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Bioetica

Aborto in USA, il nulla di Salvini e Meloni

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La Corte Suprema USA ha infine davvero democratizzato l’aborto: stabilendo che esso non ha alcuna copertura costituzionale, come invece avevano stabilito i giudici supremi nel 1973 con la sentenza Roe v. Wade, viene rimandata la decisione ai singoli Stati, le cui legislazioni potranno ritenersi libere di fare ciò che vogliono gli elettori: l’aborto non è più un diritto considerato implicito alla Costituzione USA, quindi è una questione di scelta politica, di democrazia.

 

Per quanto Renovatio 21 abbia una prospettiva diversa da coloro che ora lanciano coriandoli e suonano trombette – e lo scriveremo in un prossimo articolo – , il cambiamento è epocale.

 

L’aborto USA, che seguiva le legalizzazioni scandinave e britanniche, diede la stura a tante altre legislazioni, come la Francia (1976) e l’Italia (1978).

 

Evitare anche solo di immaginare – di sognare – che una simile inversione di tendenza possa voler dire anche di un semplice cambiamento nell’opinione pubblica delle varie nazioni è uno sforzo non da poco per i politici della destra italiana ed europea.

 

Tuttavia, siccome sono bravi, ci riescono benissimo.

 

Eccovi Matteo Salvini: «Credo nel valore della vita, dall’inizio alla fine, ma  a proposito di gravidanza l’ultima parola spetta sempre alla donna».

 

Eccezionale: una captatio benevolentiae vetero catto-biotica (e notate che manca la parola «concepimento», come pure la parola «naturale), e poi il vero succo del pensiero (del non-pensiero): l’ultima parola spetta alle donne, chiaramente, non ai bambini uccisi – tra cui vi sono pure, ricordiamo, milioni e milioni di donne.

 

È il vecchio trucco radicale di fine anni Settanta: sposta il focus della cosa sulle donna, cavalca il femminismo (tornato artificialmente a rombare negli ultimi anni), sposta completamente l’attenzione dalla vera vittima di questa aberrazione genocida: il bambino innocente.

 

Ecco: Salvini ci casca in pieno. Avrà i suoi motivi, e sotto magari tentiamo pure di dire quali siano. Intanto, comunque, restiamo in attesa di altre dichiarazioni simili: «Credo nella difesa dalle rapine in casa, ma l’ultima parola spetta sempre al rapinatore». «Credo nell’orrore dell’immigrazione clandestina, ma l’ultima parola spetta sempre a migranti e scafisti».

 

Facciamo un giro oltr’alpe per sentire cosa pensa l’amicona di Matteo, la Marine Le Pen, presidenzialmente eternamente schiantata: la figlia d’arte da sapere di «non volersi immischiare negli affari di altri» Paesi. Del resto, la Le Pen non si è mai gettata a capofitto contro l’aborto.

 

Segue la capo-partito italiota favorita di tutti (dei sondaggi, dei giornalisti, degli americani) Giorgia Meloni: «stamane chiarisce che “vaneggia” chi, pur di attaccarla, pensa che il suo partito lavori all’abolizione della legge» 194, scrive l’ANSA. La capa di FdI non ammette paragoni con gli USA (dove i feti trucidati forse sono differenti, di un’altra specie): «Chi lo fa, probabilmente, è in malafede o ha obiettivi ideologici».

 

Fratelli d’Italia «continuerà semplicemente a chiedere, e a operare, perché venga applicata la prima parte della 194, relativa alla prevenzione, e per dare alle donne che lo volessero una possibilità di scelta diversa da quella, troppo spesso obbligata, dell’aborto».

 

Capito? La legge abortista, che ha causato qualche milione di italiani morti (5, 6, 7 milioni? Facciamo anche 8 con gli embrioni distrutti dalla legge provetta 40 seguita alla 194?) non si tocca. E pazienza se tra quelle milionate c’erano chissà quanti elettori del partito, che peraltro si batte contro l’immigrazione che, mamma che coincidenza, sul suolo patrio ha fatto sbarcare 5,6,7 milioni di individui.

 

Dovete capire che non è che ci scandalizziamo: la storia della «194 buona legge» che «va difesa», perché da «applicare in tutte le sue parti» la abbiamo sentita tante volte in bocca ai cattolici – o meglio, in bocca ai «democristiani», e ai loro discendenti dentro e fuori dal Parlamento.

