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Piazza Angleton. Ricordo del vero liberatore dell’Italia

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L’anno scorso al 25 aprile vedemmo uno spettacolo indimenticabile. Alla marcia di Milano, quello in cui ogni sigla di sinistra possibile sfila da Piazzale Loreto – luogo del sacrifizio del cinghialone su cui si basa la Repubblica – ne accaddero di ogni.

 

Vedemmo, stropicciandoci molto gli occhi, comparire alla marcia… bandiere della NATO. Sì, proprio loro: e ci stavano pure delle persone, non dei robocani della Boston Dynamics, che le brandivano.

 

Spuntavano poi ovunque vessilli ucraini – si era a due mesi neanche dall’inizio dell’operazione militare speciale di Putin, che la sera prima aveva parlato dell’obiettivo, molto 25 aprile, di «denazificare» l’Ucraina.

 

Non sappiamo dire se a Milano sfilò anche qualcuno con i simboli del battaglione Azov, che all’epoca, prima del restyling con il quale si sono presentati pure a Washington, a Disneyland e a Tel Aviv, comprendevano una runa «dente di lupo» e un bel Sonnenrad, il «sole nero» della mistica SS.

 

C’è da dire che non tutti i presenti erano d’accordo. Ricordiamo con gusto il signore che apostrofava degli ucrainisti lì presenti dicendo loro «Azov dimmerda!!!».

 

Parimenti, gruppi di ragazzi di sinistra attaccavano l’allora segretario PD Letta accusandolo di essere «servo della NATO». I fanciulli goscisti, poverini, forse non sapevano che sia Letta che Renzi (tutti e due, poco tempo fa, capi di quello che fu il Partito Comunista) sono stati in lizza per il posto di Stoltenberg, cioè di segretario della NATO, vertice visibile del più grande e distruttivo patto militare della storia. Insomma, non esattamente «servi»: trovassero, i contestatori, un’altra definizione.

 

Tutto lo spettacolino, in fondo, era inevitabile, perché parlava dei nodi che, anche se a distanza di decenni, vengono al pettine. Chi ha liberato davvero l’Italia?

 

E poi: in Italia comanda chi l’ha liberata? Comanda chi l’ha liberata sulla carta, o chi l’ha liberata sul serio?

 

Tante foglie di fico, abbiamo visto, sono saltate. Quello che fu il partito comunista più grande d’Occidente ora difende l’americanismo più parossistico, il liberalismo più disperante, sostiene il regime di Kiev con le sue truppe di nazisti conclamati.

 

«Il 25 aprile si basa su un falso storico e cioè che siamo stati noi italiani a liberarci con le nostre stesse mani, mentre in realtà sono stati gli alleati angloamericani nelle cui file combattevano anche i razzisti sudafricani» ha dichiarato l’anziano giornalista, bastian contrario di professione, Massimo Fini in un’intervista all’Adnkronos. Non che siano partiti i dovuti 92 minuti di applausi di fantozziana memoria.

 

E allora, chi ha liberato l’Italia?

 

Beh, è facile dire che i partigiani hanno dato il cosiddetto «calcio dell’asino», che il grande lavoro lo hanno fatto le forze angloamericane.

 

E tale «lavoro», sappiamo bene cosa comprendeva: accordi con la mafia per lo sbarco in Sicilia, e poi bombardamenti a tappeto sulle nostre città, praticamente tutte, compresa Roma, fino a che, come non ne eravamo saturi. Saturation bombing, dicono, ma lo chiamano anche Strategic bombing, o meglio ancora, Terror bombing. Churchill ad un certo punto, dopo Dresda, lo ammise: era un «act of terror», era puro terrorismo. Dinanzi alle obiezioni del generale della RAF Arthur Harris, si rimangiò poi il commento.

 

L’Italia l’ha liberata «Pippo», in Italia lo chiamavano così, il bombardiere di cui mia nonna aveva ancora il terrore, perché quando arrivava doveva vestire i bambini che dormivano per trovare rifugio da qualche parte, e, mi raccontava, questi si riaddormentavano appena aveva finito di prepararli tutto.

