Cina
La Cina prepara la sua missione di raccolta di materiali dal lato nascosto della Luna
Il razzo Long March 5Y-8 è stato trasportato sulla piattaforma di lancio del sito di lancio di Wenchang in preparazione per la missione lunare Chang’e-6 all’inizio di maggio, che viaggerà fino al lato nascosto della Luna per il primo ritorno di un campione lì raccolto.
Chang’e-6 atterrerà nel bacino Apollo, un’area di terreno accidentato oltre il raggio di comunicazione diretta con la Terra. Ma la comunicazione sarà mantenuta attraverso il satellite Queqiao-2, inviato a marzo.
Chang’e 6 «farà passi avanti nella progettazione e nella tecnologia di controllo dell’orbita lunare, nella tecnologia di campionamento intelligente e nella tecnologia di decollo e ascesa sul lato oscuro lunare, e infine otterrà il campionamento automatico e il ritorno dal lato oscuro lunare», ha affermato Ge Ping, vicedirettore del Centro di esplorazione lunare e di programma spaziale della CNSA.
Quando il deputato statunitense David Trone (democratico del Maryland) ha chiesto all’amministratore della NASA Bill Nelson durante l’udienza del 17 aprile perché i cinesi stavano andando sul lato nascosto della Luna e perché gli Stati Uniti non stavano facendo nulla lì, il Nelson rispose che non sapeva quali fossero le motivazioni cinesi.
Inoltre, ha detto, non vedeva alcun motivo per cui l’America dovesse andare sul lato nascosto della Luna, «dato che è sempre buio». Quel commento ha ricevuto un’ampia copertura tra gli utenti della rete, dal momento che la maggior parte delle persone con meno interesse per l’astronomia e i viaggi spaziali sanno che il Sole splende sul lato nascosto della Luna, ma non è visibile dalla Terra perché la rotazione lunare è in tandem con quella terrestre.
Come riportato da Renovatio 21, sempre il Nelsone in un’intervista di sabato 2 luglio 2022 al tabloid tedesco Bild aveva accusato la Repubblica Popolare Cinese di voler prendere il controllo della Luna. L’intervista era stata ampiamente ripresa dalla stampa internazionale.
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La corsa internazionale verso la Luna si sta intensificando in grande stile e la Cina si pone tra i paesi più avvantaggiati nella sfida cosmonautica che poche potenze al mondo sono in grado di portare avanti. Essa non ha dubbi riguardo l’idea di sfruttare le risorse minerarie della Luna, tra cui i giacimenti di Elio 3, sostanza considerata da alcuni scienziati come il combustibile del futuro.
Secondo alcuni, l’Elio-3, un isotopo leggero e stabile dell’elio sarà il futuro combustibile dell’umanità. La sostanza si troverebbe in maggiore abbondanza sulla Luna rispetto che sulla Terra, essendo stata incorporata nello strato superiore della regolite – la coltre di depositi superficiali non consolidati, sciolti ed eterogenei che ricoprono la superficie dei corpi celesti rocciosi – dal vento solare per miliardi di anni.
L’Elio-3 sarebbe utilizzabile come combustibile nucleare in quella che chiamano «fusione aneutronica», cioè una fusione che non rilasci energia sotto forma di neutroni e quindi non abbia radiazioni neutroniche o ionizzanti dannose.
Come riportato un anno fa da Renovatio 21, la Cina sta investendo in armi progettate per bloccare o distruggere i satelliti statunitensi, cioè armi antisatellite (ASAT).
Di fatto, la Cina ha già schierato missili terrestri per distruggere i satelliti in orbita terrestre bassa (LEO).
L’anno scorso era inoltre emerso che i cinesi stanno lavorando su una «Luna artificiale» per prepararsi meglio alla missione lunare. Si tratta di una camera a vuoto che utilizza un potente campo magnetico per ricreare l’ambiente a bassa gravità.
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Cina
Le Filippine vicine all’espulsione dei diplomatici cinesi
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Cina
Un treno di prodotti agricoli dallo Xinjiang a Salerno. Le ONG uigure: frutto di lavoro schiavo
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Un viaggio di 10mila chilometri esaltato da Pechino come occasione di sviluppo (e di rivincita sull’uscita dell’Italia dalla Belt and Road Initiative). Ma il cotone e i pomodori dello Xinjang sono al centro della «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera», che secondo numerosi rapporti è una forma di lavoro forzato.
