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Overton termonucleare. Overton ipersonica

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Inizio a scrivere un’oretta dopo che Biden ha finito di parlare. Il solito discorso letto al teleprompter, ad un passo dall’incespicare sulle parole. Lo hanno capito tutti, è un guscio vuoto. Assicura che non manderà soldati in Ucraina, ma nei Paesi NATO alleati: in pratica, fa la voce grossa per restare a casa sua. Accusa Putin puntando il ditino tremante.

 

Ad un certo punto lo sentiamo tutto: è l’abisso tra il discorso del presidente USA e quello del presidente russo, pronunciato stamane, quello che abbiamo riportato su questo sito. A Mosca, un una sintesi di 70 di storia, russa e mondiale, che difficilmente si può non condividere. A Washington, qualche minaccia in accento yankee, forse fasullo pure quello, e niente più.

 

Biden si è fermato qualche minuto per le domande dei giornalisti: qualcosa che ha fatto raramente, il clan dei suoi badanti-Rasputin non lo permette, perché teme la figura di merda in mondovisione. Ricordate? Il mese scorso gli scappò di chiamare pubblicamente un giornalista di Fox «stupido figlio di puttana».

 

 

Diciamo subito che è la fase più patetica di tutto lo spettacolo: Biden invece che indicare il giornalista a cui è concessa la domanda, chiamandolo per nome come da tradizione, legge dei bigliettini, forse perché non è in grado di ricordare i nomi, forse perché le domande sono concordate, non si sa. Ma non è la cosa peggiore: le sue risposte alla pioggia di domande anche piuttosto pertinenti della stampa impaurita dalla guerra, danno un quadro desolante. Non applicheranno, al momento, l’esclusione della Russia dallo SWIFT, minacciata velatamente e non, e considerata un’arma economica di extrema ratio. Il mentitore del Delaware si vanta di aver fatto partire una quantità di sanzioni, ma alla domanda su come mai non sia stato sanzionato personalmente Putin non risponde. Alla domanda su quale sia ora la politica da seguire con la Cina su questo conflitto, nemmeno c’è risposta.

 

La domanda sugli affari di suoi figlio (cioè, del clan Biden) con gli oligarchi ucraini di Burisma tuttavia non arriva…

 

Insomma: quantomeno a parole, dagli USA non dovremmo aspettarci sorprese. Come invece sorprese incredibili sono arrivate da Mosca. Nessuno, davvero nessuno, si aspettava una cosa del genere. Un attacco su larga scala, con caccia, bombardieri, elicotteri, navi, missili, uomini a terra.

 

Eppure lo aveva detto. Non solo nel discorso di attacco di stamane: lo aveva detto anche in quello dell’altro giorno, prima delle firme per il riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e Lugansk. In realtà lo aveva detto quasi per un decennio. Rispuntano massime attribuite a Mikheil Saak’ashvili, ex presidente georgiano, ex governatore dell’oblast’ di Odessa (traiettoria strana, se non si considera il salvacondotto neocon), ora in carcere a Tbilisi: «Putin dice al mondo esattamente cosa vuole e cosa è disposto a fare per questo. L’Occidente non lo prende sul serio finché non è troppo tardi».

 

È vero. È stato sempre così. In Cecenia, nei primi anni 2000. In Ossezia e Abcasia, nel 2008. In Crimea nel 2014. In Siria nel 2015. E tutti gli anni riguardo all’Ucraina nella NATO.

 

Dite quello che volte, ma Putin, l’ex spia KGB, è di una sincerità ineffabile, geometrica.

 

Quindi eccoci di fronte ad un fuoco annunciato. Anzi spiegato nelle sue cause geopolitiche, storiche e cosmiche, con dovizia di particolari, in messaggi urbi et orbi.

 

L’Occidente è di fronte a qualcosa di mai visto. Lo avrete percepito anche voi se avete guardato qualche immagine del conflitto.

 

Non ci siamo abituati: l’«altro da noi» non è un esercito di cartapesta come quello iracheno, sulla carta il quarto più potente del mondo, nei fatti del 2003 un ammasso di burro sotto il sole del deserto. Non ci sono i pastori di capre con la barbona e il kalashnikov (allora, ora sono armati fino ai denti, dono degli USA). Non ci arrivano le tristi immagini di edifici serbi sventrati da missili.

