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Gender

L’Italia è ora una grande discoteca gay. Ma quanto durerà ancora la musica?

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È finalmente finito il mese arcobaleno. Lo sapete, agli omotransessualisti alfabetici non bastava prendersi un dì l’anno per celebrarsi: no, dovevano prendersi trenta giorni, e quindi tutto giugno diventa il mese arcobalenato. Ed ogni istituzione lo pretende.

 

Eppure, una canzone ancora mi turbina per la testa. È eccezionale, dire orecchiabile è sbagliato, è proprio irresistibile.

 

Una travolgente musichetta gay militante, dove a parlare però è uno che conosco – probabilmente il maggior intellettuale cattolico vivente.

 

Ascoltate voi stessi. Si chiama «One Big Gay Disco». Cioè: «una grande discoteca gay».

 

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Sentite che roba, che tiro. Ascoltate il testo:

 

«America is now one big gay disco». «L’America è ora una grande discoteca gay».

 

«One-Big-Gay-Disco».

 

L’autore è un DJ di cui ignoravamo l’esistenza, e più o meno ci sa che continueremo così così. In pratica, ha preso un pezzo disco-funk anni Settanta – basso ritmato e gai urletti «uh-aahh» inclusi – e ci ha aggiunto delle parole campionate da un discorso.

 

Nella didascalia di YouTube, il musicista scrive che il pezzo è «un perfetto omaggio alla scena dei club dalla mentalità aperta degli anni Settanta, con un video scintillante e nostalgico». Il video in realtà fa abbastanza schifo, è la classica robetta fatta senza soldi e con ancora meno idee: la bella ragazza in tuta non c’entra nulla, con il resto, ma va bene. La prosa di autopromozione, che sembra davvero, quella sì, vecchia di cinquanta anni, del DJ continua: la traccia «avrebbe potuto facilmente illuminare le iconiche piste da ballo di Studio 54, The Loft e Paradise Garage. Completo di archi vorticosi e ritmi ipnotici che richiamano i classici della discoteca del benessere».

 

Soprattutto l’autore si dichiara in grado di «riposizionare il discorso d’odio e trasformarlo in una celebrazione edificante della musica house e disco e in un inno per la comunità LGBTQ+».

 

Discorso d’odio? Ma quale discorso d’odio?

 

Dimenticavo: il discorso d’odio è qualunque discorso l’establishment e i suoi servi odino. È un genitivo oggettivo: l’odio è di chi ascolta più che di chi emette il discorso.

 

Le parole sono tratte da un video di E. Michael Jones, studioso e scrittore cattolico americano noto non a moltissimi, ma la cui portata intellettuale è senza pari, ovunque. Professore di letteratura inglese in un College cattolico dell’Indiana (zona Università cattolica di Notre Dame), fu licenziato a fine anni Settanta per la sua posizione sull’aborto: lui era contrario, tutti i «cattolici» dell’università «cattolica» erano invece a favore. Il mondo si era rovesciato già allora…

 

Ho incontrato Jones a Nuova York una decina di anni fa: io cercavo di far pubblicare i miei libri negli USA, lui voleva che i suoi fossero tradotti in Italiano. Non ricavammo molto, ma non è detto che in futuro con Renovatio 21, e l’aiuto dei lettori, non riesca a fare qualcosa.

 

Negli anni Jones ha animato una rivista, Fidelity, poi divenuta Culture Wars, e una casa editrice che ha pubblicato i suoi enormi tomi: si è occupato della degenerazione dell’arte, dell’ingegneria sociale dietro ai piani urbanistici, del significato dell’horror, della dottrina economica della chiesa, del ruolo sociale della musica da Wagner a Mick Jagger e, tema importante, della cosiddetta «liberazione sessuale», che lui ritiene essere uno strumento di controllo politico. Ad un certo punto, Jones ha cominciato ad occuparsi di un tema particolare e di lì sono stati dolori e problemi: l’influenza degli ebrei nella vita sociale. Potete capire a cosa è stato sottoposto da allora: depiattaformato già da tantissimo, tutti i suoi libri spariti da un giorno all’altro da Amazon. Tuttavia qui il discorso è un altro.

 

Jones è stato preso di sorpresa da questo remix funky della sua invettiva, tuttavia adesso ogni suo show – che è trasmesso su Rumble, perché, figurarsi – si apre proprio col pezzo. One-Big-Gay-Disco. Oh-ahhhh.

