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Metafisica del «golpe gobbo» wagneriano

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«Putsch dei cretini». Così ha definito il golpe Vitalij Tretjakov, direttore della Nevizimaja Gazeta – decenni fa. Tretjakov infatti non si riferiva al golpe Wagner di ieri, ma al cosiddetto golpe del comitato di emergenza del 19-21 agosto 1991.

 

Non è il primo colpo di Stato vissuto dalla Russia moderna, e questo è chiaro a tutti – così come è stata immediata la lettura storica e metastorica data da Putin nel suo messaggio di ieri, quando si è riferito al putsch bolscevico del 1917 – la Rivoluzione d’Ottobre – come un disastroso evento ingegnerizzato nel pieno di una guerra per indebolire la Russia zarista e spazzarne via lo Stato.

 

Il golpe del 1991 era temuto da anni – e annunziato da mesi. Il 1° luglio di quell’anno una rivista americana, World Monitor, aveva pubblicato l’intervista di un noto «futurologo», Alvin Toffler, a un colonnello dell’URSS, Viktor Alksnis, che dipingeva un programma in cui ai primi punti c’era la detronizzazione di Gorbachev, la creazione del comitato d’emergenza, la soppressione dei partiti – incluso quello comunista. Pochi giorni dopo, il colonnello Alksnis era presentato dalle TV di tutto il globo come portavoce del comitato di emergenza.

 

Alksnis, in realtà, apparteneva al gruppo Soyuz, quindi un conservatore, cosa che lo renderebbe lontano dal giro dei putchisti, la «banda dei quattro» anti-Gorbachev e anti-Eltsin: il primo ministro Valentin Pavlov,
il ministro della Difesa Dimitrij Yazov, il capo del KGB Vladimir Krujckov e il ministro degli Interni Boris Pugo.

 

Nelle stesse ore, Belgrado ribolle: inizia la disgregazione della Yugoslavia, e i fiumi di sangue che se seguiranno – e che ancora non sono finiti.

 

Il politologo Giorgio Galli mette in fila tutti gli eventi di quel breve colpo di Stato: le vacanze di Gorbachev nella sua dacia in Crimea, l’arrivo di un comitato di emergenza, i media che pubblicano sia i decreti del comitato che gli appelli di Eltsin – che rimane, stranissamamente, libero –, la sede del Parlamento che non viene occupata benché indifesa, poi il discorso, a favore di TV nazionali e internazionali, di Eltsin da in cima al carrarmato (un pezzo di storia, sì), le barricate improvvisate di migliaia cittadini davanti a due tank delle centinaia che erano stati mobilitati (due di numero…),

 

«Di fronte a questa serie di fatti incomprensibili, tutti i media del mondo hanno sottolineato i molti misteri del 19-21 agosto, pur accreditando in linea di massima la versione secondo la quale sarebbe stato il popolo russo (o di Mosca e San Pietroburgo, già Leningrado) a sconfiggere i golpisti, mentre un esercito diviso non avrebbe osato aprire il fuoco», scrive il compianto studioso milanese.

 

«In realtà vi è una ipotesi che permetterebbe di spiegare tutti i fatti: quella di aver assistito non a un putsch dei cretini, ma a una giornata degli inganni».

 

La «giornata degli inganni» (Journée des dupes) è il mondo in cui gli storici chiamano le ore dal 10 all’11 novembre 1630, giorno che segna la piena assunzione del potere in Francia da parte del cardinale Richelieu.

 

Durante la «giornata degli ingannati» Luigi XIII, re di Francia, contro ogni previsione, riconfermò il suo ministro cardinale Richelieu, eliminando i suoi avversari politici – che erano stati portati invece a pensare di avere dalla loro parte il re – e costringendo quindi la madre di Luigi, Maria de’ Medici, all’esilio. Un’operazione complicata, politicamente raffinatissima, al limite del comprensibile, che potrebbe avere tanti punti di contatto con il tentato golpe 1991 – e quello del 2023 che ci è appena passato sotto gli occhi.

 

«Si può pensare a un accordo tra Gorbaciov e il “comitato d’emergenza” (sospetto avanzato da molti, a partire da Shevardnadze) per una stretta di freni, ma con l’intento di ciascuno dei due contraenti di giocare in qualche modo l’altro» scrive Galli parlando del colpo di Stato del 1991 «e si può ritenere che Eltsin, perfettamente informato, abbia preparato il vero “golpe bianco” (come qualche media l’ha definito), avendo già dalla sua il nerbo delle forze armate e del KGB, forse lasciando credere al “comitato” che si sarebbe limitato a una protesta verbale, attendendo lo svolgersi degli eventi».

 

Una partita articolatissima, che più che i golpisti, riguarda Eltsin e Gorbachev, che vengono considerati entrambi degli agenti della liberalizzazione della Russia, ma avevano differenze ideologiche e di agenda sostanziali.

 

«L’inganno reciproco o il gioco delle parti è tale che Gorbaciov il 22 agosto nomina ministro della Difesa, al posto del golpista Yazov, il capo di stato maggiore dell’esercito, generale Michail Moiseevic, senza gli ordini del quale è difficile pensare che i carri armati potessero muoversi e che appena il giorno prima era stato dato come nuovo membro del comitato d’emergenza al posto dello stesso Yazov, supposto malato (come altri componenti del suddetto comitato). Subito dopo Moiseevic viene sostituito dal generale Evgenij Shaposhnikov, legato a Eltsin».

 

Inganni, giochi di specchi, manovre occulte coperte da sceneggiate immense, più o meno concordate. È la Russia – che, come diceva Winston Churchill, «è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma».

 

Quindi diciamo subito che anche il golpe wagneriano del 24 giugno 2023 noi lo affrontiamo con lo stesso senso di stupore misterico che merita la grande storia della Russia e dell’Europa.

 

Se qualcuno ci ha capito qualcosa, alzi la mano – ma gliela mozzeremo al volo.

