Stato
L’America verso la violenza del monopartito. E l’Italia?

La rete si è subito scatenata. Il terrificante discorso di Philadelphia di Biden sull’«anima della nazione» è stato ribattezzato «Dark Brandon», dove Brandon è oramai codice gergale per definire Biden e il mandarlo a. (Qualcuno, in effetti, ce lo ha mandato: ad una certa, si sente un coretto…)
Il discorso, con il fondo rosso, è stato paragonato a quelli visti al cinema coi dittatori di Guerre Stellari o V for Vendetta. Qualcuno ha parlato di un’immagine dall’inferno: il rosso si stagliava al punto sul nero che, non è uno scherzo, la CNN lo ha in diretta virato più verso il rosa, che è più rassicurante e LGBT-friendly.
A noi, più concretamente, il tutto ricordava incontrovertibilmente le potenti architetture di luce di Albert Speer, l’architetto del III Reich.
L’elemento marziale del quadro aggiungeva un tocco ancora più disturbante: in una deviazione dalla tradizione dei discorsi presidenziali – e questo lo era, a tutti gli effetti: non il discorso elettorale, ma una comunicazione diretta della Casa Bianca – ecco due Marines in alta uniforme ai lati del Dark Brandon.
Proprio così: due miliziani del corpo militare più duro posti accanto al presidente. Non si era mai visto. Il messaggio è chiarissimo.
Chiarissimo è stato, tuttavia, anche il discorso letto sul gobbo dal vegliardo del Delaware.
Come ha riassunto Sky News, «Joe Biden ha “effettivamente dichiarato guerra” a metà dell’America».
«I repubblicani MAGA… abbracciano la rabbia. Vivono nel caos. Vivono non alla luce della verità, ma all’ombra della menzogna» ha proclamato il presidente americano. Ombra, menzogna, rabbia… sta parlando di demoni? La scenografia ci farebbe propendere per il sì.
Nonostante i tentativi di Biden all’interno dello stesso discorso di separare i repubblicani tradizionali (cioè quelli corrotti e compromessi, o quelli che chiamano RINO, «repubblicani solo di nome») dai trumpiani ora chiamati «Maga republicans», sappiamo bene che la minaccia è rivolta a chiunque non ha votato per lui.
Perché praticamente tutti i candidati sostenuti da Trump hanno vinto le primarie di partito: quindi, dei «repubblicani tradizionali» non resta più nulla, chiedete a Liz Cheney. E 73 milioni di persone hanno votato Donald Trump nelle famigerate elezioni del 2020: più voti di quanti ne prese Obama, ma 7 milioni in meno del presidente più votato di sempre, Joe Biden, i cui voti peraltro sono arrivati nelle ore successive alle votazioni.
Quindi, Biden ha dichiarato guerra alla minoranza politica (se credete ai risultati elettorali oppure non volete essere bannati dai social) americana? Ha dichiarato guerra all’intera popolazione che non lo vota?
Sì, possiamo dire che lo sapevamo già da tempo. Perché chi non si conforma, oggi, è un problema sistemico da eliminare, piallare via per sempre. L’accusa è radicale: non la pensi come me, sei una minaccia allo Stato stesso.
«Donald Trump e i repubblicani MAGA rappresentano un estremismo che minaccia le fondamenta stesse della nostra repubblica», ha avuto il coraggio di dire (cioè, leggere dal teleprompter) Biden, aggiungendo che i MAGA «accendono le fiamme della violenza politica».
Chi legge Renovatio 21 sa che questa non è una novità. Lo abbiamo visto in questi anni, e da subito. Una delle prime cose che Biden fece una volta entrato in carica fu lo spostamento dell’attenzione delle agenzie di sicurezza verso i domestic terrorist: cioè, il problema non era più al-Qaeda o l’ISIS (che del resto pochi giorni fa a Kabul colpisce l’ambasciata russa, che coincidenza), ma gli «estremisti» interni. I bianchi suprematisti, i bianchi bigotti, i bianchi tout court o, più semplicemente, i genitori dei bambini a scuola, che rifiutano con veemenza l’indottrinamento dei loro figli a base di gender e nuovo razzismo. Ai genitori degli studenti che osano protestare, ricordiamolo, Biden ha mandato addosso l’antiterrorismo. Sul serio.
