Pensiero
Martiri del ritorno del matriarcato
La linea rossa, per quanto mi riguarda, è stata passata ieri, quando ho appreso che mio figlio, come i bambini di tutta Italia, a scuola ha osservato un minuto di silenzio per il caso di Giulia Cecchettin.
Lui, ovviamente, non ha capito bene di cosa si trattava. Ma è proprio così che deve andare. È così che funziona l’indottrinamento – specie nelle menti più giovani. Inserisci un’idea, per quanto non pienamente comprensibile, nella mente di qualcuno, con la forza della peer pressure, la pressione sociale della collettività. E non importa l’assimilazione, conta solo l’immissione del concetto. Il resto si vedrà dopo, il tempo per la coltivazione del seme ficcato dentro c’è tutto.
Quindi, i bambini a scuola sono obbligati (perché, hanno scelta?) a interessarsi di un fatto di un sanguinario fatto di cronaca, sposando poi una sua lettura precisa – il femminicidio… Nota bene: siamo ancora un pochino lontani dai tre gradi di giudizio previsti dalla legge, come dicono (dicevano) i garantisti di destra e sinistra. Di fatto, la magistratura tedesca ha firmato l’estradizione del sospetto poco fa.
Epperò, i bimbi devono contemplare la questione nel profondo, devono schierare il proprio essere riguardo la faccenda, il minuto di silenzio – il triste surrogato laico della preghiera (peraltro rivelatore: invece che connetterti al divino, di attacchi al niente) – serve proprio a questo.
Devo dedurne, quindi, che se a scuola perfino chi ha otto anni si deve occupare della cosa, essa è giocoforza un affare di Stato.
Parrebbe proprio così. Vale la pena, allora, guardare davvero lo scenario che ci si para innanzi, e nel profondo.
Innanzitutto, notate: la parola «femminicidio» – grande ottenimento dell’era delle pari opportunità, anzi impari: perché mai, si chiede qualche giurista rimasto tale – uccidere una donna dovrebbe essere meno grave di uccidere un uomo? – pian piano sta scemando. Si parla meno di femminicidio, stavolta, e si comincia ad usare, con voce tonante, un altro vocabolo fino a poco fa non usualissimo nella lingua comune: «patriarcato».
La parola campeggia ovunque. Manifestazioni con cori e striscioni sul patriarcato, tirate infinite nei talk show, lanci sui social dei politici, conferenze, programmi governativi.
A Padova si è vista una manifestazione a seguito della morte della ragazza di Saonara, si è visto un gonfalone chiarissimo: «Basta femminicidi e stupri! Violenza di genere: il problema è il patriarcato».
Demonstration in Padua against violence against women. They are the same pro-immigration people as "refugees welcome". We remind them that in Italy 40% of rapes are committed by immigrants who make up 8% of the population. pic.twitter.com/6UrBcfMoF5
— RadioGenoa (@RadioGenoa) November 20, 2023
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A Firenze, stesse scritte, stessi concetti.
Siamo in piazza anche a #Firenze, in tante e tanti, per dire basta #femminicidi.
🔥📷 PASSEGGIATA RUMOROSA 📷 🔥#25novembre #25N #nonunadimeno #civogliamovive #losapevamotutte#GIULIACECCHETTIN #Cecchettin #Patriarcato pic.twitter.com/IuSuvIu9Qp— Firenze Possibile – Comitato Piero Calamandrei (@FI_Possibile) November 21, 2023
Lili Gruber definisce la premier Meloni «espressione della cultura patriarcale». Elly Schlein parla di «sradicare la tossica cultura patriarcale del possesso e del controllo sul corpo e sulla vita delle donne».
