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Satira

Il vero significato del 5 maggio

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Il 5 maggio per molti è soprattutto la data più funesta della storia del Football Club Internazionale Milano, per qualche ragione chiamato Inter. Il 5 maggio 2002 la squadra nerazzurra, a digiuno di scudetti da tredici anni (cioè dai tempi dell’Inter dei Record di Trapattoni), doveva vincere lo scudetto: in classifica la squadra degli Agnelli era staccata di un punto, e l’ultima partita si sarebbe giocata all’Olimpico con la Lazio, squadra che era fuori dai giochi per la Champions e la cui tifoseria era amica di quella interista.

 

Finì invece che i laziali spinsero fino a vincere 4-2, con un crollo fisico e mentale netto dei giocatori ambrosiani – tra cui la coppia Vieri-Ronaldo, per non dire nulla dei tifosi rimasti a Milano per preparare il festone (chi scrive c’era, è testimone oculare).

 

Materazzi pianse. Sotto il Duomo scattò un’immane, repentina aria di lutto. Qualche anno dopo, scoppiò Calciopoli e la Juventus di Moggi fu retrocessa in B. Vabbè, è un’altra storia.

 

Tuttavia, il coro «5 maggio! 5 maggio!» ancora risuona negli stadi dalle curve degli avversari dell’Inter.

 

È che la data sa di sconfitta, per colpa in realtà del solito complotto massonico italiano. Il 5 maggio è la data della morte del distruttore dell’Europa e della cristianità, Napoleone Bonaparte.  Sull’appartenenza del corso alla Loggia esiste un rarissimo libro edito in Italia nel 1986 da Nardini, Napoleone imperatore e Massone, dello storico François Collaveri (1900-1989), massone marsigliese della Gran Loggia di Francia, con vari incarichi diplomatici amministrativi, insignito della Legion d’Onore come tanti politici del PD.

 

Il Collaveri ritiene che non può essere che Napoleone non sia stato massone, perché lo erano il fratello Giuseppe (iniziato a Marsiglia nel 1793, Gran Maestro della Massoneria di Francia e dei Regni di Napoli e di Spagna), l’altro fratello Girolamo ed anche il padre Carlo, nonché il cognato Gioacchino Murat, venerabile della Loggia Sainte Caroline.

 

Insomma, Napoleone era talmente immerso dalla massoneria che forse, ritengono alcuni, nemmeno avrebbe bisogno di essere iniziato.

 

Del resto, il lavoro che fece era proprio quello programmato dalla Setta Verde: distruzione di trono e altare, e conseguente eliminazione della monarchia e della spiritualità cristiana dalla vita pubblica europea, il tutto con carneficine su tutto il continente, prontamente annotate nell’arco di trionfo della capitale francese.

 

Può far sorridere (non noi) che ora il custode della Terra Santa, il patriarca di Gerusalemme Pizzaballa, dica che «l’alleanza tra il trono e l’altare non ha mai giovato, né al trono né all’altare», ma sappiamo bene da dove viene l’idea.

 

Tuttavia, il basso imperatore ci ha regalato involontariamente episodi che non ci fanno disperare: mentre nel 1806 veniva portato come prigioniero verso la Francia papa Pio VII, il Bonaparte si rivolse sprezzante al cardinale Consalvi, il segretario di Stato vaticano, dicendogli: «In pochi anni, io avrò distrutto la Chiesa!». Il cardinale ebbe la risposta secca e giustissima: «non ci siamo riusciti noi preti, a distruggerla, e in 17 secoli, vuole riuscirci Lei?»

 

Napoleone, per l’Italia del Risorgimento ed oltre, viene presentato come un eroe: è questa la vulgata diacronica tipica della scuola italiana (pubblica e privata, cattolica), quella per cui Napoleone era un campione sfortunato, uno di quegli atleti bravissimi che però perdono in finale.