Non è uno scherzo: lo shift è avvenuto, e da un pezzo. Il dissenso è visto come minaccia radicale, da estirpare senza pietà. L’incredibile raid dell’FBI a Mar-a-Lago, per sequestrare documenti all’ex presidente Trump, va in questa direzione – non c’è trattativa di sorta con l’altra parte, bisogna eliminarla, cancellarla, resettarla. E basta.
«I repubblicani MAGA non rispettano la Costituzione, non credono nello stato di diritto… Promuovono i leader autoritari». E chi sarebbero i leader autoritari? Orban, di cui praticamente è proibito parlare in America dopo che Tucker Carlson lo ha intervistato? Oppure è un riferimento a Trump? Oppure sta parlando direttamente di Putin, che magari, nonostante il tentativo fallito di incolparlo per inflazioni e prezzo della benzina alle stelle, sanno essere più popolare di quanto si creda negli USA?
Qui l’unico leader autoritario, per quanto possa sembrare pazzesco visto che si tratta di un vecchio con la demenza senile, parrebbe essere Biden.
O meglio, autoritario è il sistema che lo ha messo lì: chiamiamolo Deep State, chiamiamolo Swamp (la «palude»), chiamiamolo Permanent Washington, chiamiamolo «la Cattedrale» (come fa Curtis Yarvin), chiamiamolo complesso militare-industriale, o una somma di tutto questo, che si esprime nei pupari prima facie Ron Klain, Barack Obama etc., cioè coloro che hanno il vero potere oggi alla Casa Bianca. Il vero presidente è chi scrive il teleprompter, cioè il gobbo del presidente, ha detto ieri il futuro candidato presidenziale (e probabile parte del ticket repubblicano finale) governatore della Florida Ron De Santis.
Costoro, a dispetto del loro burattino sempre più imbarazzante, stanno costruendo un Paese autoritario davvero: un’autocrazia, nel vero senso della parola. Dissentire, in America, diverrà impossibile: il biennio del COVID, con discriminazioni alienanti e libertà della parola sancita dalla Costituzione distrutta per sempre, sta qua ad indicarcelo.
È cos’è una delle prime cose che accadono in un’autocrazia? Beh, qui la storia dà tanti esempi: su tutti, c’è l’imposizione del monopartito.
Un partito unico che decide tutto, che si fonde con lo Stato stesso – uno Stato-partito, dove la scelta elettorale per qualsiasi altro movimento, qualora venga lasciato cosmeticamente in vita, è risaputa essere una cosa inutile.
L’Italia fascista (proprio lei) aveva l’assetto monopartitico. Ce lo aveva l’URSS. Ce lo aveva anche la Germania nazista, dove lo Stato-partito a tal punto si identificava con la Nazione e la Repubblica che la bandiera del partito divenne bandiera del Paese. In ognuno di questi esempi, il dissenso sappiamo come veniva trattato. E sappiamo con che velocità sono stati eliminati tutti gli altri gruppi politici, compresi quelli che pure magari avevano propositi simili.
Il lettore avrà capito che c’è un esempio recente ancora più impressionante di Stato partitico. No, non parliamo dell’Emilia-Romagna piddificata, di cui abbiamo già detto in passato.
Ci riferiamo, ovviamente, al capolavoro dello Stato-partitico che è la Repubblica Popolare Cinese. Il Partito Comunista Cinese decide qualsiasi cosa – dall’economia agli affari militari, fino al numero di figli che puoi avere (quelli in più li ammazziamo, o ti multiamo, o tutt’e due) – e si identifica di fatto non solo con la politica cinese tutta, ma con lo stesso Regno di Mezzo.