In TV mi è capitato vedere un sedicente scrittore (davvero, non sappiamo davvero che lavoro faccia, né ricordiamo come si chiamasse) che faceva, in stile rivoluzione culturale maoista, autocritica: davanti ad una serqua di volti televisivi femminili che annuivano, diceva, con avvilito accento meridionale, che sì, bisogna cambiare le cose, perché anche lui, una volta, era stato con una ragazza a cui voleva bene, ma ad un certo punto aveva pensato dentro di sé che il fatto che guadagnava più di lui – capita, se si dice che si lavora come «scrittori» – forse poteva inficiare il loro rapporto. Peccato gravissimo di patriarcato interiore, vero psicoreato confessato in pubblica piazza, e non si sa se davvero perdonato.
Ma mica c’è solo la sinistra: i ministri Sangiuliano, Valditara, Roccella – espressioni del primo partito di governo –presentano istantaneamente un nuovo protocollo per la prevenzione della violenza sulle donne, e la Roccella (eccerto) ne approfitta: « Tutte noi sappiamo che il patriarcato esiste, eccome se esiste (…) gli uomini devono essere protagonisti nel modificare la cultura patriarcale».
La stura l’ha data certamente la sorella minore della ragazza morta, quella che ha inquietato molto per la mise scelta per andare in TV: una felpa della rivista di skateboard Thrasher, dove però il logo è accompagnato da una bella stella a cinque punte rovesciata, quella in cui di solito iscrivono l’immagine della testa del caprone, l’iconografia satanica nota a tutti quanti. (Di nostro, abbiamo cercato di immaginarci il ragionamento intimo: viene Rete 4 a riprendermi, cosa mi metto? Ma certo, la felpa col pentacolo…)
La ragazza, e non solo lei, ha impressionato molti che l’anno trovata fuori dall’emotività che ci si aspetta per un lutto. Un caro amico mi ha chiamato, mi ha chiesto di essere confortato: riportarmi a terra, mi stanno venendo strani pensieri… Sono quelli che sono probabilmente venuti al consigliere regionale della Lega che ha postato sui social le sue perplessità, ottenendo la reazione di Luca Zaia (eccerto), che si dissocia. Si dissocia da che? Da una persona, pure votata dal popolo, che esprime il suo pensiero?
Non abbiamo pensieri da fare sui vestiti e gli umori televisivi della ragazza, né sulle altre foto non verificate che circolano sulle app di messaggistica.
Tuttavia, le sue parole sono chiarissime.
La ragazza aveva iniziato col ministro Salvini che riguardo al Turetta, si era permesso di scrivere su Twitter «se colpevole, nessuno sconto di pena e carcere a vita». «Ministro dei trasporti che dubita della colpevolezza di Turetta. Perché bianco, perché di “buona famiglia”. Anche questa è violenza, violenza di Stato». Poi rilanciava un tweet che richiamava il rifiuto della Lega (e l’opposizione di due dei suoi eurodeputati) riguardo alla risoluzione che sollecitava l’adesione dell’Unione Europea alla convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne.
Di lì è stata una discesa in abissi politici e filosofici.
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«I mostri non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro» ha scritto la ragazza sui social, ribadendo un pensiero raccontato alle telecamere. «La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene data importanza come il controllo, la possessività, il catcalling. Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura. Viene spesso detto “non tutti gli uomini”. Tutti gli uomini no, ma sono sempre uomini».
L’intera specie maschile è sotto accusa. C’è quindi da attuare una ribellione contro lo status quo, una rivolta contro il patriarcato moderno.
«Ditelo a quell’amico che controlla la propria ragazza, ditelo a quel collega che fa catcalling alle passanti, rendetevi ostili a comportamenti del genere accettati dalla società, che non sono altro che il preludio del femminicidio – conclude la sorella di Giulia – Il femminicidio è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela, perché non ci protegge. Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere».
Il discorso della ragazza ha quindi assunto un carattere politico, programmatico, dalle tinte incendiarie.
«Serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’amore non è possesso. Bisogna finanziare i centri antiviolenza e bisogna dare la possibilità di chiedere aiuto a chi ne ha bisogno. Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto».