 

Che cosa è successo davvero?

 

Quali motivazioni avevano i golpisti? Chi c’era dietro di loro?

 

Cosa volevano fare arrivati a Mosca? Come pensavano di sopravvivere con 25.000 combattenti dichiarati dal boss (cifra che secondo alcuni andava dimezzata) quando sarebbe intervenuta una mobilitazione militare da milioni di uomini?

 

Perché Prigozhin ha cambiato idea? Cosa gli è stato offerto?

 

Ne stiamo sentendo di ogni tipo. Dietro Prigozhin, come no, ci sarebbero gli oligarchi russi che hanno perso soldi con le sanzioni. Ma davvero? E Prigozhin, che di suo è l’oligarca adibito direttamente dal Cremlino a portare a casa, per dirne una, l’oro del Sudan, prenderebbe ordini da loro.

 

Aspetta, aspetta: ecco i soloni, magari quelli propinatici dall’establishment dell’editoria: eddai, Prigozhin lo ha fatto per soldi, perché Shoigu non lo pagava. Eccallà, il complotto del danaro, dietro ad ogni grande avvenimento storico ci stanno i soldi. Insomma: il golpe in realtà un recupero crediti: eccerto.

 

Un attimo, non è finita: ecco che gira il messaggio Telegram: il Pentagono cinque giorni fa ammette di aver fatto un errore nei conti, in realtà a budget gli crescono 6,2 miliardi di dollari, e poco dopo, taac, scatta il golpazzo del Prigozhin. Ovvio: quei 6,2 miliardi sono stati bonificati direttamente al boss Wagner, magari via PayPal. Ed è bello sapere che lo stesso spericolato «cuoco di Putin» avrebbe messo un prezzo sulla sua vita e quella dei suoi uomini. Come se 6, 10, 100, 1000 miliardi potessero pagare la sua sicurezza in caso di ritorsione di Mosca.

 

No, davvero: da spiegare, e ancora prima da capire, è difficile. Prigozhin vivrà in esilio in Bielorussia – e si sprecano le battute sul fatto che sia più una condanna peggiore del carcere.

 

Non abbiamo gli strumenti per capire cosa è successo, tuttavia ricordiamo un paio di cose, che buttiamo lì.

 

Per esempio, il fatto che il canovaccio del tizio che si stacca dal padrone, magari ubriacandosi, è tipico del mondo dei servizi, da cui, come sappiamo tutti, deriva Putin.

 

Chi ha letto il capolavoro di letteratura di spionaggio La spia che venne dal freddo, il primo romanzo del compianto John Le Carré, conosce lo schema: un agente finge di non andar più d’accordo con i suoi capi, si fa vedere spesso al parco, magari arruffato, magari ubriaco. Ecco che di colpo cominciano ad apparire vari personaggi, che attaccano bottone, danno pacche sulle spalle, lo invitano da qualche parte: sono i servizi dell’altra parte, che credono così di farsi, grazie al supposto astio del personaggio verso i suoi superiori, un agente doppio. Mentre magari è tutta una finta per avere un agente triplo, uno che finge di far il doppiogioco per sondare piani e figure chiave dell’avversario.

 

Per alcuni è da mal di testa, per gente come Putin e i siloviki, è normale amministrazione – e ci sono le barzellette di Putin (forse, anche in questo contaminato da Silvio Berlusconi) raccontate sull’argomento: «c’è un agente della CIA che va alla Lubjanka…»

 

Considerate poi che Prigozhin era ritenuto essere in realtà un volto visibile del GRU, il servizio segreto militare russo, da sempre in concorrenza con il KGB. E allora? Ha agito per conto dei servizi militari, contro lo stesso ministero che li comanda?  Questo rientra nella teoria secondo la quale la libertà del personaggio si spiegava con il desiderio di Putin di utilizzarlo per pungolare le forze armate?

 

E quindi? Un teatro immenso? Una piazzata per far uscire qualche talpa, per far piazza pulita dei nemici interni, come fece Richelieu con la sua fronda nella «giornata degli inganni»?

 

Le voci sul fatto che il ministro della difesa Shoigu e il capo di Stato maggiore Gerasimov, non pervenuti durante la crisi, si dimetteranno a breve corre sui canali Telegram russi.

 

Si trattava di proiettare debolezza, per ringalluzzire i NATO-Kiev ad affondare un colpo che si può trasformare in una trappola come lo è stato «mattatoio di Bakhmut» creato per gli ucraini dal generale russo Surovikin detto «generale Armageddon»?

 

Oppure è una questione, davvero russa, di uomini ed emozioni? Può darsi: e anche qui guardate la differenza con il resto del mondo, per esempio negli USA dove è oramai invocata – da tutte e due le parti! – la guerra civile, che tutti dicono inevitabile (e pare proprio lo sia) ma nessuno muove un dito. In una maschia dimostrazione del fare sul serio, eccoti un putsch con marcia sulla capitale e abbattimento di elicotteri vari: solo per una questione di rispetto personale. No?

 

Chi lo sa. Prigozhin conosce Putin dai tempi in cui questi era il vice del sindaco Sobchak, mentre lui era solo un ristoratore con un passato torbido: tutta l’ascesa di Prigozhin la si deve solo al contatto personale con Putin.

 

Prigozhin, figlio di un padre ebreo e figliastro di un patrigno ebreo, viene dai bassifondi, dal mondo degli hot dog, non può appartenere all’élite, non ha fatto le accademie militare, non può essere accettato nel giro dei diplomatici (considerato, in Russia, rivale di quello dei siloviki ex KGB, chiamati talvolta con disprezzo «cekisti»), non ha insegnato l’Università di Mosca: invece, è stato in galera dieci anni.

 

Ecco, la piccola dimenticanza dei giornaloni di queste ore: in pochi hanno voluto parlare dei trascorsi carcerari del boss della Wagner, a differenza di quanto è accaduto mesi fa con Vladen Tatarskij, il blogger russo assassinato con una bomba a San Pietroburgo: i giornali italiani pubblicarono la sua fedina penale già nel titolo del pezzo. Qui nessuno che abbia anche solo sottolineato la condanna per furto e poi i nove anni in gattabuia per rapina.

