucraina sarebbero considerate obiettivi legittimi. Mosca ha accusato i paesi della NATO di “giocare con il fuoco” armando l’Ucraina, sottolineando che tali azioni ostacolano la possibilità di negoziati Russia-Ucraina.

 

Il presidente russo Vladimir Putin ha rivelato in un’intervista con Dmitrij Kiselev, direttore generale di Rossiya Segodnya di essere pronto per i colloqui di pace con l’Ucraina, ma ha sottolineato che non si fida di nessuno e cercherà garanzie.

Aiuta Renovatio 21

Durante la sua intervista, il presidente Putin ha risposto alla teoria di Dmitry Kiselev secondo cui la recente retorica anti-russa del presidente francese Macron potrebbe essere spiegata dal desiderio di «vendicare la perdita dell’influenza francese in Africa». Si trattava di un evidente riferimento agli eventi del 2021-2023, quando i governi filo-francesi furono rovesciati in Mali e Guinea (2021), Burkina-Faso (2022), Niger (luglio 2023) e Gabon (agosto 2023). Le truppe francesi dovettero lasciare il Mali e il Niger.

 

È curioso come Macron prima parli – e faccia parlare dai suoi generali – di truppe NATO in Ucraina, e poi, resosi conto forse del rischio che corre la capitale francese durante le Olimpiadi, cerca di buttare un bicchierino d’acqua sull’incendio che ha fatto divampare.

 

La qualità non lineare e contraddittoria, del comportamento del presidente francese non stupisce, perché questo fa di lui l’uomo ideale in un posto di potere atomico per conto dell’oligarcato mondialista. Dettagli sulla sua vita privata, ora in discussione, hanno dato da pensare ad alcuni osservatori.

 

Ciò detto, il rischio per Parigi è esiziale: dopo che si è dimostrata come pienamente possibile l’anarco-tirannia con la rivolta para-islamica delle banlieues, dopo che pochi anni fa avevamo visto il problema etnico proprio nel quartiere sede dello stadio di Saint-Denis per la finale di Champions Leauge, possiamo immaginare che anche una minaccia terrorista, di natura islamica o persino «africana» (ricordiamo l’uomo che ha assaltato i passanti alla Gare De Lyon pochi mesi fa: aveva lasciato messaggi di odio per il passato coloniale della Francia) possa rovinare il grande evento sportivo, per il quale già da un anno sta cercando di mandare i campagna gli immigrati accampati nella capitale.

 

Macron forse ora si rende conto che aggiungere ulteriore tensione potrebbe segnare le Olimpiadi di Parigi al pari, o peggio, di quelle di Monaco 1972?

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di EU2017EE Estonian Presidency via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

Continua a leggere

Geopolitica

Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati

Pubblicato

il

Da

Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.   In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».   Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.

Sostieni Renovatio 21

Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.   Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.   L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.   «Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».   Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».   Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.   «Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.

Aiuta Renovatio 21

«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato   Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.   L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.   Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.   Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di Al Jazeera English via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic  
Continua a leggere

Geopolitica

Birmania, ancora scontri al confine, il ministro degli Esteri tailandese annulla la visita al confine

Pubblicato

il

Da

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Il primo ministro Sretta Thavisin ha rinunciato alla visita, ma ha annunciato la creazione di un comitato ad hoc per gestire la situazione. Nel fine settimana, infatti, si sono verificati ulteriori combattimenti lungo la frontiera tra Myanmar e Thailandia e migliaia di rifugiati continuano a spostarsi da una parte all’altra del confine. Per evitare una nuova umiliazione l’esercito birmano ha intensificato i bombardamenti.

 

Il primo ministro della Thailandia Sretta Thavisin questa mattina ha cancellato la visita che aveva in programma a Mae Sot, città al confine con il Myanmar, e ha invece mandato al suo posto il ministro degli Esteri e vicepremier Parnpree Bahidda Nukara.

 

Nei giorni scorsi era stata annunciata la creazione di «un comitato ad hoc per gestire la situazione derivante dai disordini in Myanmar», ha aggiunto il premier. «Sarà un meccanismo di monitoraggio e valutazione» che avrà come scopo quello di «analizzare la situazione complessiva» e «dare pareri e suggerimenti per gestire in modo efficace la situazione».

 

La Thailandia, dopo i ripetuti fallimenti da parte dell’ASEAN (Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) di far rispettare l’accordo di pace in Myanmar, sta cercando di evitare che un esodo di rifugiati in fuga dalla guerra civile si riversi sui propri confini proponendosi come mediatore. «Il ruolo della Thailandia è quello di fare tutto il possibile per aiutare a risolvere il conflitto nel Paese vicino, e un ruolo simile è atteso anche dalla comunità internazionale», ha dichiarato ieri il segretario generale del primo ministro Prommin Lertsuridej.

 

Durante il fine settimana si sono verificati ulteriori scontri a Myawaddy (la città birmana dirimpettaia di Mae Sot), nello Stato Karen, tra le truppe dell’esercito golpista e le forze della resistenza, che hanno strappato il controllo della città ai soldati, grazie anche al cambio di bandiera della Border Guard Force, che, trasformatasi nell’Esercito di liberazione Karen (KLA), è passata a sostenere la resistenza e sta combattendo per la creazione di uno Stato Karen autonomo.

