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I Biden hanno guadagnato 31 milioni di dollari da individui con «legami diretti con gli apparati cinesi di spionaggio», sostiene un nuovo libro

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La famiglia Biden avrebbe incassato 31 milioni di dollari da cinque accordi in Cina, tutti svolti con individui che hanno legami diretti con i più alti livelli dell’Intelligence cinese , afferma il consulente politico e scrittore americano Peter Schweizer nel suo nuovo libro, Red-Handed: How American Elites Get Rich Helping China Win («Mano rossa: come le élite americane si arricchiscono aiutando la Cina a vincere»).

 

Come riporta Breitbart, «più finanzieri con legami diretti con l’Intelligence cinese hanno collaborato con Hunter Biden durante e dopo il periodo di suo padre come vicepresidente – incluso l’ex capo del Ministero della sicurezza di Stato e il capo del reclutamento dell’Intelligence estera – e alcuni di quelle relazioni rimangono intatte », sostiene Schweizer.

 

Il libro delinea come Pechino abbia cercato una relazione finanziaria con i Biden come metodo di elite capture, «cattura dell’élite», che ha portato a incontri tra Hunter Biden e finanzieri cinesi di alto livello, nonché con il Partito Comunista Cinese (PCC), al fine di esercitare una leva sulla potente famiglia.

 

«Uno dei primi attori centrali negli accordi cinesi dei Biden è un magnate di nome Che Feng , o “il super-presidente”, come lo chiamavano Hunter ei suoi partner. Che, figlio di un soldato dell’Esercito di Liberazione del Popolo, è stato descritto dai media occidentali come “un investitore oscuro e discreto”, il cui suocero era il governatore della Banca popolare cinese e il cui partner commerciale era il vice ministro di Stato Sicurezza, un uomo di nome Ma Jian. Schweizer scrive che secondo quanto riferito, Ma era il direttore dell’Ufficio n. 8 del ministero, che supervisionava le operazioni nordamericane contro gli stranieri con il suo apparato di controspionaggio» scrive la testata americana Breitbart.

 

«Il rischio di un uomo d’affari cinese con stretti legami con i vertici dell’agenzia di spionaggio di Pechino che conduce transazioni finanziarie con il figlio del vicepresidente degli Stati Uniti non può essere sopravvalutato. È sorprendente come ciò non abbia innescato campanelli d’allarme per la sicurezza nazionale o l’etica a Washington di per sé», scrive Schweizer, aggiungendo che il ruolo del super-presidente era di «fondere la potenza finanziaria cinese con coloro che hanno accesso ai più alti livelli di potere nel mondo occidentale», che ha portato alla fondazione del Bohai Harvest Trust (BHR) – che è stato «finanziato dalle più grandi istituzioni finanziarie cinesi sostenute dal governo» con i Biden e i loro partner americani.

 

Il super-presidente ha anche presentato i Biden a Zhao Xuejun (alias Henry Zhao), un ex segretario generale del PCC presso l’Harvest Fund Management.

 

Zhao possedeva anche l’Harvest Global Investments, co-fondata con la nuora di un membro del Comitato permanente del Politburo dell’epoca, Jia Liqing. Suo padre, Jia Chunwang, è l’ex ministro della sicurezza dello Stato, «responsabile dei servizi segreti, dello spionaggio e del lavoro di intelligence nazionale e all’estero».

 

Secondo il libro di Schweizer, già autore del libro Clinton Cash sugli scandali finanziario-umanitari intorno a Bill e Hillary, Harvest Global Investments ha trasferito 5 milioni di dollari a un’altra attività di Hunter Biden chiamata Burnham.

 

«Non c’è nessuno più potente nel mondo dell’intelligence cinese», scrive Schweizer.

 

«L’affare seducente e redditizio che Hunter stava mettendo in atto, creando BHR, ha coinvolto due finanzieri con legami con i più alti livelli dell’intelligence cinese, un accordo di private equity da un miliardo di dollari (…) Quello che ora sappiamo è i ruoli interpretati dal “super-residente” collegato allo spionaggio e da Zhao».

 

«Secondo Michael Lin, un altro partner cinese, il ruolo di Hunter nell’impresa è stato piuttosto semplice: “apri quante più porte possibili nel mondo occidentale per questo famosissimo team di professionisti di Bohai”».

 

Vi sarebbe stata anche l’aspettativa che Hunter e i suoi partner «si sarebbero uniti ad alcuni degli incontri che organizzano a Hong Kong e in Cina» durante la comunicazione con possibili partner finanziari».

