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Civiltà

«Ricostruire l’Italia», con i draghi della distruzione

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«Questo è l’orizzonte che abbiamo davanti. Dobbiamo disegnare e iniziare a costruire, in questi prossimi anni, l’Italia del dopo emergenza». È una delle frasi salienti del discorso di Mattarella per la sua rielezione, quello interrotto dal record repubblicano di applausi scroscianti.

 

C’è da dire che parla ad un Paese che la ricostruzione dopo il disastro, in qualche modo, la ricorda ancora. L’Italia subì i bombardamenti a tappeto angloamericani, i disastri militari, il tradimento dei suoi sovrani, il veleno della guerra civile, la fame, la disperazione, la sconfitta. Eppure, ce la fece. Ne uscì un Paese che rapidamente scalò le classifiche del PIL, divenendo una delle nazioni più prospere della Terra.

 

Dove erano rovine, furono fatte case. Dove erano acquitrini, sorsero industrie. Dove c’era la lacerazione, arrivò l’unità. Dov’era dolore, venne la pace. La ricostruzione post-bellica, in Italia, fu potente e indimenticabile.

 

La «ricostruzione» che abbiamo davanti non pare in nulla simile a quella del dopoguerra. Soprattutto, perché non è una vera ricostruzione. Essa è, innanzitutto, e sempre più dichiaratamente, distruzione

Ora, la «ricostruzione» che abbiamo davanti non pare in nulla simile a quella del dopoguerra. Soprattutto, perché non è una vera ricostruzione. Essa è, innanzitutto, e sempre più dichiaratamente, distruzione.

 

Non costruiranno case o industrie. Basta ricordare come, un anno fa, era ripartito il Recovery Fund: alle infrastrutture 27,7 miliardi, alla «digitalizzazione», 48,7 miliardi: il doppio. In breve, non si costruisce niente, fuori da qualche spettro digitale, immateriale e inutile a fini del benessere umano.

 

L’unità fra le genti della «ricostruzione» non ci sarà mai: perché, programmaticamente, si è scelta la lacerazione, la divisione sociale spinta sino all’apartheid, alla discriminazione biomolecolare, la meccanica del capro espiatorio per schiacciare la minoranza che può diventare – la storia dai Balcani al Ruanda ci dice: d’improvviso – pulizia etnica.

 

Cosa si può costruire, con un Paese così diviso?

 

Cosa si può costruire, se si pensa, prima che alla carne e alla materia, ai computer?

 

Come si può costruire, poi, con chi predica apertamente la distruzione?

 

L’unità fra le genti della «ricostruzione» non ci sarà mai: perché, programmaticamente, si è scelta la lacerazione, la divisione sociale spinta sino all’apartheid, alla discriminazione biomolecolare, la meccanica del capro espiatorio per schiacciare la minoranza che può diventare – la storia dai Balcani al Ruanda ci dice: d’improvviso – pulizia etnica

Poco sotto il presidente, durante il suo discorso da applausometro, c’era il vero vincitore di questa elezione presidenziale: Mario Draghi. Egli, compreso che i partiti in questo momento non riuscivano a convergere su di lui (l’attuale inutilità della democrazia rappresentativa deve pure essere posta sotto dei limiti di pudore), ha probabilmente solo saltato un giro, cioè mezzo giro. Il testimone gli sarà passato più avanti.

 

Draghi è uno che la distruzione la conosce: anzi, possiamo dire che la teorizza, la invoca. Almeno, leggendo quanto va pubblicando.

 

Draghi è membro senior del Group of Thirty, il «Gruppo dei 30», talvolta abbreviato in G30, è un organismo internazionale di finanzieri e accademici che vogliono «approfondire la comprensione delle questioni economiche e finanziarie e ad esaminare le conseguenze delle decisioni prese nel settore pubblico e privato».

 

È qualcosa di più di una lobby (anche se ha indirizzo a Washington in K Street, la celebre via dei lobbisti), di un think tank, di un club di ricconi laureati. Il G30 raccoglie il livello più alto dei decisori economici del pianeta.

 

Il consorzio elitista fu creato decenni fa dalla Rockefeller Foundation, uno dei veicoli di una delle famiglie che in questo ultimo secolo e mezzo ha fatto di più per la diffusione della Cultura della Morte. Non è il solo ente creato dalla famiglia: un altro, per esempio, è la Commissione Trilaterale, ad una riunione plenaria della quale nell’aprile 2016 Mattarella portò il suo saluto presidenziale, elogiando il ruolo di David Rockefeller (il sito del Quirinale lo riporta tuttora senza la prima «e»)

 

I Rockefeller iniziarono gli incontri dei G30 nel 1963 a Villa Serbelloni a Bellagio, tanto che battezzarono l’operazione Bellagio Group. In quegli anni, va ricordato, i Rockefeller partecipavano attivamente ad un altro consesso di potenti miliardari e potenti internazionali raccolti in Italia, il Club di Roma di Aurelio Peccei, il cui fine era (ed è) la riduzione della popolazione terrestre.

 

Draghi è uno che la distruzione la conosce: anzi, possiamo dire che la teorizza, la invoca. Almeno, leggendo quanto va pubblicando.

Dal 1978 il Bellagio Group prese il nome di Group of Thirty. Il suo primo presidente fu Johannes Witteveen, l’ex amministratore delegato del Fondo Monetario Internazionale.

 

Mario Draghi ne è parte. È segnato come membro senior. Nel gennaio 2018, l’Ombudsman («Mediatore europeo») Emily O’Reilly chiese che Draghi, allora presidente della BCE, si dimettesse dal gruppo perché la sua appartenenza all’organizzazione poteva essere interpretata come un’influenza indebita.

 

Il gruppo dei 30 è ancora pienamente attivo. Nel 2011 fece uscire uno studio sulle cause della crisi finanziaria globale del 2008. Nel dicembre 2020 stampò un altro saggio di analisi che riguardava i cambiamenti economici del mondo post-COVID. Il testo, Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-COVID, segna il nome di Mario Draghi come co-presidente del comitato direttivo. Nelle prime pagine del volume Draghi scrive, con tanto di firma autografa, anche alcuni ringraziamenti «per conto del Gruppo dei Trenta».