 

«Pippo», mi disse mio zio, che era uno di quei bimbi, era ovunque, in una visione che non può dimenticare: «Pippo» copriva il cielo intero, c’erano così tanti aerei americani che era impossibile contarli, si poteva solo aspettare che finissero, che il cielo tornasse ad essere fatto di nuvole, e non di macchine di morte.

 

Sì: vogliono raccontarci che l’Italia è stata liberata da una gioventù comunista – scopertasi tale in pochi giorni – e non dall’immensa potenza cinetica dell’apparato di morte americano, quello che di lì a poco avrebbe spazzato via due intere città giapponesi con la potenza ultradistruttrice dell’atomo.

 

Torniamo a dire: semplice pensarla così. Semplice dire che è stata la forza degli angloidi a vincere la guerra e a denazificare l’Italia. In realtà in questo articolo, vorremmo fare un’altra cosa. Vorremmo fare qualche nome.

 

Ci sono figure con nome e cognome che, dietro le quinte, molto dietro le quinte, praticamente invisibili e misconosciuti ai più, hanno creato l’attuale Stato italiano. Ci sono agenti segreti, operativi sul terreno. Poi, più in su, vi sono menti decisive altissime, di quelle di cui non si sente parlare, anche perché parte del loro lavoro è fare in modo che non si parli di loro, e la Storia sembri qualcosa di lineare, naturale, progressiva, e non qualcosa di scelto da un potere terreno superiore.

 

Tra gli operativi sul campo da qualche anno si è cominciato a parlare di Richard «Dick» Mallaby (1919-1981), britannico cresciuto tra i campi da the dello Sri Lanka e le colline toscane. Divenuto spia dello Special Operations Executive (SOE) durante la guerra, fu utilizzato da Londra per favorire l’armistizio con gli angloamericani. Di fatto, dopo la proclamazione dell’armistizio del 1943, Mallaby viaggiò incorporato alla corte del Re e del Badoglio da Roma a Brindisi: una figura segretamente fondamentale in quella che si chiama «la resa degli ottocentomila». Successivamente Mallaby lavorò alla NATO, fino al 1981, quando morì a Verona. Al suo funerale era presente il generale Dozier, quello rapito dalle Brigate Rosse. Attualmente, tra film e teatri, circola la nipote Elettra, attrice di fascino magnetico, che come nonno materno ha Giussy Farina, il presidente che ha venduto il Milan a Berlusconi.

 

Se passiamo alle menti che davvero conquistarono l’Italia, il nome da fare è quello di James Jesus Angleton (1917-1987).

 

Pochissimi sanno di chi si tratta. La storiografia italiana, quella fatta di tanti comunisti inutili attaccati alle varie greppie accademico-editoriale che elargiscono stipendi e pubblicazione di libri inutili, lo ignora da sempre – nonostante i segni della sua importanza siano autoevidenti. Così come sono lampanti i tratti di grande dramma, di tragedia, di poesia, l’arco esistenziale romantico (diciamo così) che promana dalla sua figura.

 

Angleton era nato a Boise, in Idaho, da un ufficiale di cavalleria statunitense ed una messicana. Passò la gioventù a Milano, perché al padre era stato affidato il ramo italiano della NCR, una ditta di registratori di cassa. Studiò brevemente in Inghilterra per poi laurearsi a Yale. La sua materia era la poesia, in particolare quella modernista, astratta ad ermetica (William Carlos Williams, e. e. Cummings, Thomas S. Eliot, soprattutto Ezra Pound, con cui corrispondeva, anche quando nel dopoguerra lo teneva al gabbio) del periodo tra le due guerre. Poeta lui stesso, era redattore della rivista studentesca di poesia Furioso.