 

I rapporti tra i Biden e i cinesi, tenuti dal figlio drogato e depravato Hunter, sono un tema di cui si discute da prima delle elezioni 2020, ma che mai i media mainstream hanno voluto cogliere: basti pensare che, dopo le censure sui social riguardo alla storia del laptop di Hunter con ogni sorta di materiale scottante, l’unica volta che i media hanno parlato di Hunter è per la sua campagna di ripulitura, quando ha fatto uscire una sua autobiografia in cui dichiarava che droga, prostitute e squilibri vari sono alle spalle: degli affari con oligarchi ucraini e spie cinesi, ovviamente, nella biografia non si fa menzione. In Italia la pubblica un casa editrice del gruppo Corriere della Sera.

 

L’anno passato si era arrivati a parlare, addirittura, di legami più o meno diretti tra i Biden e il presidente Xi Jinping. Come questo possa influire sulla politica estera, rimane la grande domanda che ci poniamo: il muso duro mostrato da Washington a Pechino può essere tutto un teatrino?

 

Durante la campagna elettorale 2020, alcune testate della dissidenza cinese parlarono di Biden come «controllato al 100% dal Partito Comunista Cinese».

 

Come riportato da Renovatio 21, sono alla luce gli investimenti milionari del fondo private equity di Hunter Biden in centrlai nucleari cinesi sospettate di essere prossime alla catastrofe.

 

Nelle ultime settimane, con i disordini in Kazakistan, è emersa anche una foto che mostra il legame dei Biden, padre e figlio, con l’oligarchia kazaka, fra cui l’ex capo dei servizi del Paese, ora in prigione.

 

Nel dicembre 2020 vi fu quindi la strana, aperta ammissione da parte di un professore all’Università Renmin di Pechino durante una trasmissione TV.

 

Tra USA e Cina «aggiustavamo tutto in due mesi. Qual è la ragione? Dirò qualcosa di esplosivo: è perché abbiamo persone al vertice. Al vertice del nucleo delle cerchie più interiori del potere e dell’influenza in America, Noi abbiamo i nostri vecchi amici» diceva il professore Di Dongsheng, lamentando che questo saldo canale tra Pechino e gli USA si era interrotto con Trump.

 

«Trump ha detto che il figlio di Biden ha una sorta di fondazione globale. Lo avete sentito? Chi lo ha aiutato a mettere in piedi le fondazioni?»

 

 

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Cina, dietro a un cancello i 40 anni di Messa di mons. Guo

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Nel Fujian il vescovo che ha rinunciato alla carica di ausiliare nel 2020 per non registrarsi negli organismi ufficiali, ha festeggiato l’anniversario dell’ordinazione sacerdotale segregato nella sua residenza. Sigillata anche la cappella, alcuni video giunti da fonti locali ad AsiaNews lo mostrano incontrare i fedeli e amministrare la comunione attraverso le sbarre di un cancello

 

Nel maggio 2020 aveva deciso di «abbandonare tutte le cariche della diocesi e di ritirarsi a vivere in preghiera», dichiarandosi «incapace di stare al passo coi tempi e con lo stile della Chiesa in Cina e specificamente della nostra diocesi di Mindong».

 

Cinque anni dopo, l’ex vescovo sotterraneo mons. Vincenzo Guo Xijing – che ai sensi dell’Accordo provvisorio tra Roma e Pechino sulla nomina dei vescovi, nel 2018 era stato indicato dalla Santa Sede nel ruolo di vescovo ausiliare, lasciando la guida di questa Chiesa locale al vescovo «ufficiale» mons. Vincenzo Zhan Silu, riaccolto in comunione con il papa – si trova oggi recluso nella sua residenza, dietro a un cancello con una vistosa catena che gli impedisce di ricevere visite dai fedeli.

 

A rivelarlo sono alcuni video ricevuti da AsiaNews in concomitanza con una giornata particolare: la ricorrenza dei 40 anni dall’ordinazione sacerdotale che l’oggi sessantasettenne mons. Guo Xijing ha festeggiato il 25 gennaio. Come si può vedere dalle immagini, il presule lo ha fatto da dietro a questo ingresso forzatamente chiuso. Agli amici che gli hanno fatto visita ha potuto offrire una fetta di torta fatta passare tra le sbarre. Ma è anche l’unico modo che ha a disposizione per distribuire la comunione, dal momento che pure la cappella della sua residenza è stata sigillata dalle autorità per impedire ai fedeli delle comunità sotterranee (storicamente molto forti nel nord del Fujian) di partecipare alle sue celebrazioni.

 

 

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Come mostra il video la gente non manca lo stesso di portare rosari e oggetti religiosi da far benedire al presule, anche questi fatti passare e poi restituiti attraverso il solito cancello.

 

Secondo quanto riferito da alcune fonti locali ad AsiaNews questa nuova stretta nei confronti di mons. Guo Xijing andrebbe avanti da Natale, parallelamente a ulteriori pressioni nei confronti dei sacerdoti locali affinché si decidano a registrarsi negli «organismi ufficiali» imposti dal Partito comunista alla Chiesa in Cina.