 

E quindi, si è trattato di un impulso criminale che torna a galla? Il tentativo di rapina del secolo della prima superpotenza atomica mondiale? Il golpe era in realtà una «rapa» in scala bicontinentale? Il golpe era in realtà un colpo gobbo, un «golpe gobbo» per mettersi in saccoccia Mosca e la Siberia e tutto quello che contengono?

 

I giornali bizzarramente non lo hanno ipotizzato – hanno fatto migliaia di sedute psicanalitiche a distanza a Trump e Putin (ricordate: la mitica «rabbia di Roid»…) – ma di entrare in quella che potrebbe essere la  psicologia di Prigozhin, nonostante il materiale bello ricco (con nuove cose indecenti che escono ogni ora in rete), no grazie, meglio di no: magari gliela fa pure e ci toglie Putin di torno, così come vuole chi ci paga lo stipendio, e pure il suo padrone.

 

Anche se, come per il 1991, non sapremo mai bene cosa è successo, dobbiamo cercare di capire che questo spettacolo – perché, come sottolineano vari meme irresistibili, compresi quelli degli ucraini che mangiano i popcorn, di questo si tratta, comunque: di un grande show che ci ha tenuti con il fiato sospeso – si inserisce in un circo più grande: quello del mutamento dell’assetto planetario, la fine del mondo unipolare, la de-dollarizzazione, l’ascesa dei Paesi BRICS contro il blocco NATO-G7 e l’arrivo magari di valute di commercio internazionale alternative, come forse verrà annunziato al summit BRICS di agosto in Sudafrica.

 

Un golpe riuscito in Russia non abbatterebbe solo Putin, ma cambierebbe un film ben più grande.

 

Si può tuttavia andare oltre, e allargare il campo.

 

Giorgio Galli parlava del golpe 1991 in relazione alla Journéee de Dupes di Richelieu in un vecchio libro chiamato La Russia da Fatima al riarmo atomico. Ne abbiamo già parlato, di recente, così come tante, tante volte abbiamo scritto della questione di Fatima e la Russia, e di come questa potrebbe essere stata accennata apertamente in discussioni tra Bergoglio e Putin.

 

«Oggi la Russia si sta rafforzando “sullo scacchiere euro-atlantico”, denuncia gli accordi per limitare gli armamenti, accresce il suo potenziale atomico» scriveva Galli nel 2009, in un periodo dove molti invece non vedevano nella Russia un attore significativo, né un pericolo. «La situazione economica è migliorata dopo il 2004, la Russia si presenta come più forte anche per il riarmo atomico; e questo assicura a Putin un consenso, sia pure manipolato…»

 

Quante cose sono cambiate. La Russia è divenuta Paese – più ancora che ai tempi dell’Impero zarista o sovietico – protagonista delle vicende mondiali. L’assenza del suo gas scatena crisi economiche, senza i suoi fertilizzanti si creano carestie. Resiste a round continui di sanzioni, e al congelamento (quella sì è una rapina) di un terzo di trilione di dollari di fondi di Stato depositati nelle Banche Centrali straniere. Ha un esercito pronto a combattere nella guerra vera, quella con un altro Paese avanzato. Dispone di armi mai viste, missili non intercettabili, testate sottomarine in grado di sommergere interi Paesi con tsunami radioattivi alti centinaia di metri – o almeno così dicono. Le testate atomiche, di cui ha il primato per la quantità, le sta spostando in giro, e comincia a parlarne senza più tanti tabù.

 

La Russia è il Paese che troviamo a fianco a noi sul precipizio della distruzione totale. Può buttarci giù, magari facendosi pure trascinare con noi nell’abisso. Oppure può non farlo, può tenderci la mano, o stringere la nostra se gliela tendiamo noi. E finisce lì.

 

Il lettore capisca che in Russia un golpe, un mezzo golpe, un «golpe gobbo», cambia un quadro che non riguarda solo Mosca, ma riguarda tutti noi: un quadro al di là della storia e della politica, al di là dell’esistenza, perfino: metastorico, metapolitico, metafisico.

 

Il golpe gobbo di Prigozhin e il suo esiziale significato metafisico: adesso che tutti sospirano e ridacchiano, fermiamoci, ancora una volta, a pensarci.

 

L’esistenza della civiltà è appesa ad un filo. Quanti sono gli idioti che non lo hanno ancora capito?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

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Voi che uccidete Dio. E noi che lo permettiamo

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Accuso voi che avete ucciso Dio quasi duemila anni fa, e che continuate a farlo ogni mese, ogni giorno, in ogni istante.

 

Voi uccidete Dio, nella costanza dell’Impero della morte di cui siete schiavi e soldati, e non volete smettere di farlo – perché molti di voi sanno esattamente quello che stanno facendo, e di questo, godono.

 

Voi che sterminate bambini, nati e non nati, su tutta la superficie della terra – e avete inventato leggi per farlo in tranquillità.

 

Voi che pervertite i bambini, li drogate, li mutilate.

 

Voi che i bambini li bombardate senza pietà – quando sono a casa, per strada, in ospedale.

 

Voi che distruggete le famiglie con tutti i mezzi sociali, politici, legali che avete a disposizione.

 

Voi che sfruttate i lavoratori, che fate loro pagare una tassazione che li strangola.

 

Voi che condannate i malati a veleni del corpo e della mente.

 

Voi che bestemmiate il Suo nome, con indifferenza, o rabbia infame.

 

Voi che bruciate le Sue chiese, o le demolite, o le trasformate in appartamenti e Bed and Breakfast.

 

Voi che perseguitate i cristiani praticamente in tutto il pianeta, trucidandoli nel silenzio delle istituzioni.