Abbiamo sentito Mario Monti, di recente, lodare la leadership pechinese, parlare di quanto bene sono formati, selezionati, istruiti i quadri. Ancora una dimostrazione di come quello che 11 anni fa ci avevano venduto come un «professore» pieno di «competenza» forse non è esattamente come ce lo dipingevano: caro Monti, l’unica cosa che conta, per la classe dirigente in Cina, e per il potere in generale, è la distanza che si ha da una manciata di famiglie facenti parti dell’aristocrazia del PCC, dove il nonno magari ha fatto la Lunga Marcia con Mao, cose così.
Xi Jinping è figlio di Xi Zhongxun, già vicepremier con Deng, uomo che istituì le zone ecnomiche speciali. Il suo è l’esempio più alto, assieme a quello di Bo Xilai, il sindaco di Chongqing ora in galera dopo una trama di spionaggio con contorno di morto britannico. Sono in politica il figlio e la figlia di Deng, il figlio di Zhou Enlai, il nipote di Mao, che è generale dell’Esercito di Liberazione Popolare. Il loro gruppo è chiamato Taizidang, «principi ereditari di partito». Una lista dei principini principali conta qualcosa come 226 voci.
Sì, la Cina è un’aristocrazia monopartitica.
I rampolli dei principini non di rado finiscono invischiati in storiacce, Ferrari accartocciate in incidenti, droga, morti, etc. Nessuno però li tocca, nessuno in realtà ne parla. Perché, nello Stato aristo-monopartitico, non c’è altro potere se non quello delle loro famiglie, cioè quello del Partito, che non è – come non lo è ovunque nel mondo – un insieme di persone accomunate da ideali, ma un consorzio di interessi di clan.
Quando pensate ad Hunter Biden, alle cose incredibili contenute nel suo laptop – e non parliamo solo di selfie drogastici e di autopornografia estrema, ma di prove del coinvolgimento della famiglia Biden in affari loschi e potenzialmente molto illegali – dovete tenere a mente quanto abbiamo scritto sopra. Del resto Hunter, cioè la famiglia Biden, faceva affari con la Cina, qualcuno dice perfino con operativi direttamente legati al clan Xi.
Gli USA si stanno sinizzando? La Casa Bianca sta diventando sempre più una Città Proibita? Le 50 stelle della bandiera americana possono diventare 5 come in quella della RPC?
Sì, il monopartito alla cinese – autocratico, aristocratico, totalista – è stato oramai dichiarato definitivamente.
E non c’è scampo alla conseguenza più logica ed immediata che avrà il monopartito: la violenza.
Perché lo Stato-partito non può accettare alcun potere oltre al suo, pena il crollo della sua raison d’etre principale presso il popolo: ascoltami, votami, obbediscimi perché ci sono solo io.
È del tutto possibile, a questo punto, che la Seconda Guerra Civile americana non sarà iniziata dai buzzurri delle militias degli Stati dell’America interna, dove ancora oggi è un tripudio di cappelli rossi MAGA.
A iniziare la Guerra Civile sarà con probabilità l’establishment. Certo, magari useranno un false-flag, o chissà quale altra provocazione. Ma la funzione dell’operazione a questo punto deve essere chiarissima: è un’epurazione, un genocidio, un «democidio», dice qualcuno.
Perché alla fine non due partiti in lotta, a quanto dice Biden: c’è, da una parte l’establishment di Washington (i politici, i produttori di armi, l’esercito, la CIA, l’FBI, gli interessi del grande capitale finanziario), che si esprime di facciata con un Partito che dice «noi siamo la democrazia, noi siamo gli USA»; dall’altre, settanta e passa milioni di persone di cui non viene più considerata la rappresentanza parlamentare e politica – contro di essa, anzi, vengono fatti raid in casa.