L’altro da noi, per la prima volta, non è un Paese piccolo o sottosviluppato. È una superpotenza. E non ha nemmeno iniziato a farci vedere di cosa è capace

 

L’altro da noi, è una potenza militarmente incredibile, probabilmente perfino superiore. Guardate i video di aerei che attaccano al suolo e poi evadono la contraerea con virate mai viste. Stormi di elicotteri che attaccano depositi di munizioni. Aeroporti resi inagibili dai missili Kalibr, che già il mondo aveva visto in azione, in un misto di ammirazione e tremore, in Siria.

 

L’altro da noi, per la prima volta, non è un Paese piccolo o sottosviluppato. È una superpotenza. E non ha nemmeno iniziato a farci vedere di cosa è capace.

 

Qui sta il vero punto della questione. Putin ha fatto capire che davanti ad una minaccia come quella di trovarsi missili e truppe NATO nel giardino di casa è disposto alla guerra – la guerra calda. E non ricordiamo interventi di questa portata. Non a Cuba, non nel Caucaso né in Est Europa negli anni Cinquanta, Sessanta, o alla caduta del Muro.

 

Putin ha fatto all-in, ho sentito dire, con gergo pokeristico, da un bravo analista militare. Non è del tutto vero: ribadiamo, non abbiamo visto ancora niente. Tuttavia, non è sbagliato pensare che quello che è stato mostrato, più che i muscoli e l’artiglieria, è la volontà.

Ci chiediamo: c’è la volontà di andare oltre, e, magari, spezzare il tabù dei tabù, e cioè l’atomo?

 

Ci chiediamo: c’è la volontà di andare oltre, e, magari, spezzare il tabù dei tabù, e cioè l’atomo?

 

Da parte americana, è già stato dichiarato da più di qualche rappresentante eletto a Washington, di ambo gli schieramenti. E perché dimenticarlo: le atomiche, con fare un po’ spaccone, le aveva agitate anche Trump contro Kim Jong-un, prima di portarlo al tavolo di Singapore.

 

La Russia non può che prenderne atto, e, in caso reagire. Sicuramente, il nucleare non è pensabile utilizzarlo in Ucraina, visto che tutta questa grande operazione di castrazione militare in corso è in realtà, come dichiarato da Putin con richiami alla storia e ai legami di sangue, un grande riassorbimento di Kiev nella realtà russa.

 

Però, altrove, è pensabile?

 

Quest’ultimo aggettivo ci riporta alla Finestra di Overton. Ricorderete, è il processo cognitivo per cui qualcosa di impensabile può, dopo determinate fasi di transizione, realizzarsi, essere perfino legalizzato. Il cannibalismo è impensabile, ma può diventare radicale, accettabile, razionale, popolare, legale. Per altre devianze ora razionalmente accettate, popolari e legali, è stato così.

 

L’uso delle armi termonucleari è impensabile, è rimasto per decenni un tabù assoluto, rafforzato da infinite cooperazioni tra le due superpotenze per limitare l’idea di uno scambio atomico tra le due superpotenze. Ora è così? Ora sarebbe un’opzione radicale. Diventerebbe immediatamente accettabile e razionale dopo la prima bomba, qualsiasi delle due parti cominci.

 

Una volta passata quella linea, vogliamo dire, non c’è modo di tornare indietro.

 

E sappiamo pure quale pensiero va ad installarsi immediatamente: quello secondo cui un conflitto nucleare è «sopravvivibile». È la dottrina atomica di Herman Kahn, stratega nucleare della RAND Corporation, un think tank del Pentagono, negli anni caldi della Guerra Fredda.

«Nel nostro tempo, la guerra termonucleare può sembrare impensabile, immorale, insana, orrenda, molto improbabile, ma essa non è impossibile (…). Nonostante i nostri sforzi un giorno potremmo trovarci faccia a faccia con la scelta netta di arrenderci o andare in guerra» Herman Kahn (1962)

 

Kahn, profondo conoscitore della Teoria dei Giochi, relativizzò la portata dell’opzione atomica, e cominciò ad affermare – destando scandalo presso le anime belle – che una guerra nucleare non solo è possibile, ma che, a differenza di quello che sostengono in molti, essa può avere un vincitore.

