Pensiero
Il discorso della Meloni, tra segnali di potere e catastrofe conservatrice

Il discorso della Meloni alla Camera è stato il tripudio del conservatorismo arrivato al potere. I conservatori in quest’ora della Storia umana non sono d’aiuto, ma possono rappresentare un pericolo estremo. Una catastrofe.
L’intervento era puntellato poi di momenti che ci sono sembrati, più che dichiarazioni di intenti dei veri e propri segnali – segnali di potere, segnali al potere.
Chiariamo: l’abisso che separa il discorso della Meloni – che per quanto sbagliato, era netto, intenso, a tratti in grado di suscitare emozione – da quello di quando venne piazzato a Palazzo Chigi Draghi (ricordate?) è qualcosa che sconvolge: la politica torna alla politica, deo gratias. In effetti, uno che nel cognome ci ha enormi rettili sputafiamme non ha come attività principale di interfaccia con gli esseri umani il parlare, specie in Parlamento.
Chiariamo: non possiamo non condividere le parole, che vedremo come si trasformeranno in fatti, sulla possibilità di essere lasciati in pace dallo Stato, e dal fisco, con la pretesa da fantascienza che le tasse con il nuovo governo inizieranno ad essere pagata per ciò che si è incassato e non per ciò che è presunto e magari contestato dall’Agenzia delle Entrate. Vaste programme.
Al di là di questa piccola nota concreta che apprezziamo assai, che tuttavia poteva fare benissimo un premier di Forza Italia, anzi chissà quante volte lo ha fatto Berlusconi, senza poi portare a casa nulla (ed era Berlusconi, l’uomo più ricco e votato del Paese), tutto il resto di questa ouverture dell’Italia melonica crea in noi sgomento e talvolta rabbia.
Abbiamo sentito, in una interminabile ora di discorso, di tutto. Nella determinazione, nella grinta, nella rivendicazione (giusta, talvolta struggente) di essere arrivata in cima alla scala partendo dal sottosuolo, nel discorso alla Camera della prossima premier abbiamo sentito ribadito tutto il male che affligge le genti italiche – e da secoli.
Tra qualche luogo comune – Steve Jobs, Montesquieu, Papa Francesco che adesso la chiamerà come ha fatto con il Fontana – c’erano segni di grande chiarezza, o meglio, come dicevamo, proprio dei segnali.
Ci riferiamo, ad esempio, alle ripetute menzioni ottocentesche. Nella lista di donne che si sente di omaggiare per nome di battesimo, parte con una tale «Cristina», che definisce come dama di salotti: parla di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, la «principessa rossa» che organizzò il processo di conquista della Penisola da parte della massoneria, cioè il Risorgimento. Tuttavia, il culto dell’unificazione voluta dai grembiulisti è qualcosa che la destra nazionale si porta avanti da decenni se non da un secolo, senza mai toccare l’argomento: difficile spiegarsi che gli stessi che «fecero» l’Italia sono parti della medesima forza che avrebbe poi escogitato l’Europa Unita, e che, oggi come allora, ci sta portando in guerra contro lo Zar.
Quisquilie, direte: ma no. Così come si conserva una storia del Paese che è una menzogna, la Meloni ha proseguito conservando l’Unione Europea stessa, che rinunzia a sferzare davvero, e che cita in continuazione. Il cambiamento, del resto, non è virtù dei conservatori. E l’unico cambiamento possibile, nei confronti di Bruxelles, e esattamente quello che ha avuto il coraggio di fare Londra con la Brexit, partendo perfino da una situazione dove il Remain era diffuso tra tutti i partiti.