Bruciare tutto. L’immagine non è sbagliata: bruciare il patriarcato significa, di fatto, rovesciare la società nella sua interezza, resettare il consorzio umano, demolendone le fondamenta. Quando parlano del patriarcato, femministe e quanti ne ripetono a pappagallo i concetti (come i gay organizzati, apparentemente…) intendono semplicemente la radicale disintegrazione del sistema sociale vigente.
O forse c’è dell’altro?
Ci sarebbe da considerare, cosa che mi pare pochi hanno fatto in queste ore, che il patriarcato ha un suo contrario esatto, ma il termine non ancora lo si è sentito proferire: il matriarcato. Già, per qualche ragione, chi parla di distruzione del patriarcato, non ha ancora iniziato a generare slogan sul ritorno del matriarcato.
Posso capirlo. Il matriarcato è un concetto potente, ma altrettanto oscuro. Chi se ne è occupato, leggendo qualche cosa sull’argomento, lo sa. Una finestra di Overton sulla reintroduzione, dopo millenni, del matriarcato nella società umana forse è partita, ma si muove molto, molto lentamente.
Fondamentalmente, gli studi sul matriarcato risalgono ad un ricco uomo di Basilea, Johann Jacob Bachofen (1815-1887). Giurista e filologo, fece per tutta la vita il giudice, perché si irritò quando, divenuto professore di diritto romano, si sparse la voce che era stato cooptato a causa della facoltosa famiglia (la sua e della moglie, la cui collezione di arte, tra Cranach e Memling, è ora uno dei principali tesori artistici museali dello Stato elvetico). In verità, l’uomo era un appassionato di antichità, e lo era in maniera irrefrenabile, al punto da accumulare un’erudizione spaventosa, rinforzata da molteplici viaggi di studio a Roma e in Grecia.
Le sue conoscenze sul mondo arcaico crebbero fino a portarlo a concepire una visione complessa, e in parte inedita, dell’evoluzione della società umana.
Secondo la sua visione storica, i primi sviluppi della storia umana seguono una successione di fasi in cui inizialmente prevale l’elemento materno, accompagnato da simbolismi legati alla terra e all’acqua, al diritto naturale, alla promiscuità sessuale e alla comunanza dei beni.
Successivamente, emerge l’elemento paterno con i suoi simbolismi celesti, il diritto positivo, la monogamia e la proprietà privata. Il passaggio tra queste fasi sarebbe avvenuto attraverso momenti di potere violento delle donne, manifestatosi prima come una ribellione alla supremazia fisica del maschio nei primi stadi della civiltà e successivamente come una degenerazione della fase classica del matriarcato, noto come «demetrico», da Demetra, la dea che presiedeva la natura, i raccolti e le messi. Quest’ultimo periodo è descritto da Bachofen come una «poesia della storia», ordinato secondo le leggi pacifiche ed equitative della madre terra. (Quando sentite parlare di Gaia, o della Pachamama, di fatto vi stanno cercando di infliggere la nostalgia di quell’arcaica età pagana).
La storia altro non è se non la dialettica di questi principi sociali, quello ctonio, lunare della donna, legato alla materia e alla terra, e quello solare, astratto dell’uomo, legato alla mente e al cielo. La spiegazione che si tende a dare è che la donna ha un rapporto viscerale con l’esistenza, perché genera fisicamente la prole, e subisce il processo ciclico temporale-materiale del mestruo. Secondo tale teoria, l’uomo invece ha con la prole un rapporto puramente ideale, basato su convenzioni e leggi.
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«Negli stadi più profondi e oscuri dell’esistenza umana l’amore tra la madre e il nato dal suo corpo rappresenta il punto luminoso della vita, il solo chiarore nella tenebra morale, la sola beatitudine nella profonda miseria» scrive Bachofen. «L’intima relazione del figlio con il padre e il sacrificio del figlio per il genitore implicano un grado molto più alto di sviluppo morale che l’amore materno, forza piena di mistero che penetra ugualmente tutte le creature terrestri. Essa appare più tardi, e più tardi rivela la sua forza».