 

La cosa è continuata anche durante la Prima Repubblica, quando al potere c’erano i democristiani – perché, di fatto, il loro dominio era condiviso con quelli dei massoni (e dei comunisti) – di un’accordo vero e proprio nel primissimo dopoguerra si racconta nel libro L’uomo di fiducia di Ettore Bernabei, con De Gasperi per la DC, Togliatti per il PCI e il banchiere Raffaele Mattioli indovinate per chi – e quindi mica potevano operare per convertire, ricristianizzare il Paese: avevano altro da fare, i democristiani. Dovevano fare compromessi, tutto il dì, tutta la notte, sulla pelle della popolazione che li pagava.

 

Quindi eccoci, con Napoleone eroe. Del resto, una grossa mano gliela dà sempre un altro strano personaggio che sembra creato all’uopo per sedimentare lo Stato catto-massonico: Alessandro Manzoni. Scrittore che tormenta da generazioni la scuola italiana con un suo romanzo noioso e fumoso (qual è, davvero, il suo messaggio?) chiamato I promessi sposi, venerato come classico, è noto che il Manzoni proveniva dalla «Milano illuminista» (sissì, dite pure «illuminista») e che la sua tanto decantata conversione al cattolicesimo è in realtà dibattuta, al punto che lui stesso non avrebbe dato spiegazioni esaustive (come certi ministri di oggidì, viene da pensare, anche quelli provenienti magari da famiglie «illuministe»).

 

Nel 1860, ancora prima che fosse proclamato il Regno d’Italia – unita con un’operazione massonica transnazionale chiamata «Risorgimento» – il Manzoni accettò di essere nominato senatore del Regno di Sardegna per meriti patriottici.  Nel 1864, quindi, votò per lo sposamento della capitale da Torino a Firenze nell’attesa che Roma fosse «liberata», il che vuol dire che aspettava che lo Stato pontificio, il Regno del Papa re, fosse «abbattuto». Non male per un cattolico, partecipare, da senatore, ad uno Stato, l’Italia sabauda, creato contro il papato, in odium fidei. Fu ricompensato: viveva da signore a Milano, e una volta, visitando i musei di quella che fu la Banca Commerciale Italiana, mi fu mostrato l’ufficio del banchiere Mattioli (sempre lui), dicendomi che stavano lì perché così il boss dalla finestra poteva vedere la casa del Manzoni.

 

Insomma questo è il personaggio, spacciato per cattolico ai nostri figli da decenni e secoli di programmi malefici ed insegnanti ebeti, che ritenne nel 1821 – quindi a più di 10 anni della sua supposta «conversione» di comporre una poesiuola sulla morte a Sant’Elena di Napoleone. E considerando quanto scritto sopra, dubbi non ce n’erano.

 

La poesia, «Il cinque maggio», è stata inflitta ad innumeri studenti italiani, talvolta fatta imparare a memoria.

 

«Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, / stette la spoglia immemore / orba di tanto spiro, / così percossa, attònita /la terra al nunzio sta».

 

Versi celebrati come grande poesia, anche se noi non abbiamo mai inteso come funzioni la cosa: l’italiano praticamente non esisteva, quindi questi (Manzoni, Leopardi, Foscolo) si inventavano le parole come pareva loro, mutilando desinenze, ignorando le doppie, storpiando i lemmi per fare rime idiote. La lingua italiana non sussisteva davvero, era conosciuta da una microscopica parte dell’élite (che anche a Milano, magari, parlava francese, se non milanese), forse era udita sono nell’Opera, tuttavia non aveva davvero delle regole condivise per chi scriveva.

 

Però, ecco, noi dobbiamo sapere che quella è grande poesia. L’inno al massone genocida, all’anticristo corso, va imparato a memoria.

 

Ecco perché troviamo gradevole il ricordo di una parodia dei versi manzoniani, che circolavano già ai tempi dei nostri padri.

 

Ei fu, siccome immobile
seduto sul pitale
stando ad aspettare
la scarica finale
Tre volte si chinò,
tre volte si sforzò,
e dal culo suo fetente
un pirito cacciò.

 

«Pirito» è termine siculo corrispondente all’italiano «ventosità». Il remix goliardico del testo manzonico conosce anche altre versioni.