 

Mel 1943 fu arruolato dall’esercito, anche se in realtà lavoro immediatamente per l’OSS, l’agenzia di spionaggio antesignana della CIA, per dirigerne la branca italiana. Mandato a Londra, divenne amico di Kim Philby, che poi si rivelerà essere un agente doppio di Stalin. Nel 1944 fu trasferito in Italia come comandate dell’unità Z della SCI (Secret CounterIntellingence), dove usa informazioni che venivano dal programma britannico di decrittazione dei segnali tedeschi chiamato Ultra, quello che decifrò le macchine Enigma grazie al genio del matematico Alan Turing.

 

Da qui Angleton diresse praticamente ogni sviluppo del nostro Paese. Si racconta che fu lui a gestire i rapporti con la mafia, che permisero agli Alleati di sbarcare in Sicilia (si dice, tra i canti della popolazione: «Viva l’America! Viva la mafia!»).

 

Fu in contatto con l’allora sostituto Segretario di Stato Vaticano Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI – il quale, come raccontato da Renovatio 21, ha avuto un ruolo nel bloccare le richieste di armistizio con gli americani che i giapponesi avevano mandato attraverso la Santa Sede, cagionando quindi la distruzione atomica di Hiroshima e Nagasaki.

 

Angleton favorì quindi la costituzione di un partito maggioritario non-comunista che dovesse ereditare il potere centrale: ecco la Democrazia Cristiana, la cui ideologia, va ricordato, ha pure una base di università americana: Jacques Maritain, l’ideologo del cattodemocratismo il cui libro Umanesimo Integrale i futuri capi della DC leggevano e discutevano durante la guerra, era un francese riparato negli USA dove era stato accolto dal sistema dell’accademia statunitense e dai suoi sponsor, economici e settari, che avevano bisogno di una forma di cattolicesimo compatibile con la democrazia liberale da impartire alle popolazioni europee «liberate».

 

Non solo bisogna calcolare l’influenza di Angleton sulla creazione della DC, ma anche sulla sua vittoria contro il PCI alle elezioni del 1948. Parimenti, un pensiero andrebbe fatto anche sulla sua influenza nel referendum monarchia/repubblica del 1946.

 

In pratica, è l’uomo che organizzò e vinse la lotta ideale e materiale al nazisfascismo, e poi plasmò il Paese sia nella sua forma visibile (la politica, il parlamento) che nel suo strato invisibile (i servizi segreti, la mafia). E non vogliamo nemmeno immaginare il suo ruolo riguardo la stesura della Costituzione. Angleton è un vero padre della patria.

 

La storiografia italiana, cioè quella dei professorini occhialuti forforosi panzoni mantenuti con i loro truogoli statal-partitici editoriali di cui si parlava prima, lo ricorda appena per la questione di Junio Valerio Borghese, il capo della Decima MAS cui Angleton riuscì ad evitare l’esecuzione portandolo da Milano a Roma vestito da ufficiale americano.

 

In seguito, sarebbe divenuto la «madre della CIA» (il padre dell’agenzia è considerato da taluni l’ammiraglio Donovan, che lo aveva reclutato). Pur mantenendo sempre spie in Italia che riportavano direttamente a lui, si occupò di quantità di operazioni mondiali (si dice che aiutò il programma nucleare israeliano), per poi concentrarsi nel controspionaggio interno americano, dove le talpe di Stalin abbondavano, e la rivelazione che il suo amico Philby era un traditore comunista lo sconvolse.

 

Il controspionaggio gli distrusse la mente, e qualcuno ha detto che questo fu il risultato di un programma esplicito del KGB, che gli faceva arrivare informazioni contrastanti e falsi disertori per confonderlo e farlo diventare paranoico. I suoi sospetti divennero incontrollabili. Diresse l’Operazione CHAOS con la quale spiava cittadini americani. Disse che il segretario di Stato Henry Kissinger era sotto l’influenza del KGB. Informò due volte la polizia canadese che il prima ministro di Ottawa Lester Pearson e il suo successore Pierre Trudeau (il padre dell’attuale premier Justin, che qualcuno ritiene però figlio biologico di Fidel Castro) erano agenti KGB, così come erano asset dei servizi sovietici il primo ministro svedese Olof Palme (poi trucidato a Stoccolma in un caso ancora irrisolto) e il cancelliere della Germania Ovest Willy Brandt (famoso per la sua Ostpolitick, politica di apertura verso oriente).