 

Kahn osava pensare l’impensabile, come suggerisce il titolo di un suo libro del 1962, Thinking the Unthinkable:

 

«Nel nostro tempo, la guerra termonucleare può sembrare impensabile, immorale, insana, orrenda, molto improbabile, ma essa non è impossibile (…). Nonostante i nostri sforzi un giorno potremmo trovarci faccia a faccia con la scelta netta di arrenderci o andare in guerra».

 

In un altro suo libro scioccante, On Thermonuclear War («Sulla guerra termonucleare», con evidente riferimento a Sulla Guerra del Von Clausevitz ) descrisse un panorama completo del dopo-bomba: gli anziani avrebbero dovuto mangiare il cibo contaminato, riservando alle nuove generazioni la precedenza sugli alimenti non radioattivi; il fallout nucleare sarebbe divenuto solo uno dei tanti contrattempi della vita; le deformazioni fetali prodotte dalle radiazioni vi sarebbero state, sì, ma un certo numero di bambini sarebbe comunque nato sano.

 

Tutti questi erano da considerare «tragic but distinguishable postwar states», stati postbellici tragici ma percepibili, descrivibili. Si dice che Stanley Kubrick leggendo questo libro trovò l’ispirazione per Il Dottor Stranamore.

 

Insomma: una società post-apocalittica retta sull’utilitarismo e l’eugenetica, cioè dalla Necrocultura. La quale già governa larga parte del nostro mondo, ma che nel mondo post-nucleare sarebbe slatentizzata per sempre, con uno stato di emergenza definitivo fatto di macerie radioattive fumanti.

 

Il Kahn non era solo, c’era anche il Mao – e non è un giuoco di parole stupidino, ma una profonda realtà storica.

Tuttavia, l’atomica non è l’unica cosa impensabile che potrebbe venire improvvisamente realizzata in questi giorni

 

Quando Mao Zedong definì la bomba atomica «una tigre di carta», questo stava dicendo: provate pure a tirarci addosso l’atomo, noi sopravvivremo, guardate che siamo tanti – e abbiamo costruito una città sotterranea fatta di bunker che va da Pechino a Tianjin (è ancora visitabile: e non tutti raccontano che Mao la fece costruire più per la paranoica paura delle atomiche sovietiche che di quelle americane).

 

Quindi, già la Cina, dove il successore di Mao già si presenta vestito come lui, è già fuori dalla fase impensabile: all’uso dell’atomo hanno già pensato, e da mo’. Eccome.

 

Tuttavia, l’atomica non è l’unica cosa impensabile che potrebbe venire improvvisamente realizzata in questi giorni.

 

Vi parliamo, per l’ennesima volta, e sempre più soli nel panorama desolato dell’informazione italiana e occidentale, delle armi ipersoniche, e della loro importanza.

 

Non lo facciamo perché ci sembra interessante, perché analiticamente crediamo che avranno un grande ruolo in futuro: ne parliamo perché lo sta facendo Putin, in continuazione, da settimane. E nessuna testata sembra dare spazio alla cosa.

 

Davvero, lo ha ribadito anche stamattina:

«La Russia moderna, anche dopo il crollo dell’URSS e la perdita di una parte significativa del suo potenziale, è oggi una delle più forti potenze nucleari del mondo e, inoltre, presenta alcuni vantaggi in una serie di gli ultimi tipi di armi» Vladimir Putin

 

«La Russia moderna, anche dopo il crollo dell’URSS e la perdita di una parte significativa del suo potenziale, è oggi una delle più forti potenze nucleari del mondo e, inoltre, presenta alcuni vantaggi in una serie di gli ultimi tipi di armi».