No, non abbiamo sentito un progetto concreto, né nuovo: di nessun tipo. Il Paese è senza energia? Qualche modo di veicolare il concetto che, per evitare il collasso, magari gas e petrolio ce lo andiamo a prendere da qualche parte? Non un’idea nuova, tuttavia un’idea giusta, che magari qualcuno si aspetta da un partito con la fiammella nel simbolo. La Nazione, vuole quel sentire da cui quel fuoco arriva, non può contrarsi, deve espandersi… In effetti, ad un certo punto, il presidente Meloni sembrava, certo in modo socialmente accettabile per il mondo democratico dove si vuole essere ricevuti, voler andare a proprio parare proprio lì, e noi ci stavamo per emozionare.
«Enrico Mattei un grande italiano che fu tra gli artefici della ricostruzione post bellica capace di stringere accordi di reciproca Convenienza con azioni di tutto il mondo Ecco io credo che l’Italia debba farsi promotrice di un piano Mattei per l’Africa…» Ma vieeeni. Dai che salta fuori un’idea da applaudire davvero… «un modello virtuoso di collaborazione e crescita tra Unione Europea e nazioni africane». Patapumf. La catena scende di colpo. Nel momento più bello, ecco che torna l’Unione Europea. Con Mattei. Cioè, dobbiamo cercare idrocarburi in contesti nuovi, ma per portarli a Bruxelles, a benefizio poi delle «nazioni africane», che già a pochi anni dalla loro «indipendenza» erano già magari implose, e il cui contributo all’Europa della Meloni sono masse di immigrati che oramai in larga parte soggiornano da noi apertamente come parassiti grazie ai governi precedenti, compreso quello Draghi che Meloni ha ringraziato, e che possono rendere invivibile qualsiasi città del Paese.
Ecco: i discorsi di Zemmour, sul rimpatrio immediato dei migranti, non li abbiamo sentiti dalla Giorgia al potere. Né abbiamo sentito promesse per cui condomini e quartieri saranno liberati dalla fase manifesta del piano Kalergi, o rassicurazioni che almeno il magna-magna delle coop rosse che banchettano sugli afrogommonauti sia fermato domani stesso.
Abbiamo poi visto l’inchino, multiplo, verso Gerusalemme, cioè, verso Tel Aviv – si vede che ci voleva. Prima di arrivare direttamente alla parola «antisemitismo» verso la fine, in realtà prima aveva già settato il diapason: eccola che ti parla di radici giudaico-cristiane della cultura europea, e confermiamo una volta di più che non abbiamo idea di cosa significhi. Vuol dire che la nostra cultura deriva dagli ebrei? C’erano gli ebrei qui prima di greci, romani, etruschi, galli, germanici, venetici…? Oppure è quella storia che essendoci di mezzo il Nazzareno, che era nato in una famiglia ebraica, allora, bisogna dire così? Gesù era giudaico-cristiano? In questo caso, quindi non è un pleonasmo dire giudaico-cristiano? Tipo romano-capitolino? Dottor medico? Formaggio-caseario? Gatto felino? Cocomero-melone?
Forse è che si tratta di un’espressione senza troppo senso, che non sia la manipolazione, o la segnalazione.
Avete capito: anche a questa latitudine, virtue signaling, peraltro di un termine che pensavamo dimenticato con la temperie neocon dei primi anni 2000. In effetti, in neocon ora sono tornati e minacciano di distruggere il mondo con le atomiche, quelle americane e quelle di Putin.
A proposito di Putin, ecco un altro segnale abbagliante: «l’Italia continuerà a essere partner affidabile insieme all’alleanza Atlantica a partire dal sostegno al valoroso popolo ucraino che si oppone all’invasione della Federazione Russa non soltanto perché non soltanto perché non possiamo accettare la guerra di aggressione la violazione dell’integrità territoriale di una nazione sovrana ma anche perché il modo migliore di difendere il nostro interesse nazionale».
Eccerto Giorgia, l’Ucraina è stata invasa dai russi, peraltro in terre che hanno appena votato per tornare alla Russia. Il «valoroso popolo ucraino», poi, è un agnello innocente: i 14 mila morti negli 8 anni di genocidio in Donbass sono una fantasia putinesca.