«Nella cura per il frutto del proprio corpo, la donna impara prima dell’uomo a spingere la propria preoccupazione amorosa oltre i confini dell’io individuale, verso un altro essere (…) Il legame della madre col bambino poggia su un rapporto materiale, è accessibile alla percezione dei sensi e resta una verità di natura; all’opposto la paternità generatrice presenta in tutti i suoi elementi caratteristiche diversissime, priva di qualsiasi rapporto visibile con il bambino essa non può perdere mai del tutto, neppure nel vincolo matrimoniale, la sua natura del tutto puramente fittizia».
«La legge materna viene dal basso, origina dalla realtà più ctonia del mondo naturale; il Dio padre, invece, viene dall’alto e origina dall’idea di una natura/realtà celeste» scrive Bachofen.
Un tempo, agli albori del mondo, regnava la «Ginecocrazia», il puro governo della femmina. Bachofen sviluppò una concezione della storia divisa in quattro fasi.
Una prima fase, chiamata «Eterismo», dove il matriarcato non era ancora regolamentato, e il concetto di paternità del tutto sconosciuto. Nella fase eterica vigeva il sesso libero e l’assenza totale di proprietà privata. In quest’era, tuttavia, era già diffusa nell’umanità la concezione della Dea Madre.
Una seconda fase, chiamata «Amazzonismo», dove le donne avrebbero utilizzato vari strumenti, compresi quelli di natura militare, per continuare a sottomettere l’uomo anche se fisicamente di forza superiore: tale periodo è contenuto in vari miti come quello della donna guerriera, da Artemide e Pentesilea.
Nella terza fase, si ha il Matriarcato vero e proprio, considerabile come «l’età dell’oro del genere umano». Durante l’era del matriarcato, la preminenza sociale corrisponde alla sola madre, l’eredità è riservata alle figlie, per l’uomo vi è al massimo il riconoscimento di un ruolo speciale al fratello della madre. Qui la donna gode del pieno diritto di scegliere autonomamente i propri partner sessuali.
Nella sfera religiosa, si sostiene che nel matriarcato il potere sia stato assunto dalle divinità femminili, iniziando con una «dea della terra» come Gea. Il culto di questa divinità è considerato all’origine di tutte le religioni successive, con le sacerdotesse occupanti una posizione superiore.
Dal punto di vista economico, la società era altamente avanzata nell’ambito dell’agricoltura, un’attività svolta in collaborazione principalmente dalle donne. Gli uomini, d’altra parte, erano dedicati principalmente alla caccia, il che spesso li rendeva assenti e lontani dalla comunità.
Dal punto di vista politico, la società seguiva i principi di uguaglianza universale e libertà. Le donne assumevano il ruolo di capo dello stato, detenendo il potere, mentre alcuni compiti venivano successivamente delegati agli uomini.
Poi venne la rivolta degli uomini, che riuscirono a sovvertire il dominio matriarcale, come testimoniato nella battaglia tra le Amazzoni e il mondo degli eroi ellenici.
Tale transizione, secondo Bachofen, è avvenuta in conformità con le regole della cosmologia. La Grande Dea è divenuta il «mistero della religione ctonia» conservando il carattere che aveva durante la fase primordiale dell’eterismo e del matriarcato, in cui la Luna è apparsa come rappresentazione simbolica del principio femminile. Questo principio si connette poi al Sole, simbolo della mascolinità e della linea di discendenza maschile. Il Sole scaccia la luna; la civiltà umana si stabilisce e prospera sotto la sua luce, e non al chiarore dell’astro notturno.
