Stato
L’America verso la violenza del monopartito. E l’Italia?

La rete si è subito scatenata. Il terrificante discorso di Philadelphia di Biden sull’«anima della nazione» è stato ribattezzato «Dark Brandon», dove Brandon è oramai codice gergale per definire Biden e il mandarlo a. (Qualcuno, in effetti, ce lo ha mandato: ad una certa, si sente un coretto…)
Il discorso, con il fondo rosso, è stato paragonato a quelli visti al cinema coi dittatori di Guerre Stellari o V for Vendetta. Qualcuno ha parlato di un’immagine dall’inferno: il rosso si stagliava al punto sul nero che, non è uno scherzo, la CNN lo ha in diretta virato più verso il rosa, che è più rassicurante e LGBT-friendly.
A noi, più concretamente, il tutto ricordava incontrovertibilmente le potenti architetture di luce di Albert Speer, l’architetto del III Reich.
L’elemento marziale del quadro aggiungeva un tocco ancora più disturbante: in una deviazione dalla tradizione dei discorsi presidenziali – e questo lo era, a tutti gli effetti: non il discorso elettorale, ma una comunicazione diretta della Casa Bianca – ecco due Marines in alta uniforme ai lati del Dark Brandon.
Proprio così: due miliziani del corpo militare più duro posti accanto al presidente. Non si era mai visto. Il messaggio è chiarissimo.
Chiarissimo è stato, tuttavia, anche il discorso letto sul gobbo dal vegliardo del Delaware.
Come ha riassunto Sky News, «Joe Biden ha “effettivamente dichiarato guerra” a metà dell’America».
«I repubblicani MAGA… abbracciano la rabbia. Vivono nel caos. Vivono non alla luce della verità, ma all’ombra della menzogna» ha proclamato il presidente americano. Ombra, menzogna, rabbia… sta parlando di demoni? La scenografia ci farebbe propendere per il sì.
Nonostante i tentativi di Biden all’interno dello stesso discorso di separare i repubblicani tradizionali (cioè quelli corrotti e compromessi, o quelli che chiamano RINO, «repubblicani solo di nome») dai trumpiani ora chiamati «Maga republicans», sappiamo bene che la minaccia è rivolta a chiunque non ha votato per lui.
Perché praticamente tutti i candidati sostenuti da Trump hanno vinto le primarie di partito: quindi, dei «repubblicani tradizionali» non resta più nulla, chiedete a Liz Cheney. E 73 milioni di persone hanno votato Donald Trump nelle famigerate elezioni del 2020: più voti di quanti ne prese Obama, ma 7 milioni in meno del presidente più votato di sempre, Joe Biden, i cui voti peraltro sono arrivati nelle ore successive alle votazioni.
Quindi, Biden ha dichiarato guerra alla minoranza politica (se credete ai risultati elettorali oppure non volete essere bannati dai social) americana? Ha dichiarato guerra all’intera popolazione che non lo vota?
Sì, possiamo dire che lo sapevamo già da tempo. Perché chi non si conforma, oggi, è un problema sistemico da eliminare, piallare via per sempre. L’accusa è radicale: non la pensi come me, sei una minaccia allo Stato stesso.
«Donald Trump e i repubblicani MAGA rappresentano un estremismo che minaccia le fondamenta stesse della nostra repubblica», ha avuto il coraggio di dire (cioè, leggere dal teleprompter) Biden, aggiungendo che i MAGA «accendono le fiamme della violenza politica».
Chi legge Renovatio 21 sa che questa non è una novità. Lo abbiamo visto in questi anni, e da subito. Una delle prime cose che Biden fece una volta entrato in carica fu lo spostamento dell’attenzione delle agenzie di sicurezza verso i domestic terrorist: cioè, il problema non era più al-Qaeda o l’ISIS (che del resto pochi giorni fa a Kabul colpisce l’ambasciata russa, che coincidenza), ma gli «estremisti» interni. I bianchi suprematisti, i bianchi bigotti, i bianchi tout court o, più semplicemente, i genitori dei bambini a scuola, che rifiutano con veemenza l’indottrinamento dei loro figli a base di gender e nuovo razzismo. Ai genitori degli studenti che osano protestare, ricordiamolo, Biden ha mandato addosso l’antiterrorismo. Sul serio.
Non è uno scherzo: lo shift è avvenuto, e da un pezzo. Il dissenso è visto come minaccia radicale, da estirpare senza pietà. L’incredibile raid dell’FBI a Mar-a-Lago, per sequestrare documenti all’ex presidente Trump, va in questa direzione – non c’è trattativa di sorta con l’altra parte, bisogna eliminarla, cancellarla, resettarla. E basta.
«I repubblicani MAGA non rispettano la Costituzione, non credono nello stato di diritto… Promuovono i leader autoritari». E chi sarebbero i leader autoritari? Orban, di cui praticamente è proibito parlare in America dopo che Tucker Carlson lo ha intervistato ? Oppure è un riferimento a Trump? Oppure sta parlando direttamente di Putin, che magari, nonostante il tentativo fallito di incolparlo per inflazioni e prezzo della benzina alle stelle, sanno essere più popolare di quanto si creda negli USA?
Qui l’unico leader autoritario, per quanto possa sembrare pazzesco visto che si tratta di un vecchio con la demenza senile, parrebbe essere Biden.
O meglio, autoritario è il sistema che lo ha messo lì: chiamiamolo Deep State, chiamiamolo Swamp (la «palude»), chiamiamolo Permanent Washington, chiamiamolo «la Cattedrale» (come fa Curtis Yarvin), chiamiamolo complesso militare-industriale, o una somma di tutto questo, che si esprime nei pupari prima facie Ron Klain, Barack Obama etc., cioè coloro che hanno il vero potere oggi alla Casa Bianca. Il vero presidente è chi scrive il teleprompter, cioè il gobbo del presidente , ha detto ieri il futuro candidato presidenziale (e probabile parte del ticket repubblicano finale) governatore della Florida Ron De Santis.