 

È in questo scritto che compare la formula della «distruzione creativa». Si tratta di un famoso concetto elaborato nel secolo scorso dall’economista austriaco Joseph Schumpeter (1883-1950). Egli nel 1919, cioè a pochi mesi dalla disfatta dell’Impero asburgico, fu nominato ministro delle finanze della Prima Repubblica d’Austria. Durò poco, passò a dirigere una banca, e poi tornò all’insegnamento, per poi emigrare oltreoceano nel 1932 ed approdare alla prestigiosa università di Harvard, dove insegnò fino alla morte.

 

Nel celebre trattato economico Capitalismo, socialismo e democrazia (1942), Schumpeter scrive che la distruzione creatrice (schöpferische Zerstörung) è il «processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall’interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova».

 

La distruzione di interi comparti professionali è per l’economista austriaco la condizione ideale per l’economia e la sua necessaria evoluzione. Colpisce che questo inno alla distruzione fu scritto – negli USA – quando la distruzione era più che un concetto, era la realtà dell’Europa devastata dalla guerra. In quel momento la distruzione non era un’astrazione. La distruzione non creava: uccideva milioni di uomini. Eppure, Schumpeter, trovava consono scrivere e pubblicare l’idea della distruzione come via all’innovazione.

 

Schumpeter, nel documento 2020 del Gruppo dei 30 del dicembre 2020, è citato appena una volta. Ma tutto il testo è imperniato sul suo concetto di distruzione creatrice.

 

In sintesi, nel testo dell’ensemble di Draghi si dice che nella prima fase della crisi pandemica il problema era la liquidità, la prossima crisi sarà quella delle insolvenze. I governi non potranno salvare tutte le attività e quindi devono scegliere chi deve vivere e chi deve morire. Una sorta di dilemma del triage – i dottori che, anche in tempi COVID, decidono chi vive e chi muore – dove però si è sicuri che si deve lasciare che si compia la strage.

 

«Il settore delle imprese che emerge da questa crisi non dovrebbe apparire esattamente come quello precedente a causa degli effetti permanenti della crisi e dell’accelerazione delle tendenze esistenti come la digitalizzazione da parte della pandemia» scrive il testo.

«I governi dovrebbero incoraggiare le trasformazioni e gli adeguamenti aziendali necessari o desiderabili nell’occupazione. Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creativa”»

 

«I governi dovrebbero incoraggiare le trasformazioni e gli adeguamenti aziendali necessari o desiderabili nell’occupazione. Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creativa” poiché alcune aziende si restringono o chiudono e ne aprono di nuove e poiché alcuni lavoratori devono spostarsi tra aziende e settori, con un’adeguata riqualificazione e assistenza transitoria. Tuttavia, anche i governi che sostengono tale adattamento in linea di principio potrebbero dover adottare misure per gestire i tempi della distruzione creativa per tenere conto degli effetti a catena di cambiamenti eccessivamente rapidi, come i regimi di insolvenza che potrebbero essere sopraffatti».

 

In un paragrafo intitolato «Apocalisse Zombie» è scritto si parla di «zombie-firms», aziende-zombie create dalla crisi finanziaria, viene posta, per bocca di un banchiere singaporese, la domanda finale: «Continuerete (…) ad usare le finanze pubbliche per sostenere le aziende o lascerete che la distruzione creativa accada  à la Schumpeter?».

 

In pratica, stanno dicendo: volenti o nolenti, ricostruiremo l’intero sistema economico come vogliamo noi: o meglio, lo resetteremo. Gli Stati daranno una mano, ammortizzeranno il cambiamento, conterranno gli effetti spiacevoli della disoccupazione, con milioni di lavoratori che andranno «riqualificati». Le aziende che boccheggeranno stremate dai lockdown imposti, saranno definite «zombie», e come tali trattate: morti viventi, creature inutili e non più umane, buone, appunto, per dei massacri che garantiscono l’assenza del senso di colpa, come nei film e serie TV sui morti viventi.

 

Assomiglia un po’ ai discorsi sul Grande Reset, sì – del resto, Draghi e Schwab alle volte si incontrano, come pochi mesi fa.

 

Assomiglia a un grande piano che, più che ricostruire, al momento sembra interessato a distruggere. O meglio: può ricostruire solo se distrugge, e distrugge perché vuole ricostruire secondo un suo preciso disegno.

Assomiglia a un grande piano che, più che ricostruire, al momento sembra interessato a distruggere. O meglio: può ricostruire solo se distrugge, e distrugge perché vuole ricostruire secondo un suo preciso disegno. Solve et coagula

 

Solve et coagula. Il principio della trasformazione secondo l’alchimia, un’idea poi passata a certe importanti società segrete ancora ben rappresentate in Italia.

 

Siamo anni luce dalle gioie e dai sudori della ricostruzione postbellica. Siamo infinitamente lontani dall’Italia che costruisce le autostrade, dalle famiglie che risparmiano e comprano l’auto, da Enrico Mattei, dall’Inter del Mago Herrera.

 

È chiaro quale sia il motivo profondo, metafisico, metapolitico, metastorico, di tutto questo. È la grande inversione realizzata: la Civiltà, da latrice dell’Essere, è divenuta barbarie del Niente.

 

È chiaro quale sia il motivo profondo, metafisico, metapolitico, metastorico, di tutto questo. È la grande inversione realizzata: la Civiltà, da latrice dell’Essere, è divenuta barbarie del Niente. Laddove il mondo viveva secondo un concetto di espansione – cosa vero perfino nel mondo marxista-leninista – ora vi è stata innestata una contrazione

Laddove il mondo viveva secondo un concetto di espansione – cosa vero perfino nel mondo marxista-leninista – ora vi è stata innestata una contrazione.

 

Siamo troppi, dobbiamo ridurre il numero degli esseri umani sulla terra – magari non figliando, o uccidendo subito la prossima generazione di esseri umani. Inquiniamo troppo, dobbiamo ridurre i consumi, o ridurre perfino la quantità di luce solare – partendo sempre dall’idea di diminuire subito la popolazione.

 

Questi concetti dei «limiti dello sviluppo» furono di fatto escogitati da Peccei e dal suo Club di Roma emanato dai Rockefeller (famiglia dove l’antinatalismo è trasmesso geneticamente). Peccei commissionò al politecnico bostoniano MIT uno studio che dimostrasse che l’espansione della Civiltà, nell’industria e nella popolazione, era finita: gli scienziati obbedirono, e consegnarono uno studio che prevedeva l’imminente esaurirsi delle risorse, e il collasso del pianeta, tra guerre e carestie, a causa della sovrappopolazione.

