Necrocultura
Il network neodemocristiano dietro alla Meloni
Le sigle e siglette dell’associazionismo e movimentismo cattolico e pro life, sempre munite dell’appoggio esterno episcopale, storicamente compongono quel soggetto politico che, simulando di difendere la vita umana, ha di fatto aperto le porte al suo definitivo oltraggio.
A partire dalla legge 194 del 1978 – partorita da madre democristiana (al governo c’era Belzebù) sotto il nome orwelliano di legge «per la tutela sociale della maternità» – va preso atto di come il vero autore dello scivolamento normativo verso lo stravolgimento dei principi della bioetica (cosiddetti non negoziabili) sia stato proprio il network democristiano, che ha lavorato di fino, a colpi di «male minore», siglando via via tutte le tappe della dissoluzione, per arrivare ai recenti traguardi del genderismo educativo e del transumanesimo biotecnologico – cioè alla manomissione programmatica della vita e del suo codice fondamentale.
Non ci fosse stata a ogni passaggio la mano benedicente del mondo ecclesiastico (chierici e laici), il programma non sarebbe filato così liscio, nel continuum montante che è giunto oggi a travolgere la sovranità biologica umana.
Ecco, quella rete neodemocristiana che da decenni avanza nell’interstizio tra CEI e politica, e che negli ultimi tempi appariva decadente e sfilacciata, si è magicamente ri-agglutinata a ridosso della tornata elettorale appena conclusa. Clericali e di ogni ordine e grado hanno risposto tutti al richiamo della fiamma tricolore. E sono diventati, tutti, fratelli d’Italia.
Non se ne è accorto nessuno, forse nemmeno i diretti interessati, ma è accaduto che una ben precisa linea di pensiero e un intero sistema di potere ad essa legato, precedente di molto il fenomeno Meloni, sono stati recepiti in blocco nel suo partito, il quale del resto soffre il problema della fragilità: è cresciuto più in fretta della sua classe dirigente, e quindi, già in passato, ha finito per caricare a bordo, pericolosamente, un po’ di tutto.
Quanto all’orizzonte ideale di Giorgia Meloni riguardo al tema della vita, esso è noto da tempo. La Meloni non è contraria all’aborto, non vuole l’abrogazione della legge 194, ripete anche lei l’eterna solfa dell’aiuto alle madri, spesso declinata nella formula della «piena applicazione della 194».
La sua reazione stizzita, lo scorso giugno, dinanzi alla rivoluzionaria sentenza della Corte Suprema americana che depennava l’aborto dalla lista dei diritti federalmente garantiti, è di ciò prova evidente.
Per ribadire a scanso di equivoci la posizione per cui l’aborto non si tocca, sono scesi infine in campo addirittura i suoi familiari: la sorella, il compagno. Quest’ultimo ci ha aggiunto sopra il carico di qualche altra perla di modernità, per esempio affermando la liceità di far vedere ai bambini cartoni animati omogenitoriali.
Meno noto invece è l’altro fatto, e cioè che dietro alla Meloni si sia allineata la costellazione di potere politico-religioso con le varie figurine del suo album.
Per esempio, è significativo che abbiano riesumato la veterana Eugenia Roccella. Prima con il PDL, poi con gli scissionisti NCD di Alfano (dietro i quali, dissero i retroscenisti, c’erano i vescovi), per anni è stata personaggio di riferimento del mondo catto-pro-life e pro-family, al punto che le fecero presentare il primo Family Day nel 2007. Nel 2018 non entrò in Parlamento. Ora, cambiato partito, torna alla grande: fallito l’uninominale da Bologna a Foggia (unica sconfitta del centrodestra in Puglia), è stata ripescata col proporzionale in Calabria.
La sua è una storia interessante: figlia di uno dei fondatori del Partito Radicale, in gioventù ha fatto la femminista d’avanguardia, pubblicando anche un manualetto dal titolo: Aborto facciamolo da noi. Poi qualcosa è cambiato, anche se la nostra, in fondo, si è sempre prodigata per la difesa della 194, come ha precisato anche a inizio mese in un’intervista al Giornale.
«La 194 non si tocca. Ma si fa ancora troppo poco per la maternità» virgoletta il titolo del pezzo.
