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Geopolitica

Overton termonucleare. Overton ipersonica

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Inizio a scrivere un’oretta dopo che Biden ha finito di parlare. Il solito discorso letto al teleprompter, ad un passo dall’incespicare sulle parole. Lo hanno capito tutti, è un guscio vuoto. Assicura che non manderà soldati in Ucraina, ma nei Paesi NATO alleati: in pratica, fa la voce grossa per restare a casa sua. Accusa Putin puntando il ditino tremante.

 

Ad un certo punto lo sentiamo tutto: è l’abisso tra il discorso del presidente USA e quello del presidente russo, pronunciato stamane, quello che abbiamo riportato su questo sito. A Mosca, un una sintesi di 70 di storia, russa e mondiale, che difficilmente si può non condividere. A Washington, qualche minaccia in accento yankee, forse fasullo pure quello, e niente più.

 

Biden si è fermato qualche minuto per le domande dei giornalisti: qualcosa che ha fatto raramente, il clan dei suoi badanti-Rasputin non lo permette, perché teme la figura di merda in mondovisione. Ricordate? Il mese scorso gli scappò di chiamare pubblicamente un giornalista di Fox «stupido figlio di puttana».

 

 

Diciamo subito che è la fase più patetica di tutto lo spettacolo: Biden invece che indicare il giornalista a cui è concessa la domanda, chiamandolo per nome come da tradizione, legge dei bigliettini, forse perché non è in grado di ricordare i nomi, forse perché le domande sono concordate, non si sa. Ma non è la cosa peggiore: le sue risposte alla pioggia di domande anche piuttosto pertinenti della stampa impaurita dalla guerra, danno un quadro desolante. Non applicheranno, al momento, l’esclusione della Russia dallo SWIFT, minacciata velatamente e non, e considerata un’arma economica di extrema ratio. Il mentitore del Delaware si vanta di aver fatto partire una quantità di sanzioni, ma alla domanda su come mai non sia stato sanzionato personalmente Putin non risponde. Alla domanda su quale sia ora la politica da seguire con la Cina su questo conflitto, nemmeno c’è risposta.

 

La domanda sugli affari di suoi figlio (cioè, del clan Biden) con gli oligarchi ucraini di Burisma tuttavia non arriva…

 

Insomma: quantomeno a parole, dagli USA non dovremmo aspettarci sorprese. Come invece sorprese incredibili sono arrivate da Mosca. Nessuno, davvero nessuno, si aspettava una cosa del genere. Un attacco su larga scala, con caccia, bombardieri, elicotteri, navi, missili, uomini a terra.

 

Eppure lo aveva detto. Non solo nel discorso di attacco di stamane: lo aveva detto anche in quello dell’altro giorno, prima delle firme per il riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e Lugansk. In realtà lo aveva detto quasi per un decennio. Rispuntano massime attribuite a Mikheil Saak’ashvili, ex presidente georgiano, ex governatore dell’oblast’ di Odessa (traiettoria strana, se non si considera il salvacondotto neocon), ora in carcere a Tbilisi: «Putin dice al mondo esattamente cosa vuole e cosa è disposto a fare per questo. L’Occidente non lo prende sul serio finché non è troppo tardi».

 

È vero. È stato sempre così. In Cecenia, nei primi anni 2000. In Ossezia e Abcasia, nel 2008. In Crimea nel 2014. In Siria nel 2015. E tutti gli anni riguardo all’Ucraina nella NATO.

 

Dite quello che volte, ma Putin, l’ex spia KGB, è di una sincerità ineffabile, geometrica.

 

Quindi eccoci di fronte ad un fuoco annunciato. Anzi spiegato nelle sue cause geopolitiche, storiche e cosmiche, con dovizia di particolari, in messaggi urbi et orbi.

 

L’Occidente è di fronte a qualcosa di mai visto. Lo avrete percepito anche voi se avete guardato qualche immagine del conflitto.

 

Non ci siamo abituati: l’«altro da noi» non è un esercito di cartapesta come quello iracheno, sulla carta il quarto più potente del mondo, nei fatti del 2003 un ammasso di burro sotto il sole del deserto. Non ci sono i pastori di capre con la barbona e il kalashnikov (allora, ora sono armati fino ai denti, dono degli USA). Non ci arrivano le tristi immagini di edifici serbi sventrati da missili.