 

Erano tutte previsioni false, ovviamente: tuttavia, da queste menzogne scaturì l’ecologia moderna, che, come il Gruppo dei 30, ha in mente costantemente la distruzione dell’opera dell’uomo, parassita del pianeta.

 

Tale processo di contrazione dell’universo umano possiamo chiamarlo Necrocultura, o Cultura della Morte. Essa è la forza di gravità del mondo nuovo: ogni cosa tende naturalmente verso l’uccisione o la degradazione dell’essere umano.

 

Vuoi far l’amore? Solo con la contraccezione. Sei incinta? Puoi abortire. Sei malato? Puoi chiedere di suicidarti con l’eutanasia. Hai fatto un incidente di macchina? Ti espianteranno gli organi quando il tuo cuore ancora batte.

 

La Necrocultura è più che un concetto, una lettura del reale: essa è il fondamento di intere istituzioni, politiche e – ce ne rendiamo conto soprattutto ora – sanitarie. Essa è la base ideologica, latente o patente, di interi partiti, di interi Paesi

La Necrocultura è più che un concetto, una lettura del reale: essa è il fondamento di intere istituzioni, politiche e – ce ne rendiamo conto soprattutto ora – sanitarie. Essa è la base ideologica, latente o patente, di interi partiti, di interi Paesi.

 

La Necrocultura è distruzione creatrice – anche se non crea nulla e uccide tanto, lo scopo del resto è quello. È la guerra senza pietà all’Imago Dei.

 

Pensate al legame, sempre più sincrono nel mondo moderno, tra distruzione e riproduzione. Se vuoi avere in braccio un bambino fatto in provetta, devi uccidere almeno qualche decina di embrioni.  Distruzione creativa, distruzione procreativa: devi ammazzare per far nascere un bambino. Devi fare, per quanto invisibili nei loro vetrini in laboratorio, veri sacrifici umani per portarti a casa il bebè che corona il tuo sogno di famigliuola borghese arredata a dovere.

 

Il lettore può capire ora anche il legame che esiste tra la distruzione creatrice del bambino in provetta e la pandemia COVID. I cinesi, grazie alla bioingegneria CRISPR, hanno già creato (almeno) due gemelle immuni all’HIV. Quanto ci vorrà perché proporranno bambini geneticamente programmati per l’immunità al SARS-nCoV-2? Quanto ci vorrà prima che il bambino bioingegnerizzato anti-COVID (o anti-Ebola, Marburg, etc.) divenga obbligatorio? Perché, ricordatelo, «sarà come vaccinarli»…

 

Quindi, quale ecatombe di embrioni sacrificheremo alla distruzione procreatrice?

 

Milioni.

 

Come possiamo ricostruire le nostre città, se sono liberi i draghi della distruzione?

E questo massacro non servirà a «costruire l’Italia», ma a maledire la Civiltà.

 

Accettiamo la morte di oceani di embrioni. Accettiamo la morte di migliaia di aziende. Accettiamo la morte di ogni nostro diritto, perfino di quello di respirare. Accettiamo il nostro stesso massacro.

 

Come è possibile che, quindi, crediamo ad una qualche «ricostruzione»?

 

Come possiamo ricostruire le nostre città, se sono liberi i draghi della distruzione?

 

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

Immagine di LazyRemnant via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)

Civiltà

Putin: le élite occidentali si oppongono a tutti i popoli della Russia

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Il presidente russo Vladimir Putin ha messo in guardia dai tentativi occidentali di seminare divisione fra le genti russe e dai tentativi di frammentare il suo territorio secondo linee etniche. Lo riporta il sito governativo RT.

 

Intervenendo alla sessione plenaria del Consiglio internazionale del popolo russo, Putin ha lanciato un appassionato appello alla solidarietà tra i diversi popoli del Paese. Tali sforzi mirano non solo a danneggiare il popolo russo stesso, ma contro tutti i gruppi che compongono il paese, ha dichiarato Putin.

 

«La russofobia e altre forme di razzismo e neonazismo sono diventate quasi l’ideologia ufficiale delle élite dominanti occidentali. Sono diretti non solo contro i russi, ma contro tutti i popoli della Russia: tartari, ceceni, avari, tuvini, baschiri, buriati, yakuti, osseti, ebrei, ingusci, mari, altaiani. Siamo tanti, non li nominerò tutti adesso, ma, ripeto, questo è diretto contro tutti i popoli della Russia», ha dichiarato il Presidente.

 

«L’Occidente non ha bisogno di un Paese così grande e multinazionale come la Russia», ha continuato il presidente, aggiungendo che la diversità e l’unità della Russia «semplicemente non si adattano alla logica dei razzisti e dei colonizzatori occidentali».

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Ecco perché, secondo Putin, l’Occidente ha iniziato a suonare «la vecchia melodia» di chiamare la Russia una «prigione di nazioni», descrivendo il popolo russo come «schiavi» e arrivando addirittura a chiedere la «decolonizzazione» della Russia.

 

«Abbiamo già sentito tutto questo», ha detto, aggiungendo che ciò che gli oppositori della Russia vogliono veramente è smembrare e saccheggiare il paese, se non con la forza, almeno seminando discordia all’interno dei suoi confini.

 

Putin ha continuato avvertendo che qualsiasi interferenza esterna o provocazione volta a provocare conflitti etnici o religiosi nel Paese sarà considerata un «atto aggressivo» e un tentativo di utilizzare ancora una volta il terrorismo e l’estremismo come strumento per combattere la Russia.

 

«Reagiremo di conseguenza», ha dichiarato.

 

Il presidente ha sottolineato che l’attuale lotta della Russia per la sovranità e la giustizia è «senza esagerazione» di «natura di liberazione nazionale» perché è una lotta per la sicurezza e il benessere dei suoi cittadini.

 

Putin ha anche osservato che il popolo russo, come già fatto in passato, è diventato ancora una volta un ostacolo per coloro che lottano per il dominio globale e cercano di portare avanti la loro «eccezionalità».

