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Stragi

Donna spara ad un neonato nel passeggino. Tra quanto nelle nostre strade?

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Le autorità sono sulle tracce della donna che questa settimana ha sparato a un neonato in un passeggino nella città americana di Filadelfia.

 

L’episodio, scioccante, sta rimbalzando sui notiziari locali così come in rete, a riprova dello stato delle cose disperate nelle città USA.

 

Le immagini di sorveglianza diffuse dal Dipartimento di Polizia di Filadelfia (PPD) sembrano mostrare una donna coinvolta in una lite con un’altra persona che spinge un passeggino su un marciapiede.

 

Come mostra il video, la sospettata spara tre colpi a bruciapelo mentre un’altra persona fugge a piedi dalla scena.

 

 

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«Il 18 luglio 2024, nel isolato 4000 di Meridian Street, un bambino di sette mesi è stato colpito una volta alla gamba da una sospettata descritta come una donna nera robusta con lunghi dreadlock», ha spiegato il PPD in un comunicato stampa.

 

Il manifesto per la ricerca della sparatrice è stato pubblicato su X.

 

 

Non è chiaro se la persona che spingeva il passeggino sia stata colpita durante la sparatoria. Secondo gli ultimi aggiornamenti disponibili, la sospettata resta ancora in libertà.

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Non è comprensibile cosa possa spingere una persona a sparare ad un bambino nel passeggino, se non il fatto che si tratta di uno degli atti più degradanti e malvagi, e ad un certo punto il male può divenire un obiettivo perseguito dall’essere umano pervertito.

 

Non è sbagliato pensare che anche in Italia vedremo scene del genere: importate masse disperate e non assimilabili (né assimilanti).

 

L’anarco-tirannia produce anche questo tipo di orrori: abbiamo visto come in episodi di anarchia momentaneamente realizzata – la TAZ di Seattle del 2020 – spuntino fuori personaggi pedofili, non è quindi insensato che nell’anarco-tirannide, nel caos sociale programmato dai vertici, spuntino fuori infanticidi gratuiti.

 

Nella società in cui l’aborto è un valore civile, vogliamo davvero stupirci?

 

Pensate davvero che stiamo andando verso una società dove sarà raro vedere bambini uccisi non più solo nelle cliniche, ma in istrada?

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Ambiente

Governo, re e regina contestati a colpi di fango. Ma quanti sono i morti di Valencia?

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Il sindaco del comune di Aldaia, paesino alle porte di Valencia, ha dichiarato che la tragedia del parcheggio interrato Bonaire potrebbe ridimensionarsi.   Nelle ultime ore, dopo un’immersione dei sommozzatori dell’esercito e degli speleologi, era emerso che nel parking sotterraneo potrebbero esserci moltissime vittime. «Un cimitero», era stato il commento dei sub una volta tornati in superficie.   «Si sta facendo un lavoro impressionante per drenare l’acqua. Ma vogliamo ridimensionare le notizie sulla dimensione della tragedia. Non è un parking completo di 5.000 veicoli che è stato sepolto dal fango, era al livello minimo di occupazione. Secondo le prime notizie, sono stati identificati venti veicoli e senza che sia stata rilevata la presenza di vittime» ha affermato a Tve il sindaco di Aldaia, Gullermo Lujan, riportato dall’agenzia ANSA.  