Costoro, a dispetto del loro burattino sempre più imbarazzante, stanno costruendo un Paese autoritario davvero: un’autocrazia, nel vero senso della parola. Dissentire, in America, diverrà impossibile: il biennio del COVID, con discriminazioni alienanti e libertà della parola sancita dalla Costituzione distrutta per sempre, sta qua ad indicarcelo.
È cos’è una delle prime cose che accadono in un’autocrazia? Beh, qui la storia dà tanti esempi: su tutti, c’è l’imposizione del monopartito.
Un partito unico che decide tutto, che si fonde con lo Stato stesso – uno Stato-partito, dove la scelta elettorale per qualsiasi altro movimento, qualora venga lasciato cosmeticamente in vita, è risaputa essere una cosa inutile.
L’Italia fascista (proprio lei) aveva l’assetto monopartitico. Ce lo aveva l’URSS. Ce lo aveva anche la Germania nazista, dove lo Stato-partito a tal punto si identificava con la Nazione e la Repubblica che la bandiera del partito divenne bandiera del Paese. In ognuno di questi esempi, il dissenso sappiamo come veniva trattato. E sappiamo con che velocità sono stati eliminati tutti gli altri gruppi politici , compresi quelli che pure magari avevano propositi simili.
Il lettore avrà capito che c’è un esempio recente ancora più impressionante di Stato partitico. No, non parliamo dell’Emilia-Romagna piddificata, di cui abbiamo già detto in passato.
Ci riferiamo, ovviamente, al capolavoro dello Stato-partitico che è la Repubblica Popolare Cinese. Il Partito Comunista Cinese decide qualsiasi cosa – dall’economia agli affari militari, fino al numero di figli che puoi avere (quelli in più li ammazziamo, o ti multiamo, o tutt’e due) – e si identifica di fatto non solo con la politica cinese tutta, ma con lo stesso Regno di Mezzo.
Abbiamo sentito Mario Monti, di recente, lodare la leadership pechinese, parlare di quanto bene sono formati, selezionati, istruiti i quadri. Ancora una dimostrazione di come quello che 11 anni fa ci avevano venduto come un «professore» pieno di «competenza» forse non è esattamente come ce lo dipingevano: caro Monti, l’unica cosa che conta, per la classe dirigente in Cina, e per il potere in generale, è la distanza che si ha da una manciata di famiglie facenti parti dell’aristocrazia del PCC, dove il nonno magari ha fatto la Lunga Marcia con Mao, cose così.
Xi Jinping è figlio di Xi Zhongxun, già vicepremier con Deng, uomo che istituì le zone ecnomiche speciali. Il suo è l’esempio più alto, assieme a quello di Bo Xilai, il sindaco di Chongqing ora in galera dopo un trama di spionaggio con contorno di morto britannico. Sono in politica il figlio e la figlia di Deng, il figlio di Zhou Enlai, il nipote di Mao, che è generale dell’Esercito di Liberazione Popolare. Il loro gruppo è chiamato Taizidang, «principi ereditari di partito». Una lista dei principini principali conta qualcosa come 226 voci.
Sì, la Cina è un’aristocrazia monopartitica.
I rampolli dei principini non di rado finiscono invischiati in storiacce, Ferrari accartocciate in incidenti, droga, morti, etc. Nessuno però li tocca, nessuno in realtà ne parla. Perché, nello Stato aristo-monopartitico, non c’è altro potere se non quello delle loro famiglie, cioè quello del Partito, che non è – come non lo è ovunque nel mondo – un insieme di persone accomunate da ideali, ma un consorzio di interessi di clan.
Quando pensate ad Hunter Biden, alle cose incredibili contenute nel suo laptop – e non parliamo solo di selfie drogastici e di autopornografia estrema, ma di prove del coinvolgimento della famiglia Biden in affari loschi e potenzialmente molto illegali – dovete tenere a mente quanto abbiamo scritto sopra. Del resto Hunter, cioè la famiglia Biden, faceva affari con la Cina, qualcuno dice perfino con operativi direttamente legati al clan Xi.
Gli USA si stanno sinizzando? La Casa Bianca sta diventando sempre più una Città Proibita? Le 50 stelle della bandiera americana possono diventare 5 come in quella della RPC?
Sì, il monopartito alla cinese – autocratico, aristocratico, totalista – è stato oramai dichiarato definitivamente.
E non c’è scampo alla conseguenza più logica ed immediata che avrà il monopartito: la violenza.
Perché lo Stato-partito non può accettare alcun potere oltre al suo, pena il crollo della sua raison d’etre principale presso il popolo: ascoltami, votami, obbediscimi perché ci sono solo io.
È del tutto possibile, a questo punto, che la Seconda Guerra Civile americana non sarà iniziata dai buzzurri delle militias degli Stati dell’America interna, dove ancora oggi è un tripudio di cappelli rossi MAGA.
A iniziare la Guerra Civile sarà con probabilità l’establishment. Certo, magari useranno un false-flag, o chissà quale altre provocazione. Ma la funzione dell’operazione a questo punto deve essere chiarissima: è un’epurazione, un genocidio, un «democidio», dice qualcuno.
Perché alla fine non due partiti in lotta, a quanto dice Biden: c’è, da una parte l’establishment di Washington (i politici, i produttori di armi, l’esercito, la CIA, l’FBI, gli interessi del grande capitale finanziario), che si esprime di facciata con un Partito che dice «noi siamo la democrazia, noi siamo gli USA»; dall’altre, settanta e passa milioni di persone di cui non viene più considerata la rappresentanza parlamentare e politica – contro di essa, anzi, vengono fatti raid in casa.
