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Geopolitica

L’ambasciatore russo a Roma: siamo aperti a una soluzione diplomatica. Lo dice sul giornale degli Agnelli, con cui c’è qualche trascorso

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Due giorni dopo l’incontro tra il presidente degli Stati Uniti Biden e l’inviato pontificio cardinale Matteo Zuppi, e sei giorni prima dell’incontro del 27 luglio tra il presidente degli Stati Uniti Biden e il premier italiano Giorgia Meloni a Washington, il nuovo ambasciatore russo a Roma Alexej Paramonov ha scritto un lungo editoriale per La Repubblica in cui afferma che Mosca è aperta a una soluzione non militare per l’Ucraina e invita Roma a svolgere un ruolo.

 

La pubblicazione dell’editoriale dell’ambasciatore parrebbe la cappa russofobica che pare inscalfibile: sembrerebbe, quindi, un segnale importante. Come vedremo più sotto, la scelta di farlo sul giornale degli Agnelli ricopre oggi un peso storico non indifferente.

 

Paramonov ha iniziato riconoscendo l’eredità comune di Russia e Italia nel plasmare la storia e la cultura in Eurasia, ricostruendo il processo di deterioramento delle relazioni tra Russia e Occidente, culminato con il colpo di stato di Kiev del 2014 e l’operazione militare speciale russa del 2022.

 

Dopo l’avvio dell’operazione militare speciale, che per la Russia era inevitabile come dovere di difesa della popolazione del Donbass, «il panorama dei rapporti bilaterali è cambiato fino a diventare irriconoscibile», ha scritto Paramonov.

 

«Non ci si può aspettare che la politica estera di Roma possa cambiare, poiché l’Italia è saldamente inserita nel sistema delle strutture euro-atlantiche. In quanto tale, l’Italia diventa volente o nolente coinvolta in azioni ostili contro Mosca e nella fornitura di armi all’Ucraina, che la trascinano sempre più nel conflitto e allontanano le prospettive di una sua conclusione».

 

«Nonostante tutto, ancora oggi Mosca lascia aperta la porta alle iniziative diplomatiche, ritiene tuttora possibile cambiare situazione in Ucraina con mezzi diversi da quelli militari e accetta con rispetto qualsiasi proposta di pace da chiunque provenga: il Vaticano, un gruppo di Stati africani, Indonesia, Brasile o Cina. Purtroppo, ogni giorno che passa, e soprattutto dopo il vertice NATO di Vilnius, diventa sempre più evidente che l’Occidente persevera nella sua sconsiderata e ostinata intenzione di sconfiggere o indebolire ad ogni costo la Russia, di espellerla dal novero delle grandi potenze, di compromettere sua leadership nel movimento per la costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare, più democratico e giusto» dice l’ambasciatore.

 

Il messaggio per l’Italia del diplomatico della Federazione Russa è piuttosto concreto

 

«Negli ambienti diplomatici si ricorda che nel passato Roma ha potuto dimostrare la flessibilità e creatività della propria diplomazia nella messa a punto dei formati di interazione per superare problemi più` difficili. Nelle circostanze attuali, sembra che si avanzi la necessità di un nuovo modello di coesistenza con gli Stati europei, tenendo conto del principio di indivisibilità della sicurezza, della prossimità geografica, della complementarietà economica. Ci potrebbero essere d’aiuto anche i persistenti interessi reciproci nell’ambito del clima, spazio, sanità, nuove sfide, cultura».

 

«In Russia c’è un grande rispetto per il popolo italiano, insieme al quale, nel corso di oltre cinque secoli è stato creato un invidiabile patrimonio comune. Questo non può essere cancellato, così come non può essere cancellata la richiesta di convivenza e cooperazione pacifica tra cittadini comuni russi e italiani».

 

«Naturalmente, l’uscita dalla “comfort zone” che per molti anni è stata la condizione abituale delle relazioni russo-italiane, l'”autoisolamento” dell’Occidente dalla Russia, genera un sentimento di delusione. Oggi più che mai i Paesi dell’Europa continentale possono perdere completamente la Russia se non riprendono coscienza dei propri interessi e non acquisiscono una visione più indipendente ed equilibrata dei processi geopolitici».

 

La Repubblica, come noto, è un giornale degli Agnelli, che possiedono, assieme alla famiglia Rotschild, anche parte anche dell’Economist di Londra.