 

Ei fu, siccome immobile
seduto sul pitale
mentre aspettava immemore
la scarica fatale
tre volte ei si sforzò
la quarta, al fin, cacò.

 

Chiunque abbia inventato questi versi, merita i fantozziani 92 minuti di applausi, perché il poema il Cinque maggio «è una cagata pazzesca». Cagata, appunto.

 

A questo punto si dovrebbe dire che tutta l’opera di Manzoni è una… ma no, temiamo che confonderemmo il lettore, il quale potrebbe pensare a Piero Manzoni (1933-1963), artista incommensurabilmente più grande dell’avo letterato, che creò la famosa opera d’arte chiamata «Merda d’artista». Il fratello di Piero, oggi professore di storia dell’arte, è persona che conosciamo per essere simpatica, religiosa e pure tabarrista: quindi, non è che possiamo dire che il casato sia stato rovinato dal famoso antenato filonapoleonico.

 

Tuttavia, rimane una considerazione da fare. Napoleone – e ciò che rappresentava– cominciò il suo declino quando attaccò la Russia. Era del resto nelle direttive della banda

 

I suoi amici nostri coevi, a quanto sembra, non hanno imparato niente. Studiassero la storia, invece che le poesie sceme.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

Satira

Cantante ex pornoattrice tedesca duramente multata per il saluto nazista. Perché non invoca il nonno partigiano come i giornalisti RAI?

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Un tribunale tedesco ha inflitto una pesante multa alla cantante, pornoattrice e ed ex conduttrice televisiva Melanie Muller per aver fatto il saluto nazista durante un concerto e per possesso di droghe illegali, accuse da lei negate.

 

Venerdì scorso un tribunale distrettuale della città di Lipsia ha ordinato a Muller di pagare 80.000 euro per le violazioni. L’importo della multa è risultato oltre 14 volte superiore alla sanzione di 5.700 € richiesta dai procuratori.

 

Un giornalista del tabloid tedesco Bild ha riferito dall’aula del tribunale che la pop star è rimasta «scioccata» dal verdetto e che le è servito un po’ di tempo per riacquistare la calma.

 


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Le accuse contro la cantante specializzata in musica schlager ed ex partecipante di trasmissioni TV come The Bachelor e Pool Champions, conosciuta nella sua breve carriera di attrice a luci rosse come Scarlet Young, derivano dal suo concerto del settembre 2022 a Lipsia, durante il quale era stata filmata mentre alzava ripetutamente il braccio destro in aria in un movimento che ricordava il saluto nazista. Il gesto è vietato in Germania insieme ad altri simboli relativi al partito nazionalsocialista di Adolf Hitler.

 

Gli avvocati della Muller hanno sostenuto che la loro cliente non ha simpatie o opinioni di destra e che stava solo agitando i pugni e scandendo slogan per rallegrare la folla.

 

Tuttavia, il giudice Lucas Findeisen ha respinto le argomentazioni della difesa e ha ritenuto il firmatario colpevole di «aver utilizzato simboli di organizzazioni incostituzionali o terroristiche».

 

Il giudice ha affermato che dal filmato era chiaro che Muller aveva sposato lo stato d’animo della folla di destra presente all’evento, facendo più volte un gesto illegale e urlando il saluto nazionalsocialista «Sieg, Heil» insieme agli spettatori del concerto.

 

Il giudice ha anche respinto l’affermazione della pop star secondo cui la cocaina e l’ecstasy trovate durante la perquisizione del suo appartamento appartenevano a un amico.

 

Durante il processo, gli avvocati della Muller si sono lamentati del fatto che la copertura negativa dei media avesse ostacolato la sua carriera e hanno espresso la speranza che un’assoluzione avrebbe permesso alla trentaseienne di «riprendere piede in Germania».

 

La cantante ha detto che si esibiva regolarmente in Germania, Austria e Svizzera, così come sull’isola spagnola di Maiorca (località invasa totalmente da turisti tedeschi di tutte le classi sociali). «Ora faccio concerti solo a Maiorca. Tutto il resto è sparito», si è lamentata la Muellerra.