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Tuttavia, riguardo ai dispersi, «al momento non abbiamo dati ufficiali. Il nostro comune ha finora registrato 6 vittime e ci sono molti garage che si stanno svuotando, non abbiamo numeri certi sui dispersi. Ma continuiamo ad essere cauti sulle stime. Siamo preoccupati, perché Aldaia è un paese distrutto, la gente ha perduto le case, dobbiamo ripulire tutto e cominciare a ricostruire».   Secondo quanto riportato dalla stampa, al momento sarebbero non rintracciabili tra le 1.900 e le 2.000 persone. Una ricostruzione vuole che i clienti del centro commerciale, una volta partito l’allarme, si siano spostate sottoterra, per rifugiarsi o per salvare la propria auto.   Ora le cronache dicono che, mentre lavorano le idrovore, fuori dal complesso vi sarebbero sei tir frigo, come quelli che negli ultimi cinque giorni hanno portato masse di cadaveri in una camera mortuaria allestita sotto la Fiera di Valencia.   Secondo il governo della regione le «vittime sorprese in superficie» recuperate sarebbero 217, e una sola settantina sarebbe stata identificata. «I dispersi vengono cercati nei parcheggi sotterranei, nei garage, nelle cantine, sotto le macerie delle case crollate, sotto il fango indurito di fiumi e torrenti e perfino nel mare. I soccorritori confermano che molti corpi “sono stati inghiottiti sotto metri di fango”» riporta La Repubblica, che scrive di come «l’emergenza non è però circoscritta ora solo alla disperata ricerca di chi manca. Con il passare dei giorni aumenta il rischio sanitario per chi è sopravvissuto».   «Cadaveri umani e animali sono in acqua e nei terreni, assieme a combustibili e rifiuti. Zanzare, topi e scarafaggi si moltiplicano nei luoghi dove restano solo macerie. Medici e autorità intimano alla popolazione la massima attenzione su ciò che beve e che mangia, su quanto si tocca. La minaccia sono epidemie, leptospirosi ed epatite A».   Almeno una ventina di scomparsi sarebbero rimasti imprigionati nella propria auto, parcheggiata sotto un supermercato. Morti si sono registrati anche nelle regioni di Castiglia-La Mancia e in Andalusia.   Mentre la Spagna si chiede dove sia finito questo numero immenso di persone che non risponde al telefono, aumentano le polemiche su questo recupero lento, con accuse alle autorità di aver eretto un muro del silenzio sull’ecatombe. Le accuse al governo riguardano anche il mancato allarme per una tale emergenza.   Le immagini della protesta della popolazione nei confronti dei politici stanno facendo il giro del mondo. Raramente, in Europa, si è vista una folla più adirata con i suoi governanti.         La notizia di questi giorni è che la contestazione, partita contro il premier Sanchez – presentatosi sul posto rimediando un colpo di bastone lanciatogli alle spalle – si è estesa, in maniera inedita, anche alla famiglia reale: il re Filippo e la regina Letizia a Paiporta hanno trovato una protesta durissima, tra urli e lanci di fango. Le immagini della TV spagnola mostrano il volto della regina sporcato dal fango.     La seconda tappa del tour dei reali tra gli alluvionati, che doveva svolgersi a Chiva, è stata quindi rinviata.   Secondo alcuni, il premier socialista Sanchez, vedendo la rabbia della folla, si sarebbe defilato, mentre Filippo e consorte avrebbero affrontato i sudditi inferociti.     Come usciranno monarchia e governo PSOE da questa tragedia è tutto da vedere. Sapremo meglio quando, finalmente, vi sarà una conta dei morti. Numero che potrebbero essere quelli di una delle più grandi stragi della storia del Regno.  

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Stragi

Il Sudafrica presenta una causa per genocidio di 4.750 pagine contro Israele

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La presidenza del Sudafrica ha annunciato ieri in una dichiarazione ufficiale che il Sudafrica ha depositato il suo Memoriale alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) nella sua causo per genocidio, Sudafrica contro Israele.

 

«Il Memoriale, il nome del documento che registra il caso principale del Sudafrica contro Israele, contiene prove che dimostrano come il governo di Israele abbia violato la convenzione sul genocidio promuovendo la distruzione dei palestinesi che vivono a Gaza, uccidendoli fisicamente con una serie di armi distruttive, privandoli dell’accesso all’assistenza umanitaria, causando condizioni di vita che mirano alla loro distruzione fisica e ignorando e sfidando diverse misure provvisorie della Corte Internazionale di Giustizia, e usando la fame come arma di guerra e per promuovere gli obiettivi di Israele di spopolare Gaza attraverso la morte di massa e lo sfollamento forzato dei palestinesi», afferma la dichiarazione.