Sappiamo anche che il 6 gennaio è stato di fatto un test che il sistema ha organizzato per fare una valutazione riguardo alla Guerra Civile: siamo convinti della teoria di quanti sostengono che il vero obbiettivo della insurrezione di cartapesta del 2021 (per la quale sono ancora in galera, in isolamento, diverse persone…) non fosse né Trump né il suo popolo, ma l’esercito. Una Patriot Purge, la «purga dei patrioti».
Il 6 gennaio sarebbe servito come cartina tornasole per capire dove si sarebbero posizionate le forze armate USA in caso di rivolta. Sarebbero state con Trump (ricordate, quelle strane toppe con la Q che comparivano sulle divise dei soldati…) o avrebbero obbedito a generali come Milley (che in quelle ore telefonava a generali cinesi dicendo che nel caso Trump avesse dato l’ordine di attaccare la Cina lui non l’avrebbe fatto: in pratica, un golpe) già compromessi con la mafia democratica della Washington permanente?
Il risultato del test lo conosciamo: i militari non si sono uniti alla popolazione. Eliminato per via giudiziaria Flynn (a cui hanno pure cancellato il conto in banca) non sembra che nessun’altra personalità militare americana fosse in grado di guidare i ragazzi in un ammutinamento. E il 7 gennaio, si racconta, nelle basi d’America tutte le automobili dei soldati avevano adesivi mancanti: avevano fatto sparire il teschio, l’aquila dalla testa bianca, lo slogan trumpista, in alcuni casi addirittura la bandiera americana.
Ora che lo Stato profondo può contare saldamente sulla base militare, è chiaro che piani di distruzione dell’eventuale opposizione popolare sono stati fatti. Ricordiamolo: l’opposizione popolare americana è, grazie al Secondo Emendamento della Costituzione, assai armata. Tuttavia, essa non può competere al livello di distruttività tecnologica che possiede l’esercito USA.
Non sappiamo nulla di piani del genere, ma possiamo immaginare: dopo tanta pratica in Afghanistan negli anni di Obama a far saltare centinaia di persone ai matrimoni fra le montagne, il programma dei droni (diretto dalla CIA) potrebbe essere impiegato anche sul territorio nazionale.
In pratica, in una eventuale conflitto interno USA, i dissidenti armati potrebbero fare come i partigiani di Alba Rossa, e salire sulle montagne rocciose, nascondersi nelle foreste di sequoie, sparire nei deserti, inabissarsi in qualche paesino sperduto: sarebbero, tuttavia, scovati e disintegrati all’istante grazie ad un robot assassino volante. Aspettando, come ricordiamo spesso su Renovatio 21, non solo il robot-killer aereo, ma anche il robocane assassino, o quello che sarà.
La Seconda Guerra Civile americana è stata predetta da tantissimi in questi mesi. Noi aggiungiamo qualcosa di scioccante: essa potrebbe essere l’unica via di fuga alla situazione di stallo in cui è finito il pianeta. Con gli USA che rivolgono la loro attenzione all’interno invece che all’esterno, le questioni in Ucraina, in Medio Oriente e a Formosa si risolvono in velocità.
(Era già successo con l’altra guerra civile, 150 e passi anni fa: Washington muoveva qualche pedina in Mediterraneo per favorire, ovviamente, Garibaldi: la guerra lasciò libero il campo del nostro Risorgimento ai soli inglesi e ai loro minions massonici come Mazzini & Co.)
Tuttavia, la Seconda Guerra Civile non può essere vinta dal popolo americano, se non ad un prezzo di sangue infinito, e con alla base una determinazione in grado di farla durare anni e anni. Perché la Bestia di Washington non si farà abbattere con facilità, e non a scrupoli a spargere il sangue del suo popolo, anzi ricordiamo quanti dicono che essa è fondata su un demone che chiede proprio quello, sempre e comunque, nei secoli.
E noi? Beh, lo sappiamo, neanche l’Italia è così lontana dal monopartito e dai processi derivati, come non lo sono la Francia, la Germania. Le nostre elezioni, dove in pratica non esiste un partito che sarà rappresentato che si discosta da green pass e attacco alla Russia, stanno ad indicarcelo precisamente. Ma, ripetiamo, è così ovunque. Lo abbiamo visto.
Si tratta di una riga di codice che hanno inserito nel sistema operativo di tutto il mondo moderno: sacrifica la minoranza, distruggi il diverso, cancella l’altro da te, resetta il quadro precedente. Odia chi dissente.
Tutti devono obbedire – lo dice la Scienza, lo dice la Democrazia, lo dice il Cambiamento Climatico, lo dice l’Ucraina.
Sottomettiti. Ti daremo qualche cosa da mangiare, la libertà di drogarti ed essere sodomizzato (i «diritti» del vaiolo delle scimmie), più qualche soldino suo tuo portafogli di euro digitali – sempre che non siano le ore, più o meno concordate, del blackout.
La polarizzazione della società è oramai irreversibile. E no, non l’abbiamo voluta noi. Non l’hanno voluta neanche loro, i vicini con la mascherina e la bandiera ucraina fuori dalla finestra.
È un disegno. È stato pensato per distruggerci. È stato pensato per schiavizzarci, terminarci, e più ancora per sterilizzarci.
Noi la chiamiamo Necrocultura, la Cultura della Morte. Ora, grazie al discorso di Biden possiamo aggiungere una nuova immagine esplicativa al suo album fotografico.
Ringraziamo Necro-Brandon, i suoi sceneggiatori, i suoi scenografi.
Quindi, infine, ci uniamo anche noi al coro: «Let’s go Brandon»
Roberto Dal Bosco
Immagine da Twitter, modificata
Pensiero
Vaccino «costituzionale», avevamo predetto l’assist del governo Meloni alla Corte

Lo avrete visto, in settimana è stato depositato il testo della sentenza 14/2023 della Corte Costituzionale sulla legittimità delle misure volte all’allontanamento dal lavoro del personale sanitario che ha rifiutato la vaccinazione contro SARS-CoV-2.