La Grande Dea, quindi, non è morta: semplicemente, vive di notte, vive sotto la terra, pronta a tornare a reclamare l’universo.
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Il Mutterecht (parola in realtà mai usata direttamente dal Bachofen, che preferiva Frauenherrschaft) o «diritto materno», fu pubblicato nel 1861. In Italia ne esistono diverse edizioni, la maggior parte parziali, perché solo l’Einaudi se l’è sentita di stampare le più di 1200 pagine in due volumi, qualcosa che il traduttore Furio Jesi definì «opera dagli infiniti recessi», con «proporzioni ipertrofiche, maniacali, raggiunte da alcuni temi».
Le teorie di Bachofen, che tendevano a considerare i miti come fatti storici, o come rispecchiamenti letterali di dinamiche sociale reali, furono dapprima aborrite dagli studiosi dell’epoca, che tentarono di guardare al personaggio come al classico principiante con troppi mezzi, un po’ come, immaginiamo, cercarono di fare con Heinrich Schliemann e la sua pretesa di trovare per davvero i resti della città di Troia.
Più tardi invece il pensiero di Bachofen trovò pubblici, fra loro diversissimi, pronti ad ascoltare e ad agire politicamente l’idea del matriarcato. Il Mutterrecht affascinò il filosofo conservatore Ludwig Klages come lo scrittore esoterico-tradizionalista Julius Evola, considerato il maitre à penser del neofascismo italiano. Anche la sinistra si abbeverò al pensiero del matriarcato, il particolare lo studioso suicida Walter Benjamin e, decenni prima, il socio di Karl Marx, Friedrich Engels (che parlò di «schiavitù domestica della donna»). La prima ondata della psicanalisi (Freud, Jung soprattutto) si dimostrò interessata, così come la seconda (Wilhelm Reich, Eric Fromm e Erich Von Neumann, che studiò direttamente il tema della Grande Madre).
Non sorprende che ad interessarsi della teoria del matriarcato siano state le femministe. Se Bachofen è stato tradotto in inglese si deve allo sforzo, fatto a fine degli anni Sessanta, di gruppi femministi statunitensi. Si può andare perfino oltre: chi scrive decenni fa ha intravisto a Londra come le idee di Bachofen circolassero in circoli omosessuali di carattere para-esoterico, ossia di quelli che non dissimulano il loro disprezzo (cioè, la loro totale paura) della donna.
Una quantità di persone, di tutte le risme, sognano il ritorno della Dea. È un richiamo interiore, o forse, più concretamente è l’orizzonte che si pone loro innanzi nel momento in cui si innesta il desiderio della distruzione del mondo, la voglia di «bruciare tutto».
Chi vuole cambiare e riprogrammare il mondo, può realizzare che non si tratta di sovvertire, ma di invertire. Laddove è il Sole, far vincere la Luna. Laddove il giorno, la tenebra. Laddove l’idea, l’emozione. Laddove lo spirito, la materia. Laddove la legge, la natura. Laddove l’ordine, il caos. Laddove il diritto, la crudeltà.
Ecco, possiamo spiegarci i simboli ctoni che sono rimbalzati anche in questa storia: quando dicono che vogliono far finire il patriarcato, vogliono intendere, consapevoli o meno, il parricidio finale, ossia l’uccisione del padre in senso teologico – cioè, l’uccisione di Dio. Capite da dove vengono in pentacoli e i simboli satanici?
Un mondo libero dal padre, è un mondo sprotetto: pensate alle famiglie, magari a quelle in cui manca grandemente la figura paterna, e realizzate di cosa stiamo parlando. Una famiglia senza padre espone i figli ai predatori: bisogna essere tanto in malafede per non ammetterlo.
Allo stesso mondo, un universo privo di Dio padre, quali predatori vede avvicinarsi ai suoi figli? Ancora, rimbalzano nella mente le teste di caprone, le stelle a cinque punte – le stesse, sì, che si vedono in certe logge massoniche, le stesse delle bandiere dei Paesi comunisti, le stesse del drappo degli Stati Uniti, le stesse dei valori bollati e dei passaporti della Repubblica Italiana….