Sappiamo anche che il 6 gennaio è stato di fatto un test che il sistema ha organizzato per fare una valutazione riguardo alla Guerra Civile: siamo convinti della teoria di quanti sostengono che il vero obbiettivo della insurrezione di cartapesta del 2021 (per la quale sono ancora in galera, in isolamento, diverse persone…) non fosse né Trump né il suo popolo, ma l’esercito. Una Patriot Purge, la «purga dei patrioti».
Il 6 gennaio sarebbe servito come cartina tornasole per capire dove si sarebbero posizionate le forze armate USA in caso di rivolta. Sarebbero state con Trump (ricordate, quelle strane toppe con la Q che comparivano sulle divise dei soldati…) o avrebbero obbedito a generali come Milley (che in quelle ore telefonava a generali cinesi dicendo che nel caso Trump avesse dato l’ordine di attaccare la Cina lui non l’avrebbe fatto: in pratica, un golpe) già compromessi con la mafia democratica della Washington permanente?
Il risultato del test lo conosciamo: i militari non si sono uniti alla popolazione. Eliminato per via giudiziaria Flynn (a cui hanno pure cancellato il conto in banca) non sembra che nessun’altra personalità militare americana fosse in grado di guidare i ragazzi in un ammutinamento. E il 7 gennaio, si racconta, nelle basi d’America tutte le automobili dei soldati avevano adesivi mancanti: avevano fatto sparire il teschio, l’aquila dalla testa bianca, lo slogan trumpista, in alcuni casi addirittura la bandiera americana.
Ora che lo Stato profondo può contare saldamente sulla base militare, è chiaro che piani di distruzione dell’eventuale opposizione popolare sono stati fatti. Ricordiamolo: l’opposizione popolare americana è, grazie al Secondo Emendamento della Costituzione, assai armata. Tuttavia, essa non può competere al livello di distruttività tecnologica che possiede l’esercito USA.
Non sappiamo nulla di piani del genere, ma possiamo immaginare: dopo tanta pratica in Afghanistan negli anni di Obama a far saltare centinaia di persone ai matrimoni fra le montagne, il programma dei droni (diretto dalla CIA) potrebbe essere impiegato anche sul territorio nazionale.
In pratica, in una eventuale conflitto interno USA, i dissidenti armati potrebbero fare come i partigiani di Alba Rossa, e salire sulle montagne rocciose, nascondersi nelle foreste di sequoie, sparire nei deserti, inabissarsi in qualche paesino sperduto: sarebbero, tuttavia, scovati e disintegrati all’istante grazie ad un robot assassino volante. Aspettando, come ricordiamo spesso su Renovatio 21, non solo il robot-killer aereo, ma anche il robocane assassino, o quello che sarà.
La Seconda Guerra Civile americana è stata predetta da tantissimi in questi mesi. Noi aggiungiamo qualcosa di scioccante: essa potrebbe essere l’unica via di fuga alla situazione di stallo in cui è finito il pianeta. Con gli USA che rivolgono la loro attenzione all’interno invece che all’esterno, le questioni in Ucraina, in Medio Oriente e a Formosa si risolvono in velocità.
(Era già successo con l’altra guerra civile, 150 e passi anni fa: Washington muoveva qualche pedina in Mediterraneo per favorire, ovviamente, Garibaldi: la guerra lasciò libero il campo del nostro Risorgimento ai soli inglesi e ai loro minions massonici come Mazzini & Co.)
Tuttavia, la Seconda Guerra Civile non può essere vinta dal popolo americano, se non ad un prezzo di sangue infinito, e con alla base una determinazione in grado di farla durare anni e anni. Perché la Bestia di Washington non si farà abbattere con facilità, e non a scrupoli a spargere il sangue del suo popolo, anzi ricordiamo quanti dicono che essa è fondata su un demone che chiede proprio quello, sempre e comunque, nei secoli.