 

Cosa che il presule e altri preti del nord del Fujian non hanno mai voluto fare. Va anche aggiunto che tutto questo sarebbe avvenuto proprio nelle settimane successive alla partecipazione di mons. Zhan Silu, il vescovo di Mindong, al Sinodo in Vaticano, tenutosi a ottobre.

 

I video sulla situazione di mons. Guo Xijing arrivano anche a pochi giorni dal trasferimento – approvato dalla Santa Sede – del vescovo di Xiamen mons. Cai Bingrui alla diocesi di Fuzhou, il capoluogo del Fujian, che è una delle sedi storicamente più importanti per la Chiesa in Cina.

 

Una cerimonia presieduta dallo stesso mons. Zhan Silu, in un’altra diocesi dove – lo ricordavamo in quest’articolo – l’unità tra «ufficiali» e «sotterranei» resta un cantiere aperto. E i pesanti cancelli imposti dalle autorità non aiutano certo a realizzarla.

 

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Alle porte di Pechino un comando militare 10 volte più grande del Pentagono

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Il complesso sorge a 30 km circa in direzione Sud-Ovest della capitale e si estende su un sito di almeno 1500 acri. Secondo fonti dell’intelligence Usa, una volta ultimato sarà il più grande al mondo. Attorno all’area massima sicurezza, divieto di sorvolo per droni o scattare foto. Al suo interno bunker antiatomici per accogliere anche Xi Jinping in caso di guerra (nucleare).   L’esercito cinese sta costruendo un enorme complesso militare nella parte occidentale di Pechino che, secondo i servizi segreti statunitensi, servirà come centro di comando in tempo di guerra; una struttura, spiegano funzionari americani, che risulterà molto più grande del Pentagono una volta ultimata la realizzazione. Le immagini satellitari ottenute dal Financial Times che ha rilanciato la notizia, e attualmente al vaglio degli esperti di Intelligence a Washington, mostrano un sito di costruzione di circa 1.500 acri a 30 km a sud-ovest Della capitale cinese.   Diversi funzionari statunitensi, sia in servizio che in pensione ma pur sempre attenti alle vicende militari, confermano la massima attenzione dei servizi segreti e di Intelligence attorno al sito. Una volta ultimato, il comando militare sarà il più grande al mondo e almeno 10 volte più vasto del suo omologo statunitense a Washington. In base a una valutazione delle immagini satellitari ottenute dal quotidiano economico britannico, la costruzione principale è iniziata a metà del 2024 e, secondo alcune fonti, l’intera struttura sarebbe stata ribattezzata «Beijing Military City».   Nell’area vi sarebbero anche delle buche profonde che, secondo gli esperti militari, ospiteranno grandi bunker rinforzati per proteggere i leader militari cinesi in caso di conflitto, compresa una potenziale guerra nucleare. La costruzione avviene mentre l’Esercito popolare di liberazione cinese (Pla) sta sviluppando nuove armi e progetti in vista del centenario della forza nel 2027.   L’Intelligence statunitense ha dichiarato che il presidente Xi Jinping ha ordinato ai vertici militari di sviluppare la capacità di attaccare Taiwan entro quella data. «Se confermato, questo nuovo bunker di comando sotterraneo avanzato per i vertici militari, compreso il presidente Xi in qualità di presidente della Commissione militare centrale, segnala l’intenzione di Pechino di costruire non solo una forza convenzionale di livello mondiale, ma anche una capacità di guerra nucleare avanzata» ha dichiarato Dennis Wilder, ex capo analista della Cina per la CIA.   A inizio mese il sito era in piena attività di costruzione, in contrasto con la scarsità di sviluppo della maggior parte dei grandi progetti immobiliari in Cina, nazione attanagliata da una crisi del settore immobiliare. Inoltre, non si trovano show-room o manifesti tipicamente associati a un progetto immobiliare commerciale di questa portata. E ancora, altro elemento inusuale che fa capire che non si tratta di un progetto commerciale, non vi sono menzioni ufficiali del cantiere su internet in cinese.   Sebbene non vi fosse alcuna presenza militare visibile nell’area oggetto del cantiere, vi sono numerosi cartelli che avvertono di non far volare i droni o di non scattare fotografie. E quanti hanno cercato di avvicinare i cancelli si sono visti respingere in modo brutale dalle guardie, che hanno ribadito che l’accesso è è vietato e hanno opposto il silenzio a ogni richiesta di informazioni. Infine, secondo il FT «un supervisore che ha lasciato il cantiere si è rifiutato di commentare il progetto».   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.  