Eccerto, Giorgia, inimicandoci il nostro primo fornitore di gas, stiamo difendendo nel modo migliore «un nostro interesse nazionale».
La premier forse lo può capire: quello che è un segnale per chi sta sopra di lei, per alcuni italiani suona invece come una menzogna che la squalifica.
E non è la sola che ci vuole rifilare. Arriva l’ecologia, cita al volo il compianto Roger Scruton, re dei conservatori di Albione, dice che vuole proteggere l’ambiente. Anche lì, si vede che ci vuole: un segnale che andava mandato, e qui non si capisce neanche bene a chi: non alla Casa Bianca, ma a Greta? Non alla NATO ma all’ONU?
«Alla penisola servono investimenti strutturali per affrontare l’emergenza climatica e le sfide ambientali». Ma di cosa sta parlando? Ah sì, dimenticavamo che, avendo mantenuto il ministero della Transizione Ecologica (pasticciando pure sulle nomine del ministro), questo governo ha segnalato a chi di dovere che alla minaccia ambientale ci crede proprio: dobbiamo cambiare tutto, industrie e consumi, per eco-transire, cosicché il tempo metereologico sarà clemente con noi.
Non percepire la menzogna infame qui è impossibile: lo sa chiunque, se non sarà la guerra, la prossima chiave con cui vi richiuderanno dove vogliono sarà l’ambiente. La Meloni, l’occasione che la destra italiana ha per finalmente fare in concreto per la Nazione, propala l’eco-mondialismo onusiano, che altro non è che la maschera verde sopra la Cultura della Morte.
Sento qualche lettore che ha votato fiddino che trasecola: ma insomma, cosa doveva dire?
Beh, un esempio materiale, recentissimo, ci sarebbe: la neoeletta premier dello Stato canadese dell’Alberta, che ha esordito chiedendo scusa ai non vaccinati per aver subito «la discriminazione più estrema mai vista».
Qui Giorgia ha dato speranza: ha, senza esagerare, criticato i lockdown e la gestione pandemica, sorvolando fischiettosamente su parole come «green pass» e «vaccino», e pure senza mai fare nomi, mentre Speranza era lì in aula che la guardava da dietro la FFP2. Ad una certa, ha perfino parlato di possibili indagini su quanto successo. Qualcuno può essersi esaltato: Norimberga 2.0, ci siamo grazie a Giorgia?
Diciamo che, avendo la Meloni nominato come ministro della Salute un membro del CTS, che in TV esaltava il green pass, parrebbe non essere esattamente così: e questo forse è un segnale incontrovertibile, peraltro ribadito in uno dei passaggi più allarmanti: «Purtroppo non possiamo escludere una nuova ondata di COVID l’insorgere in futuro di una nuova pandemia Ma possiamo imparare dal passato per farci trovare pronti».
Eccallà, Giorgia l’ha buttata lì: e se come nel 2020 e nel 2021, tra l’autunno e l’inverno 2022 ripartisse tutto il circo? Siamo stati avvisati: il governo melonico già alza le mani – non esclude, ma è pronto. A fare cosa, non è dato sapersi. O forse un’idea purtroppo ce l’abbiamo.
Infine, vogliamo sottolineare il segnale più importante, che è stato quello.
Nella foga di dire «libertà» a raffiche continue, può capitare che salti fuori anche la libertà declinata come libertà di uccidere gli innocenti.
«La libertà è il fondamento di una vera società delle opportunità» scandisce con sicumera. «È la libertà che deve guidare il nostro giro agire libertà di essere di fare di produrre un governo di centrodestra non limiterà mai le libertà esistenti di cittadini e imprese. Vedremo alla prova dei fatti anche su diritti civili e aborto chi mentiva e chi diceva la verità in campagna elettorale su quali fossero le nostre reali intenzioni».
