Predazione degli organi
Il legame tra il concetto di «morte cerebrale» e la predazione degli organi

Il concetto della morte cerebrale – convenzione creata per far partire l’industria dei trapianti, che vanno eseguiti a cuor battente – è stato al centro di un video pubblicato dal direttore di LifeSite John-Henry Westen con il neonatologo in pensione Dr. Paul Byrne.
Il dottor Byrne si è interessato inizialmente alla questione nel 1975, quando un suo paziente neonato di nome Joseph non rispondeva più mentre viveva sotto ventilazione artificiale. Dopo che un test delle onde cerebrali aveva dato risultati che suggerivano che Joseph aveva sofferto di «morte cerebrale», un risultato ripetuto da un secondo test, Byrne aveva continuato a curare il suo paziente, obiettando che Joseph non era morto.
Quando Joseph aveva circa cinque mesi, Byrne iniziò a indagare sulla questione, scoprendo infine che il concetto di «morte cerebrale» non ha alcuna vera base scientifica.
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Il concetto stesso, racconta il medico, è stato «inventato» dopo un trapianto di cuore illegale fallito tra due neonati a Brooklyn, New York. Un comitato di Harvard ha pubblicato un rapporto chiamato «A Definition of Irreversible Coma» («Una definizione di coma irreversibile») in cui ha identificato il «coma irreversibile» con la morte, senza alcun dato sui pazienti o test di laboratorio.
«Mentre ci concentriamo su queste questioni, le questioni più importanti hanno a che fare con la differenza tra vita e morte», spiega il dottor Byrne, identificando la differenza tra creazione, quando qualcuno viene concepito, e morte, quando le membrane cellulari iniziano a rompersi dopo che l’anima lascia il corpo. «Sappiamo cos’è la vita, sappiamo che la morte è qualcosa di diverso. E quindi l’attenzione dovrebbe essere rivolta a non dichiarare qualcuno morto finché non è effettivamente morto».
Rivolgendo la sua attenzione alla donazione di organi e ai trapianti, Byrne osserva che la nostra società tende a essere «fiduciosa», con il desiderio tra le persone di fare del bene agli altri. Tuttavia, sostiene Byrne, Dio ha creato i nostri organi appositamente per noi in modo tale che non possano essere trapiantati. Il processo umano del trapianto, egli ritiene, è un’interferenza con il processo naturale di Dio, con l’eccezione naturale della gravidanza.
Nel frattempo, la persona sottoposta al trapianto scambia un insieme di problemi con un altro. La questione dei farmaci per tutta la vita che costringono il corpo ad accettare gli organi trapiantati, aggiunge il Byrne, è una «questione sociale» e non solo una questione di costi, considerando l’aumento di certe infezioni come la tubercolosi alla luce del trapianto di organi.
Il medico afferma che le persone tendono a scegliere la «via più facile» piuttosto che quella morale, qualcosa che esamina alla luce dei trapianti di cuore, che tolgono la vita a una persona per il bene di un’altra.
«Una volta che qualcuno ha questo marchio di morte cerebrale, il sistema lo renderà morto, perché chiunque venga definito morto cerebralmente, il sistema lo rende morto, o tagliandogli gli organi vitali, o, se non riesce a respirare da solo, togliendogli il supporto vitale», spiega Byrne. «Ecco perché dicono, “Nessuno si è ripreso dalla morte cerebrale”».
In Canada e negli Stati Uniti ci sono persone che vanno in giro a cercare organi. Il contesto americano usa il nome «designated requester» per una figura, che, a differenza del medico curante della persona, è autorizzata a discutere di trapianti con la famiglia. Nel frattempo, il fenomeno delle persone che si svegliano dopo essere state dichiarate cerebralmente morte si è verificato fin dall’inizio, dice Byrne.
«È un intero team di persone che partecipano tutte a questa industria multimiliardaria che dipende dall’ottenimento di organi sani… e da dove si ottengono organi sani? Da persone viventi. Si può ottenere un organo sano da un cadavere? No», sottolinea.