 

Gli Agnelli hanno una lunga e contorta storia con Mosca: in era sovietica la FIAT collaborò per la creazione di una fabbrica di automobili nella città di Tol’jatti (in Italia in genere chiamata erroneamente «Togliattigrad»), da cui uscì la famosa Zhiguli.

 

Al contempo vi è un elemento «russo» dissonante ella storia della dinastia agnellica. Margherita Agnelli, la madre di quello che tecnicamente è oggi il capo del clan, John Elkann, una volta divorziata dal padre di Jaki (lo scrittore e personaggio TV di origine ebraica Alain Elkan) si risposa, come uso sempiterno della famiglia, con un nobile vero, Serge de Pahlen, nato in Normandia ma di famiglia di antichissima nobiltà russa scappata dalla Rivoluzione d’Ottobre. Margherita e de Pahlen hanno cinque figli. Arrivato al vertice della FIAT, Jaki licenzia il patrigno, che da 22 anni lavorava in azienda. Sono gli anni della denuncia in tribunale di Margherita per avere la sua parte del famoso tesoro all’estero di Gianni Agnelli, di cui sono ancora sconosciute dimensioni e origini – ma della cui esistenza oramai pochi dubitano.

 

In un libro pubblicato tre anni fa in Gran Bretagna (che coincidenza!), una giornalista del Financial Times scriveva che de Pahlen era stato «reclutato dal KGB durante gli anni Ottanta», con la missione di trasferire tecnologia a Mosca. «La FIAT era sempre stata un partner chiave dei sovietici, e secondo due ex intermediari del KGB, divenne un fornitore di tecnologia dual-use (cioè che si può usare in ambito civile come in quello militare, ndr), attraverso una miriade di società amiche».

 

Va anche ricordato chi è l’attuale direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, che, scrive l’enciclopedia online, è «nato a Roma in una famiglia di origine ebraica» e che ha studiato «all’Harris Manchester College dell’Università di Oxford e all’Università Ebraica di Gerusalemme», ha scritto per il giornale del PRI e vinto premi della Fondazione Spadolini. Chi ha compilato la voce per l’enciclopedia online tiene a farci sapere anche che è sposato con una signora «ebrea italo-libica, avvocato. La coppia ha quattro figli, tutti nati a New York». Per un decennio è stato il corrispondente da Nuova York de La Stampa, il giornale degli Agnelli, per poi, prima di rientrare a Torino, esserlo stato anche a Bruxelles e Gerusalemme.

 

Molinari ai tempi della guerra di Iraq era ritenuto da taluni vicino alle posizioni dei neocon americani – lo stesso gruppo di potere dello Stato profondo USA additato da vari (Trump, Robert Kennedy jr.) come responsabile della presente guerra ucraina.  Negli scorsi anni, prima di essere «promosso» alla direzione di Repubblica acquisita dagli Agnelli (anche se comunque da sempre partecipata dai loro parenti Caracciolo) era stato direttore della Stampa, il vero house organ del casato FIAT.

 

Nel 2020 si consumò uno scontro al fulmicotone tra La Stampa di Molinari e diplomazia ed esercito della Federazione Russa, anche ad altissimi livelli: un giornalista della testata, specializzato in articoli non esattamente filorussi, attaccò con veemenza la missione umanitaria russa in Lombardia nelle prime settimane del COVID. Agli articoli del giornale di Molinari rispero prima il già ambasciatore Razov, poi il portavoce dell’esercito maggior generale Igor Konashenkov, quindi la portavoce del ministero degli degli esteri Marija Zakharova.

 

Come riportato da Renovatio 21, la cosa si complicò al punto da divenire, d’un tratto, una spy story. Konashenkov comincia a parlare di «reali committenti della russofobia de La Stampa», che pure gli sarebbero noti. La Zakharova, indomita già allora, parla di un «intermediario» dietro all’articolo, «una società registrata a Londra, i cui rappresentanti si sono rifiutati di fornire qualsiasi informazione…»

 

Paramonov, già console russo a Milano, fu direttamente coinvolto con la missione COVID-Lombardia in quanto direttore del Primo dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo. Polemiche successive lo videro criticare il ministro italiano Guerini. «All’Italia è stata fornita un’assistenza significativa attraverso il ministero della Difesa, il ministero dell’Industria e Commercio e il ministero della Salute della Russia» aveva scritto l’anno scorso, all’apice delle polemiche antirusse, Paramonov. «A proposito, una richiesta di assistenza alla parte russa fu inviata allora dal ministro della Difesa italiano Lorenzo Guerini, che oggi è uno dei principali falchi e ispiratori della campagna antirussa nel governo italiano» aggiunse il diplomatico.