Una volta in più, eccoci: dopo averlo fatto dire alla sorella e al compagno, lo dice lei stessa nel momento più alto della sua carriera, nella sede e nel momento più solenne possibile: io sono favorevole all’uccisione di feti e embrioni. E velo dimostrerò.
Abbiamo già detto altrove di che cosa si tratta. Ci limitiamo qui a sottolineare che questo forse è il segnale più potente – e più limpido – dato in tutto il discorso. È quello che abbiamo chiamato l’inchino a Moloch. Ebbene, è stato ribadito oltre ogni ragionevole dubbio. Ci basta.
La nazionalista vuole la libertà per uccidere la nazione non-nata. La conservatrice, quella che vuole conservare le tradizioni e l’ambiente, vuole permettere di cancellare la vita, la cosa più preziosa che ha l’essere umano, che ha il Paese, senza la quale non esistono né tradizioni né ambiente.
Dobbiamo stupirci? No. Sappiamo cosa abbiamo dinanzi.
I conservatori sono, volontariamente o involontariamente, nemici dell’umanità – perché conservano questa società oramai irrimediabilmente compromessa dalla Necrocultura.
I conservatori conservano la Cultura della Morte che li sta uccidendo.
Il problema è che nel processo, rischiamo di essere ammazzati anche noi che conservatori non siamo e non saremo mai. E non solo noi: i nostri figli.
Noi e i nostri figli siamo la trasmissione della vita senza cui la Nazione (parola che viene da nascere) cessa di esistere.
Conservare ciò che cancella la vita è distruggere la Nazione. Essere conservatori oggi significa quindi propagandare la menzogna e la morte.
Questa è la vera catastrofe conservatrice.
Roberto Dal Bosco
Civiltà
Putin: le élite occidentali si oppongono a tutti i popoli della Russia

Il presidente russo Vladimir Putin ha messo in guardia dai tentativi occidentali di seminare divisione fra le genti russe e dai tentativi di frammentare il suo territorio secondo linee etniche. Lo riporta il sito governativo RT.
Intervenendo alla sessione plenaria del Consiglio internazionale del popolo russo, Putin ha lanciato un appassionato appello alla solidarietà tra i diversi popoli del Paese. Tali sforzi mirano non solo a danneggiare il popolo russo stesso, ma contro tutti i gruppi che compongono il paese, ha dichiarato Putin.
«La russofobia e altre forme di razzismo e neonazismo sono diventate quasi l’ideologia ufficiale delle élite dominanti occidentali. Sono diretti non solo contro i russi, ma contro tutti i popoli della Russia: tartari, ceceni, avari, tuvini, baschiri, buriati, yakuti, osseti, ebrei, ingusci, mari, altaiani. Siamo tanti, non li nominerò tutti adesso, ma, ripeto, questo è diretto contro tutti i popoli della Russia», ha dichiarato il Presidente.
«L’Occidente non ha bisogno di un Paese così grande e multinazionale come la Russia», ha continuato il presidente, aggiungendo che la diversità e l’unità della Russia «semplicemente non si adattano alla logica dei razzisti e dei colonizzatori occidentali».
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Ecco perché, secondo Putin, l’Occidente ha iniziato a suonare «la vecchia melodia» di chiamare la Russia una «prigione di nazioni», descrivendo il popolo russo come «schiavi» e arrivando addirittura a chiedere la «decolonizzazione» della Russia.
«Abbiamo già sentito tutto questo», ha detto, aggiungendo che ciò che gli oppositori della Russia vogliono veramente è smembrare e saccheggiare il paese, se non con la forza, almeno seminando discordia all’interno dei suoi confini.
Putin ha continuato avvertendo che qualsiasi interferenza esterna o provocazione volta a provocare conflitti etnici o religiosi nel Paese sarà considerata un «atto aggressivo» e un tentativo di utilizzare ancora una volta il terrorismo e l’estremismo come strumento per combattere la Russia.