 

«Le prove dimostreranno che alla base degli atti genocidi di Israele c’è l’intento speciale di commettere genocidio, un fallimento da parte di Israele nel prevenire l’incitamento al genocidio, nel prevenire il genocidio stesso e il suo fallimento nel punire coloro che incitano e commettono atti di genocidio».

 

«Le prove sono dettagliate in oltre 750 pagine di testo, supportate da esibizioni e allegati di oltre 4.000 pagine. Il Memoriale del Sud Africa è un promemoria per la comunità globale per ricordare il popolo della Palestina, per essere solidale con loro e per fermare la catastrofe. La devastazione e la sofferenza sono state possibili solo perché, nonostante la Corte Internazionale di Giustizia e le azioni e gli interventi di numerosi organismi delle Nazioni Unite, Israele non ha rispettato i suoi obblighi internazionali».

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«La scorsa settimana, il mondo ha commemorato la firma della Carta delle Nazioni Unite settantanove anni fa. L’ONU è stata creata per salvare le generazioni future dal flagello della guerra. Per essere all’altezza di questa aspirazione, tutte le nazioni devono insistere sul rispetto della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale. L’azione intrapresa dal Sudafrica e a cui si sono uniti altri stati è principalmente quella di fermare un genocidio in Palestina in modo pacifico, chiedendo conto a Israele nelle istituzioni create a questo scopo dalle Nazioni Unite».

 

«A Israele è stata concessa un’impunità senza precedenti per violare il diritto e le norme internazionali da quando esiste la Carta delle Nazioni Unite. La continua distruzione del diritto internazionale da parte di Israele ha messo in pericolo le istituzioni di governance globale che sono state create per chiedere conto a tutti gli stati».

 

Il memoriale sudafricano non può essere reso pubblico secondo le regole della Corte internazionale di giustizia. Middle East Eye osserva che Israele ha una scadenza del 28 luglio 2025 per presentare un contro-memoriale di risposta.

 

Come riportato da Renovatio 21, la denuncia all’Aia contro Israele per «atti di genocidio» da parte di Pretoria risale ad un anno fa. Alla causa si sono aggiunti Paesi come il Cile e la Turchia. Il Nicaragua è andato oltre, attaccando anche i Paesi «alleati» dello Stato ebraico come la Repubblica Federale Tedesca, portando Berlino davanti alla Corte Internazionale per complicità nel genocidio di Gaza.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Stragi

Israele colpisce valichi di frontiera fra Libano e Siria, bloccando vie di fuga dei rifugiati