Un treno carico di prodotti agricoli partito da Urumqi, nella tormentata regione autonoma cinese dello Xinjiang, e destinato dopo 10mila chilometri di viaggio tra binari e trasbordi marittimi a raggiungere Salerno, in Italia.
Il nuovo viaggio bandiera della China-Europe Railway Express è partito il 29 aprile scorso dalla Cina, con ampia copertura mediatica da parte degli organi di stampa ufficiali di Pechino, che ne esaltano i benefici per l’economia dello Xinjiang.
Oltre a rilanciare le «potenzialità» di quella Belt and Road Initiative – la nuova «via della seta» di Xi Jinping – dai cui accordi pure il governo italiano dello scorso anno sarebbe uscito, annullando il memorandum sottoscritto da Roma e Pechino nel 2019 ma senza chiudere ad altre forme di cooperazione commerciale.
A restare sullo sfondo è però la questione del rispetto dei diritti umani nello Xinjiang, regione dove gli abusi nei confronti uiguri hanno spesso anche il volto del lavoro forzato utilizzato proprio nell’agricoltura. Ad evidenziarlo è una presa di posizione pubblica lanciata in queste ore da tre dei gruppi più attivi sulla salvaguardia dei diritti della popolazione musulmana dello Xinjiang: Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders. Insieme hanno scritto una lettera aperta all’ambasciatrice italiana a Washington, Mariangela Zappia, esprimendo preoccupazione per l’iniziativa e chiedendo un’indagine accurata sull’origine dei prodotti trasportati su quel treno.
«La moderna schiavitù del popolo uiguro e i continui crimini contro l’umanità – si legge nel documento – sono stati ampiamente documentati da organizzazioni internazionali, media indipendenti e organismi governativi. L’uso del lavoro forzato in qualsiasi forma viola i principi fondamentali dei diritti umani, tra cui il diritto alla libertà dalla schiavitù e dal lavoro forzato, come sancito da diverse convenzioni e trattati internazionali di cui l’Italia è parte».
L’iniziativa della China-Europe Railway Express è rilevante anche per il peso della Regione autonoma uigura dello Xinjiang nella produzione agricola cinese: coltiva l’85% del cotone del Paese, oltre il 70% dei pomodori (producendo fino al 90% del concentrato di pomodoro destinato all’esportazione), il 50% delle noci e il 28% dell’uva. Inoltre nella regione vi sono anche coltivazioni significative di grano, mais e altri cereali.
«Prove significative – scrivono Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders, citando rapporti specifici sull’agricoltura nello Xinjiang – rivelano che i trasferimenti di manodopera nella regione uigura avvengono in un contesto di coercizione senza precedenti, con la costante minaccia di rieducazione e internamento. Molti lavoratori indigeni non sono in grado di rifiutare o abbandonare volontariamente il lavoro nel settore agricolo, e quindi i programmi equivalgono al trasferimento forzato di popolazioni, al lavoro forzato, al traffico di esseri umani e alla riduzione in schiavitù».
Uno dei volti di questo sfruttamento oggi è anche quella che Pechino chiama la «politica di alleviamento della povertà attraverso il trasferimento di manodopera» (转移就业脱贫). Concretamente: migliaia di persone vengono formate e trasferite verso lavori agricoli stagionali, come appunto la raccolta di cotone o pomodori. Inserito nel quadro del più ampio programma di Xi Jinping per la riduzione mirata della povertà, è un sistema costruito su misura di contesti sociali pervasivamente coercitivi, caratterizzati dalla mancanza di libertà civiche, come è appunto quello dello Xinjiang.
«Come membro della comunità internazionale – concludono il loro appello Uyghur Human Rights Project, Uyghur American Association e Safeguard Defenders – l’Italia ha la responsabilità di garantire che le sue pratiche commerciali siano in linea con il suo impegno per i diritti umani e gli standard etici. Permettere che merci prodotte attraverso il lavoro forzato entrino nei suoi confini non solo condona queste gravi violazioni dei diritti umani, ma mina anche la credibilità della posizione dell’Italia sulla promozione e l’applicazione dei diritti umani. Esortiamo il governo italiano ad agire immediatamente per indagare sull’origine delle merci arrivate a Salerno e a mettere in atto misure per prevenire l’importazione di prodotti ottenuti con il lavoro forzato».
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