Mentre si può legalmente essere dichiarati morti mentre si è ancora in vita, la legge stessa dipende da ciò che dice la medicina. Entrambe, tuttavia, non dovrebbero contraddire la filosofia. La filosofia, dice Byrne, ci dice che gli uomini sono composti di corpo e anima. Per pensare a queste cose, tuttavia, dobbiamo isolarle, ma nel processo, dice Byrne, le «mescoliamo», con le nostre emozioni che si coinvolgono anche per quanto riguarda il desiderio di aiutare qualcuno, e quindi possiamo prendere la decisione sbagliata.
Il pubblico, dice, fa affidamento sulla «leadership» di dottori, giuristi, filosofi e teologi. Abbiamo visto, aggiungiamo noi, quanto questa leadership sia immotivata, e, dopo la pandemia, di fatto fallita in ogni dimensione possibile.
Come riportato da Renovatio 21, dinanzi alla verità che il soggetto di espianto è di fatto vivo, vari soggetti stanno iniziando a discutere l’abbandono della regola del «donatore morto» e quindi la possibile «eutanasia del donatore». Il Canada, grazie alla legge sull’eutanasia che permette quasi a chiunque di farsi ammazzare dallo Stato, è infatti ora diventato una delle capitali per numero di trapianti.
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La maschera sulla «morte del donatore» sta calando al punto che i chirurghi di trapianti stanno inventando anche una procedura chiamata con il nome mistico e tecnico di «resurrezione parziale».
In questa procedura, i medici dichiarano un paziente morto prematuramente (poco dopo uno scompenso cardiaco), quindi attuano interventi per riprendere la circolazione nel paziente al fine di ottimizzare la vitalità dell’organo. Tuttavia – ascoltate bene – bloccano deliberatamente la circolazione del sangue ossigenato dal raggiungere il cervello.
Garantire che il cervello sia privato del sangue ossigenato mentre altri organi vengono perfusi con esso fa due cose: preserva gli organi per il trapianto e assicura che il paziente muoia – per mano dei chirurghi, in un modo diverso da quello in cui il paziente stava già morendo naturalmente.
In pratica, i medici non solo stanno rendendosi conto sempre più che stanno ammazzando i pazienti, ridotti a conti correnti di organi da derubare, ma stanno inventando anche nuovi protocolli di crudeltà per farlo.
La Necrocultura corre, ogni giorno, dentro ai nostri ospedali, dove per squartare qualcuno che ha la sola colpa magari di essere stato coinvolto in un incidente stradale somministrano dichiaratamente al soggetto il curaro, al fine di paralizzarlo durante lo squartamento atto alla predazione dei suoi organi.
Provate a pensarci: che senso ha dare un paralizzante ad un morto? I morti si muovono? I morti sentono il dolore?
Domande a cui nessuno, né negli ospedali, né sui giornali, né nelle università, né nelle aule della politica, vuole davvero porsi.
Noi lo facciamo invece, e vi diciamo: rifiutate con ogni mezzo la «donazione» degli organi, che è predazione della materia vitale inflitta all’innocente, ulteriore sottile trasformazione del sacrificio umano nel mondo moderno.
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Predazione degli organi
Se la cardiologa parla della possibilità di un «obbligo» per la «donazione» degli organi

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Predazione degli organi
DCD, la nuova frontiera della predazione degli organi

L’introduzione del criterio della morte cerebrale non fu il risultato di una riflessione teorica o filosofica sulla morte, piuttosto della volontà di risolvere due ordini di esigenze pratiche: contenere il problema dei pazienti bisognosi di cure mediche adeguate (in concomitanza della scoperta delle moderne tecniche di rianimazione) e legittimare l’espianto degli organi vitali.
Ad affermarlo furono gli stessi membri del Comitato di Harvard i quali, ormai più di cinquant’anni fa, vennero chiamati ad elaborare il concetto di morte con criteri neurologici: «il peso è più grande per i pazienti che soffrono della perdita permanente dell’intelletto, per le loro famiglie, per gli ospedali, e per quanti hanno bisogno di posti letto già occupati da altri pazienti comatosi (…) Criteri obsoleti per la definizione di morte possono portare a controversie nell’ottenere organi per il trapianto».