 

Voi che inquinate con droghe statali le menti delle persone, rendendole ancora più infelici, se non omicide.

 

Voi che squartate a cuor battente le persone – sempre per legge! – solo perché hanno fatto un incidente.

 

Voi che producete bambini con gli alambicchi, disintegrandone quantità immani nel processo.

 

Voi che agite per popolare la Terra con una generazione di mostri biologici.

 

Voi che state riprogrammando l’Europa in un luogo di caos e devastazione, paganesimo e massacro.

 

Voi che avete deviato la carità in una follia suicida e genocida.

 

Voi che godete dell’iniquità demoniaca inflitta a tutti noi.

 

Voi uccidete Nostro Signore anche nell’anno 2025, in ogni singolo momento di esso.

 

E noi. Noi che lo permettiamo. Noi che rifiutiamo di intervenire dinanzi a queste stragi senza fine.

 

Noi che parliamo, cianciamo, ma che in fondo nulla otteniamo per fermare questa macchina di Morte.

 

Noi che alziamo le mani dinanzi allo Stato della Necrocultura, anzi continuiamo ad obbedirgli, a versargli le nostre tasse – a breve automaticamente.

 

Noi che conosciamo l’ingiustizia sterminatrice, ma spesso facciamo finta di nulla.

 

Noi che piangiamo, ma non sappiamo impedire l’orrore.

 

Noi che riconosciamo che Cristo è il Sacrificio di Dio per l’uomo, mentre il mondo moderno è – esattamente come nei tempi degli dèi pagani, nei programmi dell’Inferno – il sacrificio dell’uomo per il Dio: l’inversione satanica della vita, della creazione, del cosmo, dell’amore divino.

 

Noi che sappiamo, noi che abbiamo visto, eppure scappiamo davanti alla Croce.

 

Dio muore per i nostri peccati. Oggi stesso. Sì.

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine: Carl Bloch (1834-1890), Crocifissione (180), Museo Nazionale di Storia Naturale, Copenhagen.

Immagine di sdalry via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0

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Il re della morte parla in Parlamento. La democrazia italiana applaude

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È una tremenda verità rivelata, quasi per isbaglio, da un kolossal non riuscitissimo di una ventina di anni di fa.   Ricordate? Il futuro imperatore, adepto del Lato Oscuro, si presentava a camere galattiche unite per proclamare la «riorganizzazione» della Repubblica e, implicitamente, l’avvento di un impero totalitario sotto il suo comando.   «Così muore la democrazia, tra scroscianti applausi» commentava la senatrice che aveva capito il piano diabolico.   La frase non è esattamente questa – forse il film di Giorgio Lucas diceva «libertà» invece che «democrazia», ma sappiamo come nel fondale di cartapesta dello Stato moderno queste parole sono intercambiabili. La verità contenuta in questa battuta, tuttavia, la riteniamo incontrovertibile.

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Specie dopo aver visto lo spettacolo allucinante del Re britannico che pontifica nel cuore della sedicente democrazia italiana, il Parlamento. Di certo, un’esperienza rivelatoria, su tanti, troppi livelli. Perché il discorso che ha fatto, con tutti i tasti politici, geopolitici, metapolitici toccati con decisione, ha un’importanza storica di conferma sia del rapporto di sudditanza occulta tra Roma e Londra sia del ruolo metafisico che Albione e gli Windsor hanno nella storia del mondo.   Notate come i giornali, e gli ebeti che si fanno riempire la testa delle loro menzogne, abbiano sottolineato, nel discorso di re Carlo, il fatto che abbia citato Dante e persino «parlato», per qualche secondo, in Italiano. Cioè: ha letto da un foglio. Applausi.   Come se il re parlasse davvero la nostra lingua, con la tranquillità di utilizzare il connettivo «peraltro», che i parlamentari di interi partiti italiani mai pronunciato in vita loro, ammesso che sappiano che esistano gli avverbi.   Certo, voleva fare il figurone, come, peraltro, lo aveva fatto a Parigi due anni fa: Renovatio 21 ne parlò, il repubblicano Macron gli organizzò un festone, con quantità di divi veri (da Mick Jagger in giù) a… Versailles, luogo che ovviamente oggi ha un suo significato preciso. Lì, nel più totale disprezzo della plebe che venivano da mesi in erano stati proibite perfino i pranzi di Pasqua in famiglia e da costi energetici insostenibili, tra banchetti e sfarzo assoluto, il Carlo aveva dimostrato di parlare un francese ottimo, come una volta usava nell’Inghilterra che studiava.  