L’altro da noi, per la prima volta, non è un Paese piccolo o sottosviluppato. È una superpotenza. E non ha nemmeno iniziato a farci vedere di cosa è capace

 

L’altro da noi, è una potenza militarmente incredibile, probabilmente perfino superiore. Guardate i video di aerei che attaccano al suolo e poi evadono la contraerea con virate mai viste. Stormi di elicotteri che attaccano depositi di munizioni. Aeroporti resi inagibili dai missili Kalibr, che già il mondo aveva visto in azione, in un misto di ammirazione e tremore, in Siria.

 

L’altro da noi, per la prima volta, non è un Paese piccolo o sottosviluppato. È una superpotenza. E non ha nemmeno iniziato a farci vedere di cosa è capace.

 

Qui sta il vero punto della questione. Putin ha fatto capire che davanti ad una minaccia come quella di trovarsi missili e truppe NATO nel giardino di casa è disposto alla guerra – la guerra calda. E non ricordiamo interventi di questa portata. Non a Cuba, non nel Caucaso né in Est Europa negli anni Cinquanta, Sessanta, o alla caduta del Muro.

 

Putin ha fatto all-in, ho sentito dire, con gergo pokeristico, da un bravo analista militare. Non è del tutto vero: ribadiamo, non abbiamo visto ancora niente. Tuttavia, non è sbagliato pensare che quello che è stato mostrato, più che i muscoli e l’artiglieria, è la volontà.

Ci chiediamo: c’è la volontà di andare oltre, e, magari, spezzare il tabù dei tabù, e cioè l’atomo?

 

Ci chiediamo: c’è la volontà di andare oltre, e, magari, spezzare il tabù dei tabù, e cioè l’atomo?

 

Da parte americana, è già stato dichiarato da più di qualche rappresentante eletto a Washington, di ambo gli schieramenti. E perché dimenticarlo: le atomiche, con fare un po’ spaccone, le aveva agitate anche Trump contro Kim Jong-un, prima di portarlo al tavolo di Singapore.

 

La Russia non può che prenderne atto, e, in caso reagire. Sicuramente, il nucleare non è pensabile utilizzarlo in Ucraina, visto che tutta questa grande operazione di castrazione militare in corso è in realtà, come dichiarato da Putin con richiami alla storia e ai legami di sangue, un grande riassorbimento di Kiev nella realtà russa.

 

Però, altrove, è pensabile?

 

Quest’ultimo aggettivo ci riporta alla Finestra di Overton. Ricorderete, è il processo cognitivo per cui qualcosa di impensabile può, dopo determinate fasi di transizione, realizzarsi, essere perfino legalizzato. Il cannibalismo è impensabile, ma può diventare radicale, accettabile, razionale, popolare, legale. Per altre devianze ora razionalmente accettate, popolari e legali, è stato così.

 

L’uso delle armi termonucleari è impensabile, è rimasto per decenni un tabù assoluto, rafforzato da infinite cooperazioni tra le due superpotenze per limitare l’idea di uno scambio atomico tra le due superpotenze. Ora è così? Ora sarebbe un’opzione radicale. Diventerebbe immediatamente accettabile e razionale dopo la prima bomba, qualsiasi delle due parti cominci.

 

Una volta passata quella linea, vogliamo dire, non c’è modo di tornare indietro.

 

E sappiamo pure quale pensiero va ad installarsi immediatamente: quello secondo cui un conflitto nucleare è «sopravvivibile». È la dottrina atomica di Herman Kahn, stratega nucleare della RAND Corporation, un think tank del Pentagono, negli anni caldi della Guerra Fredda.

«Nel nostro tempo, la guerra termonucleare può sembrare impensabile, immorale, insana, orrenda, molto improbabile, ma essa non è impossibile (…). Nonostante i nostri sforzi un giorno potremmo trovarci faccia a faccia con la scelta netta di arrenderci o andare in guerra» Herman Kahn (1962)

 

Kahn, profondo conoscitore della Teoria dei Giochi, relativizzò la portata dell’opzione atomica, e cominciò ad affermare – destando scandalo presso le anime belle – che una guerra nucleare non solo è possibile, ma che, a differenza di quello che sostengono in molti, essa può avere un vincitore.

 

Kahn osava pensare l’impensabile, come suggerisce il titolo di un suo libro del 1962, Thinking the Unthinkable:

 

«Nel nostro tempo, la guerra termonucleare può sembrare impensabile, immorale, insana, orrenda, molto improbabile, ma essa non è impossibile (…). Nonostante i nostri sforzi un giorno potremmo trovarci faccia a faccia con la scelta netta di arrenderci o andare in guerra».