 

In realtà, la difesa della 194 l’hanno inventata proprio loro: del resto è una loro legge, varata e firmata nel 1978 da un governo democristiano (premier: Andreotti) come compromesso con le pressioni dei partiti della «modernità». Buffo, Moro era stato rapito e trucidato poco prima, la DC scelse la linea no-compromise. Per lo sterminio dei feti, invece, ecco pronto il «male minore».

 

Ora, dovete comprendere che non si tratta solo di una decisione digerita all’epoca da eunuchi arraffatori democristiani. Essi non avevano l’autonomia di pensiero e di palle per una decisione simile. Ad essi la cosa non interessa più di tanto, interessa la poltrona.

 

La decisione di non toccare la 194, con estrema probabilità, è stata presa molto più in alto – è stata presa addentro il Sacro Palazzo.

 

Nel 2008, il cardinale Ruini, allora capo della CEI ebbe a ripeterlo: la 194, quella legge che consente il sacrificio di bimbi innocenti che sono Imago Dei, mica va abolita, va «migliorata». Andò nella trasmissione televisiva di Giuliano Ferrara (all’epoca assurto a ruolo di vate mistico dell’embrione) a dire che «la Chiesa non si muoverà contro la 194».

 

In TV il cardinale modenese andò a fondo, dichiarando di pensare che l’aborto «sopprima un essere umano vivente. Non uso la parola omicidio, ma per essere chiari e non confondere la realtà non si deve nemmeno parlare di interruzione volontaria di gravidanza».

 

Insomma, grigio. Uccidere un bambino nel ventre di sua madre non è omicidio: è soppressione di «un essere umano vivente». Voi davvero credevate che il linguaggio orwelliano lo avessero inventato durante il COVID?

 

(Caro lettore laico, ebbene sì, accetta la realtà che mai nessuno ha osato dirti: l’aborto in questo Paese l’hanno creato e mantenuto i «cattolici», i democristiani e una pretaglia gerarchicamente assortita)

 

Ebbene, ora vi è chiaro da dove arriva il non-pensiero di Salvini e Meloni.

 

Non hanno fatto nemmeno la fatica di farci una pensata, di sentire qualcuno dei loro (scusate, ma non era pieno di cattolici, anche tradizionalisti, fatti deputati e ministri, a fianco di Salvini?) per articolare meglio un pensiero, che quantomeno lasciasse aperta la porta per spiare quello che potrebbe essere, ripetiamo, un cambiamento epocale anche elettorale.

 

Macché. Nulla. Nessun pensiero, perché non c’è nessuna voglia di disturbare il manovratore, né la Chiesa, che in termini di voti non vale più nulla ma non si sa mai.

 

Quindi, la cosa migliore da fare è copincollare i vecchi compitini catto-pannelliani, le donne con «l’ultima parola», e la 194 «da applicare» nella sua interezza. È usato sicuro. Contenuto politico DOC, anzi DOP.

 

Eccovi la reazione della destra italiana (ed europea) davanti ad un possibile cambio di paradigma mondiale, storico – in realtà, cosmico, metastorico – in corso: il nulla.

 

Quindi, chiediamo ai lettori: c’è ancora qualcuno fra voi che è disposto a dar loro il voto?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

Immagine della Presidenza della Repubblica Italiana via Wikimedia; fonte Quirinale.it; immagine modificata

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bioetica

L’attualità della lezione giuridica di Mario Palmaro

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In un video pubblicato da Ricognizioni, la ricercatrice di giurisprudenza Patrizia Fermani, di cui Renovatio 21 ha pubblicato negli anni diversi interventi, ripercorre l’insegnamento del filosofo del diritto e studioso di bioetica Mario Palmaro (1968-2014), di cui ricorre il decennale della morte.

 

Nella conversazione con Alessandro Gnocchi, che con Palmaro ha firmato decine di libri e articoli, vengono messe evidenza la capacità di Palmaro di individuare i temi fondanti del diritto: primo tra tutti, l’inviolabilità dell’essere umano.

 

 

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Immagine da Ricognizioni

 

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Bioetica

La diversità di opinione è a rischio nelle riviste mediche?