L’impulso al ritorno del matriarcato potrebbe quindi essere più radicato, più complesso, più antico del previsto. Non viene dagli slogan femminista buono per le ragazzine che vivono sui social, viene da un progetto cosmico e preternaturale.
È difficile: il matriarcato porta seco un blocco di materia oscura non ancora digeribile per tutti. Ma ci stanno lavorando, il culto, pare ci vogliano dire, ha ufficialmente già le sue martiri.
Il mitologo Robert Graves (1895-1985), che tanto si dedicò al tema della Dea Madre, in una intervista con Malcolm Muggeridge profetizzò che il matriarcato sarebbe tornato entro il XX secolo. Potrebbe non aver sbagliato di molto.
La Grande Dea è pronta a ritornare. Per divorare il Sole, e tutti noi, per farci vivere una nuova era di tenebra.
Roberto Dal Bosco
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Immagine di Gm.mairo via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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I biofascisti contro il fascismo 1.0: ecco la patetica commedia dell’antifascismo
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Pensiero
«Preghiera» pagana a Zeus ed Apollo recitata durante cerimonia di accensione della torcia olimpica. Quanti sacrifici umani verranno fatti, poi, con l’aborto-doping?
All’inizio di questo mese, il rituale dell’accensione della torcia olimpica – di fatto la prima cerimonia dei Giochi Olimpici – si è tenuta ad Olimpia, in Grecia, presso l’antico tempio di Era, la moglie di Zeus, padre degli dei greci detti, appunto, olimpici. Lo riporta LifeSite.
Accompagnata da uno stuolo di vestali per qualche ragione tutte bianche, l’attrice greca Mary Mina ha interpretato il ruolo di «alta sacerdotessa» che aveva funzione, tra le altre cose, di offrire una «preghiera» agli dèi olimpici.
«Apollo, dio del sole e dell’idea della luce, invia i tuoi raggi e accendi la sacra fiaccola per la città ospite», cioè Parigi. «E tu, Zeus, dona la pace a tutti i popoli della terra e incorona i vincitori della corsa sacra».
🗣️ “Apollo, God of sun, and the idea of light, send your rays and light the sacred torch for the hospitable city of Paris. And you, Zeus, give peace to all peoples on earth and wreath the winners of the Sacred Race.”#Paris2024 | @Paris2024 pic.twitter.com/FHMEmJ134U
— The Olympic Games (@Olympics) April 16, 2024
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Il Comitato Olimpico Ellenico organizza l’evento, che ha una durata di circa 30 minuti, ed elenca sul suo sito il resto dell’«Invocazione ad Apollo».
Silenzio sacro
Risuonino il cielo, la terra, il mare e i venti.
Le montagne tacciono.
I suoni e i cinguettii degli uccelli cessano.
Per Febo, il Re portatore di Luce ci terrà compagnia.
Apollo Dio del sole e dell’idea della luce
manda i tuoi raggi e accendi la sacra fiaccola
per l’ospitale città di…
E tu Zeus dona la pace a tutti i popoli della terra e
incorona i vincitori
della Razza Sacra
Il gruppo spiega che la prima cerimonia di accensione della torcia ebbe luogo nel 1936 con «l’alta sacerdotessa Koula Pratsika, considerata una pioniera della danza classica in Grecia e fu la prima coreografa della cerimonia di accensione». La Pratsika nell’ambito dei celeberrimi Giochi di Berlino – quelli dello Hitler e di Jesse Owens, e di Leni Riefenstahl – e che da allora si è svolta più o meno prima di ogni Olimpiade.
La coreografa Artemis Ignatiou dirige lo spettacolo dal 2008. Originaria della Grecia, ha precedentemente interpretato il ruolo di «alta sacerdotessa» ed è stata coinvolta nella produzione dagli anni Novanta.