Come noto, il responso era già stato anticipato, ma non le motivazioni.
Si è trattato di fatto, come tutti si aspettavano, di un giudizio finale (forse) sul green pass, ossia l’apartheid biotica inflitta a milioni e milioni di cittadini italiani, che hanno percepito i diritti espressi dalla Carta costituzionale calpestati uno per uno – a partire dal primo.
Anche se conoscevamo l’esito, non possiamo evitarci il senso di smarrimento di fronte alle parole del massimo collegio giuridico della Repubblica.
«Il rischio di insorgenza di un evento avverso, anche grave, non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un obbligo vaccinale, costituendo una tale evenienza titolo per l’indennizzabilità» scrive la Corte. Cioè, se vi è sfuggita la logica: se ti risarcisco il danno, allora posso usare coercizione – se qualcosa va storto poi ti godi dei danari (magari dopo lunghissimi procedimenti, che per legge non riguardano le farmaceutiche produttrici), una situazione che, pare di capire, dovrebbe valere anche per chi muore.
In pratica, se lo Stato potenzialmente è disposto a pagarti, può farti del male – o anche ammazzarti. Il significato di questo passaggio ci fa venire le vertigini: è possibile esporre il cittadino ad un rischio di fronte alla prospettiva di una compensazione economica. Filosoficamente, questo è il trionfo più estremo dell’utilitarismo, la riprova che esso è oramai il sistema operativo dello Stato moderno. Ma non ne discuteremo qui.
Tranquilli, se si muore per il vaccino siam qui. Bisogna dire che non è la prima volta che provo questa sensazione. Ricordo bene, in era prepandemica, i discorsi dei dottori che vogliono vaccinarti con botte di polivalente il bambino: non si preoccupi, se il bimbo va in shock anafilattico, qui abbiamo il defibrillatore. Il genitore del piccolo vaccinando ha di che fidarsi: si dipinga nella mente l’immagine del corpicino di un piccolo di tre anni – il suo piccolo – mentre viene attraversato da immani scosse elettriche, sballonzolato violentemente, forse vivo, forse morto, sul tavolo di un ambulatorio.
Non fa una grinza: c’è il defibrillatore, allora vaccino il bambino. C’è l’indennizzo, se vengo danneggiato – magari ne muoio – quindi mi sottopongo immantinente alla sierizzazione genica sperimentale mRNA. La logica, come vedete, è la stessa. Rimedi e compensazioni, post-danno, e anche post-mortem.
La Corte va oltre, e ci parla di scienza: «in coerenza con il dato medico-scientifico che attesta la piena efficacia del vaccino e l’idoneità dell’obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus, la non irragionevolezza del ricorso ad esso, a fronte di un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che può venire contratto da chiunque, caratterizzato da rapidità e imprevedibilità del contagio».
C’è un subordine del diritto alla Scienza, pare di capire. Già questo è un argomento enorme. Tuttavia ci colpisce come i supremi giudici parlino di riduzione della circolazione del virus. Ritenevamo che non fosse più un argomento che fosse possibile usare, dopo la confessione dinanzi al Parlamento Europeo della dirigente Pfizer, che ha ammesso che il siero mai era stato testato per ridurre il contagio – e così inficiando l’intera architettura internazionale delle restrizioni pandemiche.
La Corte, invece, rimane lì: bisogna vaccinarsi per salvare gli altri, e pazienza se il vaccino è dichiarato inefficace per questo scopo dalla stessa farmaceutica produttrice, pazienza se persino Bill Gates, che all’OMS «dona» molta più denari della Repubblica Italiana e sui vaccini ha investito forse ancora più soldini, sia arrivato anche lui a questa conclusione.
Pazienza perché, ripetiamo, c’è una «coerenza con il dato medico-scientifico che attesta la piena efficacia del vaccino e l’idoneità dell’obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus», una frase che oggi non comprendiamo come si possa giustificare.
Vi sarebbe molto altro da scrivere, tuttavia quest’articolo serve ad altro. Non riguarda la Corte Costituzionale, che, a differenza degli USA, mai si è resa vera protagonista della politica nazionale, ma, appunto, la politica stessa – cioè la politica del governo.
Vogliamo ricordare al lettore uno degli articoli di Renovatio 21 più letti negli scorsi mesi. Si intitolava «La trappola del decreto di reintegro dei medici non vaccinati». È stato pubblicato il 4 novembre 2022.
Lì mettevamo in guardia rispetto agli entusiasmi delle moltitudini rispetto al varo del decreto legge 162/2002, il primo atto del governo Meloni, l’atto con cui la romana avrebbe – scrisse il quotidiano La Verità – «smontato la gabbia del COVID».
Il decreto – quanti non lo capirono! – non prendeva nessuna posizione rispetto alla siringa mRNA di Stato, si limitava ad accorciare (di pochissimo) i tempi: l’obbligo vaccinale per i sanitari decadeva quindi subito invece che a fine dicembre.
La manovra, quindi, ci era sembrata subito altamente sospetta.
«Non prendendo alcuna posizione sulla siringa di Stato, il decreto crea un vuoto che non può essere lasciato esistere, un vuoto che, immancabilmente, chiamerà qualcuno che lo riempirà. E noi pensiamo alla Corte Costituzionale» avevamo preconizzato.
«È inevitabile: quello che è considerato il più alto organo di garanzia di rispetto della Carta sarà chiamato, una volta per tutte, a dirimere la questioni dei vaccini, che si trascina dall’anno lorenziniano 2017, e che ora non è più rinviabile, specie quando la Costituzione è chiamata in causa da coloro che erano, e in larga parte ancora sono, giudicati dall’esprit du temps come nemici pubblici, i no-vax. Quindi, il decreto Meloni è un cross fatto in area per la Corte Costituzionale? Parrebbe: e aggiungete che il portiere è a farfalle i giocatori della difesa sono già negli spogliatoi. Basterà appoggiarla in rete».