«Reagiremo di conseguenza», ha dichiarato.
Il presidente ha sottolineato che l’attuale lotta della Russia per la sovranità e la giustizia è «senza esagerazione» di «natura di liberazione nazionale» perché è una lotta per la sicurezza e il benessere dei suoi cittadini.
Putin ha anche osservato che il popolo russo, come già fatto in passato, è diventato ancora una volta un ostacolo per coloro che lottano per il dominio globale e cercano di portare avanti la loro «eccezionalità».
«Oggi lottiamo non solo per la libertà della Russia, ma per la libertà del mondo intero», ha detto il presidente, precisando che Mosca è ora «in prima linea nella creazione di un ordine mondiale più equo» e che «senza un governo sovrano, una Russia forte, non è possibile alcun ordine mondiale duraturo e stabile».
Come riportato da Renovatio 21, all’ultima edizione del Club Valdai Putin aveva tenuto un denso discorso dove lasciava intendere una concezione della Russia come Stato-civiltà.
Riguardo alle élite occidentali, parlando di forniture di gas, il presidente russo aveva lamentato due mesi fa la mancanza di «persone intelligenti». Considerando le bollette, è davvero difficile dargli qui torto.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Pensiero
Che cos’è l’anarco-capitalismo? Da Rothbard a Milei, storia di un’idea mai applicata

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Pensiero
Le furie femministe e i collaborazionisti del matriarcato: l’accusa di Camillo Langone

Renovatio 21, in un articolo di qualche giorno fa, si chiedeva come mai si sente parlare così tanto di patriarcato, ora, ma non del suo opposto, cioè del regime che andrebbe ad instaurarsi qualora la cultura patriarcale dovesse finire: la parola «matriarcato» è davvero rara nel dibattito pubblico, e nessuno pare avere davvero il coraggio di tirarla fuori.
Lo scrittore Camillo Langone quel coraggio ce lo ha, anzi: in una sua «preghiera»– una rubrica che tiene da anni su Il Foglio – va molto oltre, dando una disamina sintetica e potente di ciò che sta accadendo.
«Abramo, patriarca Abramo, padre di popoli, tu che hai la parola “padre” (il semitico “ab“) fin dentro il nome, proteggi noi uomini abramitici. Noi bersagli della caccia al maschio. Le furie femministe, con al fianco gli inevitabili collaborazionisti, ci sono alle calcagna. È una “guerra di potere” (…). È una guerra civile, dunque una guerra senza quartiere» scrive Langone.
«Le donne di potere, le neomatriarche, le Meloni-Gruber-Schlein sono tutte sostanzialmente d’accordo (solo i fessacchiotti che credono ancora nella dicotomia destra/sinistra possono farsi ingannare dalle diverse sfumature). Mentre il fronte maschile è frammentato: gli infemminiti sono milioni» continua il grande scrittore italiano.
Langone procede quindi a fare quello che nessuno ancora si è impegnato a fare: a immaginare il mondo tornato al matriarcato.
«Il neomatriarcato ci garantisce rieducazione, umiliazione, estinzione. Ai più riottosi la castrazione. Agli esemplari più collaborativi una carriera di fuco al servizio delle umane api regine».
Ecco le parole che descrivono meglio il progetto in corso: rieducazione, umiliazione, estinzione. Ecco le immagini che ci comprendono di meglio comprendere: le evirazioni, i fuchi umani.
«Abramo, patriarca Abramo, ricorda a Dio la sua promessa di darti una progenie inestinguibile: noi siamo figli tuoi, non possiamo sparire così» conclude lo scrittore.
La preghiera dovrebbe essere condivisa da tutta l’umanità – che di fatto discende tutta, maschi e femmine, da Abramo.
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Immagine: Giovanni Gasparro, Ritratto di uomo con tabarro, Ritratto di Cammillo Langone, 2015.
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