E noi? Beh, lo sappiamo, neanche l’Italia è così lontana dal monopartito e dai processi derivati, come non lo sono la Francia, la Germania. Le nostre elezioni, dove in pratica non esiste un partito che sarà rappresentato che si discosta da green pass e attacco alla Russia, stanno ad indicarcelo precisamente. Ma, ripetiamo, è così ovunque. Lo abbiamo visto.
Si tratta di una riga di codice che hanno inserito nel sistema operativo di tutto il mondo moderno: sacrifica la minoranza, distruggi il diverso, cancella l’altro da te, resetta il quadro precedente. Odia chi dissente.
Tutti devono obbedire – lo dice la Scienza, lo dice la Democrazia, lo dice il Cambiamento Climatico, lo dice l’Ucraina.
Sottomettiti. Ti daremo qualche cosa da mangiare, la libertà di drogarti ed essere sodomizzato (i «diritti» del vaiolo delle scimmie), più qualche soldino suo tuo portafogli di euro digitali – sempre che non siano le ore, più o meno concordate, del blackout.
La polarizzazione della società è oramai irreversibile. E no, non l’abbiamo voluta noi. Non l’hanno voluta neanche loro, i vicini con la mascherina e la bandiera ucraina fuori dalla finestra.
È un disegno. È stato pensato per distruggerci. È stato pensato per schiavizzarci, terminarci, e più ancora per sterilizzarci.
Noi la chiamiamo Necrocultura, la Cultura della Morte. Ora, grazie al discorso di Biden possiamo aggiungere una nuova immagine esplicativa al suo album fotografico.
Ringraziamo Necro-Brandon, i suoi sceneggiatori, i suoi scenografi.
Quindi, infine, ci uniamo anche noi al coro: «Let’s go Brandon»
Roberto Dal Bosco
Immagine da Twitter, modificata
Bioetica
Corti Costituzionali, «madri intenzionali» e Cultura della morte: il vero ruolo della magistratura nello Stato moderno

I conservatori sono sconvolti: la Corte Costituzionale della Repubblica ha sentenziato – udite udite! – a favore di una «famiglia» lesbica, introducendo l’eccezionale concetto di «madre intenzionale», che ci fa sognare future definizioni di «padri preterintenzionali» e altre cose bellissime di questo tipo.
Con la sentenza della settimana scorsa i supremi togati non hanno cambiato le leggi (già ingiuste sino all’indicibile) riguardo all’accesso alla provetta in Italia, che restano (in teoria, molto in teoria, sempre più solo in teoria) vietate agli arcobalenati. Tuttavia, riconoscendo i loro figli prodotti in laboratorio all’Estero, il buco nella ridicola diga bioetica repubblicana diviene una voragine: ci piacerebbe fare anche noi gli allarmisti e gridare che il Vajont omotransumanista è dietro l’angolo, ma in realtà sappiamo, come i lettori di Renovatio 21, che esso è già qui.
La catastrofe zootecnica già si è impadronita del Paese, con gli esisti apocalittici che descriviamo da anni e anni su queste pagine. Del ruolo delle istituzioni, compresa la Chiesa cattolica, in questo processo, non diremo di più qui.
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Ci preme solo ricordare a tutti, in ispecie i pisciatori di inchiostro conservatore, una cosa che a noi pare lapalissiana: l’ascesa dei diritti omotransessualisti è funzione della corsa programmata verso i bambini artificiali, gli umanoidi prodotti in laboratorio. Non viceversa: non è che tutto questo casino, che perdura nei decenni, lo hanno fatto per i «diritti civili» degli omofili, dei quali al manovratore finale interessa pochino (quel tanto che serve per pervertire la società al punto da farne crollare il pezzo assegnato all’operazione).
No: i padroni del mondo hanno fatto avanzare unioni, matrimoni, adozioni omosessuali – tra pellicole, serie TV, canzonette e infine leggi, come da schemino Overton – per il vero fine di sdoganare definitivamente l’alambicco degli homunculi FIVET. La provetta non solo è possibile, ora è giusta, è civile. Come il diritto, appunto.