 

Angleton sospettava di chiunque. Era finito in quello che lui stesso chiamava, con l’estrema poesia di Thomas Eliot, «wilderness of the mirrors», il deserto degli specchi. Mondi fatti di riflessi, di ombre, di informazione, controinformazione, dove la propria lucidità è l’arma da cui si procede alla salvezza della propria parte, ma niente è come sembra, niente è davvero reale.

 

Nel 1974, in seguito ad un articolo di Seymour Hersh sul New York Times sullo stato del controspionaggio americano, Angleton si dimise. Era la viglia di Natale.

 

Quando morì di cancro del 1987 la sua famiglia era entrata in gruppi religiosi sikh, con l’influenza specifica del guru Harbhajan Singh Khalsa, detto Yogi Bhajan, santone dello yoga accusato poi di molestie sessuali da centinaia di donne sue seguaci.

 

Su Angleton vi sono due opere ragguardevoli – ma, bizzarramente, parliamo di film hollywoodiani e non di libri. Una è la miniserie The Company (2007), una storia della CIA basata sul romanzo di Robert Littel, dove Angleton è interpretato dal luciferino Michael Keaton. L’altra è la pellicola di Robert De Niro (che oltre ad essere uno dei più grandi attori della storia è un regista enorme) The Good Shepherd (2006), con Matt Damon e Angelina Jolie. Il film di De Niro, che non nomina direttamente Angleton ma se ne ispira dettagliosamente, pone con determinazione questioni sulle quali gli storici ancora cincischiano, come il rapporto tra CIA e mafia, continuato intensamente anche dopo la guerra, e soprattutto quello della CIA come sorta di società iniziatica nata dalla setta universitaria di Yale Skull and Bones (non nominata direttamente, ma rappresentata in modo egregio nei suoi riti di iniziazione umilianti).

 

Ma al di là di film, che peraltro nessuno ricorda, niente di niente. Sulla sua figura, così rilevante per la struttura stessa del nostro Paese, non c’è nulla, nessuno che lo voglia non dico celebrare, ma anche solo mandargli un pensiero grato. Tanti poteri che hanno prosperato dopo la liberazione dovrebbero ringraziarlo, invece niente. Magari lui non si offende: del resto era pagato per rimanere nell’ombra, e ci è voluto mezzo secolo prima che ci facessero sopra, timidamente, un film.

 

Di qui la proposta di Renovatio 21 per il prossimo 25 aprile: si faccia entrare Angleton nella toponomastica italiana. Via Angleton. Corso Angleton. Piazza Angleton.

 

Abbiamo nelle nostre città quantità di luoghi che portano il nome del satanico terrorista massonico Giuseppe Mazzini, che è morto in esilio come un Bin Laden qualunque. Immaginiamo che la superfetazione di vie mazziniane in Italia sia dovuta, oltre all’influenza di quelli col grembiule, che non manca mai, anche al fatto che si ritiene che il Giuseppe abbia contribuito alla forma dell’Italia attuale (compresa la strana mancanza di appetito del personaggio per territori italofoni come Malta, dove in effetti ci stavano gli inglesi etc.)

 

Quindi, a coloro che hanno nei decenni e nei secoli definito la forma del Bel Paese, perché non tributare il giusto?

 

È possibile pensare che, con tutto il rispetto per il nome della località del grande santuario mariano, si possa ribattezzare Piazzale Loreto come Piazza Angleton?

 

Sarebbe d’uopo. Se da Piazza Angleton poi partissero tutte le comitive del 25 aprile, NATO e ucraini inclusi, sarebbe un grado di onestà intellettuale per tutti.