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Carlo nel lusso di Versailles, ospite dei figli della Rivoluzione francese. Era come dire: i re rimangono re, se sono dalla nostra parte.   Ci viene in mente, tuttavia, che la poliglossia dei reali britannici ci aveva fornito, in passato, un’altra visione, secondo alcuni (quelli che non conoscono la storia dell’aristocrazia europea, e degli Windsor) inquietante: il principe Filippo, padre di Carlo, che parla un tedesco ultrafluente. Gli Windsor, dove Filippo ha appeso il cappello, sono in realtà una famiglia della nobiltà germanica, i Sassonia Coburgo-Gotha, e Windsor è un nome preso da un paesino di campagna a caso (un rebranding si direbbe nel marketing) per sembrare più inglesi.     È proprio lui, il principe di Edimburgo, consorte della regina Elisabetta: quello che aveva giurato di volersi reincarnare in un patogeno in grado per uccidere milioni di persone. Come sa il lettore di Renovatio 21, l’ambientalismo, cioè l’antiumanismo, è una costante degli Windsor, vera famiglia della morte, e viene trasmesso, a quanto sembra, geneticamente.   E l’antiumanismo ereditario è tornato anche nel discorso di Roma, con i nostri rappresentanti a spellarsi le mani: quando con il secondo avvento di Trump pare essere cominciato il tramonto dell’ambientalismo di Stato e dei suoi dogmi, ecco che il re proclama l’emergenza del Cambiamento Climatico (argomento da cui, abbiamo visto, pare guadagnarci…), con tutte le solite storielle ripetute a pappagallo: le tempeste che ora sono ogni anno invece che ogni generazione, etc. Piove, governo ladro, avrebbe detto i mazziniani – che del resto erano pagati e programmati proprio dagli inglesi.   Anche questo, incredibilmente, è stato detto dal re nel suo discorsone: l’importanza del supporto inglese a Garibaldi, che poi andava ospite dagli inglesi. Chi conosce la vera storia dell’Italia unita non può che sorridere, nell’amarezza più profonda: il re sbatte in faccia agli italiani il fatto che, con il Risorgimento (fiancheggiato e ideato dai britannici), la penisola è divenuta uno Stato vassallo di Londra.   Si tratta di un momento di sincerità storica che, infine, va apprezzato, anche se un pat-pat – di quelli che operano sui loro amati cagnolini – in testa a qualche rappresentante democratico italiano avrebbe completato il quadretto in modo consono.   Poi, l’Ucraina: il messaggio è lo stesso, sempre. Tre anni fa lo aveva detto agli italiani anche Boris Johnson prima di mollare Downing Street: fate il governo che volete, ma continuate ad armare e sostenere Kiev.   Il re britannico ordina all’Italia di immolarsi nella sua guerra, quella che Londra porta avanti da almeno duecento anni: il «Grande Gioco» dello scontro di Albione, potenza talassocratica, con la Russia, potenza tellurica, per il controllo del mondo. La teoria della Heartland del pioniere della geopolitica Alfred Mackinder – l’idea per cui chi controlla il centro dell’Eurasia controlla il mondo – è venuta dopo, quando già Londra combatteva una guerra occulta con i russi nell’India, Pakistan, Afghanistan di Kipling.   L’enormità storica e metastorica del discorso di Carlo si fa, per noi, intollerabile. Ma, che volete farci, da queste parti si ha una visione delle cose di un certo tipo. Non possiamo pensare che gli altri la pensino come noi… oppure sì?  
  Perché, effettivamente, l’immagine più significativa offerta da Carlo in Parlamento riguarda chi era al suo lato. Da una parte, il presidente della Camera Ignazio La Russa, un uomo cresciuto nel MSI e ora militante in FDI, partiti che definiscono post-fascisti, dove la fiamma contenuta nel loro simbolo, raffigurerebbe la fiaccola che arde sulla tomba di Benito Mussolini a Predappio.   Benito Mussolini, quello che la giovane Meloni definiva come «statista», e che aveva diffuso quell’espressione chiarissima: «la perfida Albione».   Come non farsi venire in mente l’impressionante manifesto di Gino Boccasile (1901-1952) che celebrava la distruzione di Londra da parte dei V2 tedeschi.  

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Insomma: chi è cresciuto nella destra italiano aveva della Gran Bretagna una certa idea. Almeno fino a Fini, che, notate, prima di essere mandato a Gerusalemme con la kippah, aveva fatto i suoi giri di sdoganamento a Londra – dove peraltro, altro mistero, ad una certa hanno cominciato a rifugiarsi gli estremisti neri che avevano la Giustizia italiana alle calcagna…   La Russa sorride e batte le mani sul fianco destro del re della «perfida Albione». Sul fianco sinistro un’altra figura che, in teoria, proviene da una cultura non esattamente anglofila il tradizionalismo cattolico. Un giro che legge la storia britannica, e le sue ramificazioni mondiali, in modo un po’ diverso da come viene presentata: dal tradimento di Enrico VIII all’assassinio del cattolico Guido Fawkes, eroe fatto squartare dal re per aver cospirato per il ritorno del cattolicesimo in terra anglica, dalla follia della Chiesa anglicana alla decadenza dei costumi recenti proveniente dalla swinging london, dalla massoneria alle persecuzioni dei cattolici nei secoli.   E niente, anche da parte cattolica: sorrisi e applausi.   E sì che, anche senza essere integristi con il pallino della storia del mondo, da cattolici ci sarebbe tanto da dire al re, anzi, basterebbe fare qualche nome: Alfie Evans, Charlie Gard, Indi Gregory… e tanti altri bambini trucidati da Giudici della Corona e dal sistema sanitario del Regno votato all’utilitarismo più mostruoso e assassino del «best interest».   Rammentiamo: all’epoca i partiti pseudocattolici si mossero per dare ad Alfie la cittadinanza italiana, di fatto per togliere il bambino dalla condanna a morte del Regno sul cui trono ora siede il Carlo.  
  Come abbiamo scritto su Renovatio 21, il mancato intervento della famiglia reale in questi tragici casi – che smuovevano anche laggiù masse di persone, con miriadi di persone in lacrime che circondavano gli ospedali in preghiera, e gli ultras delle curve a cantare allo stadio a favore dei bambini in procinto di essere massacrati – non è un caso, non è una svista: è una feature precisa della famiglia, la cui consonanza con la Necrocultura è un dato storico, dalle proto-vaccinazioni dei reali con i relativi danni, all’uccisione del re per eutanasia di re Giorgio (bisnonno di Carlo), dai sospetti di fecondazione artificiale ante-litteram da cui sarebbe nata Elisabetta, all’ambientalismo stragista di Filippo (che, tenetelo sempre a mente, ha fondato il WWF, organizzazione ora proibita in Russia…), dai discorsi di Guglielmo figlio di Carlo sulla sovrappopolazione, agli attacchi contro gli USA che defederalizzano l’aborto fatti da principe Enrico dallo scranno ONU… la lista è pressoché infinita, e davanti a tutto questo cadono le illazioni su Jack lo Squartore o i milioni consegnati a Carlo in buste della spesa dai famigli di Bin Laden, il rapporto con il controverso miliardario russo-americano Armand Hammer, o i rapporti sporadici con i nazisti, il ritratto inquietante saltato fuori mesi fa…   La verità è che la materia inquietante non è in superficie, non è chiacchiera da rotocalco, né misfatto dietro le quinte: pare essere nella struttura stessa del casato.   Perché, ribadiamo, quella degli Windsor è una dinastia della morte, come ve ne sono, ai vertici mondiali, altre, anche non coronate, ad esempio i Rockefeller. Giornali e politicanti non solo non condividono questa prospettiva, ma la occultano con l’arma di distrazione di massa del gossip. Anni a parlarci delle vicende della Casa Reale, come se ciò avesse qualche importanza per noi. La famiglia media che mangia dinanzi al televisore magari non sa nulla di Alfie Evans e Guy Fawkes, ma sa tutto delle avventure amorose di Guglielmo ed Enrico, che per qualche ragione ora, a differenza di Carlo, vengono chiamati nelle loro lingua (i principi «William» ed «Henry»: sudditi, abituatevi all’inglese, è l’era CLIL).   Abbiamo visto l’arma di distrazione di massa sparata anche nel discorso romano del re. Carlo si è riferito alla «regina», e la cosa ha fatto un certo effetto: Camilla, i TG ci hanno insegnato a chiamarla così, ora in effetti è regina. Il re ha amorevolmente detto che era il ventesimo anniversario di matrimonio. Applausi.   Ma come? Camilla? Per anni i giornali ce l’avevano definita come la homewrecker reale, la spacca famiglia di Corte, con ogni storia a suo favore amplificata a più non posso: ecco i commenti animali sul suo aspetto fisico, ecco la questione del figlio birichino che potrebbe avere una cattiva influenza sull’erede al trono (e futuro fratellastro).  
  Nessuno pare avercela più con Camilla: i giornali del resto servono a questo, ti dicono cosa devi pensare, e poi ti fanno dimenticare, per farti pensare altro. Ecco che la love story di Carlo e Camilla da prurigine grottesca diventa evento da applaudire a Camere riunite.   Perché poi, scusate, avete scordato Diana? Avete scordato cosa il quivis de populo, britannico come italiano, dice della morte della principessa sotto il tunnel dell’Alma a Parigi? Tutti quei servizietti ammiccanti che talvolta potevano far capolino brevemente nella stampa mainstream… Tutto è perdonato.   Dimenticate tutto. Tanto a ricordarvi le vostre priorità ci pensa il capo di quel Regno che trucida i bambini malati e ti arresta per un tweet o una preghiera fatta nella tua mente. Carlo, con gli italiani, è stato chiaro, e sincero: vivete nello Stato creato dal nostro agente Garibaldi, ora sottomettevi del tutto al dogma climatico, e continuate a sostenere la guerra contro la Russia.   Scroscianti applausi.   Questa è la realtà della «democrazia» in Italia.   Roberto Dal Bosco