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.   Un paio di anni fa, è stato nominato un nuovo editore per una delle riviste mediche più importanti al mondo, JAMA, o Journal of the American Medical Association, e per la sua rete di riviste associate.   La dottoressa Kirsten Bibbins-Domingo è il 17° redattore capo. Ha esposto i suoi obiettivi in ​​un editoriale intitolato «L’urgenza di adesso e la responsabilità di fare di più». Aspirava a garantire che JAMA avesse «i più alti standard di integrità e qualità editoriale indipendentemente da eventuali interessi particolari». Ha messo in guardia contro «l’insularità e il campanilismo»; ha affermato che «è fondamentale che le voci nella stanza in cui vengono prese le decisioni rappresentino la diversità di pensiero, competenza e background».

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Mi chiedo, però, quanto JAMA sia impegnata nella diversità di pensiero. Due articoli apparsi nel numero del 4 marzo di JAMA Internal Medicine promuovono un approccio ristretto e controverso all’inizio e alla fine della vita.   Il primo è un attacco feroce alla sanità cattolica negli Stati Uniti da parte del redattore associato e del vicedirettore della rivista. Come «ndr», inchioda la sua bandiera all’albero dei diritti riproduttivi.   «Gli ospedali cattolici sono un’importante fonte di assistenza sanitaria negli Stati Uniti per persone di tutte le confessioni. Le persone incinte [sic] potrebbero non avere sempre scelta su dove partorire se il travaglio arriva rapidamente e necessitano di un trasporto di emergenza all’ospedale più vicino», scrivono. «Deve esserci un percorso per garantire che le donne incinte ricevano le cure che desiderano, indipendentemente dall’ospedale in cui si recano».   E quale potrebbe essere questo percorso? La chiara implicazione è che gli ospedali cattolici dovrebbero essere costretti a fornire assistenza sanitaria come l’aborto, la sterilizzazione e la contraccezione verso cui nutrono profonde obiezioni morali.   Il secondo è un appello sentimentale per estendere il suicidio assistito legalmente in tutti gli Stati Uniti. Gli autori sono entrambi medici: moglie e figlia di un illustre medico dello stato di Washington, J. Randall Curtis, morto di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) l’anno scorso. Scrivono: «per Randy, l’unica fine alla sua estrema sofferenza mentre la SLA lo stava sicuramente uccidendo era l’atto travolgente di accelerare la sua stessa morte. Nel suo caso, era il medico più compassionevole».   I cari del dottor Curtis sono eloquenti nel descrivere il loro dolore per la perdita di un uomo che amavano teneramente. Ma le loro argomentazioni a favore dell’estensione della legge di Washington che consente il suicidio assistito sono tendenziose. Sì, i medici dovrebbero essere compassionevoli. Sì, i pazienti dovrebbero avere autonomia.

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Ma questo difficilmente esaurisce la questione del “diritto a morire”. Gli autori affermano allegramente che la scienza compassionevole proteggerà il benessere sociale. Ma questa è un’ipotesi dubbia. Basta guardare dall’altra parte del confine, nella Columbia Britannica, dove le persone scelgono di morire perché non possono accedere alle cure palliative o ai servizi sociali di supporto.   Torniamo alla politica editoriale delle riviste JAMA. Questi articoli rappresentano «i più alti standard di integrità e qualità editoriale indipendenti da eventuali interessi particolari». No. Direi che rappresentano un interesse speciale: una campagna per negare la sacralità di tutta la vita umana dal concepimento alla morte naturale.   Nell’America di oggi, ovviamente, questa è una proposta contestata, con argomenti da entrambe le parti. Ma quando i lettori di JAMA Internal Medicine leggeranno una difesa della sanità cattolica? Quando leggeranno lo straziante resoconto personale di un medico che si è preso cura del suo caro terminale fino alla fine?   Non molto presto. L’insularità e il campanilismo hanno trionfato su JAMA. Sembra sempre più che le principali riviste mediche del mondo siano state catturate dalla cultura della morte.   Michael Cook   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Bioetica

Peggio della 194 c’è solo la 194 corretta dai pro-life italiani: la proposta legge «Un cuore che batte» approda in Parlamento

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La proposta di legge d’iniziativa popolare «Un cuore che batte», dopo aver ampiamente superato lo scoglio delle 50.000 firme, è approdata alla Camera e verrà discussa dalle Commissioni riunite di Giustizia e Affari Sociali.