 

In un altro suo libro scioccante, On Thermonuclear War («Sulla guerra termonucleare», con evidente riferimento a Sulla Guerra del Von Clausevitz ) descrisse un panorama completo del dopo-bomba: gli anziani avrebbero dovuto mangiare il cibo contaminato, riservando alle nuove generazioni la precedenza sugli alimenti non radioattivi; il fallout nucleare sarebbe divenuto solo uno dei tanti contrattempi della vita; le deformazioni fetali prodotte dalle radiazioni vi sarebbero state, sì, ma un certo numero di bambini sarebbe comunque nato sano.

 

Tutti questi erano da considerare «tragic but distinguishable postwar states», stati postbellici tragici ma percepibili, descrivibili. Si dice che Stanley Kubrick leggendo questo libro trovò l’ispirazione per Il Dottor Stranamore.

 

Insomma: una società post-apocalittica retta sull’utilitarismo e l’eugenetica, cioè dalla Necrocultura. La quale già governa larga parte del nostro mondo, ma che nel mondo post-nucleare sarebbe slatentizzata per sempre, con uno stato di emergenza definitivo fatto di macerie radioattive fumanti.

 

Il Kahn non era solo, c’era anche il Mao – e non è un giuoco di parole stupidino, ma una profonda realtà storica.

Tuttavia, l’atomica non è l’unica cosa impensabile che potrebbe venire improvvisamente realizzata in questi giorni

 

Quando Mao Zedong definì la bomba atomica «una tigre di carta», questo stava dicendo: provate pure a tirarci addosso l’atomo, noi sopravvivremo, guardate che siamo tanti – e abbiamo costruito una città sotterranea fatta di bunker che va da Pechino a Tianjin (è ancora visitabile: e non tutti raccontano che Mao la fece costruire più per la paranoica paura delle atomiche sovietiche che di quelle americane).

 

Quindi, già la Cina, dove il successore di Mao già si presenta vestito come lui, è già fuori dalla fase impensabile: all’uso dell’atomo hanno già pensato, e da mo’. Eccome.

 

Tuttavia, l’atomica non è l’unica cosa impensabile che potrebbe venire improvvisamente realizzata in questi giorni.

 

Vi parliamo, per l’ennesima volta, e sempre più soli nel panorama desolato dell’informazione italiana e occidentale, delle armi ipersoniche, e della loro importanza.

 

Non lo facciamo perché ci sembra interessante, perché analiticamente crediamo che avranno un grande ruolo in futuro: ne parliamo perché lo sta facendo Putin, in continuazione, da settimane. E nessuna testata sembra dare spazio alla cosa.

 

Davvero, lo ha ribadito anche stamattina:

«La Russia moderna, anche dopo il crollo dell’URSS e la perdita di una parte significativa del suo potenziale, è oggi una delle più forti potenze nucleari del mondo e, inoltre, presenta alcuni vantaggi in una serie di gli ultimi tipi di armi» Vladimir Putin

 

«La Russia moderna, anche dopo il crollo dell’URSS e la perdita di una parte significativa del suo potenziale, è oggi una delle più forti potenze nucleari del mondo e, inoltre, presenta alcuni vantaggi in una serie di gli ultimi tipi di armi».

 

Questi «ultimi tipi di arma» sono certamente i missili Tsirkon, vettori ipersonici in grado di colpire viaggiando a più di 10 mila chilometri all’ora. Gli Tsirkon, ultimati in pompa magna il 31 dicembre (quasi fossero raudi, fuochi d’artificio da mostrare al capodanno del mondo), sono sicuramente carichi e puntati. Gli Americani, a quanto sembra, non hanno ancora armi ipersoniche pronte per essere schierate.

 

Il risultato, al di là dei danni materiali e militari, è a livello strategico: le armi ipersoniche non sono intercettabili, quindi infrangono completamente l’equilibrio su cui si reggeva la Brinkmanship, la tesa, ma in fondo pacifica, enantiodromia tra le superpotenze nucleari.

 

Pensate agli anni Settanta: Mosca e Washington facevano trattati per smettere di sviluppare difese antimissilistiche: il famoso Trattato anti-missili balistici (ABM), impediva a russi e americani di schierare difese a livello nazionale contro missili balistici strategici. Per quanto possa sembrare pazzesco, è così: i due Paesi rinunciavano a difendersi, pur di mantenere l’equilibrio atomico.

 

Ora le ipersoniche disintegrano quell’equilibrio.

 

Putin ne ha parlato varie volte, ma non è chiaro se vorrà utilizzare le ipersoniche e seppellire per sempre ogni rete di sicurezza della Guerra Fredda.