 

Paramonov aveva quindi parlato di «conseguenze irreversibili», cosa che indusse taluni a pensare che fosse in procinto rivelare una qualche forma didi accordo segreto tra Italia e Russia.

 

I trascorsi tra le due realtà – i giornali degli Agnelli diretti e il Cremlino – riuscirono a complicarsi ulteriormente. Nel 2022, con l’operazione militare speciale russa in Ucraina, sempre La Stampa pubblica un articolo intitolato «Se uccidere Putin è l’unica via d’uscita». L’allora ambasciatore Razov, predecessore dell’attuale Paramonov, va a denunciare. L’autore dell’articolo dice che il russo ha capito male, e che anzi l’idea «che qualche russo ammazzi Putin» sia «priva di senso e immorale, e questo c’era scritto bene in evidenza». Ad ogni modo articolista e giornale incassano la difesa di Mario Draghi, che provvede ad insultare ulteriormente i russi: «forse non è una sorpresa che l’ambasciatore russo si sia così inquietato: lui è l’ambasciatore di un Paese in cui non c’è libertà di stampa, da noi c’è, è garantita dalla Costituzione» dice l’uomo che con il greenpass ha nuclearizzato un certo numero di articoli della Carta costituzionale.

 

Insomma, la scelta dello Stato russo di pubblicare un messaggio su Repubblica, ha un suo senso che a molti, magari, può sfuggire.

 

Notiamo infine come la lettera del legato di Mosca sia pubblicata sul sito di Repubblica dietro paywall, cioè considerato materiale a pagamento. Tuttavia è possibile leggerla, ovviamente in forma gratuita, sul sito ufficiale dell’ambasciata russa in Italia.

 

 

 

 

 

Immagine di Dmitrij Shuleiko via Wikipedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)

 

 

 

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Geopolitica

Ancora botte dentro e fuori il Parlamento della Georgia. Ma la legge sugli «agenti stranieri» passa

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Mercoledì i deputati georgiani si sono scontrati in parlamento in vista della sessione plenaria in cui verrà deciso il destino di un controverso disegno di legge sugli «agenti stranieri» che ha scatenato violente proteste.

 

La legislazione, ufficialmente nota come disegno di legge «Sulla trasparenza dell’influenza straniera», è una nuova versione di un disegno di legge simile proposto lo scorso anno dal partito al potere K’art’uli Ots’neba, «Sogno Georgiano», che richiede alle organizzazioni e agli individui con più del 20% di finanziamenti esteri di registrarsi come «agenti stranieri» e rivelare i propri donatori.

 

Il disegno di legge è stato ripresentato in parlamento con piccole modifiche all’inizio del mese scorso, e da allora è stato approvato in due letture. L’opposizione considera la legislazione autoritaria e si oppone fermamente ad essa.

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Mercoledì un video pubblicato online dalla deputata dell’opposizione Salome Samadashvili mostrava diversi suoi colleghi che si afferravano e urlavano nella sala conferenze principale del parlamento. Non è chiaro cosa si sia detto esattamente durante l’alterco, ma si può sentire una voce che grida «istigatore!», secondo quanto riportato da RT.

 

La stessa Samadashvili non sembra aver preso parte all’alterco ma, secondo quanto riportato dai media, le è stato successivamente chiesto di lasciare la sessione plenaria.

 


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Si tratta del secondo incidente questa settimana in cui le discussioni parlamentari sulla nuova legislazione sono diventate violente. Lunedì la deputata dell’opposizione Khatia Dekanoidze ha colpito con una bottiglia d’acqua Guram Macharashvili, un deputato del partito al governo.

 

Due settimane prima, in un’altra sessione dedicata al disegno di legge era scoppiata una rissa dopo che il deputato dell’opposizione Aleko Elisashvili aveva dato un pugno in faccia a Mamuka Mdinaradze, un forte sostenitore della legislazione.

 

La proposta di legge ha scatenato proteste di massa anche fuori dal parlamento. I filmati girati negli ultimi giorni mostrano manifestanti dell’opposizione che si scontrano con agenti di polizia, che vengono visti usare spray al peperoncino, gas lacrimogeni e idranti per disperdere la folla.