 

Liberazione dalle menzogne e dall’ingratitudine, innanzitutto. No?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ex ambasciatore americano condannato come spia di Cuba

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L’ex ambasciatore statunitense Victor Manuel Rocha è stato condannato a 15 anni di carcere per spionaggio a favore di Cuba. Lo hanno riportato la scorsa settimana i giornali statunitensi, citando documenti del tribunale.

 

Rocha, nato in Colombia e naturalizzato cittadino statunitense nel 1978, ha lavorato per il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti dal 1981 al 2002, ricoprendo diversi incarichi diplomatici, tra cui quello di vicedirettore principale della Sezione di Interessi degli Stati Uniti a Cuba e successivamente come inviato degli Stati Uniti in Bolivia e Argentina.

 

Come riportato da Renovatio 21, Rocha era stato arrestato a Miami nel dicembre 2023.

 

L’ex diplomatico, 73 anni, è accusato di aver partecipato a una raccolta di informazioni di Intelligence contro Washington per conto del governo cubano. L’arresto è avvenuto dopo diversi incontri tra l’ex inviato e un agente sotto copertura dell’FBI che si spacciava per rappresentante della Direzione Generale dell’Intelligence di Cuba. Secondo i documenti del tribunale, durante questi incontri, Rocha si è riferito ripetutamente agli Stati Uniti come «il nemico», lodando il defunto leader cubano Fidel Castro e ammettendo il suo lavoro di spia.

 

Rocha inizialmente si è dichiarato non colpevole durante un’udienza a febbraio, ma in seguito ha cambiato la sua dichiarazione per evitare un processo.

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Venerdì scorso Rocha si è dichiarato colpevole di due accuse: cospirazione per frodare gli Stati Uniti come agente straniero e agire come agente illegale di un governo straniero senza registrarsi presso le autorità statunitensi. Altri 13 capi d’accusa contro di lui, tra cui menzogna agli investigatori e frode telematica, sono stati ritirati in base al patteggiamento. Oltre a 15 anni di carcere, che, data l’età di Rocha, costituiscono di fatto una condanna all’ergastolo, l’ex diplomatico rischia tre anni di rilascio controllato e una multa di 500.000 dollari.

 

I pubblici ministeri hanno affermato che, in base al patteggiamento, l’ex diplomatico dovrà condividere con le autorità statunitensi «una valutazione completa e dettagliata del danno commesso».

 

«L’appello di oggi pone fine a più di quattro decenni di tradimenti e inganni da parte del signor Rocha. Per gran parte della sua vita, il signor Rocha ha vissuto una bugia», ha detto David Newman, un alto funzionario della sicurezza nazionale presso il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, in una conferenza stampa a Miami dopo l’udienza di Rocha.

 

Commentando le azioni di Rocha, il procuratore generale degli Stati Uniti Merrick Garland le ha descritte come «una delle infiltrazioni di più ampia portata e di più lunga durata da parte di un agente straniero nel governo degli Stati Uniti».

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Biden sta per graziare Assange?

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Qualcosa potrebbe muoversi nel caso di Julian Assange, il prigioniero politico occidentale il cui caso mette a nudo la falsità assoluta del sistema delle democrazie liberali.   Avvicinandosi la data delle elezioni, Biden potrebbe fare pure un gesto distensivo e liberare l’australiano, viene da pensare seguendo i recenti sviluppi.   CBS News ha chiesto a Stella Assange del commento disinvolto del presidente Joe Biden del 10 aprile, secondo cui la sua amministrazione sta «considerando» di far cadere le accuse contro suo marito, il fondatore di WikiLeaks Julian Assange.