Che possiamo dire? Il cross è arrivato in area, e l’attaccante – la Corte – l’ha schiacciata in rete: «l’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio trova giustificazione in quel principio di solidarietà che rappresenta la base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» sono le parole della sentenza di cui stiamo parlando. In breve, il vaccino non solo è lecito, è coperto dalla Carta. Parole che resteranno per sempre; parole che a loro modo ora sono legge suprema.
È accaduto quello che temevamo: l’assist del governo ha prodotto il vaccino costituzionale.
Non è che lo diciamo noi piccoli sciagurati. Lo abbiamo sentito pochi giorni fa anche dalle labbra di un insigne costituzionalista, il professor Carlo Iannello, dell’Università Vanvitelli della Campania. In un’intervista a La Verità, il professor Iannello sostiene che «l’anticipazione del reintegro dei sanitari diventa così parte della motivazione che giustifica la ragionevolezza della norma. Cosa sarebbe successo se il governo non avesse anticipato la fine dell’obbligo vaccinale?»
Già, cosa sarebbe successo senza questa strana mossa di novembre? Glielo chiede anche il giornalista Alessandro Rico, che gli pone una bella domanda: «sta dicendo che, paradossalmente, il governo Meloni e il Ministro Orazio Schillaci hanno servito un assist alla Consulta per salvare il decreto di Mario Draghi?». Quel «paradossalmente» ci perplime, ma la domanda è più che buona, e pure la risposta.
«Ero qui che volevo arrivare» replica il costituzionalista. «Il giudice costituzionale ha potuto fare una valutazione ex ante, cioè mettendosi nella prospettiva del legislatore ad aprile 2021, proprio perché l’obbligo, a fine novembre 2022, non era più attuale. Altrimenti, la valutazione ex ante sarebbe stata impossibile: la Consulta non avrebbe potuto glissare sullo scenario Omicron».
«È impossibile pensare che sia stato fatto apposta?» chiede cautamente il giornalista.
«Non lo posso affermare», risponde con altrettanta cautela il professore.
Qui invece la palla l’abbiamo vista partire a novembre, quando tanti stappavano lo spumante.
Del resto, non è chiaro cosa vi aspettavate.
Il ministro della Sanità scelto dalla Meloni è un membro del CTS (davvero: pensateci un attimo). E non è che non si veda.
Scopriamo che la commissione sul COVID indetta dal deputato Galeazzo Bignami (che conosciamo perché aveva partecipato ad un evento di Renovatio 21 sul caso Bibbiano, tema per cui l’onorevole si era speso con generosità) riguarderà, a quanto capiamo, mascherine, respiratori, forse di Bergamo, e poco altro – non le morti improvvise (che, memento Camilla, erano partite da subito), non i decessi in eccesso (che stanno martoriando il pianeta), nemmeno i patti e gli SMS tra il CEO di Pfizer e la Von der Leyen. A capo della Commissione ci hanno messo l’onorevole Faraone renziano, quello che andava alla TV nazionale per dire: «spero che potremo approvare una legge che obblighi al vaccino tutti gli operatori sanitari, così come spero nell’approvazione di uno scudo penale per i medici… Trovo paradossale e incredibile che la nostra legislazione preveda che un medico vada sotto processo perché vaccina e al tempo stesso metta al riparo i medici che contagiano in corsia».
Il problema del biennio COVID, insomma, sono gli appalti per le mascherine. Un po’ come il problema di Palermo, «cioppo ciaffico».
La Meloni, ricordatelo, ha firmato al G20 di Bali per il passaporto vaccinale globale: non è che l’hanno obbligata, dicendole «firma qua o ti togliamo la tessera di sovranista». Il lettore capisce che è la stessa che ha dichiarato in ogni modo – facendolo dire perfino ai famigliari – che non avrebbe toccato l’aborto, cosa che poi ha rivendicato perfino nel suo discorso di insediamento, e piazzando come ministro della Famiglia Eugenia Roccella – un fenomeno che abbiamo chiamato, lo sapete, «inchino a Moloch», a cui la premier si è prestata con brio.
Noi dubbi non ne avevamo, almeno dal 25 settembre 2021 – abbiamo scritto 2021, non 2022. Ricordate? Piazza Duomo, sabato, qualcuno ha l’idea di far fare un comizio della Meloni – con megapalco e tesserati ammaestrati con le loro bandierine a favore di telecamera – proprio nel giorno e nelle ore in cui si ritrovavano spontaneamente in Piazza Fontana (cioè, a 100 metri…) i no green pass, numericamente molto, molto superiori ai sostenitori della Meloni.
Giorgia, rammentiamolo, in quel momento era all’opposizione. E il lavoro dell’opposizione, uno pensa, è saldare attorno a sé, per quanto possibile, ogni altra forza si opponga al governo. Un ammiccamento al popolo no-green pass le avrebbe fatto guadagnare chissà quanti voti. E invece niente. La Meloni praticamente fugge dalla scena. In piazza vi sono addirittura cenni di scontro tra i no-green pass e i sostenitori di FdI, con in mezzo i celerini.
Abbiamo spesso mostrato questi video. Dicono davvero tutto.
Quindi, davvero, cosa vi aspettavate?
Quanto a noi, che possiamo dire: Renovatio 21 ha avuto ancora una volta ragione. E con largo anticipo. A inizio novembre, tra i coriandoli per il decreto, avevamo visto partire il cross malefico. Avevamo fiutato la trappola.
Ora, se non l’avete ancora fatto, realizzatelo: di queste tagliole maledette ne vedremo ancora moltissime, alcune già ci hanno morso a sangue le gambe. Pensate all’Ucraina. Sono piazzate lì per immobilizzarvi, per ferirvi, per prendervi di sorpresa. Perché oramai siamo animali nel bosco, con i cacciatori che credono di disporre della nostra vita come credono.