 

Gli stati occidentali, inclusi Stati Uniti e Unione Europea, hanno criticato la proposta di legge, sostenendo che complicherebbe il lavoro di molte ONG straniere nel paese. Bruxelles ha persino avvertito la Georgia, alla quale è stato recentemente concesso lo status di candidata all’UE, che l’adozione della legislazione potrebbe mettere a repentaglio la candidatura del paese all’adesione.

 

Tuttavia, la scorsa settimana il primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze ha insistito sul fatto che il disegno di legge è una «condizione necessaria per andare avanti» nel percorso verso l’adesione all’UE perché renderebbe la Georgia più trasparente.

 

Ieri il Parlamento georgiano ha approvato la seconda lettura del disegno di legge. Il ministero della Sanità georgiano, in un bollettino citato dai media georgiani, ha detto che 11 persone, tra cui sei agenti di polizia, hanno ricevuto cure ospedaliere dopo gli scontri seguiti all’approvazione del disegno di legge.

 


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Il vice ministro dell’Interno Aleksandre Darakhvelidze, citato dai media georgiani, ha affermato che i manifestanti hanno tentato di entrare in parlamento utilizzando vari oggetti e hanno attaccato i poliziotti. Darakhvelidze ha detto che l’azione della polizia martedì ha provocato 63 arresti e il ferimento di sei agenti di polizia.

 

La Georgia ad inizio degli anni 2000 è stata teatro di una «rivoluzione colorata», la cosiddetta «rivoluzione delle rose», guidata da Mikheil Saakashvili, personaggio politico ora in carcere, dopo essere fuggito in Ucraina dove il presidente Poroshenko lo aveva fatto governatore dell‘oblast’ di Odessa.

 

Secondo quanto riportato, all’epoca l’Open Society Institute (OSI), finanziato da George Soros, sosteneva Mikheil Saakashvili e una rete di organizzazioni filo-democratiche. L’OSI ha inoltre pagato un certo numero di studenti attivisti affinché andassero in Serbia e imparassero dai serbi che avevano contribuito a rovesciare Slobodan Milosevic nel 2000.I promotori della democrazia occidentale hanno anche diffuso sondaggi di opinione pubblica e analizzato i dati elettorali in tutta la Georgia.

 

Una significativa fonte di finanziamento per la Rivoluzione delle Rose fu quindi la rete di fondazioni e ONG associate al finanziere miliardario ungherese-americano George Soros. La Fondazione per la Difesa delle Democrazie riporta il caso di un ex parlamentare georgiano che ha sostenuto che nei tre mesi precedenti la Rivoluzione delle Rose, «Soros ha speso 42 milioni di dollari per rovesciare Shevardnadze».

 

«Queste istituzioni sono state la culla della democratizzazione, in particolare la Fondazione Soros… tutte le ONG che gravitano attorno alla Fondazione Soros hanno innegabilmente portato avanti la rivoluzione. Tuttavia, non si può concludere la propria analisi solo con la rivoluzione e si vede chiaramente che, in seguito, la Fondazione Soros e le ONG sono state integrate al potere» ha dichiarato alla rivista dell’Istituto Francese per la Geopolitica Herodote l’ex ministro degli Esteri Salomé Zourabichvili, ora presidente della Georgia.

 

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Geopolitica

I palestinesi cacciano via l’ambasciatore tedesco

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L’ambasciatore tedesco presso l’Autorità Palestinese è stato braccato da una folla inferocita e costretto a fuggire durante una visita all’Università di Birzeit in Cisgiordania. Lo riporta RT.   I media riferiscono che gli studenti hanno preso di mira il diplomatico a causa del sostegno del suo paese a Israele nella guerra contro Hamas.   Un video dell’incidente pubblicato sui social media mostra l’ambasciatore Oliver Owcza che cammina velocemente verso il suo veicolo mentre i manifestanti lo seguono e lo disturbano martedì. Un’altra clip mostra una folla che circonda e prende a calci l’auto di Owcza, strappa uno specchietto laterale e lancia oggetti mentre si allontana.   Owcza faceva parte di un gruppo di inviati europei che sono stati «attaccati» mentre partecipavano a un incontro al Museo Nazionale Palestinese, situato nel campus dell’Università Birzeit a nord di Ramallah, secondo il Jerusalem Post. Diversi veicoli del corteo degli ambasciatori sono rimasti danneggiati, compreso almeno uno con il finestrino posteriore rotto.  