 

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Lui racconta da quale suo discorso sono state estrapolate quelle parole. Era un video in cui descriveva un suo recente viaggio in Germania – Paese di cui conosce lingua e cultura, e lo ricorda spesso. Si trovava vicino alla porta di Brandeburgo a Berlino. Lì c’è l’ambasciata USA, e quindi lui, da buon americano, ha buttato l’occhio dentro.

 

Dice di aver visto che dentro, nell’atrio, c’era una grande statua dell’orso, il simbolo di Berlino (sapete: l’etimo germanico della città, come quello di Berna, è baer, appunto l’orso). Il marmoreo plantigrado diplomatico, tuttavia, recava una caratteristica che saltava all’occhio: era ricoperto da una bandiera arcobaleno.

 

«Non sapevo che l’orso di Berlino fosse omosessuale» si disse il Jones. Poi gli spiegarono che il monumento era così agghindato in occasione di un triste evento: in quei giorni di fine primavera 2016 un nightclub gay ad Orlando, era stato oggetto di un brutale attacco «terrorista»: un uomo entrò e sparò uccidendo 49 avventatori e ferendone 53. Il perpetratore era un ragazzo afghano americano, Omar Mateen, che si disse subito aveva fatto bay’ah (cioè, giurato lealtà) al califfo ISIS Al Baghdadi. Alcuni dissero che in realtà l’assassino era un gay che frequentava i locali gay e le app di incontro uraniste. Storia passata.

 

Jones quindi arrivò a pensare che se persino l’ambasciata americana a Berlino è investita del lutto arcobaleno per qualcosa avvenuto in un locale gay in Florida, significa che allora tutta l’America è ora una grande discoteca gay. Non vi sono altri valori: a pochi passi da lì, ricordiamo Kennedy pronunciò lo storico discorso dell’Ich bin ein berliner. Il potere americano tuttavia ora ha più necessità di ricordare i «martiri» omosex-discotecari.

 

Lo ha detto il segretario di Stato Blinken in settimana: i «diritti» gay sono per la superpotenza un tema di sicurezza. L’ammiraglio Kirby, portavoce militare della Casa Bianca, aveva detto più o meno lo stesso l’anno scorso: i diritti LGBT sono il cuore della politica estera americana, aveva detto l’alto militare coi capelli tinti. Si trattava di una risposta a chi gli chiedeva dell’Uganda, tagliata fuori da aiuti e commerci con gli USA (e dai fondi della Banca Mondiale) a causa della sua legge anti-sodomia. En passant, ricordiamo cosa successe subito dopo: strane, improvvise stragi nel Paese ad opera di sigle terroriste che sembravano sparite da decenni… e poi gli islamisti che in Somalia trucidano una quarantina di soldati della forza di pace ugandese

 

Ma torniamo alla One-Big-Gay-Disco.

 

Guardando le immagini del pride di Milano, con politici, cantanti e migliaia di tizi a caso ricoprono le strade della città, non si può non vedere che anche l’Italia ora è una grande discoteca gay.

 

Ma quanta gente c’era, tanta, tantissima. Ma da dove vengono tutti quelli? Sono tutti omo? Forse sì. Loro dicono di essere l’8% della popolazione, cifra molto esagerata, quando un libro di psicologia generale di quando ero all’università parlava invece di 2% – altra cifra contestata come gonfiata. Tuttavia, è innegabile: il divorzio ha prodotto ondate di omosessuali, il femminismo – che autorizza la primazia della madre sul padre, e immaginiamo la combinazione con l’inclinazione matriarcale di certe regioni del Sud – ha proseguito l’opera di creare bambini, uomini, a cui è stata fatta mancare, più o meno programmaticamente, la figura paterna – e da lì la questione dell’omosessualità, secondo la famosa teoria freudiana, ora mostruosamente proibita, dell’origine per padre assente o padre debole.

 

Maree di uomini gay, certo. Ma anche tante ragazze: perché? Sono tutte lesbiche? Ma no, è che in una società dove la maschilità è definita «tossica», la femmina sincero-democratica vede nell’omosessuale l’unico umano dotato di pene rimasto frequentabile.