Capitela una volta per tutte: le elezioni non hanno cambiato nulla. La battaglia per la vostra sopravvivenza è tutto meno che finita.
Roberto Dal Bosco
Pensiero
Recuperare le radici antistatali del Natale

Mentre i cristiani di tutto il mondo guardano alla celebrazione come un modo per ricordare l’incarnazione di Cristo, alcuni la liquidano come una versione cristianizzata dei Saturnali dell’antica Roma. Qualunque sia il proprio punto di vista, suggerisco umilmente che dovrebbe essere usato da cristiani e non cristiani allo stesso modo come riflessione sulla collisione di due regni e due forme di dominio. Uno che apre la strada alla vita e l’altro alla miseria, alla sofferenza e alla morte.
Se la celebrazione del Natale è un riconoscimento dell’offerta di pace e benevolenza dell’Onnipotente alle persone di tutto il mondo, allora è necessario che tutte le persone ricordino chi è che offre guerra universale e cattiva volontà. Nessun’altra istituzione terrena ha offerto quest’ultimo in modo così coerente come lo Stato.
La stessa storia dell’Avvento ci ricorda nel secondo capitolo di Matteo che era un attore di Stato, Erode, che mirava a spegnere il Principe della Pace nella sua infanzia. In verità, lo stato odia chiunque voglia sfidare le loro affermazioni di onniscienza e onnipotenza.
In Occidente si può tranquillamente affermare che la maggior parte delle riunioni natalizie non include un riconoscimento intenzionale della nascita di Gesù. Tuttavia, anche queste potrebbero servire almeno a ricordare la non necessità dello Stato.
Le nostre reti di familiari, amici e colleghi che offrono parole e azioni di generosità, gentilezza e ospitalità ci ricordano giustamente che le nostre associazioni di volontariato sono al centro del buon vivere. Queste interazioni sono davvero anarchiche, apolidi e prive di minacce di violenza (a meno che tuo zio Harold non ne abbia una di troppo).
Qualunque sia la versione secolarizzata di una celebrazione natalizia, i semplici atti dello scambio di doni, della condivisione di cibi e bevande e di un senso di parentela possono produrre – come minimo – un riflesso della bontà dell’attività produttiva che consente tale godimento.
Questo sentimento è ampiamente condiviso nei commenti di Ayn Rand sulla celebrazione americana del Ringraziamento come «celebrazione della produzione di successo». È quell’atto volontario di impresa produttiva che ci offre l’opportunità di provare gioia nell’esperienza dei doni dell’attività produttiva, anche nonostante gli sforzi dello Stato per schiacciarla, o almeno per intervenire a favore di alcuni a scapito di altri.
Quanto a me e alla mia casa, abbiamo inteso le celebrazioni natalizie come una sosta voluta per riflettere sui vari significati dell’avvento di Cristo. Certamente, pensiamo ai temi della misericordia, della grazia e dell’amore che vengono elargiti alle creature di Dio attraverso il Verbo fatto carne.
Tuttavia, come per ogni resoconto delle parole e delle azioni che circondano la vita di Cristo, ci sono molteplici lezioni per le persone di buona volontà da ricevere. Sono le nostre tradizioni e pratiche che possono servire a trarre quelle lezioni.
Con questo in mente, è un triste stato delle cose riconoscere che la maggior parte dei cristiani non riesce a riconoscere i sentimenti profondamente antistatali che sono espressi nella natività. Se si tratti di un mancato riconoscimento del profondo contrasto tra il regno di Cristo ei regni degli uomini, o se si tratti di un vago senso di sentimentalismo che si impadronisce delle menti dei credenti, non lo so. È mia opinione che le abitudini della mente possano, tuttavia, essere forgiate attraverso le abitudini dell’azione. In riconoscimento di ciò, abbiamo coltivato diverse pratiche regolari che riconoscono la natura antistatale del vero culto cristiano.
Nel trovare modi per ricordare praticamente il significato anti-statale che circonda la nascita di Cristo, la nostra famiglia ha ripreso la tradizione di raccontare i fatti che circondano la tregua di Natale del 1914.
Alcuni anni hanno incluso la visione del film del 2005, Joyeux Noel . In altre occasioni abbiamo ricordato lo scambio di doni tra soldati sul fronte occidentale facendo circolare un prezioso ricordo di famiglia, un cofanetto di ottone della principessa Mary ai soldati dell’impero britannico. Ancora un’altra forma di ricordo è stata recitare un breve passaggio o due da Silent Night di Stanley Weintraub mentre meditiamo sulla riluttanza degli uomini comuni ad uccidersi a vicenda (almeno per un giorno) in nome dello Stato.
Lo scopo di ciascuna di queste pratiche è stato quello di sondare le nostre menti e i nostri cuori per identificare la nostra ultima fedeltà. Nel sollevare questa domanda, è mia intenzione ricordare alla mia famiglia che è nostro dovere come adoratori del Re dei re sfidare i tiranni della terra, proprio come i saggi di Matteo 2 sfidarono direttamente un ordine di Erode quando capirono il suo intento malvagio. Le loro azioni sono certamente un’illustrazione appropriata delle parole del teologo cristiano Francis Schaeffer: «Resistere alla tirannia è onorare Dio».
Sicuramente, gli ultimi anni hanno offerto ampie opportunità ai cristiani in occidente di sfidare i tiranni ei loro editti arbitrari.
Mentre alcuni non hanno adempiuto al loro dovere cristiano, altri hanno sfidato fedelmente le varie forme di COVID-ocrazia, alzare la voce nella condanna del fare la guerra e del complesso militare-industriale , o del clientelismo dilagante che caratterizza il cosiddetto capitalismo moderno, in definitiva tutte queste forme di resistenza e protesta sono un affronto allo Stato e, in quanto tali, sono un onore per Cristo. Possano questi sforzi procedere con coraggio.