 

L’uso di missili ipersonici, di cui l’altra parte non dispone, mette l’avversario all’angolo, quindi capace di fare qualsiasi cosa. Farlo è impensabile. Ma fino a quando?

La Finestra di Overton ipersonica potrebbe spalancarsi in un attimo, nel corso di una notte, con un discorso inappuntabile di Putin a giustificare tutto

 

La Finestra di Overton ipersonica potrebbe spalancarsi in un attimo, nel corso di una notte, con un discorso inappuntabile di Putin a giustificare tutto.

 

E poi?

 

E poi, non sappiamo nulla. Gli USA risponderebbero con una sventagliata di atomiche? Oppure metterebbero in campo altre armi di cui non abbiamo contezza? Armi biologiche? Armi genomiche per la pulizia etnica? Armi a microonde? Sciami infiniti di droni assassini?

 

Non abbiamo idea di cosa succederà: sappiamo però che la devastazione massiva è dietro l’angolo, e i passetti per arrivarvi, come abbiamo scritto, sono già tutti visibili.

 

Un tempo c’erano uomini veri che lavoravano fino all’ultimo minuto per scongiurare la distruzione. C’erano i Kruscev e i Kennedy.

Ecco il vero precipizio a cui siamo dinanzi: la rapida Finestra di Overton atomica e ipersonica può  spalancare alla Cultura della Morte l’intero XXI secolo

 

Essi credevano nel valore dell’umanità, nella necessità di preservarla, nell’imperativo della sua riproduzione;  forse credevano perfino, da qualche parte dentro il loro cuore, in Dio.

 

Possiamo dire lo stesso ora? Credono ancora, tra aborti, provette e sodomia, nella riproduzione umana? Credono ancora nella custodia dell’umanità, virus eco-cancerogeno per il pianeta? Credono ancora, da qualche parte nel loro essere, in Dio?

 

Guardate Biden e i suoi sgherri. Rispondetevi da soli.

 

Ecco il vero precipizio a cui siamo dinanzi: la rapida Finestra di Overton atomica e ipersonica può  spalancare alla Cultura della Morte l’intero XXI secolo.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

Immagine di VHS222 via Deviantart pubblica su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)

 

Geopolitica

Il console croato in Iran ferito negli attacchi israeliani

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Il console croato in Israele e sua moglie sono rimasti feriti durante gli attacchi missilistici balistici dell’Iran su Tel Aviv, ha affermato il ministro degli Esteri croato Gordan Grlic Radman.

 

Il ministro ha confermato l’accaduto in un post su X, affermando che le ferite riportate dal diplomatico e dalla moglie erano «lievi e non sono in pericolo di vita».

 

«Sono sconvolto dalla notizia che il nostro console e sua moglie sono rimasti feriti nell’attacco di Tel Aviv. L’edificio in cui vivono è stato colpito», ha scritto Grlic Radman.

 

 

«Condanniamo fermamente gli attacchi contro civili e strutture diplomatiche. Chiediamo un’immediata de-escalation e moderazione», ha aggiunto il ministro croato.

 

Come riportato da Renovatio 21, Israele ha colpito appartamenti a Teheran causando diecine di morti. Anche Tel Aviv in queste ore è stata colpita da missili lanciati dall’Iran.

 

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Geopolitica

L’inviato di Trump delinea il piano per la pace in Ucraina

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Keith Kellogg, inviato speciale del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ha affermato che la pace nel conflitto ucraino è a portata di mano. Ha suggerito di valutare come i termini delineati da Kiev e Mosca potrebbero allinearsi in un accordo finale per porre fine ai combattimenti.   Durante l’ultimo round di colloqui all’inizio di questo mese, Russia e Ucraina si sono scambiate bozze di memorandum su una tabella di marcia verso un eventuale accordo di pace. La versione di Mosca richiede all’Ucraina di riconoscere la perdita di cinque regioni che si sono unite alla Russia tramite referendum, di ritirare le sue forze da quei territori, di impegnarsi alla neutralità e di limitare le proprie capacità militari.   L’Ucraina ha respinto la proposta, definendola «un ultimatum», ha respinto qualsiasi concessione territoriale e la neutralità, e ha chiesto un cessate il fuoco completo e incondizionato di 30 giorni.