 

La sentenza del tribunale di Lipsia non è definitiva e può essere impugnata.

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Quando Renovatio 21 riportò un anno fa dei problemi legali della Mueller, ci permettemmo di suggerire alla cantante una «difesa Azov»: non sono svastiche e rune, sono «antichi simboli europei», non sono nazisti, ma «patrioti». In caso possono contattare le testate giornalistiche italiane, e pure i grandi social media, oramai espertissimi nella pratica orwelliana (fino a pochi mesi fa impensabile, incredibile, irreale) del nazi-sciacquo in pubblica piazza.

 

Non sappiamo se ciò avrebbe potuto funzionare: del resto la Germania è il Paese nei Gay Pride viene cantato il nome del collaborazionista ucraina del nazismo Stepan Bandera, ma anche quello che ha cominciato a mandare via i soldati ucraini da addestrare per via delle inevitabili svastiche in mostrine e tatuaggi.

 

Tuttavia, oggi ci permettiamo di suggerire alla signora Mueller una tecnica ulteriore: la «difesa RAI».

 

Quando gli è stato contestato di aver intervistato un miliziano di Kiev non accorgendosi che costui esibiva un nazi-sibolo in bella vista (ma gli è scappato), il giornalista della TV pubblica italiana Ilario Piagnerelli ha risposto con l’ineffabile strumento, ben noto nel Bel Paese del dopoguerra, dell’albero genealogico resistenziale.

 

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«Sono cresciuto con un nonno partigiano, di quelli veri, che oggi non avrebbero dubbi nel distinguere tra invaso e invasore, tra chi resiste e chi occupa. Sono stato educato ai valori della Costituzione».

 

Possiamo suggerire alla cantante tedesca, alla quale pure certamente il nazismo «le è scappato», di cercare anche lei un parente partigiano, fenomeno forse più raro in Germania, ma non impossibile. E magari può dichiarare anche lei di essere stata cresciuta con la Grundgesetz, la Costituzione della Repubblica Federale Tedesca, certo considerando sempre che le carte costituzionali, in Germania, in Italia e ovunque, dopo il COVID sembrano valere, in ultima analisi, non troppissimo.

 

Aggiungiamo che se si impegnasse anche contro la strage di papere operata dai russi magari l’autorità democratica tedesca potrebbe avere clemenza.

 

 

No al nazismo. Sì alle papere martiri della democrazia, contro il bruto invasor. E nonni partigiani per tutti.

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Immagine di Sven Mandel Festivalsommer via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
 

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Animali

«Pigcasso», il maiale pittore, è morto. L’arte contemporanea può rinascere nei porcili?

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Lutto nel mondo dell’arte contemporanea per la perdita di uno dei suoi migliori, ed autentici, artisti.   Pigcasso – un maiale di 500 chili noto per la sua capacità di «dipingere» con il naso e un pennello – è morto in Sud Africa all’età di otto anni, dopo aver sofferto di artrite reumatoide cronica. Lo ha comunicato lo scorso mercoledì la sua proprietaria.   In una dichiarazione a Caters News, Joanne Lefson – artista 52enne e attivista per i diritti degli animali – ha annunciato che l’inarrivabile suino pingitore era deceduto dopo che i suoi sintomi erano rapidamente peggiorati nel settembre 2023. All’inizio di ottobre, il Pigcasso aveva perso l’uso delle sue zampe posteriori a causa della calcificazione della parte inferiore della colonna vertebrale.   «C’è molta tristezza per il fatto che una figura così ispiratrice per il benessere degli animali sia scomparsa, ma celebriamo anche una vita ben vissuta e la profonda differenza che ha fatto», ha detto Lefson.  