È a causa di questo mix di vigliaccheria e coraggio cristiano che suggerisco di guardare al Natale con occhi nuovi. In questo tempo, non è sufficiente pensare solo a come il singolo cristiano potrebbe guardare alla bontà di Dio in Cristo per riformare se stesso o al non credente per dimostrare un vago senso di generosità e benevolenza. Possa includere sempre un appello al coraggio rivolto a tutti, ricordando che la più umile resistenza delle persone al potere dello stato è un’offerta preziosa al Re dei re e porta una migliore possibilità per la prosperità umana.
Inoltre, possa servire a ricordare che i governanti dello stato odiano sinceramente e cercano di distruggere tutto ciò che proviene dal Principe della Pace.
Nell’adottare questo approccio, sia i cristiani che i non credenti possono trarre conforto dal sapere che le loro associazioni volontarie (religiose o meno), il lavoro produttivo, le celebrazioni riposanti e gli atti quotidiani di carità servono come istituzioni fondamentali che si oppongono alle malvagie predazioni dello Stato.
Possano tali pratiche diventare sempre più forti e possa la semplice pronuncia della frase «Buon Natale» servire a ricordare agli adoratori dello Stato che i loro dei e le loro tradizioni sono veramente antitetici a tutta la vita umana, e come tali sono completamente inutili.
Jeffery L. Degner
Articolo apparso su Mises Institute, tradotto e pubblicato su gentile concessione del signor Deist.
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Pensiero
La Corte Costituzionale e il vaccino. Lo Stato senza principio

Non sappiamo cosa vi aspettavate dalla Corte Costituzionale chiamata a confermare l’obbligo di siero genico sperimentale abbattutosi sul Paese.
Noi avevamo cercato di dirvelo poche settimane fa. La fine anticipata dell’obbligo voluta dalla Meloni era peggio di uno specchietto per le allodole: era una palla alzata direttamente per la Corte Costituzionale. La quale, puntualmente, ha schiacciato. Punto.
«Sono state ritenute invece non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario» è scritto nella nota uscita. Il che vuol dire: giusto escludere i non vaccinati dal lavoro. Ragionevole. Proporzionato. Si noti che queste parole escono dopo che la Pfizer ha ammesso davanti all’Europarlamento che il suo vaccino non è stato testato per fermare il contagio: quindi a contagiare potevano essere benissimo i vaccinati cui invece era consentito di lavorare, e quindi di infettare persone che poi magari si sono ammalate, vien da pensare.
«Ugualmente non fondate, infine, sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico». In pratica, giusto che i sospesi stiano senza stipendio.
Il quotidiano La Verità ha trovato le parole corrette per descrivere a fondo la situazione: «la Corte ha “tagliato le gambe” anche a chi reclamava, a compensazione della privazione di lavoro e stipendio, quei famosi assegni familiari concessi perfino – come rilevato in aula – ad assassini e stupratori».
Del resto, sappiamo che viviamo in un Paese in cui l’apartheid era tale che il cane poteva salire in autobus e in treno, il non vaccinato no. Se pensavate che, nel momento in cui qualcuno chiede un’amnistia pandemica per i torti del biennio della follia, ci fosse una minima presa di coscienza rispetto alla tragedia avvenuta, vi sbagliavate.
Di più: non solo non hanno cambiato idea, ma non mollano la presa. Lo vedete voi stessi: tornano a parlare di indice RT, si rivedono i bollettini, che ignorano bellamente la gravità dell’influenza che c’è in giro, che qualsiasi mamma vi può dire ha fatto soffrire i bambini più del COVID. C’è stato il vaiolo delle scimmie, hanno iniziato a parlare di ambiente e ad urlare di crisi energetica, ma forse non hanno davvero intenzione di mollare il buon vecchio coronavirus.
L’emergenza va perennizzata. Il potere che essa infonde è irresistibile: comanda la popolazione italiana a bacchetta, e vale i miliardi del PNRR. Lassù, lo sanno. Ecché, ci vogliamo rinunziare ora? Ecché, siamo scimuniti?
Come previsto, ora stanno facendo le radiografie ai 15 giudici costituzionali – come se prima non si sapesse chi fossero. Questo lo ha piazzato Renzi. Questo stava col PD. Questo stava nella squadra di Draghi (il vero imputato di questo giro). Poi, vabbè, c’era il «dottor sottile» Giuliano Amato, ma della sua storia bizzarra nessuno si è mai davvero lamentato. Socialista del PSI di Craxi, esce da Tangentopoli, caso quasi unico, intonso: anzi, decisamente più forte. Lo fanno premier, c’è lui al governo quando George Soros attacca la lira e la distrugge. Ciampi, che era governatore della Banca d’Italia quando sotto di Amato lo squalo magiaro sbranò l’economia italiana, divenuto Presidente della Repubblica, rinomina Amato premier nel 2000. Poi ancora diventa ministro per l’interno, poi Napolitano lo fa giudice costituzionale, ora è presidente della Corte. Sbadiglio.
Tutto questo non inizia nemmeno a spiegare l’enormità di quanto successo.
«È evidente (…) che la Corte abbia voluto seguire i suggerimenti dell’Avvocatura dello Stato stabilendo, per la prima volta nella storia del diritto italiano, che non è illegittimo privare i cittadini italiani del diritto al lavoro e (relativa retribuzione) – sancito dai nostri padri costituenti agli articolo 1 e 4 della Costituzione – se questi non si sottopongono ad un trattamento sanitario obbligatorio deciso dallo Stato» ha scritto sempre La Verità.
In realtà, sappiamo che gli articoli violati in questi tempi sono molti di più, dal partire dal 32 (« (…) nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»), al 21 («tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»), al 16 («ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche») e via, aggiungete pure.