 

«Oggi lottiamo non solo per la libertà della Russia, ma per la libertà del mondo intero», ha detto il presidente, precisando che Mosca è ora «in prima linea nella creazione di un ordine mondiale più equo» e che «senza un governo sovrano, una Russia forte, non è possibile alcun ordine mondiale duraturo e stabile».

 

Come riportato da Renovatio 21, all’ultima edizione del Club Valdai Putin aveva tenuto un denso discorso dove lasciava intendere una concezione della Russia come Stato-civiltà.

 

Riguardo alle élite occidentali, parlando di forniture di gas, il presidente russo aveva lamentato due mesi fa la mancanza di «persone intelligenti». Considerando le bollette, è davvero difficile dargli qui torto.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

 

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Stato-civiltà e mondo moderno. Il discorso integrale di Putin al Club Valdai 2023

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Renovatio 21 pubblica il discorso integrale tenuto dal presidente della Federazione Russa Vladimir Putin all’edizione 2023 del Club Valdai. Renovatio 21 ha pubblicato sabato scorso un sunto del discorso e delle risposte che ha dato al pubblico durante uno scambio dal vivo durato quattro ore. I discorsi di Valdai di Putin rivestono sempre un’importanza considerevole. Renovatio 21 ha pubblicato negli scorsi anni la trascrizione del discorso 2022 e 2021.     Partecipanti alla sessione plenaria, colleghi, signore e signori,   Sono lieto di dare il benvenuto a tutti voi a Sochi all’incontro anniversario del Valdai International Discussion Club. Il moderatore ha già detto che questo è il 20° incontro annuale.   In linea con le sue tradizioni, il nostro, o dovrei dire il vostro forum, ha riunito leader politici e ricercatori, esperti e attivisti della società civile provenienti da molti paesi del mondo, riaffermando ancora una volta il suo elevato status di piattaforma intellettuale rilevante. Le discussioni di Valdai riflettono invariabilmente i più importanti processi politici globali del XXI secolo nella loro interezza e complessità.   Sono certo che anche oggi sarà così, come probabilmente lo è stato anche nei giorni precedenti in cui avete discusso tra voi. Resterà così anche in futuro perché il nostro obiettivo è fondamentalmente quello di costruire un mondo nuovo. Ed è in queste fasi decisive che voi, miei colleghi, avete un ruolo estremamente importante da svolgere e avete una responsabilità speciale come intellettuali.   Nel corso degli anni di lavoro del club, sia la Russia che il mondo hanno visto cambiamenti drastici, e persino drammatici, colossali. Vent’anni non sono un periodo lungo per gli standard storici, ma in epoche in cui l’intero ordine mondiale si sta sgretolando, il tempo sembra ridursi.   Penso che sarete d’accordo sul fatto che negli ultimi vent’anni si sono verificati più eventi che nei decenni in alcuni periodi storici precedenti, e sono stati i grandi cambiamenti a dettare la trasformazione fondamentale dei principi stessi delle relazioni internazionali.   All’inizio del XXI secolo, tutti speravano che gli Stati e i popoli avessero imparato la lezione dei costosi e distruttivi scontri militari e ideologici del secolo precedente, vedendone la nocività, la fragilità e l’interconnessione del nostro pianeta, e comprendendo che i problemi globali del l’umanità richiede un’azione congiunta e la ricerca di soluzioni collettive, mentre l’egoismo, l’arroganza e il disprezzo per le sfide reali porterebbero inevitabilmente a un vicolo cieco, proprio come i tentativi dei paesi più potenti di imporre le proprie opinioni e interessi a tutti gli altri. Questo dovrebbe essere diventato ovvio per tutti. Avrebbe dovuto, ma non è stato così. Non è così.   Quando ci siamo incontrati per la prima volta alla riunione del club quasi 20 anni fa, il nostro Paese stava entrando in una nuova fase del suo sviluppo. La Russia usciva da un periodo di convalescenza estremamente difficile dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Abbiamo lanciato energicamente e con buona volontà il processo di costruzione di un nuovo ordine mondiale, che consideravamo più giusto. È un vantaggio che il nostro Paese possa dare un enorme contributo perché abbiamo cose da offrire ai nostri amici, ai partner e al mondo nel suo insieme.   Purtroppo il nostro interesse per un’interazione costruttiva è stato frainteso, visto come obbedienza, come un accordo secondo cui il nuovo ordine mondiale sarebbe stato creato da coloro che si erano dichiarati vincitori della Guerra Fredda. È stato visto come un’ammissione che la Russia era pronta a seguire la scia degli altri e a lasciarsi guidare non dai nostri interessi nazionali ma da quelli di qualcun altro.   Nel corso di questi anni, abbiamo avvertito più di una volta che questo approccio non solo avrebbe portato a un vicolo cieco, ma che sarebbe stato irto della crescente minaccia di un conflitto militare. Ma nessuno ci ha ascoltato né ha voluto ascoltarci. L’arroganza dei nostri cosiddetti partner occidentali ha raggiunto le stelle. Questo è l’unico modo in cui posso dirlo.   Gli Stati Uniti e i suoi satelliti hanno intrapreso un percorso costante verso l’egemonia negli affari militari, nella politica, nell’economia, nella cultura e persino nella morale e nei valori. Fin dall’inizio ci è stato chiaro che i tentativi di instaurare un monopolio erano destinati a fallire.   Il mondo è troppo complicato e diversificato per essere soggetto a un unico sistema, anche se è sostenuto dall’enorme potere dell’Occidente accumulato in secoli di politica coloniale. Anche i vostri colleghi – molti di loro oggi sono assenti, ma non negano che la prosperità dell’Occidente è stata ottenuta in larga misura saccheggiando le colonie per diversi secoli. Questo è un fatto. Essenzialmente, questo livello di sviluppo è stato raggiunto derubando l’intero pianeta.