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Per l’esercito dello Stato Ebraico sono usati da Hezbollah per spostare armi e attrezzature militari fra i due Paesi. In questi mesi fino a mezzo milione di persone hanno superato il confine dall’apertura del «fronte Nord» della guerra. I raid aerei colpiscono anche i civili e bloccano attività e commerci. Tiro: l’IDF lancia un ordine di evacuazione.   Un flusso consistente siriani di rifugiati in fuga dal Libano verso il Paese di origine, per sfuggire ai raid aerei israeliani contro obiettivi di Hezbollah che finiscono per colpire anche i civili, ha attraversato ieri a piedi un ponte di fortuna nell’area di Qusai, nella provincia di Homs.   Una soluzione di ripiego, non senza rischi, che è diventata una scelta obbligata dopo che il valico di frontiera ufficiale fra i due Paesi è stato colpito e messo fuori uso due giorni prima da un attacco dell’aviazione con la stella di David.   Finora risultavano funzionanti solo tre valichi di confine fra i due Paesi, lungo una frontiera di almeno 375 chilometri. A fine settembre, un attacco aereo israeliano ha colpito il valico di frontiera di Matraba, nel Nord-est del Libano, costringendolo alla chiusura.   Poche settimane più tardi i caccia hanno centrato quello di Masnaa, che è tuttora il principale valico tra i due Paesi, mettendolo fuori servizio. Nei giorni scorsi è stata la volta del valico di Jousieh, in un’escalation che contribuisce ad alimentare l’emergenza umanitaria in una fase di profonda criticità.   L’esercito israeliano ha giustificato le operazioni accusando Hezbollah — nel «fronte Nord» della guerra contro il «Partito di Dio» filo-iraniano, che prosegue in parallelo col conflitto contro Hamas a Gaza — di usare i valichi per spostare armi e attrezzature militari dalla Siria al Libano. Tuttavia, organizzazioni umanitarie e funzionari internazionali affermano che la chiusura dei punti di transito ha inasprito una crisi umanitaria già gravissima, bloccando di fatto le vie principali per i rifornimenti e impedendo l’accesso a quanti fuggono per mettersi in salvo.   Di questi, una gran parte è rappresentata da esuli siriani scappati un decennio fa dalla propria terra martoriata dalla guerra civile fra esercito governativo del presidente Bahsar al-Assad contro gruppi ribelli e jihadisti, trasformatosi nel tempo in uno scontro regionale per procura.   «La situazione sul terreno è una tragedia» ha dichiarato alle agenzie Ghossoun Mubarak, fuggita con i suoi tre figli dalla città di Baalbek, nel Libano orientale, descrivendo i bombardamenti che l’hanno spinta a lasciare la propria casa. Ieri il quartetto ha attraversato a piedi, e non senza rischi, il ponte di fortuna che — almeno per il momento — rappresenta la sola via di salvezza.   Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNCHR) almeno 430mila persone sono passate dal Libano alla Siria nell’ultimo mese, da quando Israele ha lanciato un bombardamento aereo e un’invasione di terra del Libano.   I funzionari del governo di Beirut hanno fornito una stima al rialzo di oltre mezzo milione di persone. Rula Amin, portavoce UNCHR, ha espresso preoccupazione per i danni subiti dai valichi, definendoli «la principale ancora di salvezza per le persone in fuga dal conflitto».

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«Oggi è andata meglio», ha detto Omar Abu Jabal, 29 anni, che ieri rientrava in Libano attraverso il valico di Jousieh dopo un viaggio di lavoro.   «Non ci sono stati problemi lungo il percorso. Ma prima — ha aggiunto — vi erano i bombardamenti, che impedivano alla gente di muoversi».   Aakoul, direttore dei trasporti della provincia di Homs, ha confermato le voci secondo cui i recenti attacchi hanno distrutto un ponte sul fiume Oronte, interrompendo gli spostamenti tra aree agricole vitali. Aakoul stima che la ricostruzione del ponte costerà circa 2,5 milioni di dollari; a questo bisogna aggiungere il persistente mancato accesso alle aree agricole e l’isolamento di intere comunità che dipendono dal commercio e dagli spostamenti attraverso il fiume.   Abu Youssef, che vive vicino al ponte danneggiato, ha descritto l’attacco israeliano come «disumano», perché oltre ai danni materiali ha provocato il ferimento di bambini e bestiame nelle vicinanze. «Tutto quello che vi è qui è un ponte che collega villaggi e fattorie» ha detto, sottolineando che gli abitanti dei villaggi ora devono affrontare un viaggio di 10 chilometri in più per raggiungere Homs.   Infine, in queste ore l’esercito israeliano ha emesso un avviso di evacuazione urgente per i residenti di vaste aree della città di Tiro, in Libano, in vista di attacchi aerei contro siti di Hezbollah. In una nota rilanciata su X, ex Twitter, il col.   Adraee, portavoce in lingua araba IDF, ha affermato che «l’attività di Hezbollah costringe ad agire nell’area in cui vi trovate», pubblicando al contempo una mappa delle aree che saranno prese di mira.   «Dovete immediatamente allontanarvi dall’area segnata in rosso e dirigervi — conclude — a nord verso il fiume Awali. Chiunque si trovi vicino a personale, strutture e armi di Hezbollah mette in pericolo la propria vita!» Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.  

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  Immagine di Tomás Del Coro via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International  
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