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Nel 2016, la Lefson aveva salvato Pigcasso, che allora aveva quattro settimane, da un allevamento intensivo poco prima di essere mandato al macello. Da lì, il porco è stato trasferito a Franschhoek, in Sud Africa, in un rifugio per animali da fattoria «salvati».   Ad un certo punto, la Lefson aveva notato che il porcello avrebbe mangiato o distrutto tutto ciò che era rimasto nella sua stalla, tranne un pennello. La donna animalista ebbe quindi l’idea di insegnare ai maiali a usare la spazzola coltivando l’interesse della bestia per l’arte.   «Questo non è solo un maiale pittore, tutt’altro. Si tratta di una collaborazione seria e altamente creativa in cui lavoro e mi impegno attraverso un “pennello in movimento” per sviluppare opere d’arte dinamiche che ispirano e sfidano lo status quo», scrive orgogliosamente l’attivista sul suo sito web.   Il progetto zoologico-artistico è stato soprannominato «LEFSON + SWINE» e il suo scopo era sottolineare la «disconnessione e la discordia dell’umanità con il nostro pianeta» e concentrarsi sul «cibo» che scegliamo di mangiare e sugli effetti dannosi che l’agricoltura animale ha sull’ambiente e sul benessere degli animali.   Nel corso della sua carriera artistica, il geniale suino ha venduto le sue opere per un valore di oltre 1 milione di dollari, cosa che gli ha garantito dei record mondiali e il titolo di primo artista-animale a cui è dedicata una mostra d’arte personale, nonché il primato dell’opera d’arte più costosa dipinta da una bestia.   Il Pigcasso è stato descritto come «l’artista non umano di maggior successo nella storia del mondo». Ora, la sua eredità «continua attraverso il santuario e la nostra missione di ispirare un mondo più gentile e sostenibile per tutti», ha affermato la Lefsona.   Il porco-pittore non è il primo quadrupede che si cimenta con tela e pennello. In passato la società ha dovuto subire anche le immagini di scimpanzè ed elefanti addestrati a scarabocchiare col colore. Tali immagini vengono spesse propalate dagli animalisti per sottolineare la bontà della loro filosofia fondamentale, l’antispecismo, ossia la negazione di qualsiasi differenza tra l’uomo e le bestie.

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Di certo, possiamo dire che nella porcheria assoluta che è divenuta l’arte contemporanea, l’esistenza di un artista che è porco materialmente (e non solo esteticamente, filosoficamente, umanamente) è un atto di sincerità rivoluzionaria.   A questo punto, si dovrebbe attendere la proposta di qualche testa calda: chiudiamo la Biennale, e al posto dei suoi antichi padiglioni internazionali piazziamo dei porcili che sfornino orde di Pigcassi, di Maialengeli, Porcavaggi, etc..   L’idea, tuttavia, ora potrebbe cadere nel vuoto: l’attuale presidente della Fondazione Biennale di Venezia, lì piazzato in quest’era meloniana, è il giornalista Pietrangelo Buttafuoco, che circa una diecina di anni fa si è convertito all’islam prendendo, in onore dell’emiro della Sicilia, il nome di Giafar al-Siqili.   Il maiale, vogliam qui ricordare, è considerato un animale impuro anche secondo certa tradizione ebraica che risale ai libri del Levitico e Deuteromonio, al Talmud e soprattutto alla letteratura halakica della Torah, che considera fuori dal kasherut («adeguatezza») il suino, qui in compagnia di molluschi e crostacei. Considerando l’importanza che hanno avuto artisti, collezionisti e mecenati (come la famiglia i Guggenheim, o i Sackler) ebrei per musei e gallerie, in ispecie in America, non ci è chiaro come certo rabbinato ortodosso, che arbitra il concetto di kasher, potrebbe reagire verso i propri correligionari impegnati nel mondo dell’arte.   Il sogno della rinascita mondiale dell’arte per via porcina è forse quindi, almeno al momento, da rimandarsi.

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Satira

Avviso ai lettori: padre Pizzarro non esiste. Ma potrebbero farlo papa

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Un breve comunicato ai lettori di Renovatio 21, dovuto all’alta quantità di lettere arrivateci negli scorsi giorni, specie dopo l’ultima Newslettera.

 

In molti, dopo aver letto l’articolo intitolato «Padre Pizzarro risponde a Beppe Grillo» ci hanno scritto chiedendoci se il sacerdote, del quale avevamo accluso un denso video che spiegava le nostre ragioni, fosse un personaggio comico o un prete reale.