 

È, a suo modo, una forma di desessualizzazione della donna: invece che stare con gli uomini, vuole stare con gli uomini gay, dove non rischia nulla (non è osservata, desiderata, o ancora peggio, non desiderata) e dove trova magari una claque adorante (…«adoro!») con cui esibire magari una versione forsennata della propria femminilità, o forse il contrario – l’importante è che in giro non ci sia la sfida del maschio, perché costa tensione, incertezza, dolore, fatica. Ecco spiegato anche il fenomeno delle cicci (in gergo, i gay chiamavano così le donne che frequentano omoessessuali) o fag-hug («abbracciafroci»): e non siamo nemmeno sicuri del fatto che non sappiano che, quando non ci sono, i loro amici gay magari si lasciano andare a crudeli battute di scherno e disprezzo nei loro confronti.

 

Tuttavia, la musica pompa alla grande al gay pride meneghino, e sul carro c’è Elly Schlein. Massì, proprio lei, il segretario PD, che ballonzola con a fianco l’onorevole Zan, intonso dopo le inchieste di Report sulle colossali manifestazioni LGBT da lui organizzate. Eccola che tira l’urletto: «uuh-oooh», poi mette in fila due parole aggressive sull’«orgoglio», mentre intorno ha una quantità di persone travestite come nemmeno a carnevale.

 

Elly Schlein, sì. La guardiamo e continuiamo a non capire: gli eredi del PCI davvero hanno preferito lei a Bonaccini? Lei che in Svizzera guardava la sigla di Occhi di gatto mentre il Bonaccia martellava il consiglio comunale di Modena e la Festa dell’Unità di qualsiasi microcomune emiliano? Lei che non sembra nemmeno toccata dalla responsabilità – nonostante l’armocromista, non pare grande lo sforzo estetico, diciamo così – mentre quell’altro per le elezioni 2020 (perse di un soffio contro la Lega…) aveva accettato un restyling metrosessualizzante fatto di barbetta e occhiali a goccia, finiti in un logo dove dietro ad essi non vi era nulla, un po’ come il ras democristiano Giovanni Goria (il maestro di Crosetto) disegnato da Forattini negli anni Ottanta.

 

Elly – Nully, la chiamano i cattivi – non è che sembra tremare al pensiero che siede nel trono che fu di Togliatti (sì): maddeché, le sta facendo, appunto, un giro sul carro. Finché dura. Musica appalla.

 

Uuh-oooh.

 

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E poi, una domanda, che sorge a visionare un po’ di immagini del festone omotransessualoide: ma perché non ci sono, da nessuna parte, persone avvenenti? Perché sono tutti o sovrappeso, o vecchi, o con qualche elemento (taglio o colore di capelli, piercing) che sembra negare ogni possibilità di beltà personale?

 

È un rifiuto programmatico? Forse: rigettando la legge naturale ci si deve allontanare, giocoforza, anche dalla bellezza.

 

E poi: tutte queste persone che hanno occupato, oltre che un intero mese e le città e le scuole e i palinsesti TV, anche un aggettivo che indica la felicità – gay, «gaio» – sono felici?

 

In realtà, ci si chiede dove siano finiti anche tutti quei gay, palestrati e magari un po’ pompatelli di steroidi, che si vedevano sfilare in gruppi pettonudisti o nudisti tout court (o con la mise sadomaso, o da puppy: quelli che fingono di essere dei cani dobermanni, e si fanno portare a spasso con guinzagli borchiati, e abbaiano) alle grandi marce arcobaleniste. Perché al loro posto ci sono occhialute lesbiche diabetiche? Perché ci sono ometti in gonna, che mai sono passati per una sala pesi? La risposta drammatica potrebbe essere che oggi essere frocio è divenuto troppo facile. Nessun sacrificio, perché tutto quello che vuoi, incluso il sesso, lo ottieni subito, per «diritto». Quindi perché sbattersi in palestra?

 

Abbiamo ascoltato qualche discorso dal palco, dove tizi vari, in alcuni casi dal sesso davvero indefinibile, sparano truismi e nullismi, di vario tipo, educandoci sul fatto che adesso si dice LGBTQI+, con il più letto «plus», cioè «plas», all’anglofona: tanto per capire dove tira il vento geopolitico della «frociaggine» (copyright Staff Bergoglio) .

 

Ma non tutto è privo di succo: ecco sul palco un tizio con evidente paura dei capelli bianchi che, dopo aver detto che «siamo tutti uguali perché diversi» (esiste per i luoghi comuni più estremi un premio internazionale chiamato Bulwer-Lytton, autore di un romanzo il cui incipit suonava: «era una notte buia e tempestosa») si lascia scappare qualcosa di interessante.