È, ammetterà anche il lettore, molto molto curioso: la preghiera ai dei dell’Ellade rispunta per lo Sport, quando invece, l’invocazione che nei secoli si è pronunziata per la medicina – il giuramento di Ippocrate – è oramai quasi del tutto sparito in tutto il mondo – e mica lo vediamo solo in Israele, lo abbiamo visto anche sotto casa durante il COVID. I motivi, li sapete: quelle frasi sul fatto che il medico non darà sostanze abortive, né cagionerà la morte del paziente… Siamo lontani anni luce da ciò che oggi deve fare il dottore, e cioè servire la Necrocultura, estendendo la morte ovunque si possa.
È bene ricordare anche che il mondo moderno ora esige un altro culto pagano greco, quello alla dèa preolimpica (cioè, ctonia) Gaia, che tramite le elucubrazioni dell’ambientalismo è divenuta la Terra stessa, intesa come unico essere vivente minacciato dalla presenza umana. Del resto, Gaia apparteneva alla stirpe dei titani, come Crono, il dio che divorava i suoi figli…
Ma torniamo al fuoco pagano dei Giuochi. Il sito olimpico ricorda che i giochi iniziarono nel 776 a.C. e continuarono fino al 393 d.C. quando l’imperatore cristiano Teodosio I li abolì. «Le sue cerimonie di apertura sembrano quasi sempre incorporare temi massonici o globalisti» scrive LifeSite. «I giochi di quest’anno sono stati annunciati come le prime Olimpiadi “della parità di genere”. Ciò significa che uomini e donne avranno una rappresentanza 50-50 nella competizione. Detto in altro modo, ci saranno tanti atleti maschi quante sono le atlete. Questo è stato presentato come un importante segno di “progresso”».
Alla cerimonia di accensione della torcia, il presidente del Comitato Olimpico Internazionale Thomas Bach ha sottolineato che i giochi di quest’anno saranno «più giovani, più inclusivi, più urbani, più sostenibili». Si riferiva al fatto che sarà allestita una «Pride House» pro-LGBT per «sostenitori, atleti e alleati LGBTI+».
«I Giochi sono una celebrazione della diversità», afferma il sito ufficiale delle Olimpiadi. «In occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, Parigi 2024 ribadisce il suo impegno nella lotta contro ogni forma di discriminazione», riferendosi eufemisticamente a qualsiasi opposizione all’omosessualità o al transgenderismo e aggiungendo che la «Pride House» ha lo scopo di «celebrare» le «minoranze» LGBT e il loro «orgoglio».
LifeSiteNews ci tiene a ricordare che «come i precedenti Giochi Olimpici, Parigi 2024 sarà probabilmente una cloaca di impurità. (…) la fornicazione è dilagante e nel Villaggio Olimpico dove soggiornano gli atleti vengono distribuiti contraccettivi gratuiti».
Riguardo al sesso al villaggio olimpico, chi ha partecipato da atleta ad un’Olimpiade in genere torna con racconti impressionanti – dionisiaci, erotici, del resto sempre di dèi greci si tratta, Dioniso, Eros, e mettiamoci pure dentro pure la poetessa greca Saffo, che dea non è, ma popolare di certo lo deve essere presso certe giocatrici di basket, ad esempio, e neanche solo quelle.
Del resto, metti quantità di giovani sani (in teoria: da Tokyo sappiamo quanti ne ha rovinati, financo sportivamente, l’mRNA) tutti insieme nello stesso luogo, e cosa vuoi che succeda? Sappiamo che la cosa capita anche alla Giornate Mondiale della Gioventù organizzate dai papati moderni, al termine delle quali trovano a terra tra la spazzatura, oltre che le ostie consacrate, anche preservativi usati da giovani e previdenti papaboys.