 

Rassicuriamo tutti dicendo subito che padre Florestano Pizzarro è, in teoria, solo un’invenzione di uno dei massimi artisti italiani, il comico Corrado Guzzanti. Cioè, padre Pizzarro non esiste – sempre in teoria.

 

Don Pizzarro, le cui apparizioni TV risalgono a quasi due decenni fa, è uno dei vari personaggi religiosi inventati da Guzzanti durante la sua carriera. Di certo, è forse il più memorabile, perché racconta, non si sa quanto volontariamente, la realtà di una chiesa che non crede più a nulla.

 

Con una certa insofferenza per chi la contesta – magari le presentatrici di sinistra nelle cui trasmissioni padre Pizzarro appariva – senza rendersi conto di come stanno le cose nel profondo, il personaggio spiegava, quasi infastidito, la fatica di mandare avanti la baracca vaticana, più simile ad una serie TV che ad un’istituzione sacra, sotto l’avvenuto disincantamento del mondo perpetrato dalla scienza.

 

«Ma te hai vista ‘a robba che c’è llàfori? Mijardi e mijardi de galassie, de stelle, de pianeti, buchi neri, quasar, oceani de materia oscura, de fasci de neutrini».

 

 

Padre Pizzarro era oltre il modernismo, oltre il democristianismo: era un personaggio che, con il suo cinismo e la sua saggezza, cerca di tirare avanti un’organizzazione religiosa alla quale non crede più nessuno, lamentandosi pure con una certa insolenza romana di coloro che ancora ci credono.

 

Stamo ar medioevo» diceva in uno sketch. «Ha ragione mi’ fijo. Stamo al medioevo».

 

 

Come abbiamo scritto in altre occasioni, per noi padre Pizzarro è un maestro: da lui possiamo imparare moltissimo, perché egli, oggi, in effetti non è più davvero un personaggio comico, cioè caricaturale, incredibile – nel momento in cui al Dicastero per la Dottrina della Fede ci sta il «cardinale Orgasmo», padre Pizzarro diviene un personaggio realistico. Lo era già all’epoca, in verità, per molti che capiscono delle dinamiche intestine del vaticano infestato da un secolo di modernismo e occupato verticalmente dai tempi dell’ultimo Concilio.

 

Le posizioni del Pizzarro, davvero, non sono in fondo tanto diverse da quelle della CEI degli ultimi cinquant’anni. Anzi, se possiamo permetterci, sono in alcuni casi più conservatrici: la proposta di levare i punti della patente a quelle che abortiscono l’episcopato italiano non l’ha mai fatta, anzi, come sappiamo, anche oggi come sempre – forte dell’opera di Giorgia Meloni e di figure neodemocristiane infilate nel suo governo – difende la legge 194, cioè il libero aborto a spese del contribuente che versa anche l’8 per mille.

 

Padre Pizzarro immagina una sanzione, anche solo cinicamente simbolica, per l’uccisione degli innocenti. La CEI non sfiora nemmeno l’idea di punire il male, anzi lasciando pure la società libera di considerare l’aborto non solo come un diritto, ma finanche come una virtù

 

 

Per cui, concludiamo dicendo che, rebus sic stantibus, non sarebbe fuori dal regno probabilità se il prossimo conclave, riempito di cardinali creati dal Bergoglio (pensate: monsignor Fernandez è il preferito, quindi il migliore fra di essi?), eleggesse papa proprio padre Pizzarro.

 

Ciò detto, ricordiamo ai lettori di controllare sempre la categoria dell’articolo, in alto a sinistra, sopra foto e titolo: qui era, scritto evidenziato «Satira», parola che avevamo anche inserito nel testo, pensando che quelli che non conoscevano il personaggio fossero pochi, e ancora più nell’intimo, sperando che la percezione dei sacerdoti attuali non fosse arrivata a scambiare una caricatura per prete autentico.

 

Ci sbagliavano, e molto, e chiediamo perdono ai lettori.

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