Ci rendiamo conto che per molti, che non hanno una visione metastorica, metapolitica, metafisica dell’ora presente, tale concetto è assurdo. Chi crede che la storia sia una simpatica linea retta dove le cose avvengono spontaneamente, con un percorso verso emancipazioni varie già segnato che può al massimo essere mitigato, non può comprenderlo: egli è, appunto, un conservatore, un reazionario, uno che conserva e reagisce cose che gli consegnano altri, già corrotte a dovere da coloro che servono le fiches del giuoco.
Tuttavia non è per rivendicare il pensiero di un primato dell’avvento degli umanoide nell’agenda mondialista che scriviamo questo articolo (ne abbiamo già fatti tanti), ma per specificare quale sia il ruolo che in tale agenda pare avere la magistratura. E non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Non è la prima volta che la Corte Costituzionale italiana supplisce al legislatore, e se ne dice pure stufa: insomma, si sono lasciati scappare i super-giudici italici alcune volte, ci tocca lavorare perché il Parlamento non fa il suo lavoro. E quindi che le sentenze su fine vite etc. Come dire: ci sono capisaldi della Necrocultura che dobbiamo per forza tirare fuori e spalmare sul Paese: eutanasia, vaccini obbligatori, provette…. insomma ci siamo capiti.
Da dove venga questa impellenza di legiferare invece della politica non è dato sapere: non dicono nemmeno, stavolta, «ce lo chiede l’Europa». Eppure eccoci qui.
Ripetiamo: non è una questione del solo Belpaese. Due settimane fa la Corte Suprema dell’Estonia ha stabilito che il suicidio assistito è un «diritto» costituzionale. L’Alta Corte dell’Ecuador ha legalizzato l’eutanasia l’anno passato. In Belgio (lui), tre anni fa l’Alta Corte belga ha dichiarato che la legge nazionale sull’eutanasia era incostituzionale, perché non abbastanza permissiva. Nel 2023 la Corte Suprema messicana era arrivata ad inventarsi il «diritto all’aborto»: un’innovazione portata a compimento dalla Francia di Macron, che ha piazzato (primo Paese al mondo) il feticidio in Costituzione.
E non si tratta delle sole Corte Costituzionali e surrogati vari. E non si tratta solo dei temi «bioetici» – cioè pertinenti all’avanza della Cultura della Morte. A tutti i livelli, in tutti i Paesi, troviamo magistrati che sembrano voler assecondare furiosamente – fuori da ogni logica, da ogni diritto, da ogni grazia di Dio – il programma mondialista. In USA c’è il caso dei magistrati che, dopo aver perseguitato Trump chiedendo tre quarti di millennio di galera per l’ex presidente, liberano gli immigrati criminali impedendone la deportazione. In Germania un giudice ha dato ad un uomo che aveva criticato un immigrato stupratore una multa doppia rispetto a quella comminata al violentatore stesso. A Parigi i giudici buttano fuori Marine Le Pen dalle prossime presidenziali. In Sudafrica le toghe supreme stabiliscono che cantare «uccidi il boero» non è incitamento all’odio razziale. In Austria è inquisito il leader FPO. In Romania abbiamo visto giudici che invalidano le elezioni contro il candidato che vuole la pace. Dello strapotere del giudice supremo brasiliano De Moraes (il «Darth Vader di Brasilia», secondo Elon Musk), che mette in galera chiunque – soprattutto Bolsonaro e i suoi supporter – e sequestra i social stranieri, abbiamo segnalato tante cose.
Pensate un attimo a tutti i processi sull’immigrazione in Italia, con ministri portati in tribunale dai magistrati – e le intercettazioni che comprovano quelle che sono di fatto cospirazioni giudiziarie per attaccare determinate figure politiche. La volontà popolare, espressa da partiti che vincono le elezioni con determinati programmi, non conta nulla. Comandano, sembra che ci stiano dicendo, i giudici.