 

Questi «ultimi tipi di arma» sono certamente i missili Tsirkon, vettori ipersonici in grado di colpire viaggiando a più di 10 mila chilometri all’ora. Gli Tsirkon, ultimati in pompa magna il 31 dicembre (quasi fossero raudi, fuochi d’artificio da mostrare al capodanno del mondo), sono sicuramente carichi e puntati. Gli Americani, a quanto sembra, non hanno ancora armi ipersoniche pronte per essere schierate.

 

Il risultato, al di là dei danni materiali e militari, è a livello strategico: le armi ipersoniche non sono intercettabili, quindi infrangono completamente l’equilibrio su cui si reggeva la Brinkmanship, la tesa, ma in fondo pacifica, enantiodromia tra le superpotenze nucleari.

 

Pensate agli anni Settanta: Mosca e Washington facevano trattati per smettere di sviluppare difese antimissilistiche: il famoso Trattato anti-missili balistici (ABM), impediva a russi e americani di schierare difese a livello nazionale contro missili balistici strategici. Per quanto possa sembrare pazzesco, è così: i due Paesi rinunciavano a difendersi, pur di mantenere l’equilibrio atomico.

 

Ora le ipersoniche disintegrano quell’equilibrio.

 

Putin ne ha parlato varie volte, ma non è chiaro se vorrà utilizzare le ipersoniche e seppellire per sempre ogni rete di sicurezza della Guerra Fredda.

 

L’uso di missili ipersonici, di cui l’altra parte non dispone, mette l’avversario all’angolo, quindi capace di fare qualsiasi cosa. Farlo è impensabile. Ma fino a quando?

La Finestra di Overton ipersonica potrebbe spalancarsi in un attimo, nel corso di una notte, con un discorso inappuntabile di Putin a giustificare tutto

 

La Finestra di Overton ipersonica potrebbe spalancarsi in un attimo, nel corso di una notte, con un discorso inappuntabile di Putin a giustificare tutto.

 

E poi?

 

E poi, non sappiamo nulla. Gli USA risponderebbero con una sventagliata di atomiche? Oppure metterebbero in campo altre armi di cui non abbiamo contezza? Armi biologiche? Armi genomiche per la pulizia etnica? Armi a microonde? Sciami infiniti di droni assassini?

 

Non abbiamo idea di cosa succederà: sappiamo però che la devastazione massiva è dietro l’angolo, e i passetti per arrivarvi, come abbiamo scritto, sono già tutti visibili.

 

Un tempo c’erano uomini veri che lavoravano fino all’ultimo minuto per scongiurare la distruzione. C’erano i Kruscev e i Kennedy.

Ecco il vero precipizio a cui siamo dinanzi: la rapida Finestra di Overton atomica e ipersonica può  spalancare alla Cultura della Morte l’intero XXI secolo

 

Essi credevano nel valore dell’umanità, nella necessità di preservarla, nell’imperativo della sua riproduzione;  forse credevano perfino, da qualche parte dentro il loro cuore, in Dio.

 

Possiamo dire lo stesso ora? Credono ancora, tra aborti, provette e sodomia, nella riproduzione umana? Credono ancora nella custodia dell’umanità, virus eco-cancerogeno per il pianeta? Credono ancora, da qualche parte nel loro essere, in Dio?

 

Guardate Biden e i suoi sgherri. Rispondetevi da soli.

 

Ecco il vero precipizio a cui siamo dinanzi: la rapida Finestra di Overton atomica e ipersonica può  spalancare alla Cultura della Morte l’intero XXI secolo.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

Immagine di VHS222 via Deviantart pubblica su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)

 

Geopolitica

La «Legione georgiana» di Kiev pianifica una Maidan a Tbilisi questo autunno

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Il Servizio di Sicurezza dello Stato della Georgia (SSS) ha pubblicato un comunicato il 18 settembre in cui afferma che il Paese si trova ad affrontare la minaccia di violenti disordini orchestrati dalla cerchia ristretta dell’ex presidente Mikheil Saakashvili e «attraverso il coordinamento e il sostegno finanziario dei Paesi esteri».

 

La Sicurezza di Stato georgiana precisa che i golpisti pianificano, nei prossimi tre mesi, il «rovesciamento violento» del governo georgiano, usando come modello il colpo di Stato ucraino di Maidan del 2014.