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Cina, un nuovo vescovo a Luliang nel quadro dell’Accordo

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Mons. Antonio Ji Weizhong, 51 anni, si è insediato oggi alla guida della diocesi, che nel nome e nei confini canonici prende il posto di quella istituita da Pio XII con il nome di Fenyang. La nomina era stata approvata da papa Francesco il 28 ottobre. In settimana novità in arrivo anche nel Fujian.

 

Le nomine dei vescovi nel quadro dell’Accordo provvisorio tra Roma e Pechino ripartono dalla provincia dello Shanxi, nella Cina settentrionale.

 

Questa mattina nella cattedrale del Sacro Cuore di Gesù a Fenyang, un distretto dell’odierna città di Luliang, si è svolta la cerimonia di ordinazione del nuovo vescovo mons. Antonio Ji Weizhong, un sacerdote di 51 anni che era già il vicario generale di questa Chiesa locale. Si è così insediato su una cattedra vacante da quando due anni fa morì all’età di 96 anni l’ultimo predecessore, mons. Giovanni Huo Cheng, presule che aveva trascorso 14 anni in carcere durante la Rivoluzione culturale e che dal 1991 aveva guidato la Chiesa di Fenyang in comunione con la Santa Sede.

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La cerimonia di consacrazione di mons. Ji Weizhong è stata presieduta dal vescovo Taiyuan, mons. Meng Ningyou, che è anche vicepresidente dell’Associazione patriottica dei cattolici cinesi, assistito da mons. Ding Lingbin, vescovo di Changzhi, mons. Liu Genzhu, vescovo di Linfen, e mons. Ma Cunguo, vescovo di Shuozhou. Alla cerimonia di consacrazione hanno partecipato circa 130 sacerdoti provenienti dalle diocesi di tutto il Paese, oltre a suore, seminaristi e laici, per un totale di circa 450 persone.

 

La Santa Sede ha confermato che l’ordinazione è avvenuta ai sensi dell’Accordo e che papa Francesco aveva già approvato questa candidatura lo scorso 28 ottobre, cioè pochi giorni dopo il terzo rinnovo dell’intesa provvisoria tra Roma e Pechino, estesa a una durata di altri quattro anni. Il Vaticano ha anche reso noto che in occasione di questa nomina sono state mutate la denominazione e i confini della diocesi, che d’ora in poi prenderà il nome di Luliang, la città capoluogo della prefettura in cui si trova.

 

Anche in questa nomina, dunque, si conferma la scelta vaticana di acconsentire al ridisegno della geografia delle Chiese locali seguendo i confini amministrativi, perseguita da tempo dalle autorità di Pechino. Ora «il territorio della diocesi di Luliang – riferisce la sala stampa vaticana – è conforme a quello della città capoluogo di Luliang, con una superfice totale di 21mila kmq e una popolazione totale di 3.346.500 abitanti, di cui circa 20mila cattolici, serviti da 51 sacerdoti e 26 suore».

 

Il vescovo Ji Weizhong è nato il 3 agosto 1973 nella contea di Wenshui, a Luliang. Dal 1995 al 2001 ha studiato teologia e filosofia presso il seminario cattolico nazionale di Pechino ed è stato ordinato sacerdote nell’ottobre 2001 per la diocesi di Fenyang. Dal 2005 al 2010 ha conseguito la licenza in teologia dogmatica presso l’Università di Sankt Augustin dei Verbiti in Germania. Rientrato nella sua diocesi è stato prima vice-parroco, poi responsabile del Centro pastorale e infine vicario generale. Il 19 luglio scorso era avvenuta la sua elezione come vescovo, poi confermata dalla nomina di papa Francesco.

 

La sua è la prima nomina episcopale dall’ultimo rinnovo dell’Accordo (quella del vescovo coadiutore di Pechino mons. Matteo Zhen Xuebin, pur annunciata a fine ottobre, era in realtà avvenuta in agosto) e l’undicesima dall’avvio di questa modalità nelle relazioni tra Roma e Pechino nel 2018. Probabilmente – come già avvenuto recentemente – già nei prossimi giorni potrebbero arrivare anche altre notizie di nomine per la Chiesa in Cina: per la mattina di giovedì 23, infatti, anche la diocesi di Fuzhou nella provincia del Fujian, ha già annunciato la cerimonia di insediamento del suo nuovo vescovo.

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Questa sede – in una delle comunità storicamente più importanti del cattolicesimo cinese – è vacante dalla morte nell’aprile 2023 di mons. Pietro Lin Jashian, che era uno dei vescovi «clandestini» riconosciuti ufficialmente dalle autorità di Pechino nell’ambito dell’Accordo.

 

A differenza di quanto accade solitamente, l’invito diffuso dalla diocesi non indica il nome del successore; fonti locali parlano di un possibile trasferimento di un vescovo da un’altra diocesi della provincia del Fujian.

 

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Immagine da AsiaNews.

 

 

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