Per chi pensa che il Family Day fosse una manifestazione spinta dai vescovi, che nel 2007 erano guidati dal cardinale Ruini, all’osservatore profano verrebbe naturale dedurre che la Roccella sia stata reclutata nel partito berlusconiano per rivestire il ruolo di «uomo del Vaticano» in politica, secondo la definizione che Bossi diede alla Pivetti.
Del resto lo stesso cardinale Ruini, comandante in capo degli zucchetti, bersaglio degli attacchi di una sinistra talmente sciocca da crederlo un avversario, non mancava occasione per ribadire anche lui quella linea: la 194 non si tocca, diceva già all’epoca, quando nel 2008 chiese di «non rivoltarsi» contro la 194. «L’ex presidente della CEI ha evitato, “parlando a titolo personale”, di utilizzare la parola “omicidio” per l’aborto» scriveva La Stampa, descrivendo un’intervista TV del cardinale con Giuliano Ferrara.
Altra candidata eletta con Fratelli d’Italia è Maria Rachele Ruju, che – bizzarra coincidenza – è un’altra presentatrice del Family Day: il secondo, quello del 2015 contro le unioni monosessuali (e si è visto come è finita).
La Ruiu vanta una carriera nel giro delle varie siglette pro-vita capitoline: una di queste ha organizzato un evento (in teoria) contro l’aborto – sostegno alla maternità, difesa della vita, eccetera eccetera – lo scorso maggio a Roma. Nel manifesto dell’evento, e nei cartelli precompilati che il sito suggeriva generosamente di stampare a proprie spese e di portare alla manifestazione, non vi era traccia della parola «194», numero che ha giustamente ossessionato decenni di antiabortismo italico.
Anche la Ruju, esattamente come la collega di partito e di Family Day Roccella, aveva reso poco prima del voto un’intervista al Giornale, in cui dichiarava, all’unisono con le gerarchie cattoliche, che una richiesta di abolizione della 194 «non avrebbe alcun senso né risultato».
Nel frattempo monsignor Paglia, sempre poche settimane fa, a poche ore dal voto, parlava della 194 come «pilastro della vita sociale» del Paese.
E per l’occasione, a quanto pare importante, rispunta fuori lo stesso cardinale Ruini, che i benpensanti potrebbero ritenere sulla carta un conservatore agli antipodi di Paglia: macché, anche lui, sul Corriere della Sera, canta nel coro a difesa della 194.
«Spero che la legge 194 sia finalmente attuata anche dove dice che lo Stato riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio» afferma il cardinale , che ha tenuto poi anche ad enunciare la nuova grande battaglia: «le unioni civili dovrebbero essere differenziate realmente, e non solo a parole, dal matrimonio tra persone dello stesso sesso. Devono essere unioni, non matrimoni».
Intanto nello stesso coro si arruolano altre voci illustri. Per esempio arriva la scrittrice Silvana De Mari, che già aveva lanciato un movimento-partito (i «Liberi in Veritate», già visti in TV in trasmissioni movimentate), poi aveva fatto endorsement per Italia Sovrana e Popolare, e poi a sorpresa, in zona Cesarini, invita tutti a votare Meloni.
A urne appena chiuse, ecco che in un articolo de La Verità sostiene (lei quoque) che bisogna difendere la 194 sotto attacco, come sotto attacco sarebbero anche le unioni civili, per le quali il pericolo è che possano diventare «matrimonio» – ammettiamo a questo punto di non capire esattamente che differenza vi sia, ma ci fidiamo del pensiero della fantasiosa autrice de L’ultimo orco, L’ultimo elfo, l’ultimo mago, Gli ultimi incantesimi.
Insomma, vengono radunati nomi che garantiscono, in teoria, la pace con la galassia curiale, anche se ormai tutti sanno che questa elettoralmente non conta più nulla.
Ora, la posizione dettata dall’alto sull’aborto, e che tutti ripetono a pappagallo come un sol uomo, ben esprime il metodo in uso in ambiente neodemocristiano, metodo che si applica ai vari altri temi del suo programma. Un vasto programma.
Dobbiamo infatti ricordare che, dallo stesso partito della Roccella, il NCD, proviene anche Beatrice Lorenzin. Come ministro della Sanità, nel 2014 la Lorenzin volò a Washington per firmare alla Casa Bianca l’impegno a fare dell’Italia il «capofila per le strategie vaccinali a livello mondiale», e in particolare della vaccinazione totale dei bambini. L’impegno si tradusse nella normativa che, dal 2017, ha impedito a tante famiglie di portare i figli a scuola.