 

Il documento cita come probabile fattore scatenante un prossimo rapporto dell’Unione Europea che respinge la candidatura della Georgia: «le aspettative dei cospiratori che pianificano di rovesciare il governo statale sono adattate alla circostanza in cui la conclusione [dell’UE] rilasciata sarà negativa, il che creerà un terreno fertile di disordini civili e ulteriori rivolte attraverso entrambe le reti di informazione a loro disposizione, nonché etichettando artificialmente il governo come “filo-russo”».

 

La Sicurezza dello Stato fa il nome di «Mamuka Mamulashvili, comandante della “Legione georgiana” operante in Ucraina».

 

 

Di cecchini provenienti dalla Georgia si parlò riguardo al massacro di Maidan, quando alcuni uomini misteriosi piazzati sui tutti sopra la piazza centra di Kiev spararono a manifestanti e polizia, creando dissidio fra le parti e aumentando il caos, con una conta di almeno 80 morti. I morti di Maidan distrussero l’accordo di pace negoziato dal governo eletto ucraino di Viktor Yanukovich e dai leader dei manifestanti.

La narrazione ufficiale non ha mai identificato chi sparò a Maidan, tuttavia sei anni fa Il Giornale intervistò un uomo che raccontava di aver sparato seguendo l’ordine di colpire forze dell’ordine e manifestanti «senza far differenza». L’intervistato è georgiano, come lo sarebbero altri due cecchini. Il documentario racconta la vicenda, Ucraina, verità nascoste, andò in onda in seconda serata su Canale 5 nel 2017.

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La Legione Nazionale Georgiana (GNL) di Mamulashvili è stata quindi schierata nel Donbass, dove è balzata sulle cronache internazionali per le accuse di aver giustiziato prigionieri di guerra russi a sole otto chilometri da Bucha il 30 marzo, cioè, se ciò fosse veritiero, appena 48 ore prima che i corpi di Bucha divenissero un caso planetario attribuito alle truppe di Mosca.

 

Secondo Grayzone, Mamulashvili sarebbe stato inviato in Ucraina dal perenne agente occidentale, l’ex presidente georgiano Mikheil Saakashvili (di cui si sostiene fosse il «consigliere militare»), l’uomo già protagonista della rivoluzione colorata di Tbilisi ma poi scappato all’estero per essere messo incredibilmente a capo dell’oblast’ ucraina di Odessa dalla presidenza post-Maidan dell’amico personale Petro Poroshenko.

 

Secondo Il Corriere della Sera, Mamuka Mamulashvili avrebbe rivendicato i video dell’eccidio apparsi su Telegram. «”L’abbiamo detto sin dal principio, noi non facciamo prigionieri” è l’allucinante spiegazione del comandante», scriveva il quotidiano italiano.

 

Sempre secondo Grayzone, la GNL «al centro del sistema di vie che incanala armi statunitensi e militanti stranieri fascisti nell’esercito ucraino, mentre il Congresso e i media americani la acclamano».

 

Tra i cospiratori del colpo di Stato pianificato in Georgia, la Sicurezza di Stato di Tbilisi ha nominato anche Giorgi Lortkiphanidze, ex vice dell’ex ministro degli Interni georgiano, che ha assunto la carica di vice capo dell’Intelligence militare ucraina nel 2022.

 

Il rapporto del Servizio di Sicurezza di Tbilisi scrive inoltre che «il piano menzionato sarà realizzato attraverso il coordinamento e il sostegno finanziario di paesi stranieri. Secondo informazioni confermate e verificate, un gruppo abbastanza numeroso di individui di origine georgiana che combattono in Ucraina, così come una parte dei giovani georgiani… saranno utilizzati per l’attuazione del piano elaborato da Giorgi Lortkiphanidze, che sono attualmente addestrati/ riqualificato nelle vicinanze del confine di stato Polonia-Ucraina. (…) il gruppo giovanile (…) dovrebbe partecipare allo scenario rivoluzionario».