Gli evidenti riferimenti erano al problema di togliere i supporti vitali ai malati e alla necessità di legalizzare la pratica dei trapianti. Per risolvere tali impedimenti in un colpo solo era sufficiente dichiarare morte le persone in stato di incoscienza: il nuovo criterio di accertamento della morte venne così ratificato e finì in breve tempo per rivoluzionare radicalmente la deontologia e la prassi medica.
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Pertanto, sembra evidente che il legame tra la predazione degli organi e la deriva eutanasica non è accidentale bensì strutturale. Ai giorni nostri, l’intima connessione tra queste due pratiche si manifesta in maniera particolarmente evidente nella nuova frontiera dei trapianti, la cosiddetta donazione a cuore fermo (Donation after Cardiac Death).
Schematicamente, esistono due tipi di donatori a cuore fermo: controllati e non controllati. La DCD non controllata concerne tutti i pazienti che hanno subito un improvviso arresto cardiaco e non hanno risposto (almeno in teoria) a tutti i tentativi di rianimazione cardiopolmonare.
In questi casi, per il prelievo degli organi vengono utilizzate procedure per ridurre la sofferenza ischemica dei tessuti, come i sistemi di perfusione continua meccanica e l’utilizzo di ossigenatori a membrana extracorporea. Tali sistemi vengono utilizzati già all’arrivo del paziente in ospedale per supportarne il cuore in vista di una sua possibile ripresa
Qualora il malcapitato non si riprenda si procede a verificare la volontà donativa dello stesso e in caso positivo al prelievo dei suoi organi. Trattandosi di un «donatore» non controllato il cuore non può essere prelevato, in quanto la sua funzionalità è compromessa da una patologia che ne ha causato l’arresto (in compenso possono essere prelevati tutti gli altri organi).
Diverso è il caso della DCD controllata in cui l’arresto cardiaco è atteso, ossia previsto. Essa, fa seguito alla sospensione dei trattamenti intensivi a motivo della loro mancanza di proporzionalità. In altre parole, il malato viene staccato dai supporti vitali, in particolare dal supporto ventilatorio, in una circostanza prevista e medicalmente controllata. In questo caso il cuore è sano e può essere prelevato dopo i venti minuti di assenza di battito e di circolo, come prescritto dalla legge italiana. Il muscolo cardiaco, già prima del prelievo e del trapianto, viene accuratamente valutato e spesso collegato ad un sistema di circolazione artificiale che permette di verificare la funzionalità dell’organo in vista del trapianto.
Possiamo chiederci se possa essere stata proprio questa la causa della morte di una persona ricoverata a fine dicembre presso l’ospedale piemontese, la quale è stata depredata di cuore, fegato e reni dopo accertamento di morte con criteri cardiologici. Immediatamente dopo la dichiarazione del decesso il cuore della «donatrice», ci informano le cronache, è stato rivitalizzato da una équipe rianimatoria che ha fatto ripartire il cuore prima del suo prelievo. Gli organi (cuore e fegato) sono stati poi trasportati in un altro ospedale mantenuti vitali al di fuori del corpo in una condizione molto simile a quella fisiologica.
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Naturalmente, la notizia è stata accolta dai media con grande entusiasmo e i membri dell’équipe medica descritti come degli eroi. E ovviamente nessun accenno ad alla possibilita per cui, secondo alcuni, vi potrebbe essere sottostante una pratica eutanasica.
Una cosa è certa: la nuova tecnica dei trapianti a cuore fermo da donatore controllato è la dimostrazione ulteriore che la dichiarazione di morte cerebrale rappresenta una mera convenzione volta unicamente ad eliminare i malati e foraggiare l’industria dei trapianti; con la DCD controllata, infatti, la morte del paziente non sopraggiunge a causa di una patologia cardiaca ma è conseguente alla decisione di sospensione dei trattamenti considerati inutili per il paziente stesso. Trattasi quindi di morte dopo sospensione delle cure.
Come uno tsunami la Necrocultura avanza e rompe tutti gli argini che incontra lungo il suo mostruoso cammino.
Alfredo De Matteo
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