E quindi, non viviamo in repubbliche democratiche, ma in giudicati. Si tratta di una bella trasformazione della «democrazia», a cui tanto teniamo, a cui tutti dobbiamo credere, e senza la quale certo non si può vivere. Non c’è che dire: ci avevano insegnato che la democrazia quando si corrompe diviene preda di tiranni, dittatori, re ed imperatori: e invece, eccoci sottomessi in un giudicato.
È una novità? No. Chiunque abbia ancora in mente il disastro di Mani Pulite – tipo, non Travaglio e i suoi lettori ebeti – sa bene di cosa si tratta. Di recente, ha provato a definire il fenomeno lo studioso degli apparati statal-censorii promanati dallo Stato profondo USA Mike Benz, che ha parlato di «giustizia transizionale». Il ruolo di una magistratura che persegua senza sosta una determinata parte politica e determinate questioni è, dice il Benz, parte integrante del ruolino di marcia previsto dai programmi di regime change ingegnerizzati nel ventre oscuro di Washington – e da svariati decenni.
Ora, certo, non ci sono sono segni negativi. In Portogallo la Corte Costituzionale due anni fa aveva invalidato la legge eutanatica. A Tokyo la Corte suprema ha stabilito che sterilizzare forzatamente le persone è incostituzionale. In Uganda la massima corte ha confermato la legge anti-Sodoma…
E poi, per tornare al nostro tema, i giudici supremi dell’Alabama, che hanno stabilito che gli embrioni prodotti in vitro sono bambini, quindi con veri diritti: una sentenza rivoluzionaria, che sembra poter invertire l’intero macchinario in moto, almeno per un po’.
Tuttavia, nessuno di questi episodi ferma la nostra analisi: la magistratura, ad ogni latitudine, agisce come complice dell’Ordine mondiale. O meglio, opera limpidamente come vero strumento dello Stato moderno, il sistema sociopolitico per il quale l’umanità non è così importante, anzi, andrebbe ridotta con ogni modo possibile.
Se comprendiamo che è questo il frame in cui opera la giurisprudenza – la filosofia utilitarista in superficie, la Necrocultura in profondità – non diviene difficile realizzare che stiamo assistendo alla morte definitiva del diritto naturale e l’instaurarsi, una volta per tutte, del diritto positivo, dove la legge è sganciata dal dato di natura, per cui la legge è legge solo perché inflitta dall’alto. Dove è possibile coniare, così al volo, il concetto giuridico di «madre intenzionale», qualunque cosa possa voler dire.
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Il diritto positivo, capiamolo, è di fatto l’unico compatibile con uno Stato che si proclama apertis verbis «non-etico». Si tratta quindi solo della slatentizzazione di qualcosa che era in nuce già perfettamente presente nel sistema sin dalla sua creazione: uno Stato che rifiuta la morale come sua base non può che finire per essere lesivo per l’essere umano, anzi, non può che essere riconfigurato proprio per divenire una macchina da massacro. Cioè, in sintesi, un sistema satanico.
Senza la legge morale, cosa possiamo aspettarci se non la distruzione? Senza la legge naturale, crediamo sia possibile un esito che non vada contro il disegno di Dio?
Ora, è proprio vero che i giudici «stanno solo facendo il loro mestiere», come si sente dire sempre da chi ne difende l’operato.
Facciamo un bel respiro, dunque, e mettiamoci in testa che il problema è ben più radicale. La soluzione, pure.
Si tratta solo di avere un po’ di coraggio. Quantomeno, ad ammettere l’abisso infernale dove ci hanno infilato.
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Eutanasia
Suicidio assistito, diritto manipolato e distruzione della società

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Persecuzioni
La nuova Costituzione della Siria post-Assad sancisce la legge islamica della sharia

La scorsa settimana il capo del movimenti islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e autoproclamato presidente Ahmed al-Sharaa (già noto, e ricercato dagli USA, come il terrorista di Al Qaeda e ISIS Abu Mohammad al-Jolani) ha firmato una nuova dichiarazione di una Costituzione provvisoria per la nuova Siria.