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Biden stava rispondendo fuori dalla Casa Bianca alla domanda di un giornalista sul voto parlamentare australiano per una risoluzione che chiede agli Stati Uniti di ritirare le accuse. Biden ha replicato solo: «lo stiamo considerando». Ovviamente, non è detto che il vegliardo del Delaware abbia davvero capito la domanda, né che abbia risposto automaticamente con una frase insegnatagli per dissimulare.   «Sembra che le cose potrebbero muoversi nella giusta direzione», ha tuttavia detto Stella Assange alla BBC l’11 aprile. Poi la moglie del prigioniero politico ha puntualizzato: «davvero, Joe Biden avrebbe dovuto lasciar perdere fin dal primo giorno».   Un mese fa, il 4 marzo, il cancelliere tedesco Olaf Scholz si è opposto all’estradizione di Assange negli Stati Uniti, concordando con un aspetto della difesa di Assange. Scholz ha detto: «sono dell’opinione che sarebbe positivo se i tribunali britannici gli concedessero la protezione necessaria, dal momento che deve affrontare persecuzioni negli Stati Uniti dato che ha rivelato segreti di Stato americani».   Assange è detenuto in Gran Bretagna su spinta degli USA. Il suo caso, tuttavia, non era partito ufficialmente come persecuzione politica: saltarono fuori due donne che accusavano di stupro Assange, accuse poi archiviate. In verità, sotto covava il risentimento assoluto dell’apparato profondo statunitense per il personaggio che aveva divulgato alcuni segreti.

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Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso un tribunale spagnuolo aveva convocato l’ex segretario di Stato ed ex capo della CIA Mike Pompeo riguardo al presunto complotto per assassinare Assange. Stella Assange nell’intervista con Tucker ha rivelato che notizie della non facilmente spiegabile ossessione omicida di Pompeo per Assange sono trapelate grazie a ufficiali della CIA in disaccordo.   La moglie di Assange, Stella, ha rivelato che sedici membri democratici e repubblicani del Congresso americano hanno chiesto al presidente americano Joe Biden di ritirare la richiesta di estradizione statunitense contro il giornalista australiano e fondatore di WikiLeaks.   Il candidato alla presidenza Robert F. Kennedy junior ha dichiarato che arrivato alla Casa Bianca grazierà Assange. Il presidente messicano Andres Manuel Lopez Obrador, dopo aver chiesto a Biden di liberare il giornalista-informatico, ha offerto l’asilo politico per proteggerlo.   Stella Assange aveva reso pubblica mesi fa la toccante lettera che il marito Julian ha inviato a Re Carlo in occasione della sua incoronazione.

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Israele uccide generale iraniano di altissimo grado nell’ambasciata di Damasco. Teheran annuncia vendetta

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Il generale di brigata Mohammad Reza Zahedi del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica iraniana (i cosiddetti pasdaran) è stato ucciso in un attacco aereo israeliano su Damasco, capitale della Siria.

 

L’attacco di ieri ha distrutto un edificio adiacente all’ambasciata iraniana a Damasco, uccidendo almeno sei persone, secondo la Syrian Arab News Agency (SANA), l’agenzia stampa di Stato siriana. I media iraniani hanno identificato l’edificio come il consolato iraniano e la residenza dell’ambasciatore.

 

L’agenzia di stampa iraniana Tasnim ha identificato Zahedi, un comandante anziano della forza Quds dell’IRGC, come tra i morti. Secondo quanto riferito, anche il suo vice è stato ucciso.

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Secondo un corrispondente della Reuters a Damasco, il consolato è stato «raso al suolo», in quella che è stata descritta come «una sorprendente e apparente escalation del conflitto in Medio Oriente che avrebbe messo Israele contro l’Iran e i suoi alleati».

 

 

Israele, come suo costume, non ha commentato l’attacco. Lo Stato Ebraico raramente riconosce i suoi attacchi aerei contro la Siria, che Damasco ha ripetutamente denunciato come violazioni della sua sovranità.

 

L’attacco al consolato è «una violazione di tutte le convenzioni internazionali», ha detto il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian in una chiamata al suo omologo siriano, secondo i media iraniani. Ha aggiunto che Teheran riterrà responsabile Israele. L’ambasciatore iraniano in Siria ha affermato che la risposta sarà «dura», secondo Reuters.