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Perché non stupirsi se Mattarella premia Burioni

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Proprio così: il virologo di social e programmi TV Roberto Burioni è stato premiato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

 

La cerimonia svoltasi al Quirinale – palazzo dei papi, poi usurpato dal re savoiardo, per finire ereditato dalla presidenza repubblicana – consisteva nella consegna di medaglie al «Merito della Sanità Pubblica» e ai «Benemeriti della Salute Pubblica». Al Burioni il presidente, accompagnato del ministro della Salute Orazio Schillaci (già nel famigerato CTS pandemico, poi passato tranquillamente a fare il ministro per la Meloni) ha consegnato una medaglia di bronzo.

 

Siamo informati che per l’occasione era presente anche il Capo di Stato Maggiore della Difesa Luciano Portolano: presenza militare non solo simbolica, visto che la vaccinazione genica sperimentale è stata portata sul territorio con grande sforzo dalle Forze Armate della Repubblica Italiana.

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I giornali riportano la motivazione del prestigioso premio al medico conosciuto sui social: «Per essersi distinto per il suo impegno costante a difesa della scienza e nella promozione delle vaccinazioni come indispensabili e fondamentali strumenti di prevenzione della Salute Pubblica».

 

 

«È stata una grandissima emozione» ha commentato il Burioni secondo Il Resto del Carlino. «Il presidente mi ha fatto i complimenti. Ed è stato anche un bel momento per incontrare il generale Francesco Paolo Figliuolo, un amico dai tempi della pandemia, così come il professor Franco Locatelli (presidente del Consiglio superiore di sanità)».

 

Già: Figliuolo, pensavamo di averlo dimenticato. Locatelli, pure. Anzi forse lui e l’Ospedale Bambin Gesù no.

 

 

È stato notato che siamo dinanzi ad un bel paradosso – specie per il ministro Schillaci, espressione del governo della destra che tenta di mettere in piedi una Commissione parlamentare sull’era COVID, ma poi premia uno dei suoi attori più discussi.

 

Perché Burioni non è stato spettatore dello spettacolo pandemico, così come non lo è stato durante tutto il teatro vaccinale iniziato anni prima del coronavirus. La polvere sollevata dal professore del San Raffaele è stata tantissima, provocando reazioni che non venivano unicamente da antivaccinisti e compari.

 

Rammenterete: nel febbraio 2020 va da Fazio a dire che non c’è nessun pericolo («in Italia il rischio di contrarre questo virus è 0, perché il virus non circola»), la mascherina non proteggono dal virus, poi cambia tutto con il mutare degli ordini internazionali. Assicura che chi sostiene che il virus sia fuggito dal laboratorio non ha capito nulla e va deriso («L’ultima scemenza è la derivazione del coronavirus da un esperimento di laboratorio. Tranquilli, è naturale al 100%, purtroppo»), poi, sempre con il cambiamento estero, fa retromarcia anche lì. Si fa plurime dosi di siero genico sperimenale, poi prende lo stesso il COVID («Mi sono vaccinato poco prima della ripresa delle lezioni universitarie ma non è servito»). Capita.