 

Dice: non lo Stato, né Dio, può ordinare loro come devono vivere. Interessante: quindi, Dio esiste? E se esiste, posso fare il contrario di quello che mi comanda? Un attimo: come è che si chiama quello che iniziò facendo il contrario di quello che chiedeva Dio? Sul tema: ricordo uno striscione, ad una manifestazione dinanzi la Casa Bianca: «I bet hell is faboulous», «scommetto che l’inferno è favoloso».

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La bandiera arcobaleno, che in verità ora è diversa da quella di pochi anni fa perché dispone di un inserto incistatovi dentro, il triangolone rosa-bianco-marron-nero dei trans, garrisce possente ovunque. Su Twitter si vedono immagini di Londra, dove le bandierine omotransessualiste hanno totalmente sostituito l’Union Jack, e in Gran Bretagna ti arrestano se in rete fai ironia con un meme sull’argomento. Australia, stessa cosa: difficile pensare, vista l’assenza di simboli nazionali e l’abbondanza di bandiere aliene, che non sia il segno del fatto che si sia finiti sotto un potere occupante.

 

Rammentate la Casa Bianca l’anno passato? Il drappo omotrans splendeva al centro del colonnato palladiano, le bandiere degli USA ai lati – il posto d’onore è per il vessillo di Sodoma… E solo la settimana scorsa Biden stava sul prato, sempre in evidente stato di amenza, mentre a due metri da lui ballava un nero barbuto vestito da donna.

 


La faccenda è che, parrebbe, la faccenda potrebbe non durare. Un signore, padre di famiglia ed investitore famigliare, ha vergato pochi giorni fa un lungo post su Twitter, raccontando di aver notato come Greenport, un ricco paesino turistico della costa di Long Island, si è svuotato dal flusso di famiglie allegre ed altri visitatori.

 

Come mai? Lui fa capire che è perché una serie di negozi hanno esposto la bandiera omotransessuale, e le famiglie in USA cominciano a non sentirsi più sicure davanti a questo segno.

 


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Un commentatore scrive del pendio scivoloso per cui «sono passati dal “non ti deve interessare quello che faccio in camera da letto” al “devi assolutamente sapere cosa faccio in camera da letto”».

 

È un’osservazione bonaria: la realtà è che siamo passati – in pochi anni! – dal «diritto di visitare il compagno in ospedale» al diritto alla mutilazione sessuale dei bambini. Siamo lontani da una presa di coscienza della massa rispetto alla questione: tuttavia le immagini provenienti dalle drag queen story hour – dove, si raccontano, abbondano i bambini portati dalle loro mamme single – stanno svegliando qualche genitore.

 

C’è poi lo specioso caso dei murales stradali: bandiere arcobaleno al posto delle strisce pedonali, così da essere simbolicamente obbligati a passare per i colori dell’iride sodomista. Non ogni americano, tuttavia, sembra starci: ecco che si è innescata questa nuova tradizione di fare sgommate (con il SUV, con il motorino, con qualsiasi veicolo su ruota) sopra le strisce del gender stradale obbligatorio. Arresti e processi per i perpetratori: ma pensano sul serio che la repressione farà cambiare idea di chi non ne può più? Davvero non si rendono conto che la repressione non farà che radicalizzare ancora di più la crescente massa dei dissidenti?

 


I gay lo hanno capito? Gli oligarchi, loro creatori, pure? Probabilmente no, non ancora. È l’atteggiamento classico di chi sa che qualcosa di fondamentale esiste – tipo: Dio, la natura, la morale, la coscienza, etc. – ma preferisce far finta di niente e ignorare tutto. Fino al «ritorno del rimosso», un altro concetto del Freud ora in via di divieto totale. Cioè, fino a che la realtà, la verità, non torna in superficie, e ti esplode in faccia.

 

Ma, con questo ritmo che pompa, qualcuno si preoccupa?

 

Per il momento, tutti in strada a ballare. Perché l’Italia, l’Europa, il mondo, è una grande discoteca gay. One-Big-Gay-Disco.

 

Il problema è che la musica potrebbe finire prima di quello che pensano.