E quale fu la reazione delle gerarchie cattoliche alla legge ultravaccinista, che di fatto funse da prova generale per la successiva Italia della certificazione verde? Comunicati congiunti di Pontificia Accademia della Vita (ancora Paglia) e medici cattolici per dire che l’obbligo vaccinale sui bambini andava benissimo; note bioetiche per dire che la presenza di linee cellulari di feto abortito nella produzione dei vaccini era moralmente lecita, perché «distante nel tempo» (è il peccato a scadenza, come lo yogurt); qualche cattolicissima pubblicazione per dire che, anche se contenevano cellule di feto abortito, bisognava farli senza tante storie, sarà mai.
Insomma, anche qui, corrispondenza di amorosi sensi tra politica e zucchetti, e pure certa intelligentsia catto-conservatrice: come dimenticare il panegirico del banchiere Ettore Gotti Tedeschi per la Lorenzin?
Ma non è tutto. Ricordiamo come la Lorenzin fu anche colei che introdusse la riproduzione artificiale nei LEA: cioè, inventò la provetta finanziata dal contribuente. Andò oltre, è lanciò un incredibile evento, il Fertility Day, dove non si celebrava la maternità (altrimenti sarebbe stato maternity) ma la fertilità, e nemmeno nel senso che si può intendere di primo acchito: uno dei poster per reclamizzare l’evento raffigurava infatti una fila di preservativi appesi.
Difficile spiegare come la contraccezione ci pigli con la fertilità, a meno che non si capisca come la riproduzione possa essere fatta totalmente divorziare dalla sessualità, e affidata alla zootecnica. Del resto, tra le realtà coinvolte del Fertility Day c’erano importanti ditte di produzione di bambini in vitro.
La Roccella, che all’epoca era passata dall’NCD alleato di Renzi (sì, quello del governo che varò le unioni civili della Cirinnà e contro cui facevano i Family Day: un circo) ad un partito biodegradabile chiamato Idea, era più che altro concentrata sul paletto dell’omologa, nel senso: va bene il pupo in provetta, purché sia fatto con i gameti della coppia, in attesa che la Finestra di Overton e la magistratura smontino la legge 40 e sdoganino il gamete qualunque.
Fu sottosegretario alla Salute dal 2008 al 2011, ma non sotto il ministero della Lorenzin, nel quale però fu consulente per la Procreazione Medicalmente assistita Assuntina Morresi, definita dall’Espresso «alter ego della Roccella» e autrice di libri insieme a lei. Una che assicurò che la riproduzione artificiale finisse nei LEA e che siede tuttora al CNB, il Comitato Nazionale di Bioetica – in quota cattolica.
Ora come esercizio si confronti questa storia di preservativi e bambini artificiali con le ultime esibizioni dalla Pontificia Accademia per la Vita: ed ecco subito apparire convegno e libro che aprono ai bambini sintetici e alla contraccezione, con i gesuiti a dire che potrebbe essere materia della prossima enciclica, per la quale perfino avrebbero già un nome, Gaudium vitae.
Se ci avete seguito, avrete capito che il quadro è abbastanza chiaro: vi è un disegno, vecchio di decenni, per portare il mondo cattolico – e quindi, il grosso della destra italiana – verso il definitivo disarmo nei confronti del sacrificio umano, dei bambini fabbricati in laboratorio, della sottomissione biologica via vaccino o terapie geniche sperimentali.
Tutti temi che la gerarchia vaticana ha accettato di lasciar andare, e che il network neodemocristiano – infiltrato, come da dottrina Ruini, in tutti i partiti – continua a promuovere materialmente dentro governi e partiti diversi.
Permettere l’uccisione dei bambini in grembo, la loro precoce marchiatura, la produzione di bambini artificiali – che, a breve, saranno magari ammessi solo se bioingegnerizzati con il CRISPR – è, ictu oculi, proprio ciò che chiede l’agenda del Nuovo Ordine Mondiale – quella cultura della morte globalista che la neochiesa non vede l’ora di assecondare.
Avremo – abbiamo – un mondo di rovina biologica universale, un mondo in cui l’Imago Dei è sistematicamente calpestata, con la guarentigia morale e legale del potere temporale e religioso e la fornitura armi di offesa materiale da parte del complesso industrial-sanitario.