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La Sicurezza di Stato georgiana cita, tra le altre tattiche, l’occupazione di Tbilisi con tendopoli, l’uso di barricate attorno agli edifici governativi e l’uso di bombe contro i civili per scatenare scontri con la polizia, «è accertato che gli organizzatori stanno considerando l’attuazione di uno scenario in Georgia, che è simile all’”Euromaidan” tenutasi in Ucraina nel 2014».

 

Una nuova rivoluzione colorata 2.0 – dove, cioè, entra di prepotenza la violenza – a Tbilisi costringerebbe la Russia a dividere la sua attenzione su un ulteriore fronte, dove peraltro ha già combattuto e vinto una brevissima guerra nel 2008 quando Saakashvili attaccò le énclave etniche russe dell’Abcazia e dell’Ossetia.

 

Da notare che anche a poca distanza, su un altro confine russo, si sta riaprendo un altro conflitto mai risolto, quello di Armenia e Azerbaigian.

 

Tale operazione del genere potrebbe essere l’unico modo per i sostenitori della «guerra permanente» di continuare il loro tentativo di spezzare strategicamente la Russia dopo il fallimento della controffensiva Ucraina.

 

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Immagine di Zaraza via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

 

 

 

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Geopolitica

Lukashenko: l’Occidente si prepara a «scaricare» Zelens’kyj

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Washington ha dato il via libera ai suoi partner per «scaricare» il presidente ucraino Vladimir Zelenskyj poiché è diventato un fastidio, ha affermato il leader bielorusso Alexander Lukashenko durante una riunione del governo venerdì. Lo riporta il sito russo RT.   Lukashenko ha indicato la disputa sul grano in corso tra Polonia e Ucraina come un esempio di questa nuova politica, sottolineando che Varsavia era stata uno dei più fedeli sostenitori di Zelens’kyj ma ora è fortemente critica nei confronti del suo partner.   Questo cambiamento è avvenuto dopo che la Polonia, insieme ad Ungheria e Slovacchia, ha vietato unilateralmente l’importazione di grano ucraino nonostante l’UE avesse scelto di revocare il suo embargo a livello di blocco. A sua volta, Kiev ha intentato una controversia contro i tre paesi presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).   «Pensate che oggi la Polonia stia esercitando pressioni sulla povera Ucraina senza motivo? No, hanno avuto il via libera dall’estero: dobbiamo scaricare questo Zelens’kyj, siamo stanchi di lui», ha dichiarato il presidente bielorusso osservando che negli Stati Uniti sono imminenti le elezioni presidenziali e ha suggerito che a quel punto nessuno si preoccuperà di Zelens’kyj.   Allo stesso tempo, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha sottolineato venerdì che Washington resterà al fianco di Zelens’kyj durante il conflitto Russia-Ucraina e ha annunciato che i carri armati Abrams di fabbricazione statunitense inizieranno ad arrivare in Ucraina la prossima settimana.   Nel frattempo, Zelens’kyj, che è alla sua seconda visita in tempo di guerra a Washington, ha insistito sul fatto che la continua lotta di Kiev contro la Russia si basava sull’assistenza militare statunitense e, secondo quanto riferito, ha affermato che se non ricevesse gli aiuti, «perderebbe la guerra».