La questione, semmai, è capire che l’abominio pagano dello sport olimpico potrebbe essere andato molto oltre le semplici fornicazioni degli atleti: da anni si parla sommessamente del fenomeno dell’aborto-doping. Funziona così: per giovarsi della biochimica ormonale fantastica offerta dalla gravidanza e migliorare quindi le proprie prestazioni sportive, le atlete si fanno ingravidare per poi uccidere il figlio e godere del beneficio organico e muscolare della gravidanza.
Praticamente: vero e proprio doping, senza alcuno steroide sintetico – quindi perfettamente legale. Specie, immaginiamo, nelle Olimpiadi delle «pari opportunità».
«Ora che i test antidroga sono di routine, la gravidanza sta diventando il modo preferito per ottenere un vantaggio sulla concorrenza» avvertiva ancora nel 2013 Mona Passiganno, direttrice di un gruppo pro-life texano. In quell’anno emerse anche la storia di un atleta russo che avrebbe raccontato a un giornalista che già negli anni Settanta, alle ginnaste di appena 14 anni veniva ordinato di dormire con i loro allenatori per rimanere incinte e poi abortire. La procedura sarebbe così conosciuta da arrivare persino anche sui libri di testo: un libro di testo online di fisiologia del dipartimento di Fisiologia Medica dell’Università di Copenaghen sembra averne ancora traccia.
«Le atlete di punta – proprio dopo il momento in cui hanno dato alla luce il loro primo figlio – hanno stabilito diversi record mondiali» scrive il testo danese di fisiologia sportiva. «Naturalmente, questo è accettabile come evento naturale e non intenzionale. Tuttavia, in alcuni Paesi le atlete rimangono incinte per 2-3 mesi, al fine di migliorare le loro prestazioni subito dopo l’aborto».
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Altro che preghiera ad Apollo: questo è un sacrificio umano, un atto propiziatorio tramite l’uccisione della propria prole al dio pagano della prestanza fisica, della vittoria sportiva, della ricca sponsorizzazione, dell’ego incoronato etc.
E quindi: quanti sacrifici umani agli dèi antichi e moderni verranno consumati per i Giochi parigini?
Va ricordato l’aborto nel mondo sportivo non è una novità, una importante multinazionale di vestiario, negli anni, è stata accusata di aver fatto pressioni affinché le proprie atlete sponsorizzate abortissero, anche se non è chiaro se semplicemente per continuare a sfruttarne le prestazioni o per ottenerne anche i benefici corporei del doping feticida.
Diciamo pure che la strage olimpica occulta dei bambini delle atlete non potrebbe essere l’unico accento di morte da aspettarsi a Giochi di Parigi. Come noto, Macron ha fatto capire di temere per l’incolumità della sua Olimpiade, arrivando a chiedere, anche grottescamente, una «tregua» dei conflitti in corso – lui che, contro l’opinione degli omologhi europei e dello stesso popolo francese, paventa truppe NATO in Ucraina, e che secondo alcuno già sarebbero state spedite ad Odessa.
Abbiamo visto, nel frattempo, come qualcuno degli organizzatori olimpici si stia lamentando del fatto che per il nuoto la Senna sembra non andare bene: è stata rilevato troppo Escherichia Coli, cioè troppa materia fecale. Parigi è baciata da un fiume escrementizio, e vuole che gli atleti di tutto il globo vi si tuffino.
Questa immagine, del fiume di cacca in cui obbligano la gente ad immergersi, racconta bene il senso occulto dell’Olimpiade.
Tuffatevi anche voi nell’acqua marrone: dietro l’Olimpiade non c’è solo l’afflato neopagano e massonico (con le logge che da sempre rivendicano la consonanza con i principi olimpici), potrebbe esserci un’ondata di morte vera e propria.
Giochi di morte: lo Stato moderno pare volerceli infliggere a tutti i costi.
Roberto Dal Bosco
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