Un comitato di nominati dall’HTS l’ha elaborato (o almeno una bozza parziale) in una commissione, e rende chiaramente la legge islamica o sharia la nuova legge del Paese.
Per la prima volta nella storia della Siria, la costituzione riconosce la legge islamica come fonte principale della giurisprudenza. In precedenza, il governo di Assad riconosceva la legge islamica solo come fonte, o una delle tante fonti.
La famiglia Assad apparteneva risaputamente alla fede islamica alawita, e quindi ha operato in modo tale da garantire protezione a tutte le minoranze religiose non sunnite. Tuttavia queste protezioni sono state chiaramente ora rimosse, nel mezzo di un massacro in corso che ha preso di mira principalmente gli alawiti nelle regioni costiere della Siria, dove migliaia di persone sono morte.
Sotto Assad, i cristiani in particolare vivevano la loro fede in modo molto pubblico, il che includeva parate nelle strade delle principali città durante festività come Natale e Pasqua. La festa di San Giorgio era spesso accompagnata anche da celebrazioni pubbliche in varie città cristiane. Aveva fatto scalpore il caso degli alberi di Natale dati alle fiamme negli scorsi mesi.
Sappiamo che ora i cristiani vivono nella paura, e tutte le feste della chiesa sono state cancellate del tutto o almeno notevolmente attenuate. Di recente ci sono state segnalazioni secondo cui a Damasco i militanti di HTS hanno invaso ristoranti e bar, rimproverando e insultando i cristiani per aver mangiato e bevuto durante il digiuno musulmano del Ramadan.
I cristiani sono tra le vittime dei massacri della nuova Siria in mano ai takfiri, definiti ridicolmente da Israele come «jihadisti educati». Cristiani e alawati sono oggi oggetto di stragi che qualcuno ha chiamato «neo-ottomane», perpetrate da forze armate nelle cui posizioni di rilievo sono stati nominati jihadisti da tutto il mondo. – basti pensare che il nuovo capo dell’Intelligence damascena è un uomo designato come terrorista dall’ONU.
Tra le poche voci levatesi in loro difesa, quella di monsignor Viganò.
«Questo genocidio si compie oggi sotto i nostri occhi, nel silenzio dei parlamenti delle Nazioni «democratiche» e di una Gerarchia «cattolica» asservita agli interessi del globalismo» ha detto il vescovo in una dichiarazione.
«I nostri fratelli Cristiani sono barbaramente uccisi nelle città e nei villaggi. Anziani, donne e bambini vengono crocifissi e massacrati solo a causa della loro Fede: una Fede che decenni di compromessi e cedimenti hanno quasi completamente cancellato nei Paesi occidentali e specialmente nei loro governanti».
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«Non possiamo rimanere in silenzio né inerti dinanzi al martirio dei nostri fratelli Cristiani» esclama l’arcivescovo. «Quelle scene di violenza disumana e crudeltà che vediamo accadere in terre remote potrebbero domani replicarsi nelle nostre Nazioni, che il tradimento di governanti corrotti ha fatto invadere da orde di fanatici maomettani in età militare, per imporre all’Europa la sostituzione etnica e la cancellazione definitiva della Civiltà cristiana».
Esorto i Cattolici, in questi giorni della Santa Quaresima, a pregare, a digiunare e a fare penitenza per impetrare al Cielo protezione sui fedeli perseguitati e martirizzati in Siria, a Gaza e in molte altre parti del mondo» dice monsignore. «Possa il loro esempio di eroica fermezza nella professione della vera Fede animare, prima che sia troppo tardi, un risveglio delle coscienze dei Cristiani e un ritorno a Dio, dal quale dipende la pace, la concordia e prosperità dei popoli».
Viganò terminava il messaggio con delle parole latine di grande significato: «Deus vult!».
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