Il partito vincitore delle elezioni, consapevole o no, è in questo gioco.
Niente di nuovo sotto il sole: se non che, dopo la sottomissione massiva al trattamento genetico di Stato, tutto diviene più accelerato. E più apocalittico.
Roberto Dal Bosco
Elisabetta Frezza
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Necrocultura
Il piano inclinato della morte cerebrale
La civiltà occidentale nel corso dei secoli ha uniformato il suo diritto e la sua morale alla tradizione filosofica secondo cui l’essere umano è composto di anima e corpo e ha nell’anima razionale il principio vitale che lo caratterizza.
Questo principio vitale di natura spirituale, pur essendo nel corpo, non si trova nel cuore, nel cervello né in qualsiasi altro organo, tessuto o funzione. Sulla base di tale assunto, ciò che sostanzia l’uomo non è l’intelletto, né l’autocoscienza e neppure l’interazione sociale, bensì l’anima razionale che contiene in potenza l’uso di tutte queste funzioni.
La vita umana inizia con l’infusione dell’anima nel corpo e termina con la separazione da esso, nel momento in cui l’organismo si dissolve nei suoi elementi.
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I momenti iniziale e finale della vita sono avvolti dal mistero ed è compito della filosofia indagare e speculare su di essi; la morale invece ha il dovere di trattare l’essere umano più innocente e indifeso, l’embrione, come una persona, perché non si può escludere che l’anima venga infusa nell’uomo fin dal momento del concepimento (questa tesi è oggi prevalente tra i teologi e i filosofi) e perché qualsiasi atto aggressivo nei suoi confronti rappresenta, in ogni caso, un attentato alla vita umana.
Per le medesime ragioni, il principio di precauzione deve essere applicato anche all’individuo di cui non è stata accertata la morte al di là di ogni ragionevole dubbio.
I casi di morte apparente, ossia di ritorno alla vita dopo diverse ore in cui erano scomparse tutte le manifestazioni vitali, stanno a dimostrare che fra il momento della morte accertata e quella reale esiste sempre e comunque un periodo più o meno esteso di vita latente. Pertanto, fintantoché non è possibile avere l’oggettiva certezza dell’avvenuto decesso di un essere umano (l’inizio del processo di decomposizione del corpo) sussiste l’obbligo morale di evitare ogni azione lesiva della sua persona.
Questa impostazione è stata prevalente nel mondo occidentale fino agli anni sessanta per poi essere soppiantata da una visione utilitaristica e materialistica dell’esistenza.
È evidente come il criterio neurologico di morte venne introdotto al fine di stabilire chi conveniva dichiarare morto, non chi era effettivamente deceduto. Nella nuova definizione di morte, commissionata agli esperti di Harvard, al cervello viene arbitrariamente attribuito il ruolo che compete all’anima razionale, ossia dirigere e governare tutti gli organi e funzioni che compongono l’organismo umano.
Quindi, coerentemente con tale impostazione, una lesione cerebrale ritenuta irreparabile comporterebbe la fine dell’essere umano considerato come un tutt’uno integrato, e i segni vitali ancora presenti nell’individuo dichiarato cerebralmente morto costituirebbero dei meri riflessi e/o delle funzioni mantenute in maniera artificiale mediante il supporto farmacologico o l’ausilio di macchinari.
Una volta dichiarata la morte cerebrale, «viene interrotto qualsiasi supporto vitale. I familiari possono voler essere accanto alla persona in quel momento. Hanno bisogno che venga spiegato loro che uno o più arti possono muoversi quando viene interrotta l’assistenza respiratoria o che la persona può addirittura sedersi (talvolta chiamato segno di Lazzaro). Questi movimenti sono causati dalle contrazioni muscolari di riflesso della colonna vertebrale e non significa che la persona non sia in stato di morte cerebrale». (Manuale MSD, diagnosi della morte cerebrale).
Da notare come gli estensori del Manuale, probabilmente per non cadere in dissonanza cognitiva, non se la siano sentita di definire cadaveri per l’appunto le persone che dimenano gli arti perché non riescono a respirare …
La stessa legge 194/1978 sull’aborto volontario, che fissa il limite dell’omicidio dell’innocente entro i primi 90 giorni dal concepimento, poggia le sue basi ideologiche sulla tesi del cervello come sede dell’essere, senza di cui non è possibile considerare il bambino ai primi stadi dello sviluppo come una persona, bensì come un semplice agglomerato di cellule e tessuti.