Tuttavia, la questione è più grande di così. Non si l’unica tratta dell’unica sentenza della Corte su vaccini e obbligo. C’è quella del 1990, quella del 1994, e quelle più fresche, del dopo legge Lorenzin.
È che questa volta non si tocca solo l’articolo 32 – quello dove si parla, oltre che della salute dell’inammissibilità dei trattamenti obbligati, del «rispetto della persona umana» –ma tanti altri… in realtà si tratta dell’esistenza stessa della Costituzione. Cioè dell’esistenza del diritto – e di conseguenza, del fondamento dello Stato.
Una Costituzione che mangia se stessa apre che qualcos’altro andrà a colmare. Cosa? Uno pensa, un diritto positivo totalizzante. Cioè, un diritto che cala dall’alto, senza che vi sia più nessuna finzione dell’esistenza di una legge naturale, né il rispetto del diritto precedente.
Ma si va perfino oltre al diritto positivo. Il giurista Filippo Sgubbi parlava di «diritto penale totale».
«Il diritto penale totale è senza legge: all’opera di definizione dell’illecito partecipano fonti non solo normative o giurisprudenziali, ma anche di natura sociale e perfino legata a formule algoritmiche» scrive il compianto studioso. Il diritto penale totale «è senza verità: la verità assoluta su cui si costruisce una norma penale condivisa dai consociati è sostituita da tante verità relative (…) prescinde dalla colpa individuale: una sanzione è meritata non tanto per ciò che il soggetto ha fatto colpevolmente, quanto piuttosto per ciò che il soggetto è, per origini e storia, per il suo ruolo nella società, per la sua pericolosità sociale. Da qui, il binomio puro/impuro che oggi ha sostituito il binomio innocente/colpevole».
Ecco il «diritto sentimentale»: l’autorità procede non secondo leggi scritte, ma sentimenti del momento. Pensate a quelli che ancora oggi (nei negozi, in fabbrica, per strada) vi dicono di mettere la mascherina, fare il tampone, magari pure esibire il green pass – anche ora. Pensate a quei video con i membri delle forze dell’ordine che entrano nelle proprietà private (un ristorante, magari) dove si riunivano, in lockdown più o meno conclamato, delle persone. Pensate ai presidi che chiedono mascherina e tampone agli studenti, così, per precauzione.
In tanti sanno che nemmeno lo Stato pandemico ad un certo punto non considerava nemmeno più le sue stesse leggi pandemiche: di qui la difficoltà di chiedere le esenzioni che pure erano previste dalla legge dell’obbligo vaccinale.
Il diritto si smaterializza, evapora. E nel mondo fuorilegge, sappiamo chi comanda: il più forte.
È così, lo sapete. L’Italia pandemica è diventata una giungla. Lo avete visto. Lo avete subito: con prepotenza vi è stato impedito di vivere, e voi non avevate alcuna forza per opporvi.
Se la Costituzione divora se stessa, lo Stato rimane senza il suo principio – diviene uno Stato senza princìpi, quindi per definizione una macchina immorale. Lo Stato diviene un idolo persistente cui fare offerte obbligate, il Moloch a cui sacrificare i propri diritti e i propri figli.
Ci ha colpito un passaggio di un testo di Giorgio Agamben che sta circolando: «È forse necessario, per non parlare del presente, che ricordi qui che né Mussolini né Hitler ebbero bisogno di mettere in questione le costituzioni vigenti in Italia e in Germania, ma trovarono anzi in esse i dispositivi di cui avevano bisogno per istaurare i loro regimi?» scrive il filosofo. Per poi ammettere qualcosa che quasi nessuno, nel tripudio della dissidenza drogata di Costituzione («la più bella del mondo», come no), ha osato dire: «È possibile, cioè, che il gesto di chi cerchi oggi di fondare sulla Costituzione e sui diritti la sua battaglia sia già sconfitto in partenza».
È vero. Questo, su Renovatio 21 lo abbiamo ripetuto varie volte, è un mondo «post-costituzionale». Un mondo in cui il codice è stato ribaltato: non più il potere dello Stato è concesso dal popolo, ma è il popolo che vive per concessione dello Stato. Ricordate le parole di Conte? «Noi concediamo…». Non ci sono diritti – ci sono concessioni. Che possono, tranquillamente, non essere scritte da nessuna parte.
Né carte, né leggi, né diritti hanno più senso – e se non lo avete capito, lo capirete a breve quando vi piazzeranno in tasca l’euro digitale, con il quale decideranno cosa comprerete, quanto pagherete, dove lo farete, quando, con chi. Accenderanno e spegneranno la vostra vita, senza che voi possiate invocare alcuno «stato di diritto», perché tutto quello che potrà esserci è solo la piattaforma e i suoi accessi, di cui non godrete per il fatto di essere umani, di essere cittadini – lo Stato che garantisce semplicemente diritti pregiuridici, venuti da Dio, dall’Universo, dal mistero dell’esistenza – ma perché avete aderito, avete obbedito, avete vinto un premio comportandovi nel modo che il potere vi ha indicato.
Tutto si è rovesciato. Il rovescio della libertà è l’obbligo. Il rovescio del diritto è la sottomissione. E il rovescio del cittadino è lo schiavo.
Perché, più in fondo ancora, c’è l’inversione più grande: hanno rovesciato la Vita, per far trionfare la Morte.
Lo Stato senza princìpi è una macchina di morte. Lo Stato moderno è dominato dalla Necrocultura. Uccide feti, squarta persone incoscienti, sottomette le masse ad alterazioni geniche, sacrifica innocenti a centinaia di migliaia, perché, come un demone fenicio, esso è assettato di sangue, e pretende dall’umanità più debole i tributi più cruenti.
Vedete da soli l’urgenza: non c’entra più il diritto, la legge, la Costituzione.
C’entra la vostra sopravvivenza in un sistema fatto per ferirvi ed uccidervi. Voi e i vostri figli.
Roberto Dal Bosco
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