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Kellogg, incaricato di lavorare sui memorandum scambiati tra Ucraina e Russia, ha spiegato che il suo team ha elaborato quelli che chiamano «term sheet», documenti che delineano un possibile scenario finale per la pace. Secondo lui, hanno prima esaminato il term sheet ucraino, seguito da quello russo. I memorandum sono stati poi combinati per valutare come i loro contenuti potessero essere allineati in un accordo finale, ha aggiunto.   «Li abbiamo messi insieme. E ci siamo detti: OK. Come si possono fondere questi due documenti per arrivare a un risultato finale?», ha dichiarato durante un forum organizzato dal German Marshall Fund a Bruxelles giovedì. Secondo il Kellogg, ora si sentono abbastanza tranquilli riguardo alla direzione delle discussioni.   «Sappiamo come appare uno stato finale, come potrebbe apparire, come dovrebbe apparire», ha detto, aggiungendo: «Se solo riuscissimo ad arrivare a quel punto, pensiamo che sia possibile vincerlo. Ed è lì che si vuole davvero arrivare».   Alla domanda su cosa potesse comportare specificamente lo «stato finale», il Kelloggo ha fatto riferimento all’idea di un cessate il fuoco globale. Ha chiarito che un tale accordo si applicherebbe alle posizioni detenute sul terreno, in sostanza, dove le forze si trovavano fisicamente in quel momento.   I round di maggio e giugno avevano segnato i primi colloqui diretti tra Russia e Ucraina dal 2022, anno del ritiro di Kiev.   Come riportato da Renovatio 21, il negoziatore ucraino David Arakhamia ha successivamente affermato che il ritiro era stato consigliato dall’allora premier britannico Boris Johnson di non firmare un accordo, un’affermazione che Johnson nega.   Kiev è tornata ai colloqui sotto la pressione di Trump, in quello che Mosca ha definito un passo atteso da tempo. L’amministrazione Trump insiste sul fatto di voler raggiungere una soluzione duratura al conflitto ucraino, non la resa di Kiev o la sconfitta della Russia.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia  
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Geopolitica

Bannon: l’America viene prima degli interessi di Israele

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Gli Stati Uniti dovrebbero perseguire i propri interessi anziché quelli di Israele, ha affermato Steve Bannon, già consigliere del presidente americano Donald Trump, avvertendo che la nuova escalation in Medio Oriente potrebbe potenzialmente trascinare Washington in una guerra con l’Iran.

 

Bannon ha rilasciato queste dichiarazioni al Financial Times sabato, suggerendo che gli interessi degli Stati Uniti e del suo più stretto alleato in Medio Oriente non sono necessariamente gli stessi nell’attuale crisi.

 

«Loro sono Israele al primo posto; noi dobbiamo essere sempre America First», ha affermato. «A Gerusalemme dovrebbero riflettere sul messaggio di Cristo: di spada si vive, di spada si muore».

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Alla domanda se temesse che gli Stati Uniti potessero essere trascinati in una guerra contro l’Iran, l’ex alleato di Trump ha risposto di essere «molto» diffidente nei confronti di un simile scenario.

 

L’esercito israeliano ha lanciato un massiccio attacco contro l’Iran venerdì mattina, colpendo impianti nucleari e installazioni militari in tutto il Paese. Ha anche lanciato omicidi mirati, uccidendo diversi comandanti militari di alto rango e scienziati nucleari di alto profilo. Gerusalemme Ovest ha affermato che l’attacco era una misura preventiva volta a impedire la presunta imminente produzione di una bomba nucleare da parte di Teheran.

 

L’Iran ha reagito lanciando un massiccio missile balistico e un bombardamento di droni contro Israele, promettendo di continuare gli attacchi finché lo riterrà necessario. Teheran ha ripetutamente negato di aver covato piani per un programma di armi nucleari, insistendo sul fatto che le sue attività di arricchimento dell’uranio servivano esclusivamente a scopi civili.

 

L’attacco israeliano alla Repubblica Islamica giunge dopo cinque round di colloqui tra Stati Uniti e Iran sul programma nucleare del Paese. I negoziati si sono di fatto bloccati e non hanno prodotto alcun risultato tangibile. Dopo l’attacco, Teheran ha dichiarato che la prosecuzione del dialogo con Washington era «inutile».

 

Come riportato da Renovatio 21, il Trump afferma di essere stato a conoscenza in anticipo degli imminenti attacchi israeliani, e li ha elogiati come «un grande successo». Trump ha insinuato che Teheran si sia attirata l’attacco a causa della sua riluttanza a raggiungere un accordo nucleare con gli Stati Uniti.

 

«Abbiamo dato loro una possibilità, e non l’hanno colta. Sono stati colpiti duramente, molto duramente. Sono stati colpiti duramente quanto si può essere colpiti voi. E ce ne saranno altre. Molte altre», ha detto venerdì, commentando l’attacco.

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Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza CC BY-SA 2.0

 

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