 

Il testo della proposta mira ad aggiungere il seguente comma all’art. 14 della legge 194: «il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso».

 

Abbiamo già avuto modo di esprimere in questa sede le nostre perplessità in merito ad un’iniziativa che presenta gravi criticità dal punto di vista della morale e che, qualora divenisse legge, potrebbe rendere la 194 ancora più intoccabile di quanto già non lo sia.

 

Come da regolamento la proposta di legge è stata accompagnata da una relazione illustrativa, elaborata dalla bioeticista Giulia Bovassi; relazione per la quale confermiamo il nostro giudizio negativo circa la proposta stessa.

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Nell’analisi iniziale l’estensore del documento denuncia, giustamente, la diffusione di una certa forma mentis che tende a considerare moralmente buoni tutti gli atti che sono consentiti dalla legge: «il bene oggetto del diritto precede la sua formulazione positiva; pertanto, se la legge non riconosce né tutela quel bene naturale di riferimento, discostandosi da esso, ecco che quella legge non ricalca un bene morale oggettivo. In questo caso, ad esempio, il bene oggettivo è il diritto umano inalienabile alla vita».

 

Si accenna, dunque, a un concetto fondamentale, secondo cui tutte quelle norme che in qualcosa o in tutto sono contrarie al diritto naturale (il bene morale oggettivo) non possono essere considerate leggi ma corruzioni della legge. In altre parole, essendo la legge un ordine della ragione, quella ingiusta non è ragionevole e quindi non può essere legge: essa lo è solo formalmente in quanto varata da un parlamento.

 

Pertanto, la criminale 194/1978 che consente di uccidere l’innocente nel grembo della madre, seppur a determinate condizioni, è una legge gravemente ingiusta e in quanto tale è una «non legge» che in alcun modo può essere appoggiata o obbedita; anzi, si ha il dovere di contrastarla con ogni mezzo lecito.

 

Tuttavia, secondo la Bovassi l’introduzione del nuovo comma nell’art. 14 della legge 194 del 1978 ha come obbiettivo di «dare voce al silenzio, la voce di un battito cardiaco udibile già dalla quinta settimana di gravidanza», agendo «perciò in continuità con la tutela della maternità, con il riconoscimento del suo valore sociale e con la tutela della vita umana fin dal suo inizio, come recita l’articolo 1 della legge 194 del 1978».

 

Come può una proposta che dovrebbe limitare gli effetti iniqui di una legge, agire in continuità con essa? Si potrebbe obiettare che tale proposta agisca in continuità solo con una parte della norma, quella preventiva, e non con la sua parte omicida. Ma a prescindere dal fatto che la cosiddetta parte buona della 194 in realtà non è stata pensata dal legislatore per favorire la vita e la maternità (l’articolo 1 della legge è un concentrato di ipocrisia destinato a rimanere lettera morta), agire in continuità con una parte della norma significa di fatto accettarla nella sua interezza e soprattutto nei suoi obiettivi.

 

In effetti, come abbiamo già avuto modo di mettere in luce nei nostri precedenti interventi, la proposta «Un cuore che batte» non mette in discussione la ratio della 194 (il pseudo principio dell’autodeterminazione femminile), bensì tende a rafforzarla.

 

Esplicativo a tal proposito è il passaggio della relazione in cui l’estensore dichiara che «con l’applicazione della norma contenuta nella presente proposta di legge, la libertà della donna rimane garantita, dal momento che l’obbligatorietà riguarda il dovere medico, mentre la paziente [sic] può scegliere se dare il consenso o meno; può scegliere se guardare l’esito ecografico o meno e se ascoltare o meno il battito cardiaco».

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A poco valgono i tentativi di mettersi al riparo da eventuali (sacrosante) critiche ribadendo la contrarietà etica all’aborto da parte delle associazioni promotrici, che si limiterebbero in questa sede «ad agire dove lo Stato ha legiferato aprendo la via alla sconfitta sociale dell’aborto (sic). Non si tratta di adeguarsi tollerando un male morale, bensì di offrire un bene: conoscere l’umanità di quella vita intrauterina che la stessa legge n. 194 del 1978 dichiara un bene da tutelare».