 

Roberto Dal Bosco

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Gender

La polizia fa irruzione nei club di Mosca sospettati di «propaganda LGBT»

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Venerdì sera la polizia russa ha fatto irruzione in diversi locali notturni di Mosca, citando restrizioni alla propaganda LGBT. Lo riporta l’agenzia di Stato russa TASS.   Almeno tre grandi locali da ballo sono stati perquisiti, incluso il luogo di una controversa festa per nudisti dello scorso anno che ha attirato l’attenzione del pubblico.   Secondo persone dei club che hanno pubblicato online i video delle incursioni, gli agenti hanno fatto irruzione nei locali a tarda notte e hanno costretto le persone a sdraiarsi a faccia in giù sul pavimento con le mani dietro la testa.

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La polizia antisommossa mascherata ha poi proceduto a controllare i documenti e a interrogare gli ospiti a caso, lasciando infine andare le visitatrici. I visitatori di Arma, il luogo della famigerata festa dell’anno scorso, hanno affermato che il raid è durato almeno tre ore.   I resoconti della stampa affermano anche che gli agenti hanno perquisito i locali con i cani. Alcuni degli ospiti sono stati arrestati perché sospettati di essere sotto l’effetto di droghe, anche se non è chiaro quanti arresti siano stati effettuati.     Il ministero dell’Interno di Mosca ha successivamente confermato l’irruzione in un club chiamato Inferno. Secondo una dichiarazione rilasciata sabato dal ministero, l’ispezione è stata condotta per «identificare attività illegali» dopo che la polizia ha ricevuto informazioni che il luogo era collegato alla propaganda LGBT, vietata in Russia dal 2022.  

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«Secondo le informazioni operative, il club stava promuovendo l’ideologia del movimento LGBT, che è vietato in Russia», si legge nella dichiarazione, sottolineando che il raid ha prodotto armi e una scorta di alcol illegale.     Il ministero non ha confermato le irruzioni in altri club, né ha divulgato informazioni sulle detenzioni effettuate durante le perquisizioni. I resoconti dei media affermano che tutti e tre i club erano chiusi sabato, con l’ingresso dell’Inferno sigillato e il suo logo rimosso.   La Russia ha inasprito le leggi riguardanti LGBTQ dall’inizio degli anni 2010, vietando prima la propaganda tra i minori nel 2013 e poi estendendo il divieto agli adulti nel 2022. Lo stesso anno, la Corte Suprema russa ha anche messo fuori legge il «movimento pubblico LGBT internazionale», etichettandolo come un’organizzazione estremista.   Il presidente Vladimir Putin ha più volte chiarito che le autorità non intendono interferire nella vita privata delle persone, promettendo che non reprimeranno i rappresentanti della comunità LGBT per le loro scelte personali. Ha osservato, tuttavia, che «ostentarli» in pubblico o coinvolgere bambini sarà considerato motivo di persecuzione.

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Come riportato da Renovatio 21, la settimana scorsa la Russia ha finalizzato un divieto di adozione di bambini nei Paesi che consentono le procedure di riassegnazione del genere.   Come noto, la Russia ha anche vietato la distribuzione di contenuti omotransessualisti e il «movimento pubblico LGBT internazionale» è stato considerato ufficialmente come «movimento estremista» e dichiarato illegale nel Paese dal 2022. La Russia ha inasprito le sue leggi sul movimento LGBT dall’inizio degli anni 2010, prima vietandone la propaganda tra i minori e poi estendendo il divieto agli adulti due anni fa. A novembre 2023, la Corte Suprema russa ha designato il «movimento pubblico internazionale LGBT» come un «gruppo estremista», vietandone le attività nel Paese.   Queste leggi hanno attirato molte critiche da parte dei funzionari occidentali e dei gruppi per i diritti umani. La commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, ha affermato che etichettare il movimento come estremista «viola gli standard fondamentali dei diritti umani». La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha precedentemente affermato che la legge che vieta la «propaganda LGBT» è incompatibile con i valori di una società democratica.   Nel 2023 la Russia ha anche introdotto il divieto di interventi chirurgici di cambio di genere e di terapia ormonale effettuati come parte del processo di transizione di genere. Oltre a ciò, la legislazione vietava di alterare i dettagli di genere nei registri pubblici.   Come notato da Renovatio 21, quando l’anno scorso partì la proposta di divieto di adozione in Paesi pro-omotransessualisti non era difficile vedere che la lista, in pratica, coincide con i Paesi NATO.   A giugno il l viceministro della Giustizia russo Oleg Sviridenko aveva dichiarato al Forum economico internazionale di San Pietroburgo che il «movimento LGBT» si basa su una «ideologia distruttiva» che rappresenta una minaccia per la cultura e la popolazione russa e potrebbe alla fine innescare una guerra di genere.   Al Club Valdai due anni fa Putin dichiarò che il gender costituiva «un crimine contro l’umanità», scagliandosi contro la cultura omotransessualista e la decadenza occidentale.   L’anno scorso Putin, rispondendo ad una domanda del regista serbo Emir Kusturica durante un evento culturale a San Pietroburgo, aveva fatto un discorso di apparente apertura nei confronti della «cultura LGBT».   La Russia, come percepibile nei discorsi al Club Valdai del presidente Putin (dove ha paragonato, tra le altre cose, il gender al coronavirus), offre al mondo un’immagine di resistenza al processo di omotransessualizzazione del pianeta, che interessa anche vari Paesi africani – gli stessi divenuti teatro, negli ultimi mesi, di improvvisi, sanguinari attacchi terroristici che non si vedevano da decenni.