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Finora, l’amministrazione Biden ha speso 115 miliardi di dollari in aiuti militari e finanziari a Kiev, chiedendo recentemente l’approvazione di ulteriori 24 miliardi di dollari entro la fine del mese.   Tuttavia, un numero crescente di deputati e senatori, prevalentemente del Partito Repubblicano, hanno iniziato a opporsi al finanziamento del governo Zelens’kyj con i soldi dei contribuenti statunitensi.   Il senatore repubblicano Josh Hawley del Missouri ha sottolineato mercoledì che gli Stati Uniti dovrebbero smettere di versare denaro all’infinito in Ucraina, soprattutto perché Kiev «non ha nulla da mostrare in merito». A quanto pare il senatore si riferiva alla tanto pubblicizzata controffensiva estiva di Kiev, che non è riuscita a produrre alcun guadagno territoriale significativo.   Hawley ha insistito sul fatto che gli Stati Uniti non dovrebbero spendere «un centesimo in più per l’Ucraina» e dovrebbero invece condurre una verifica dei miliardi già forniti. Ha anche suggerito che la Germania e gli altri alleati europei «si facciano avanti» per aiutare Kiev.   Il viaggio di Zelens’kyj negli USA non sembra essere stato proficuo. Lo speaker della camera Kevin McCarthy ha rifiutato di farlo parlare in aula.   Il discorso contorto e grottesco alle Nazioni Unite ha lasciato il segno: l’allucinante riferimento al cambiamento climatico e le insinuazioni con evidenza rivolte verso la Polonia che non accetta il grano ucraino – e per questo, secondo il comico, farebbe il gioco della Russia – hanno lasciato pensare al sempre più grave stato confusionale del regime di Kiev.   La disputa aperta con la Polonia, che rifiuta di mandare armi e presenta sardonicamente (iniziativa di un deputato) un conto per milioni euro a Kiev, ha dimostrato che l’immagine dell’Ucraina vittima sacra non è più inscalfibile. Fino a quando il mondo tollererà i suoi capricci, i suoi insulti e le sue minaccel’ultima verso i Paesi europei che raccolgono i profughi ucraini – non è dato sapere, ma l’incantesimo filoucraino potrebbe, di colpo, sparire.   Il crollo della banda di Kiev potrebbe essere l’unica via necessaria alla pace che salverà migliaia di vite ucraine e russe. E che impedirà lo scatenarsi della Terza Guerra Mondiale, vero obiettivo di Zelens’kyj.

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Geopolitica

La Polonia contro Kiev: stop al grano ucraino e stop all’assistenza. Deputato di Varsavia chiede il conto in milioni di euro

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Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha dichiarato alla stampa che il suo governo è pronto a fermare le spedizioni di armi, evidenziando una crescente spaccatura tra i due vicini dopo più di un anno di forte sostegno da parte di Varsavia.

 

«Non stiamo più trasferendo armi all’Ucraina, perché ora stiamo armando la Polonia con armi più moderne», ha detto Morawiecki. Successivamente ha avvertito che a Kiev potrebbero essere imposti ulteriori divieti commerciali, dato che “le autorità ucraine non capiscono fino a che punto l’industria agricola polacca sia stata destabilizzata» dalle importazioni straniere.

 

I commenti sono arrivati ​​dopo che il presidente ucraino Vladimir Zelenskyj sembrava aver rivolto un velato attacco alla Polonia durante un discorso davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite all’inizio di questa settimana, affermando che «alcuni in Europa recitano la solidarietà in un teatro politico» e stanno «facendo un thriller per il grano».

 

Lo Zelens’kyj nel suo discorso al palazzo di vetro era andato oltre dicendo che è «È inquietante vedere come alcuni in Europa stiano aiutando a preparare il terreno per un attore di Mosca».

 

«Spero che queste parole non siano rivolte alla Polonia», ha risposto un portavoce del governo polacco. In pratica, il presidente ucraino ha insinuato che la Polonia, la cui russofobia forsennata è testimoniata da storie e campanilismi millenari, sta facendo il gioco di Mosca.

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Il conflitto commerciale sul grano tra i due Paesi dell’Europa orientale si è costantemente intensificato negli ultimi mesi. Quando le principali rotte marittime del Mar Nero furono chiuse a causa del conflitto con la Russia, il grano ucraino si riversò nei mercati centrali ed europei, facendo crollare i prezzi e scatenando il caos per i produttori locali.

 

L’eccesso di grano ha portato a un divieto formale di importazione tra cinque membri dell’UE per proteggere gli agricoltori nazionali: Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia. Sebbene il divieto a livello di blocco sia scaduto la scorsa settimana, Varsavia, Budapest e Bratislava hanno scelto di mantenere la politica in vigore su base individuale, sostenendo ciascuna che è necessaria per stabilizzare i prezzi.

 

Kiev ha insistito sul fatto che i divieti sono illegali, con il ministro dell’Economia Yulia Sviridenko che ha affermato che «è di fondamentale importanza per noi dimostrare che i singoli Stati membri non possono vietare le importazioni di beni ucraini». Da allora il governo ha intentato causa presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), cercando di fermare le restrizioni commerciali, anche se Varsavia ha respinto la manovra ucraina, affermando che «un reclamo davanti all’OMC non ci impressiona».