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Un diplomatico ha detto a Reuters che una folla è apparsa fuori dall’incontro, chiedendo che gli inviati se ne andassero, e che i tentativi di parlare con i manifestanti non hanno avuto successo e che i visitatori sono dovuti fuggire. Nessuno è rimasto ferito o minacciato gravemente, ha aggiunto.   La Germania ha storicamente sostenuto Israele politicamente e militarmente. L’esercito israeliano acquista gran parte dei suoi armamenti da Berlino, scrive RT. Tuttavia, i leader tedeschi sono stati critici nei confronti delle politiche israeliane e hanno donato oltre 1 miliardo di euro (1,07 miliardi di dollari) in aiuti all’Autorità Palestinese, sostenendo i diritti dei palestinesi e hanno spinto per un accordo di pace a due Stati.   Amr Kayed, uno studente dell’Università di Birzeit, avrebbe affermato che i diplomatici dell’UE sono stati costretti ad andarsene perché «chiunque sia complice del genocidio e dell’offensiva su Gaza» non è il benvenuto a scuola.   L’ambasciatore Owcza ha minimizzato l’incidente, affermando in un post su X (ex Twitter) che Jla protesta pacifica e il dialogo hanno sempre il loro posto» e aggiungendo che «ci rammarichiamo che l’incontro di oggi dei capi missione dell’UE presso il Museo Nazionale di Birzeit sia stato indebitamente interrotto dai manifestanti. Ciononostante, rimaniamo impegnati a lavorare in modo costruttivo con i nostri partner palestinesi».   Come riportato da Renovatio 21, ad inizio mese il Nicaragua ha portato la Germania davanti alla Corte Internazionale per complicità nel genocidio di Gaza.   La complicità europea è stata sottolineata dall’eurodeputata irlandese Clare Daly che ha apostrofato la presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula Von der Leyen, come «frau genocidio».   La complicità europea è stata sottolineata dall’eurodeputata irlandese Clare Daly che ha apostrofato la presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula Von der Leyen, come «frau genocidio».

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Geopolitica

Dopo l’incidente d’auto, il ministro israeliano Ben Gvir si è già ripreso e minaccia di far cascare Netanyahu se non entra a Rafah

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Quattro giorni fa il veicolo del ministro della sicurezza nazionale di Israele, Itamar Ben Gvir, è stato coinvolto in un incidente stradale nella città di Ramla. Le prime immagini dell’accaduto sono circolate su Internet attraverso un video che segue. Secondo le informazioni disponibili, sembra che il leader del partito ultrasionista Otzma Yehudit sia stato trasportato in ospedale immediatamente dopo l’incidente.

 

Testimoni oculari hanno riferito che il ministro è passato con un semaforo rosso, mentre la polizia ha dichiarato che due veicoli sono coinvolti nella collisione e che tre persone, insieme a Ben Gvir, sono state portate in ospedale con ferite lievi. Le immagini dell’incidente mostrano il veicolo ufficiale del ministro ribaltato, mentre un’altra auto ha subito danni alla parte anteriore. Le autorità stanno lavorando per determinare la causa dell’incidente.

 

Il reporter del canale 12, Amit Segal, ha raccontato di un testimone che ha visto il veicolo di Ben Gvir passare con il semaforo rosso. Segal ha anche riportato che negli ultimi mesi il veicolo ufficiale del ministro ha commesso diverse violazioni del codice della strada.

 


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Come riportato da Renovatio 21, il sionismo oltranzista del Ben Gvir è di tale intensità da spingerlo addirittura ad attaccare Washington, dichiarando che Israele «non è un’altra stella sulla bandiera americana». Una frase che risulta inaudita per i rapporti tra lo Stato Ebraico e la superpotenza sua protettrice.

 

Le speculazioni su un possibile attentato si spengono presto davanti allo stuolo di precedenti che ha il caso. Lo scorso agosto, il Ben Gvir era stato coinvolto in un altro incidente dovuto alla violazione di un semaforo mentre si dirigeva verso un’intervista. I media israeliani hanno anche riferito che il ministro avrebbe dato istruzioni al suo autista per violare regolarmente le norme del traffico.

 

Secondo quanto riportato, tuttavia, la polizia israeliana non gli avrebbe fatto la multa.

 

Ad ogni modo, nonostante l’ulteriore terrificante incidente, il ministro, dopo due giorni di convalescenza all’ospedale Hadassah pare tornato in sé con grande velocità, con tweet molto eloquenti riguardo la tenuta del governo Netanyahu.

 

Per esempio, il nostro ripete, commentando con la parola «promemoria», un tweet dello scorso gennaio: «Accordo promiscuo = scioglimento del governo».