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La storia dell’Occidente è essenzialmente la cronaca di un’espansione infinita. L’influenza occidentale nel mondo è un immenso schema piramidale militare e finanziario che ha costantemente bisogno di più «carburante» per sostenersi, con risorse naturali, tecnologiche e umane che appartengono ad altri. Questo è il motivo per cui l’Occidente semplicemente non può e non intende fermarsi. I nostri argomenti, ragionamenti, appelli al buon senso o proposte sono stati semplicemente ignorati.   L’ho detto pubblicamente sia ai nostri alleati che ai nostri partner. C’è stato un momento in cui ho semplicemente suggerito: forse dovremmo aderire anche noi alla NATO? Ma no, la NATO non ha bisogno di un Paese come il nostro. No. Voglio sapere, di cos’altro hanno bisogno? Pensavamo di essere diventati parte della folla, di aver messo piede nella porta. Cos’altro avremmo dovuto fare? Non c’era più alcun confronto ideologico. Quale era il problema? Immagino che il problema fossero i loro interessi geopolitici e l’arroganza verso gli altri. La loro autoesaltazione era ed è il problema.   Siamo costretti a rispondere alla pressione militare e politica sempre crescente. Ho detto molte volte che non siamo stati noi a dare inizio alla cosiddetta «guerra in Ucraina». Al contrario, stiamo cercando di porvi fine.   Non siamo stati noi a orchestrare un colpo di stato a Kiev nel 2014 – un colpo di stato sanguinoso e anticostituzionale. Quando [fatti simili] accadono in altri luoghi, sentiamo subito tutti i media internazionali – soprattutto quelli subordinati al mondo anglosassone, ovviamente – che questo è inaccettabile, questo è impossibile, questo è antidemocratico. Ma il colpo di stato di Kiev era accettabile. Hanno anche citato la quantità di denaro spesa per questo colpo di stato. Tutto era improvvisamente accettabile.   A quel tempo, la Russia fece del suo meglio per sostenere il popolo della Crimea e di Sebastopoli. Non abbiamo cercato di rovesciare il governo o di intimidire la popolazione in Crimea e Sebastopoli, minacciandola di pulizia etnica nello spirito nazista.   Non siamo stati noi a cercare di costringere il Donbass a obbedire con bombardamenti e bombardamenti. Non abbiamo minacciato di uccidere chiunque volesse parlare la propria lingua madre.   Guardate, qui sono tutti persone informate ed istruite. Potrebbe essere possibile – scusate il mio «mauvais ton» – fare il lavaggio del cervello a milioni di persone che percepiscono la realtà attraverso i media. Ma dovete sapere cosa stava succedendo veramente: bombardavano il posto da nove anni, sparando e usando carri armati. Quella è stata una guerra, una vera guerra scatenata contro il Donbass. E nessuno ha contato i bambini morti nel Donbass. Nessuno ha pianto per i morti in altri Paesi, soprattutto in Occidente.   Questa guerra, quella che il regime di Kiev ha iniziato con il vigoroso e diretto sostegno dell’Occidente, dura da più di nove anni e l’operazione militare speciale della Russia mira a fermarla. E ci ricorda che i passi unilaterali, indipendentemente da chi li intraprende, porteranno inevitabilmente a ritorsioni. Come sappiamo, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Questo è ciò che fa ogni Stato responsabile, ogni Paese sovrano, indipendente e che si rispetti.   Tutti si rendono conto che in un sistema internazionale dove regna l’arbitrarietà, dove tutte le decisioni spettano a coloro che si credono eccezionali, senza peccato e nel giusto, qualsiasi paese può essere attaccato semplicemente perché non piace a un egemone, che ha perso ogni senso di proporzione – e aggiungerei, qualsiasi senso della realtà.   Purtroppo dobbiamo ammettere che i nostri omologhi occidentali hanno perso il senso della realtà e hanno oltrepassato ogni limite. Davvero non avrebbero dovuto farlo.   La crisi ucraina non è un conflitto territoriale e voglio chiarirlo. La Russia è il Paese più grande del mondo in termini di superficie e non abbiamo alcun interesse a conquistare ulteriore territorio. Abbiamo ancora molto da fare per sviluppare adeguatamente la Siberia, la Siberia orientale e l’Estremo Oriente russo. Questo non è un conflitto territoriale e non un tentativo di stabilire un equilibrio geopolitico regionale. La questione è molto più ampia e fondamentale e riguarda i principi alla base del nuovo ordine internazionale.   Una pace duratura sarà possibile solo quando tutti si sentiranno sicuri e protetti, capiranno che le loro opinioni sono rispettate e che esiste un equilibrio nel mondo in cui nessuno può forzare o obbligare unilateralmente gli altri a vivere o comportarsi come piace a un egemone, anche quando è in contraddizione con la sovranità, gli interessi genuini, le tradizioni o i costumi dei popoli e dei Paesi. In un simile accordo, il concetto stesso di sovranità viene semplicemente negato e, purtroppo, gettato nella spazzatura.   Chiaramente, l’impegno verso approcci basati sui blocchi e la spinta a portare il mondo in una situazione di continuo confronto «noi contro loro» è una brutta eredità del XX secolo. È un prodotto della cultura politica occidentale, almeno delle sue manifestazioni più aggressive.   Per ribadire, l’Occidente – almeno una certa parte dell’Occidente, l’élite – ha sempre bisogno di un nemico. Hanno bisogno di un nemico per giustificare la necessità di un’azione e di un’espansione militare. Ma hanno anche bisogno di un nemico per mantenere il controllo interno all’interno di un certo sistema di questa stessa potenza egemone e all’interno di blocchi come la NATO o altri blocchi politico-militari. Deve esserci un nemico affinché tutti possano radunarsi attorno al «leader».   Il modo in cui gli altri Stati gestiscono la propria vita non è affar nostro. Tuttavia, vediamo come le élite al potere in molti di essi stanno costringendo le società ad accettare norme e regole che le persone – o almeno un numero significativo di persone e persino la maggioranza in alcuni Paesi – non sono disposte ad abbracciare. Ma sono ancora spinti a farlo, con le autorità che inventano continuamente giustificazioni per le loro azioni, attribuiscono crescenti problemi interni a cause esterne e fabbricano o esagerano minacce inesistenti.   La Russia è l’argomento preferito di questi politici. Naturalmente ci siamo abituati nel corso della storia. Ma cercano di ritrarre coloro che non sono disposti a seguire ciecamente questi gruppi di élite occidentali come nemici. Hanno utilizzato questo approccio con vari Paesi, inclusa la Repubblica popolare cinese, e hanno provato a fare lo stesso con l’India in determinate situazioni. Adesso ci stanno flirtando, come possiamo vedere molto chiaramente.