 

Nel mezzo, la quantità di uscite spietate, come quella sui no-vax «agli arresti domiciliari chiusi in casa come dei sorci», frecce a tutti, persino a coloro che gli avevano giustamente fatto notare che valigie si scriva con la i (aveva scritto in un post «valige», rivendicandone erroneamente la correttezza ortografica). Addosso a tutti, alla ragazza disabile leghista, all’endocrinologa della Statale, all’influencer, a Susanna Tamaro, a Heather Parisi, a Novak Djokovic, a chiunque osi contraddirlo.

 

Anthony Fauci, quello che ha ottenuto la grazia preventiva nelle ultime ore di Biden (anche lì: virologi protetti da presidenti…), ad un certo punto della sbornia di potere pandemico arrivò a suggerire di essere lui stesso la scienza. Burioni non ha mai avuto bisogno di arrivare a tanto.

 

C’è da chiedersi come il presidente Mattarella, il nutrito team che lo assiste, non si renda conto che premiare chi attaccava e canzonava mezza Italia manda un messaggio preciso, e tremendo, a tutta quella parte della popolazione italiana, che non è poca, ed è pure – grazie ai danni da vaccino – in netto aumento.

 

Del resto, abbiamo visto ancora ai tempi della legge Lorenzin – la grande prova prodromica della biopolitica pandemica e del totalismo vaccinale – il ruolo che le istituzioni avevano ritagliato per questo dottore diventato famoso improvvisamente.

 

Aveva iniziato con post su Facebook che terrorizzavano assai: ecco la foto di quello che, avendo avuto il morbillo perché non vaccinato, è cresciuto rovinato. Ecco i commenti contro chiunque osasse contraddirlo. Ecco la gioia per i primi medici che venivano radiati causa vaccini (è il caso del dottor Roberto Gava, la cui radiazione fu salutata dal nostro come «un atto di civiltà») – sì, avevano iniziato prima dell’mRNA.

 

Ci stupiva la velocità con cui la figura di questo ricercatore mai sentito prima veniva ingigantita. Colpiva il dato bibliografica: prima della legge che obbliga i nostri figli ad essere sierati per andare a scuola, Burioni aveva pubblicato con altri un libro scientifico per un editore minore di Urbino.

 

Come entra in gioco la Lorenzin le maggiori case editrici nazionali lo pubblicano a ripetizione, con frequenza mai vista. Libri con titoli non troppo sibillini: Il vaccino non è un’opinione. Le vaccinazioni spiegate a chi proprio non le vuole capire (Mondadori, 2016); La congiura dei somari. Perché la scienza non può essere democratica (Rizzoli, 2017); Balle mortali. Meglio vivere con la scienza che morire coi ciarlatani (Rizzoli, 2018). Tutto chiarissimo. L’insuperato sito satirico italiano Lercio ci fece un titolo: «Uscito nuovo libro di Burioni, si intitola ‘”Cazzo lo compri a fare ché sei un analfabeta di merda”».

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Il dottore marchigiano, la cui carriera fino ad allora, non era stata quella di star della scienza, pareva ben appoggiato. Venne presentato a Milano nel 2019 il «patto trasversale per la scienza» in cui Burioni si univa con Enrico Mentana (la cui testata Open fu poi assunta da Facebook nella lotta alle fake news anche su virus e vaccini: Renovatio 21 lo sa bene) e pure Beppe Grillo, oltre che Matteo Renzi e radicali eutanatici vari.

 

Gli va riconosciuto che anche se le istituzioni gli sono andate incontro – apice l’ospitata fissa in RAI da Fabio Fazio, lui mica si è istituzionalizzato. È rimasto quello di sempre: sparate sui social come non mai.

 

Insomma: il potere vaccinista – su cosa intendiamo speriamo di dare qualche ragguaglio nelle prossime righe – se lo teneva stretto, forse perché non aveva altro (pensate a Lopalco: ronzava da quelle parti, per poi essere ficcato dal PD alla Regione Puglia), forse perché, come usiamo dire su Renovatio 21, le sceneggiature di cui dispongono sono poche, sono sempre le stesse, e lo stiamo vedendo in questi giorni con Kennedy: voilà, epidemie di morbillo, e poi Gardaland, pardon, Disneyland

 

Il tema tuttavia non nemmeno è Burioni: è la decisione della presidenza della Repubblica di premiarlo, nonostante sia in polemica, oltre che con una larga fetta della popolazione, anche con vari politici (il ministro Salvini, per esempio) e pure qualche giornale dell’establishment (Travaglio non lo ama certo). Perché?

 

Bene, riveliamo che il rapporto tra il Quirinale e i vaccini è più serio di quanto si pensi. E non solo per il capolavoro visto in tribunale a Milano, quando in una sentenza sulla vaccinazione di una minore (il papà separato voleva sierare la figlia, la mamma proprio no) Mattarella venne citato a mo’ di fonte giuridica: si tratta di un discorso dato nell’estate 2021 alla tradizionale cerimonia del Ventaglio organizzata dall’associazione stampa parlamentare al Quirinale: si «trascura tra l’altro il monito del Presidente della Repubblica che il 28 luglio ha detto che la vaccinazione è un dovere morale e civico» avevano scritto i giudici.

 

 

C’è qualche segno più interessante che è stato dato in passato.

 

Ottobre 2016, a Roma arriva il dottor Andrew Wakefield per presentare il film sui danni da vaccino Vaxxed. Wakefield è gastroenterologo di successo che, avendo pubblicato nel 1998 uno studio (con altri dieci ricercatori!) in cui chiedeva più ricerche riguardo alla possibile correlazione tra vaccino trivalente e autismo. Una figura primaria per gli antivaccinisti e per il sistema (fatto di tutto il consenso di medici e politici che i soldi di Big Pharma possono comprare) che li combatte.

 

Ebbene, nelle stesse ore in cui Wakefield mostrava il suo film in Italia, incredibilmente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella attacca pubblicamente chi osa dubitare dei vaccini: «Le affermazioni di chi li critica sono sconsiderate e prive di fondamento».