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Gender

L’arcivescovo maltese Scicluna offre una messa di anniversario per un gruppo LGBT

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In occasione del ventesimo anniversario, il gruppo omotransessualista maltese Drachma LGBTI ha recentemente accolto un importante funzionario del Vaticano per celebrare una messa per il gruppo, durante la quale ha esortato alla riconciliazione e all’accettazione della propria identità. Lo riporta LifeSiteNews.

 

Il 17 settembre, l’arcivescovo Charles Scicluna ha celebrato la messa di anniversario di Drachma LGBTI, un gruppo maltese che cerca di promuovere l’inclusione e l’accettazione delle problematiche LGBT nella società.

 

Scicluna, arcivescovo di Malta e segretario aggiunto del dicastero per la dottrina della fede del Vaticano, è stato raggiunto da diversi sacerdoti per la messa. Ha predicato sul nome del gruppo, con il titolo «Dracma» tratto dal brano scritturale di Luca 15, sulla donna che perde una delle sue dieci dracme e gioisce organizzando una festa quando la ritrova.

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Il prelato maltese ha esortato all’amore e all’accettazione dell’identità personale, un messaggio particolarmente gradito per un gruppo che promuove lo stile di vita «LGBTI» e cerca di promuovere tale causa nella Chiesa cattolica e nella società in generale.

 

Il gruppo mira, scrive il sito del gruppo visibile sulla piattaforma Blogspot, a «offrire uno spazio sicuro per le persone LGBTI» e, tra i vari altri obiettivi, «ispirare le persone LGBTI a esplorare l’integrazione sessuale e spirituale, diventando al contempo più inclusivi dell’intero spettro della sessualità».

 

«Nell’integrità di quelle dieci [dracme], c’è questo desiderio di Dio di vederci tutti insieme, tutti fratelli, ci rispettiamo tutti; ci accettiamo come fratelli; e ci accogliamo a vicenda come un dono prezioso», ha detto lo Scicluna. «È così che abbiamo lo sguardo del Signore l’uno sull’altro».

 

Il prelato ritiene che la parabola della dracma perduta contenga «un invito a riconciliarci» e che «prima di tutto dobbiamo riconciliarci con noi stessi».

 

Apparentemente per confermare i membri del gruppo nelle loro identità LGBT, Scicluna ha chiesto: «Amate voi stessi? Vi siete riconciliati con voi stessi? Vi siete riconciliati con la storia della vostra vita? Vi siete riconciliati con le persone con cui il Signore vi ha fatto incontrare? È possibile che noi umani ci facciamo del male a vicenda, ci serviamo a vicenda e ci sfruttiamo a vicenda».

 

Ribadendo l’importanza di essere «riconciliati» gli uni con gli altri, ha anche esortato il gruppo LGBT a riconciliarsi «con la società che non sempre ci capisce; riconciliati anche con la Chiesa, che a volte ha usato etichette e parole dure contro alcuni di noi».

 

«Ovviamente», ha aggiunto, «la conversione non è unidirezionale; la conversione deve essere anche bidirezionale. Quindi preghiamo anche che la Chiesa abbia il cuore del Signore».