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Siamo consapevoli e vediamo gli scenari che stanno utilizzando in Asia. Vorrei dire che la leadership indiana è indipendente e fortemente orientata a livello nazionale. Penso che questi tentativi siano inutili, eppure continuano con loro. Cercano di dipingere il mondo arabo come un nemico; lo fanno in modo selettivo e cercano di agire in modo accurato, ma questo è il punto.   Cercano perfino di presentare i musulmani come un ambiente ostile, E così via e così via. Infatti, chiunque agisca in modo indipendente e nel proprio interesse viene immediatamente visto dalle élite occidentali come un ostacolo da rimuovere.   Nel mondo vengono imposte associazioni geopolitiche artificiali e vengono creati blocchi ad accesso limitato. Lo vediamo accadere in Europa, dove da decenni viene perseguita una politica aggressiva di espansione della NATO, nella regione dell’Asia-Pacifico e nell’Asia meridionale, dove stanno cercando di distruggere un’architettura di cooperazione aperta e inclusiva. Un approccio basato sui blocchi, se diciamo le cose col loro nome, limita i diritti dei singoli Stati e restringe la loro libertà di svilupparsi lungo il proprio percorso, tentando di chiuderli in una «gabbia» di obblighi.   In un certo senso, ciò equivale ovviamente all’espropriazione di parte della loro sovranità, spesso seguita dall’applicazione delle proprie soluzioni non solo nel campo della sicurezza ma anche in altri settori, in primo luogo l’economia, cosa che sta accadendo ora nelle relazioni tra i Paesi Stati Uniti ed Europa. Non c’è bisogno di spiegarlo adesso. Se necessario, ne potremo parlare in dettaglio durante la discussione dopo il mio intervento di apertura.   Per raggiungere questi obiettivi, cercano di sostituire il diritto internazionale con un «ordine basato su regole», qualunque cosa ciò significhi. Non è chiaro quali siano queste regole e chi le abbia inventate. È solo spazzatura, ma stanno cercando di piantare questa idea nella mente di milioni di persone. «Devi vivere secondo le regole». Quali regole?   E in realtà, se posso permettermi, i nostri «colleghi» occidentali, soprattutto quelli degli Stati Uniti, non si limitano a stabilire arbitrariamente queste regole, ma insegnano agli altri come seguirle e come gli altri dovrebbero comportarsi in generale. Tutto ciò viene fatto ed espresso in modo palesemente maleducato e invadente. Questa è un’altra manifestazione della mentalità coloniale. Ogni volta che sentiamo «devi», «sei obbligato», «ti stiamo avvertendo seriamente».   Chi sei tu per farlo? Che diritto hai di avvisare gli altri? Questo è semplicemente fantastico. Forse coloro che dicono tutto questo dovrebbero liberarsi della loro arroganza e smettere di comportarsi in modo tale nei confronti della comunità globale che conosce perfettamente i suoi obiettivi e interessi, e dovrebbero abbandonare questo modo di pensare dell’era coloniale? A volte voglio dirglielo: svegliatevi, quest’era è finita da tempo e non tornerà mai più.   Dirò di più: per secoli, tale comportamento ha portato alla replica di una cosa: grandi guerre, con varie giustificazioni ideologiche e quasi morali inventate per giustificare queste guerre. Oggi questo è particolarmente pericoloso.   Come sapete, l’umanità ha i mezzi per distruggere facilmente l’intero pianeta e la continua manipolazione mentale, incredibile in termini di scala, porta alla perdita del senso della realtà. Evidentemente bisognerebbe cercare una via d’uscita da questo circolo vizioso. A quanto ho capito, amici e colleghi, è per questo che siete venuti qui per affrontare queste questioni vitali nella sede del Valdai Club.   Nel concetto di politica estera della Russia il nostro Paese è caratterizzato come uno Stato-civiltà originale. Questa formulazione riflette in modo chiaro e conciso il modo in cui comprendiamo non solo il nostro sviluppo, ma anche i principi fondamentali dell’ordine internazionale, che speriamo prevalgano.   Dal nostro punto di vista, la civiltà è un concetto sfaccettato soggetto a varie interpretazioni. Una volta esisteva un’interpretazione esteriormente coloniale secondo la quale esisteva un «mondo civilizzato» che fungeva da modello per il resto, e si supponeva che tutti si adeguassero a quegli standard. Coloro che non erano d’accordo sarebbero stati costretti a entrare in questa «civiltà» dal manganello del maestro «illuminato».   Questi tempi, come ho detto, appartengono ormai al passato e la nostra comprensione della civiltà è molto diversa.   Innanzitutto, esistono molte civiltà e nessuna è superiore o inferiore a un’altra. Sono uguali poiché ogni civiltà rappresenta un’espressione unica della propria cultura, tradizioni e aspirazioni della sua gente. Nel mio caso, ad esempio, incarna le aspirazioni del mio popolo, di cui ho la fortuna di far parte.   Eminenti pensatori di tutto il mondo che sostengono il concetto di un approccio basato sulla civiltà si sono impegnati in una profonda contemplazione del significato di «civiltà» come concetto. È un fenomeno complesso composto da molte componenti. Senza addentrarci troppo nella filosofia, cosa che qui forse non è appropriata, proviamo a descriverla in modo pragmatico così come si applica agli sviluppi attuali.   Le caratteristiche essenziali di uno Stato-civiltà comprendono la diversità e l’autosufficienza, che, a mio avviso, sono due componenti chiave. Il mondo di oggi rifiuta l’uniformità e ogni Stato e società si sforza di sviluppare un proprio percorso di sviluppo che sia radicato nella cultura e nelle tradizioni, e sia intriso di geografia e di esperienze storiche, sia antiche che moderne, nonché dei valori sostenuti dalla sua gente. Questa è una sintesi intricata che dà origine a una comunità di civiltà distinta. La sua forza e il suo progresso dipendono dalla sua diversità e dalla sua natura multiforme.