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Mattarella non fece alcun nome, ma in tanti pensarono che il riferimento al dottore no-vax par excellence fosse incontrovertibile.

 

Di qui la domanda: perché il capo dello Stato di un Paese G7 da 60 milioni di abitanti deve muoversi per un’inezia simile? Wakefield è un medico radiato (se leggete il suo nome in un articolo di Repubblica o del Corriere difficile che non sia preceduto dalle parole «screditato» o «ciarlatano»), vive con discrezione in Texas dopo una persecuzione professionale assoluta nel suo Paese, la Gran Bretagna.

 

La proiezione di Vaxxed era una cosetta che riguardava pochi scappati di casa antivaccinisti adirati per la legge Lorenzin, con le sale cinematografiche affittate alle bisogna, col problema che talvolta i gestori si potevano pure tirare indietro all’ultima.

 

Un presidente che si muove contro un (ex) dottorino della frangia più impresentabile e vituperata…? Perché?

 

La risposta che ci siamo dati, allora come oggi, è semplice-semplice: con ogni evidenza, i vaccini sono per il sistema mondialista un argomento misteriosamente fondamentale, ed ogni critica – costi pure far muovere un presidente – deve essere ridotta a tabù.

 

Vogliamo far risuonare nella testa del lettore qualche altra eco. Renovatio 21 è tra le poche voci al mondo che ricorda i legami arcaici tra vaccinismo e massoneria. Abbiamo scritto dello strano caso dei medici massoni italiani che si palesarono da Jenner prima ancora che questi finisse i suoi esperimenti omicidi. Abbiamo scritto dei programmi di «vaccinazione universale», portati avanti con fake news e coercizione, realizzati dalle élite massoniche che avevano fatto l’Italia unita – provocando, in casi indicibili, rivolte tra la popolazione che vedeva i danni.

 

È quell’Italia unita che celebriamo a forza anche oggidì quando ci parlano di «Risorgimento». L’Italia progettata e realizzata da forze massoniche, che hanno continuato a lavorare salvo (forse) una pausa sanguinaria del ventennio e della Seconda Guerra.

 

Ora, facciamo uno sforzo per capire che certe cose, anche a distanza di secoli, non si possono dimenticare. Lo abbiamo visto, in tutto il suo orrore, alle Olimpiadi di Parigi, quando è divenuto chiaro che a distanza di due secoli e mezzo al potere in Francia c’è ancora chi è ossessionato dal sangue della regina decapitata, dallo scherno ad ogni costo del cristianesimo, dall’umiliazione dell’essere umano da sottomettere alla meccanica della Rivoluzione.

 

I vaccini, riteniamo, non sono un tema dissimile da questi. Un’eredità di un passato che solo apparentemente è rimosso, ma i cui attori ancora tramano, e strepitano, nell’ombra. Sempre meno, nell’ombra…

 

Da qui alle premiazioni ritualizzate dello Stato moderno, figlio delle devastazioni degli ultimi tre secoli, il passo è breve.

 

 

Abbiamo voglia di notare come il figlio di Bernardo Mattarella altre volte ha lanciato strali – sempre senza fare nomi… – contro figure che non sembrano congeniali all’ordine internazionale così come lo conosciamo: rammentiamo i ripetuti attacchi a Elon Musk.

 

Elone aveva da poco comperato Twitter. Il presidente dichiarò che «il modello culturale dell’Occidente è sotto sfida (…) bisogna evitare che pochi gruppi possano condizionare la democrazia».

 

Parole che non sentimmo nel maggio 2022 quando Marco Zuckerberg calò in Italia venendo ricevuto a Palazzo Chigi dal premier Mario Draghi (che era presente all’ultimo discorso di Mattarella) e dal ministro della Transizione Digitale Vittorio Colao.

 

È lo stesso Mattarella che nel 2016, abbiamo preso nota anche di questo, parlava alla plenaria Commissione Trilaterale riunitasi a Roma ringraziando David Rockfeller, il quale «ebbe l’intuizione di dar vita alla Commissione, si mosse nell’intento di capitalizzare le risorse e le energie degli ambienti imprenditoriali, culturali e sociali in America, Europa e Giappone, per superare le rigidità che sovente accompagnano le relazioni ufficiali tra Governi, così da fornire interpretazioni non formali ma originali di fenomeni complessi e dalle ampie ramificazioni».

 

Insomma: attenti agli oligarchi, a parte certi. E se parliamo della pianta dei Rockefeller, come per massoneria e vaccinismo, e ancora più in là sulla loro idea per la popolazione terrestre, il discorso si fa davvero abissale

 

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Il gioco, quindi, è un po’ più grande e profondo di quello di Burioni.

 

Il quale Burioni epperò, a differenza di noi sudditi che durante il COVID abbiamo perso il lavoro e abbiamo preso sputi dai volenterosi carnefici dell’apartheid biotica, ha ricevuto dalla massima carica dello Stato italiano una medaglia di bronzo.

 

Di bronzo. A questo punto scatta inaspettatamente una memoria musicale: è la voce di Rocco Tanica, al secolo Sergio Conforti (1964-), che, con potente poesia, canta: «Fra le maschere che un uomo può indossare ricordiamo l’argilla / Fra le maschere che un uomo può indossare come non citare il bronzo».

 

Si tratta della canzone di Elio e le Storie Tese intitolata «Shpalman» (2005), che narra di un improbabile supereroe del Naviglio piccolo che vendica coloro che sono stati derubati da «tamarri dietro l’angolo» spalmando materia in faccia agli aggressori.

 

E così, eccoci qui, anche noi, ridotti nella nostra mente ad invocare un vendicatore, che viaggi nei secoli e riporti quella Giustizia di cui andiamo fantasticando nel nostro cuor.

 

Le maschere, anche quelle di bronzo, siamo sicuri, ad una certa cadranno tutte. Quel che si farà dopo, non lo sappiamo bene.

 

Roberto Dal Bosco

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