 

La Forza Quds è il braccio armato dell’Intelligence militare e delle operazioni non convenzionali dell’IRGC. Secondo quanto riferito, Zahedi era responsabile delle sue operazioni in Siria e Libano. Il suo comandante più famoso, il generale Qassem Soleimani, è stato assassinato nel gennaio 2020 da un drone statunitense, mentre era in visita a Baghdad, in Iraq.

 

Come riportato da Renovatio 21, il presidente Trump, che diede l’ordine, ha affermato di aver ordinato l’operazione militare statunitense in risposta all’Intelligence che affermava che Soleimani stava pianificando un attacco «imminente» contro le forze americane nella capitale irachena. Secondo rivelazioni dello scorso anno dell’ex capo dell’Intelligence israeliana, sarebbe stato lo Stato Ebraico a convincere la Casa Bianca ad uccidere il generale iraniano.

 

Un attacco al memorale del generale iraniano tre mesi fa aveva causato circa 100 morti.

 

Un altro comandante della Forza Quds, il generale Razi Mousavi è stato ucciso a Damasco lo scorso dicembre, pure lui in un attacco aereo israeliano non ufficialmente riconosciuto.

 

Poche ore fa l’Iran ha promesso di reagire contro Israele e gli Stati Uniti in risposta all’attacco aereo in Siria, che ha ucciso un gruppo di alti comandanti di Teheran.

 

Il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamicaha confermato che sette ufficiali, tra cui i generali di brigata Mohammad Reza Zahedi e Mohammad Hadi Haji Rahimi, sono stati uccisi lunedì nell’attacco aereo contro l’edificio del consolato iraniano a Damasco.

 

Funzionari in Siria e Iran hanno accusato Israele dell’attacco. «La Repubblica Islamica dell’Iran, pur riservandosi il diritto di prendere contromisure, decide il tipo di reazione e punizione dell’aggressore», ha detto il portavoce del Ministero degli Esteri Nasser Kanaani in una dichiarazione citata dall’agenzia di stampa IRNA.

 

Il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian ha avvertito su X che lo stretto alleato di Israele, gli Stati Uniti, «deve essere ritenuto responsabile».

 

A Teheran migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro la distruzione del consolato.

 


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Il governo israeliano ha accusato l’Iran di aver ideato l’attacco mortale del 7 ottobre contro cittadini israeliani, che ha dato il via alla guerra in corso con il gruppo militante palestinese Hamas. Il mese scorso, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno colpito quelli che ritenevano fossero militanti legati all’Iran in Libano.

 

Teheran si è impegnata a continuare a sostenere Hamas e altri gruppi palestinesi, ma ha insistito sul fatto che Hamas ha deciso di invadere il territorio israeliano da solo. Nel corso di questi mesi Teheran ha arrestato e giustiziato tre presunte spie del Mossad, mentre continuano gli attacchi del proxy iraniano principale, Hezbollah, a Nord dello Stato degli ebrei.

 

Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi due anni oltre a Damasco (bombardata anche in raid diurni) gli aeroporti della capitale e di Aleppo sono ripetutamente colpiti. Nel 2022, la Russia, che ha truppe presenti sul territorio siriano, dopo l’ennesimo raid emise una rara, molto inusuale condanna pubblica degli attacchi israeliani all’aviosuperficie della capitale.

 

È emerso negli scorsi giorni che le forze armate israeliane utilizzerebbero l’Intelligenza Artificiale negli attacchi aerei.

 

Come riportato da Renovatio 21, il capo di stato maggiore del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche, Mohammad Reza Naqdi ha dichiarato che gli Stati Uniti e i loro alleati sono «intrappolati» nel Mar Rosso e dovrebbero prepararsi alla chiusura dei corsi d’acqua che si estendono fino alle porte occidentali del Mar Mediterraneo.

 

Un mese fa Teheran ha accusato lo Stato Ebraico di aver fatto saltare i suoi gasdotti, mentre poco prima Netanyahu aveva pubblicamente dichiarato «stiamo attaccando l’Iran».

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