 

Dopo la messa, a Scicluna è stato donato un dipinto del gruppo che rappresenta la sua crescita negli ultimi due decenni, «un’espansione dovuta in gran parte al suo sostegno», commenta LifeSite.

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«Scicluna ha una lunga relazione con Drachma LGBTI e con l’accettazione di una posizione costantemente permissiva e non cattolica nei confronti dell’omosessualità a Malta» scrive il sito pro-life nordamericano. «Da oltre un decennio Scicluna è ospite d’onore per celebrare le loro messe e ha consentito loro di utilizzare numerosi luoghi in tutta l’arcidiocesi».

 

«Oltre ad aver rilasciato una serie di dichiarazioni conciliatorie a favore delle unioni tra persone dello stesso sesso, Scicluna si è anche mosso per punire uno dei suoi sacerdoti che aveva fatto pubblicamente commenti fortemente sprezzanti nei confronti dell’omosessualità».

 

Sotto la guida di Scicluna, i vescovi di Malta hanno approvato anche la comunione per i cattolici divorziati e risposati civilmente se sono «in pace con Dio».

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Famiglia

La Russia vieta le adozioni nei Paesi pro-transgender

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La Russia ha finalizzato un divieto di adozione di bambini nei Paesi che consentono le procedure di riassegnazione del genere.   Secondo un decreto firmato dal presidente Vladimir Putin sabato scorso, le persone provenienti da paesi che consentono il cambio di genere tramite procedure mediche, tra cui interventi chirurgici e bloccanti della pubertà, o semplicemente tramite modifiche ai documenti di identità senza alcun intervento medico, non potranno più adottare bambini russi.   Il decreto ha apportato modifiche al Codice della famiglia nazionale ed è entrato in vigore il giorno della sua pubblicazione.

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La legislazione è in fase di elaborazione da oltre due anni. Ad agosto 2022, i legislatori hanno proposto di vietare le adozioni in tutti i «Paesi ostili» che hanno imposto sanzioni alla Russia in relazione al conflitto ucraino. Putin si è opposto alla proposta, sostenendo che il modo in cui è stato redatto il disegno di legge avrebbe violato i diritti degli ucraini che vivono in Russia.   A metà del 2023, la Russia ha imposto severe restrizioni alle procedure di riassegnazione di genere. La legislazione, che ha cercato di rafforzare la regolamentazione di quella che i legislatori hanno definito «industria transgender», ha proibito i cambiamenti legali di sesso e gli interventi medici associati alla transizione, fatta eccezione per casi medici gravi, come anomalie alla nascita.   Subito dopo l’approvazione della legge, i legislatori hanno proposto la prevenzione delle adozioni internazionali da parte di persone provenienti da paesi che consentono i cambiamenti di genere.   All’inizio di questo mese, il divieto è stato approvato dalla Duma di Stato, ricevendo un sostegno schiacciante. Il presidente della Duma Vyacheslav Volodin ha affermato all’epoca che il divieto mirava a proteggere i bambini russi da potenziali pericoli come «il possibile cambio di genere che i bambini adottati potrebbero affrontare in questi Paesi».   Volodin ha descritto le politiche occidentali nei confronti dei bambini come «distruttive», osservando che alcuni paesi europei consentono il cambio di sesso per gli adolescenti, mentre altri non hanno limiti di età per la riassegnazione legale del genere.

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La Russia ha vietato alle coppie dello stesso sesso di adottare bambini nel 2013. Con la «Legge Dima Yakovlev» approvata quell’anno, il Paese ha anche vietato le adozioni da parte di cittadini statunitensi, dopo che un orfano russo adottato da una coppia della Virginia è stato lasciato in un’auto per nove ore ed è morto per un colpo di calore.   Come noto, la Russia ha anche vietato la distribuzione di contenuti omotransessualisti e il «movimento pubblico LGBT internazionale» è stato considerato ufficialmente come «movimento estremista» e dichiarato illegale nel Paese dal 2022.   Come notato da Renovatio 21, quando l’anno scorso partì la proposta di divieto di adozione in Paesi pro-omotransessualisti non era difficile vedere che la lista, in pratica, coincide con i Paesi NATO.   In America lo Stato va invece in direzione specularmente opposta: come riportato da Renovatio 21, nel 2023 emerse che i tribunali della California possono portare via ai genitori i bambini «transgender» qualora essi non «affermassero» la «transizione» del minorenne.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
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