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La Russia si è modellata nel corso dei secoli come una Nazione di diverse culture, religioni ed etnie. La civiltà russa non può essere ridotta a un unico denominatore comune, ma non può nemmeno essere divisa, perché prospera come un’unica entità spiritualmente e culturalmente ricca. Mantenere l’unità coesa di una tale nazione è una sfida ardua.   Nel corso dei secoli abbiamo dovuto affrontare sfide difficili; ce l’abbiamo sempre fatta, a volte a caro prezzo, ma ogni volta abbiamo imparato la lezione per il futuro, rafforzando la nostra unità nazionale e l’integrità dello Stato russo.   Questa esperienza che abbiamo acquisito è davvero preziosa oggi. Il mondo sta diventando sempre più diversificato e i suoi processi complessi non possono più essere gestiti con semplici metodi di governance, dipingendo tutti con lo stesso pennello, come diciamo, cosa che alcuni Stati stanno ancora cercando di fare.   C’è qualcosa di importante da aggiungere a questo. Un sistema statale veramente efficace e forte non può essere imposto dall’esterno. Cresce naturalmente dalle radici della civiltà di paesi e popoli e, a questo proposito, la Russia è un esempio di come ciò accade realmente nella vita, nella pratica.   Affidarsi alla propria civiltà è una condizione necessaria per il successo nel mondo moderno, purtroppo un mondo disordinato e pericoloso che ha perso l’orientamento. Sempre più Stati stanno giungendo a questa conclusione, diventando consapevoli dei propri interessi e bisogni, delle opportunità e dei limiti, della propria identità e del grado di interconnessione con il mondo che li circonda.   Sono fiducioso che l’umanità non si stia muovendo verso la frammentazione in segmenti rivali, verso un nuovo confronto tra blocchi, qualunque siano le loro motivazioni, o verso l’universalismo senz’anima di una nuova globalizzazione. Al contrario, il mondo si avvia verso una sinergia di civiltà-stati, grandi spazi, comunità che si identificano come tali.   Allo stesso tempo, la civiltà non è un costrutto universale, uno per tutti: non esiste una cosa del genere. Ogni civiltà è diversa, ognuna è culturalmente autosufficiente, attingendo alla propria storia e alle proprie tradizioni per principi e valori ideologici. Il rispetto di sé deriva naturalmente dal rispetto degli altri, ma implica anche il rispetto degli altri. Ecco perché una civiltà non impone nulla a nessuno, ma non permette nemmeno che si imponga nulla. Se tutti vivono secondo questa regola, possiamo vivere in una convivenza armoniosa e in un’interazione creativa tra tutti nelle relazioni internazionali.   Naturalmente, proteggere la propria scelta di civiltà è un’enorme responsabilità. È una risposta alle violazioni esterne, allo sviluppo di relazioni strette e costruttive con altre civiltà e, soprattutto, al mantenimento della stabilità e dell’armonia interne. Tutti noi possiamo constatare che oggi l’ambiente internazionale è, purtroppo, instabile e piuttosto aggressivo, come ho sottolineato.   Ecco un’altra cosa essenziale: nessuno dovrebbe tradire la propria civiltà. Questa è la via verso il caos universale; è innaturale e, direi, disgustoso. Da parte nostra abbiamo sempre cercato e continuiamo a cercare di offrire soluzioni che tengano conto degli interessi di tutte le parti. Ma le nostre controparti in Occidente sembrano aver dimenticato i concetti di ragionevole autocontrollo, di compromesso e di volontà di fare concessioni in nome del raggiungimento di un risultato che soddisfi tutte le parti. No, sono letteralmente fissati su un solo obiettivo: far valere i propri interessi, qui e ora, e farlo ad ogni costo. Se questa sarà la loro scelta, vedremo cosa ne verrà fuori.   Sembra un paradosso, ma la situazione potrebbe cambiare domani, il che è un problema. Ad esempio, elezioni regolari possono portare a cambiamenti sulla scena politica interna. Oggi un Paese può insistere per fare qualcosa ad ogni costo, ma la sua situazione politica interna potrebbe cambiare domani, e inizieranno a promuovere un’idea diversa e talvolta addirittura opposta.   Un esempio lampante è il programma nucleare iraniano. L’amministrazione statunitense ha promosso una soluzione, ma l’amministrazione successiva ha ribaltato la situazione. Come si può lavorare in queste condizioni? Quali sono le linee guida? Su cosa possiamo contare? Dove sono le garanzie? Sono queste le «regole» di cui ci parlano? Ciò è insensato e assurdo.   Perché sta succedendo questo e perché tutti sembrano a proprio agio? La risposta è che il pensiero strategico è stato sostituito con gli interessi mercenari a breve termine nemmeno di paesi o nazioni, ma dei successivi gruppi di influenza. Ciò spiega l’incredibile, se giudicata in termini di Guerra Fredda, irresponsabilità dei gruppi di élite politica, che si sono liberati di ogni paura e vergogna e si considerano innocenti.   L’approccio civilizzatore si oppone a queste tendenze perché si basa sugli interessi fondamentali a lungo termine degli Stati e dei popoli, interessi che sono dettati non dall’attuale situazione ideologica, ma dall’intera esperienza storica e dall’eredità del passato, su cui si basa l’idea di un futuro armonioso riposa.   Se tutti fossero guidati da questo, credo che ci sarebbero molti meno conflitti nel mondo e gli approcci per risolverli diventerebbero molto più razionali, perché tutte le civiltà si rispetterebbero a vicenda, come ho detto, e non cercherebbero di cambiare chiunque in base alle proprie nozioni.   Amici, ho letto con interesse la relazione predisposta dal Club Valdai per l’incontro di oggi. Dice che attualmente tutti si sforzano di comprendere e immaginare una visione del futuro. Ciò è naturale e comprensibile, soprattutto per gli ambienti intellettuali. In un’epoca di cambiamenti radicali, in cui il mondo a cui siamo abituati si sta sgretolando, è molto importante capire dove stiamo andando e dove vogliamo essere. E, naturalmente, il futuro si sta creando adesso, non solo davanti ai nostri occhi, ma anche con le nostre stesse mani.