 

 

L’Itamar, dimesso, ha già chiesto ed ottenuto un incontro con il premier Netanyahu in cui ha preteso l’invasione di Rafah.

 

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«Ho terminato un incontro con il Primo Ministro su mia richiesta» dice il ministro Ben Gvirro nel video pubblicato su X. «Ho avvertito il Primo Ministro se Dio non voglia che Israele non entri a Rafah, se Dio non voglia che finiamo la guerra, se Dio non voglia che ci sarà un accordo promiscuo».

 

La richiesta, pura è semplice, è per la continuazione della guerra che altrove definiscono, con sempre maggiore frequenza, «genocidio».

 

«Il Primo Ministro ha ascoltato le parole, ha promesso che Israele entrerà a Rafah, ha promesso che la guerra non sarebbe finita e ha promesso che non ci sarebbero stati accordi dissoluti» dichiara il ministro sionista, che sembra alludere ancora una volta la sua capacità di far cascare l’esecutivo retto dal Bibi. «Accolgo con favore queste cose. Penso che il Primo Ministro capisca molto bene cosa significherebbe se queste cose non si verificassero».

 

A marzo il Ben Gvir aveva sollecitato il ministro della Difesa Yoav Gallant a dichiarare guerra al Libano. «Gallant, l’esercito è sotto la tua responsabilità, cosa stai aspettando? Più di 100 razzi sono stati lanciati contro lo Stato di Israele e tu stai seduto in silenzio?» aveva detto in un video condiviso sul suo account sui social media. Ben-Gvir esortava ad attaccare il Libano, dicendo, come riporta il canale di Stato turco TRT: «cominciamo a rispondere, ad attaccare e a combattere ora».

 

Il ministro Itamar Ben Gvir appartiene al partito sionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») è associato al movimento erede del partito Kach, poi dissolto da leggi anti-terroriste varate dal governo Rabin nel 1994, fondato dal rabbino americano Mehir Kahane.

 

Kach è nella lista ufficiale delle organizzazioni terroristiche di USA, Canada e, fino al 2010, su quella del Consiglio dell’Unione Europea. Il Kahane fu assassinato in un vicolo di Nuova York nel 1990, tuttavia le sue idee permangono nel sionismo politico, in primis l’idea di per cui tutti gli arabi devono lasciare Eretz Israel, la Terra di Israele.

 

Come riportato da Renovatio 21, il ritorno al potere Netanyahu è dovuto al boom del partito sionista Otzma Yehudit. Il ministro del patrimonio culturale Amichai Eliyahu, che appartiene al partito sionista, ha dichiarato la disponibilità di nuclearizzare la Striscia di Gaza.

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Il Ben Gvir da ministro l’anno scorso ha vietato le bandiere palestinesi, mentre quest’anno un altro membro del partito ha minimizzato riguardo gli sputi degli ebrei contro i pellegrini cristiani (un’«antica tradizione ebraica»), mentre sul territorio si moltiplicano gli attacchi e le profanazioni ai danni dei cristiani e dei loro luoghi in Terra Santa.

 

Come riportato da Renovatio 21, in un altro editoriale Haaretz scriveva che «il governo di Netanyahu è tutt’altro che conservatore. È un governo rivoluzionario, di destra, radicale, messianico che ha portato avanti un colpo di Stato e sogna di annettere i territori».

 

Il Ben Gvir era tra i relatori del grande convegno sulla colonizzazione ebraica di Gaza, celebrato con balli sfrenati su musica tunza-tunza.

 


Il messianismo sionista si basa sulla teoria apocalittica del Terzo Tempio, che ha diversi sostenitori anche nel protestantesimo americano.

 

Tali idee religiose sulla fine del mondo sono riaffiorate poche settimane fa quando un gruppo sionista ha domandato di portare sulla spianata delle Moschee – cioè il Monte del Tempio degli ebrei – una giovenca rossa, che, sacrificata come prescritto nei Libro dei numeri, darebbe ceneri con cui purificare i rabbini necessari ai riti per la venuta del messia degli ebrei, che per i cristiani, secondo varie vulgate, sarebbe esattamente l’anticristo.

 

Come riportato da Renovatio 21, anche la settimana scorsa alcuni giovani ebrei sono stati arrestati mentre tentavano di trafugare sul Monte del tempio alcuni capretti da offrire in sacrificio, un atto che è sia una provocazione nei confronti dei palestinesi musulmani, sia un procedimento inserito all’interno di un sistema di riti apocalittici.

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