 

Giovedì scorso, l’Esercito di Liberazione Nazionale Karen (KNLA, una milizia etnica da non confondere con il KNA) aveva annunciato di aver intercettato l’ultimo gruppo di militari rimasto, il battaglione di fanteria 275. Alla notizia, l’esercito ha risposto con pesanti bombardamenti, lanciando l’Operazione Aung Zeya (dal nome del fondatore della dinastia Konbaung che regnò in Birmania nel XVIII secolo), nel tentativo di riconquistare Myawaddy ed evitare così un’altra umiliante sconfitta.

 

The Irrawaddy scrive che l’aviazione birmana ha sganciato nei pressi del Secondo ponte dell’amicizia (uno dei collegamenti tra Mae Sot e Myawaddy) circa 150 bombe, di cui almeno sette sono cadute vicino al confine thailandese dove sono di stanza le guardie di frontiera. Si tratta di una tattica a cui l’esercito birmano sta facendo ricorso sempre più frequentemente a causa delle sconfitte registrate sul campo a partire da ottobre, quando le milizie etniche e le Forze di Difesa del Popolo (PDF, che fanno capo al Governo di unità nazionale in esilio, composto dai deputati che appartenevano al precedente esecutivo, spodestato con il colpo di Stato militare) hanno lanciato un’offensiva congiunta. Una tattica realizzabile, però, solo grazie al continuo sostegno da parte della Russia. Fonti locali hanno infatti dichiarato che gli aerei e gli elicotteri «utilizzati per bombardare i villaggi e per consegnare rifornimenti e munizioni» a «circa 10 chilometri dal confine tra Thailandia e Myanmar» erano «tutti russi».

 

Bangkok è stata presa alla sprovvista dalla situazione. Sabato un proiettile vagante ha colpito il retro di una casa sulla parte thailandese del confine, senza ferire nessuno, ma l’episodio ha costretto il Paese a rafforzare le proprie difese di confine, aumentando i controlli su coloro che attraversano i due ponti che collegano Myawaddy e Mae Sot, al momento ancora aperti.

 

La polizia thai ha anche arrestato 15 birmani e due thailandesi che stavano cercando di fuggire in Malaysia in cerca di migliori opportunità di lavoro. Il gruppo ha raccontato di aver valicato il confine a Mae Sot grazie all’aiuto di intermediari. Viaggi di questo tipo rischiano di diventare sempre più frequenti con l’esacerbarsi della violenza in Myanmar, sostengono gli esperti, i quali si aspettano un prosieguo dei combattimenti, almeno finché non comincerà la stagione delle piogge, che ogni anno pone un freno agli scontri.

 

Ma la Thailandia ha anche inviato aiuti in Myanmar (sebbene tramite enti gestiti dai generali) e attivato una risposta umanitaria a Mae Sot. Il Governo di unità nazionale in esilio ha ringraziato Bangkok per aver fornito riparo e assistenza ai rifugiati, prevedendo tuttavia ulteriori sfollamenti. Almeno 3mila persone – perlopiù anziani e bambini – hanno varcato il confine solo nel fine settimana, ha dichiarato due giorni fa il ministro degli Esteri Parnpree Bahidda Nukara, ma circa 2mila sono tornati a Myawaddy lunedì.

 

Il mese scorso Parnpree aveva annunciato che il Paese avrebbe potuto ospitare fino a 10mila rifugiati birmani a Mae Sot e dintorni.

 

Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne.

Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine screenshot da YouTube

Continua a leggere

Geopolitica

L’Iran minaccia ancora una volta di spazzare via Israele

Pubblicato

il

Da

Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.   Raisi è arrivato in Pakistan lunedì per una visita di tre giorni. Martedì ha parlato delle recenti tensioni tra Teheran e Gerusalemme Ovest in un evento nel Punjab.   «Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», ha detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.   Israele non ha mai riconosciuto ufficialmente un attacco aereo del 1° aprile sul consolato iraniano a Damasco, in Siria, che ha ucciso sette alti ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). Teheran ha tuttavia reagito il 13 aprile, lanciando decine di droni e missili contro diversi obiettivi in ​​Israele.   L’Iran si è scrollato di dosso una serie di esplosioni segnalate vicino alla città di Isfahan lo scorso venerdì, che si diceva fossero una risposta da parte di Israele. Lo Stato degli ebrei non ha riconosciuto l’attacco denunciato, pur criticando un ministro del governo che ne ha parlato a sproposito. Teheran ha scelto di ignorarlo piuttosto che attuare la rapida e severa rappresaglia promessa.   La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», espressione con cui spesso chiama Israele.

Sostieni Renovatio 21

Martedì, parlando a Lahore, il Raisi ha promesso di continuare a «sostenere onorevolmente la resistenza palestinese», denunciando gli Stati Uniti e l’Occidente collettivo come «i più grandi violatori dei diritti umani», sottolineando il loro sostegno al «genocidio» israeliano a Gaza.   Nel suo viaggio diplomatico il Raisi ha promesso di incrementare il commercio iraniano con il Pakistan portandolo a 10 miliardi di dollari all’anno. Le relazioni tra i due vicini sono difficili da gennaio, quando Iran e Pakistan hanno scambiato attacchi aerei e droni mirati a “campi terroristici” nei rispettivi territori.   Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.   Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.   Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiaato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.   Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di duma.gov.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Continua a leggere

Più popolari