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Naturalmente, quando sono in corso processi così massicci ed estremamente complessi, è difficile o addirittura impossibile prevederne il risultato. Indipendentemente da ciò che facciamo, la vita apporterà dei cambiamenti. Ma in ogni caso dobbiamo renderci conto di ciò a cui miriamo, di ciò che vogliamo ottenere. In Russia esiste una tale comprensione.   Primo. Vogliamo vivere in un mondo aperto e interconnesso, dove nessuno proverà mai a mettere barriere artificiali sulla via della comunicazione delle persone, della loro realizzazione creativa e della prosperità. Dobbiamo sforzarci di creare un ambiente privo di ostacoli.   Secondo. Vogliamo che la diversità del mondo sia preservata e serva da base per lo sviluppo universale. Dovrebbe essere vietato imporre a qualsiasi paese o popolo come dovrebbero vivere e come dovrebbero sentirsi. Solo una vera diversità culturale e di civiltà potrà garantire il benessere delle persone e l’equilibrio degli interessi.   In terzo luogo, la Russia rappresenta la massima rappresentanza. Nessuno ha il diritto o la capacità di governare il mondo per gli altri e per conto degli altri. Il mondo del futuro è un mondo di decisioni collettive prese ai livelli in cui sono più efficaci e da coloro che sono veramente in grado di dare un contributo significativo alla risoluzione di un problema specifico. Non è che una persona decida per tutti, e nemmeno tutti decidono tutto, ma chi è direttamente interessato da questa o quella questione deve mettersi d’accordo su cosa fare e come farlo.   In quarto luogo, la Russia sostiene la sicurezza universale e una pace duratura fondata sul rispetto degli interessi di tutti: dai Paesi grandi a quelli piccoli. La cosa principale è liberare le relazioni internazionali dall’approccio del blocco e dall’eredità dell’era coloniale e della Guerra Fredda. Da decenni affermiamo che la sicurezza è indivisibile e che è impossibile garantire la sicurezza di alcuni a scapito di quella di altri. In effetti, l’armonia in quest’area può essere raggiunta. Basta mettere da parte la superbia e l’arroganza e smettere di considerare gli altri come partner di seconda classe, emarginati o selvaggi.   Quinto: sosteniamo la giustizia per tutti. L’era dello sfruttamento, come ho detto due volte, è passata. I Paesi e i popoli sono chiaramente consapevoli dei propri interessi e delle proprie capacità e sono pronti a fare affidamento su se stessi; e questo aumenta la loro forza. Tutti dovrebbero avere accesso ai benefici del mondo di oggi, e i tentativi di limitarlo per qualsiasi paese o popolo dovrebbero essere considerati un atto di aggressione.   Sesto: siamo a favore dell’uguaglianza e del diverso potenziale di tutti i paesi. Questo è un fattore del tutto oggettivo. Ma non meno oggettivo è il fatto che nessuno è più disposto a prendere ordini o a far dipendere i propri interessi e bisogni da qualcuno, soprattutto dai ricchi e dai più potenti.   Questo non è solo lo stato naturale della comunità internazionale, ma la quintessenza di tutta l’esperienza storica dell’umanità.   Questi sono i principi che vorremmo seguire e ai quali invitiamo tutti i nostri amici e colleghi ad aderire.   Colleghi!   La Russia era, è e sarà una delle fondamenta di questo nuovo sistema mondiale, pronta per un’interazione costruttiva con tutti coloro che lottano per la pace e la prosperità, ma pronta per una dura opposizione contro coloro che professano i principi della dittatura e della violenza. Crediamo che il pragmatismo e il buon senso prevarranno e che si creerà un mondo multipolare.   In conclusione, vorrei ringraziare gli organizzatori del forum per la vostra fondamentale e qualificata preparazione, come sempre, così come ringraziare tutti i presenti a questo incontro anniversario per la vostra attenzione.   Grazie mille.   Vladimir Putin

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  Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)       
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Civiltà

Lampedusa, Elon Musk accusa George Soros di volere «la distruzione della civiltà occidentale». Poi incontra Netanyahu

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Elon Musk ha accusato George Soros degli sbarchi di Lampedusa, dicendo che Soros vuole distruggere la civiltà occidentale.

 

L’ultramiliardario sudafro-americano ha fatto l’esternazione in risposta a un post di un utente che condivideva filmati di persone che arrivavano sull’isola italiana di Lampedusa dal Nord Africa che si riferiva a una «invasione guidata da George Soros» dell’Europa.

 

«L’organizzazione Soros sembra non volere niente di meno che la distruzione della civiltà occidentale», ha scritto Musk.

 

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Il commento è stato scritto poco prima che il magnate tecnologico andasse ad incontrare il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu in California.

 

Musk è stato accusato da gruppi per i diritti civili di amplificare l’antisemitismo sulla sua piattaforma – cosa che lui nega. Ieri l’imprenditore ha incontrato Netanyahu per colloqui che secondo entrambi gli uomini si concentreranno sulla tecnologia dell’Intelligenza Artificiale, e non sull’Anti-Defamation League (ADL), l’organizzazione ebraica divenuta accusatrice di qualsiasi realtà devii dalla narrazione dominante, che Musk ha detto di voler denunciare per le accuse di antisemitismo rivolte alla piattaforma.

 

Secondo il Washington Post, l’incontro con Netanyahu serviva a Musk invece per rassicurare gli amici e alleati ebrei di Musk rispetto alle montanti accuse di antisemitismo.

 

La questione ha diverse chiavi di lettura, in realtà: come sa il lettore di Renovatio 21, Soros e Netanyahu non vanno in alcun modo d’accordo, con il figlio del premier dello Stato Ebraico accusato pochi anni fa pure lui di antisemitismo (!) per aver postato un meme in cui Soros compariva come burattinaio.

 

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Al contempo è nota l’avversione di Musk per l’amministrazione Biden, che – secondo alcuni – potrebbe essere dietro ai disordini civili in Israele, con manifestazioni oceaniche contro il governo Netanyahu, a cui sono arrivati ad assediare la casa.

 

Vanno notati, inoltre, i trascorsi tra Musk e Soros, che secondo alcuni potrebbero essere dovuti a manovre di Borsa del megaspeculatore magiaro contro l’impero di Musk – in particolare, i titoli di Tesla.

 

Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso Musk aveva annunciato che avrebbe denunciato le ONG sostenute da Soros. Un anno fa, circa 26 ONG finanziate da governi europei come da Soros, avevano invitato i principali inserzionisti di Twitter al boicottaggio dopo che la piattaforma era stata comperata da Musk.

 

Musk era stato accusato di antisemitismo anche per aver detto che Soros gli ricordava il cattivo dei fumetti degli X-Men Magneto, perché, scrisse Elone, il grande donatore del Partito Democratico USA (e di qualche partito anche in Italia, parrebbe) in realtà «odia l’umanità». Nelle storie Marvel, Magneto è un ebreo sopravvissuto all’olocausto che, in effetti, odia l’umanità: ma poco è bastato che si scatenasse una tempesta di accuse di antisemitismo.

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