 

Il ministro della Difesa polacco Marius Blaszczak ha dichiarato che Varsavia essenzialmente protegge gli agricoltori polacchi dai piani degli «oligarchi ucraini» che vogliono vendere il grano ucraino in Polonia.

 

Il giorno prima delle dichiarazioni di Morawiecki, un deputato polacco, Krzysztof Bosak, ha emesso «fattura» di 23 miliardi di dollari all’ambasciata ucraina, suggerendo che Kiev dovrebbe rimborsare gli aiuti ricevuti dopo aver citato in giudizio Varsavia per aver imposto un divieto sulle importazioni di grano dal paese.

 

Bosak e l’attuale vicepresidente del Movimento Nazionale deputato del blocco della Konfederacja – la Confederazione Libertà e Indipendenza – al Sjem, il Parlamento polacco.

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Il «conto» elencava vari tipi di assistenza fornita direttamente a Kiev dal governo polacco, benefici sociali pagati ai rifugiati ucraini e donazioni private effettuate da cittadini polacchi, come calcolato dall’Istituto Kiel per l’economia mondiale.

 

 

L’importo totale è probabilmente «significativamente sottostimato e incompleto», ha osservato Bosak.

 

Come riportato da Renovatio 21, la tensione tra i due Paesi è salita negli ultimi mesi, con episodi da incidente diplomatico, come la convocazione da parte del regime Zelens’kyj dell’ambasciatore di Varsavia, a cui veniva chiesto di rispondere di alcune affermazioni proferita da un alto funzionario del governo di Morawiecki riguardo una presunta ingratitudine ucraina..

 

La Polonia, stretta tra un rapporto sempre più teso con l’Ucraina e con la percezione di minaccia proveniente dalla Bielorussia, dove stazionano truppe della Wagner, ricorda bene che al termine di tutto il conflitto, potrebbe esserci l’annessione di terre ucraine occidentali che sono state in passato anche polacche. Il presidente russo Vladimir Putin ha parlato di queste mire polacche in recenti discorsi pubblici, facendo abbondanza di riferimenti storici.

 

L’idea di un’annessione di porzioni dell’Ucraina occidentale, che sono state storicamente polacche (Leopoli, Ternopoli, Rivne) aleggia sin dall’inizio nel conflitto nelle chiacchiere sui progetti di Varsavia.

 

Un articolo apparso sul quotidiano turco Cumhuriyet di fine 2022 riportava che il presidente ucraino Zelens’kyj avrebbe negoziato con le autorità polacche la partecipazione delle forze armate polacche al conflitto in Ucraina.

 

La Polonia è stata tra i più accesi sostenitori dell’Ucraina durante il conflitto con Mosca, esortando ripetutamente gli altri membri dell’UE ad aumentare gli aiuti militari e approvando una lunga serie di spedizioni di armi, compresi caccia MiG-29.

 

Il presidente polacco Andrzej Duda ha recentemente esortato Kiev a «ricordare» lo status dell’Ucraina e come hub logistico per le consegne di armi e ha paragonato il Paese a un uomo che sta annegando, che potrebbe trascinare con sé i suoi soccorritori sott’acqua. In un’intervista al Washington Post, Duda aveva detto che combattere la Russia tramite gli ucraini «è più economico».

 

Tutto ciò accade prima delle elezioni parlamentari in Polonia previste per il 15 ottobre, e non è chiaro se i politici polacchi manterranno le loro promesse o se si tratta semplicemente di un tentativo di influenzare gli elettori.

 

Nel frattempo, la Slovacchia, un altro importante sostenitore del regime di Kiev, potrebbe cambiare la sua posizione sul conflitto ucraino dopo le elezioni del 30 settembre nel paese.

 

L’ex primo ministro slovacco Robert Fico, il cui partito socialdemocratico Smer (Direzione) domina gli ultimi sondaggi, ha già dichiarato che la Slovacchia non «invierà più armi o munizioni all’Ucraina» se il suo partito dovesse far parte di un nuovo governo.

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