 

In realtà, non tutte le azioni che vanno a correggere o modificare impianti normativi già esistenti sono moralmente lecite, soprattutto se tali atti finiscono per colludere con una legge gravemente ingiusta, senza opporsi in modo chiaro ad essa. Al contrario, sarebbe necessario che l’ingiustizia potesse trovare dei limiti reali e non fittizi.

 

D’altra parte, se fosse sufficiente proporre un qualsiasi emendamento positivo per eludere il problema morale della collaborazione formale con una norma ingiusta, non ci sarebbe la necessità di chiamare in causa il numero 73 dell’enciclica Evangelium Vitae a garanzia della liceità morale della proposta.

 

Il relatore stesso delinea con chiarezza gli obiettivi di tale iniziativa: «non si tratta di una “coercizione lieve” e nemmeno di un “ricatto morale” [la possibilità di ascoltare il battito cardiaco del nascituro, ndr], quanto piuttosto dell’offerta di un’opportunità per una profonda presa di coscienza, mediante una corretta informazione clinica».

 

A noi sembra evidente che offrire alla donna l’opportunità di avere una «corretta informazione clinica» non equivale a porre dei limiti reali alla pratica abortiva (conditio sine qua non affinché la proposta di modifica della legge esistente sia moralmente lecita).

 

Altro passaggio problematico dell’elaborato è quello in cui si prende in considerazione la relazione del medico con la donna che intende abortire: «il metodo con cui la presente proposta di legge intende offrire un’alternativa consapevole per la vita alla gestante intenzionata ad abortire entra nei doveri deontologici del medico, i quali, all’articolo 20 (relazione di cura) del codice di deontologia medica, sanciscono che la relazione “tra medico e paziente è costituita sulla libertà di scelta e sull’individuazione e condivisione delle rispettive autonomie e responsabilità”».

 

L’aborto, tuttavia, non è un percorso di cure mediche volto a promuovere la guarigione di un soggetto affetto da una patologia, ma è l’uccisione deliberata di un innocente! In questo caso, l’autentico dovere del medico è di astenersi dal compiere l’abominevole delitto e dal fornire a una donna un mezzo per procurare l’aborto. Tutto il resto è aria fritta.

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Nella relazione inoltre vengono millantate drastiche riduzioni del numero degli aborti qualora la proposta divenisse legge: «senza dimenticare che nei Paesi in cui leggi simili sono entrate in vigore il numero degli aborti è drasticamente crollato». L’iniziativa «Un cuore che batte» si ispira alla legge dello stato americano del Texas denominata Texas Heartbeat Act che non ha nulla a che vedere con la legge che emenderebbe la 194.

 

Infatti, il Texas Heartbeat Act, in vigore da settembre 2021, vieta gli aborti una volta rilevato il battito cardiaco fetale, tranne che in situazioni di emergenza (pericolo di vita della madre, ad esempio). In sostanza, tale norma limita in modo significativo l’accesso alla pratica abortiva, vietando di fatto gli aborti dopo le sei settimane di gestazione, con sanzioni molto severe per i medici che agiscono contra legem.

 

Ci chiediamo come sia possibile paragonare una legge che vieta l’aborto nel caso sia rilevabile il battito cardiaco del nascituro ad una che invece lascerebbe comunque alla madre del bambino piena libertà di scelta.

 

Prendiamo atto della mancanza di senso critico che pervade una parte importante del mondo pro-vita italiano, il quale, evidentemente, manca di guide autorevoli che lo orientino nel senso della verità e della giustizia e che lo mettano in guardia dal grave pericolo delle facili scorciatoie morali.

 

Al contrario, tra i filosofi e i moralisti che vanno per la maggiore abbondano i falsi maestri che per ragioni di opportunità insegnano ora l’esatto contrario di quanto hanno insegnato in precedenza.

 

In definitiva, peggio della 194 c’è solamente una nuova 194 riveduta e corretta dall’associazionismo cattolico e pro-vita italiano.

 

Alfredo De Matteo

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Immagine di Beat Ruest via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine modificata

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