Non solo, il fatto che per i novatori il cervello costituisca il principio vitale dell’individuo pone in ogni caso il bambino non ancora nato, o comunque non ancora in grado di avere una vita autonoma al di fuori del grembo materno, in una posizione di «inferiorità ontologica»: non è affatto chiaro, infatti, quando un feto o un bambino molto piccolo possa aver sviluppato la quantità richiesta di autocoscienza per poter essere considerato una persona.
Sono note le teorie del filosofo australiano Peter Singer secondo il quale uccidere un neonato non equivale moralmente a uccidere un essere umano razionale e autocosciente e che un malato può essere eliminato se ciò può tornare utile alla società. È quindi interessante notare come Singer sia stato molto critico nei confronti del nuovo criterio di morte cerebrale. Egli riteneva infatti che non ci fosse bisogno di contrabbandare una scelta etica con una indimostrata presunta verità scientifica.
Il recente fatto di cronaca accaduto a Traversetolo in provincia di Parma, in cui due bambini appena nati sarebbero stati uccisi dalla madre e sepolti nel giardino della villetta in cui abitava insieme ai genitori, è emblematico dell’insopportabile ipocrisia di una società che condanna l’eliminazione di un innocente appena nato e al contempo considera un diritto l’uccisione del medesimo bambino innocente poco prima, quando si trova ancora nel grembo materno.
Con l’introduzione del rivoluzionario criterio della morte cerebrale, il cogito ergo sum di cartesiana memoria entra prepotentemente nel diritto e nella prassi medica, finendo per relegare l’essere umano nell’angusto ambito dell’autocoscienza.
I casi relativamente recenti di Vincent Lambert in Francia e dei piccoli Charlie Gard e Alfie Evans in Inghilterra, così come altri tragici casi italiani, possono rappresentare casi di persone uccise tramite eutanasia di Stato semplicemente perché bisognosi di cure e assistenza, stanno a dimostrare che una volta ridefinito il criterio di accertamento della morte si è passati consequenzialmente a ridefinire il significato stesso di essere umano, attraverso l’arbitraria distinzione tra vite degne e indegne di essere vissute.
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In altri termini, a prescindere dalla condizione clinica e dallo stato di coscienza in cui si viene a trovare un determinato soggetto, il suo diritto alla vita è subordinato alla «qualità» della sua esistenza, che si fonda essenzialmente sulle capacità intellettive del soggetto.
Pertanto, il vero obiettivo della rivoluzione non era quello di modificare il criterio di accertamento della morte bensì, attraverso di esso, di arrivare a trattare gli esseri umani, nessuno escluso, come corpi senz’anima, ammassi di organi tenuti insieme da principi meramente meccanicistici.
Non stupisce allora come nella società contemporanea l’uomo venga considerato un prodotto, un insieme di «pezzi di ricambio».
Cos’è la fecondazione in vitro (e tutte le pratiche da essa discendenti come l’utero in affitto e l’utilizzo di cellule embrionali per la produzione di farmaci e vaccini) se non la produzione in laboratorio dell’essere umano ridotto a bene di consumo?
Cos’è la cosiddetta «donazione» (meglio dire: predazione) degli organi se non la logica conseguenza della riduzione dell’uomo a merce di scambio?
Cos’è l’eutanasia se non l’omicidio di una persona le cui facoltà intellettive risultano ridotte o latenti?
Cos’è l’infanticidio se non l’inevitabile approdo della Necrocultura imperante il cui fondamento pseudo scientifico è la cosiddetta morte cerebrale?
Alfredo De Matteo
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Immagine di JasonRobertYoungMD via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International;immagine modificata.
Necrocultura
Nunzio apostolico in Germania: l’Europa si sta suicidando con aborto, eutanasia e ideologia di genere
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Bioetica
Bambina partorita nel water. Chi si scandalizza sa che la RU486 fa la stessa cosa?
Sulla base dei rilievi iniziali fatti dai medici del 118 sul corpo della bimba, «l’infanticidio è l’ipotesi più probabile nel caso della neonata trovata morta a Piove di Sacco». Lo riporta l’agenzia ANSA.
Si tratta di un ulteriore caso di morte di neonato che sconvolge l’Italia. Episodi simili sembrano susseguirsi l’uno dopo l’altro.
Secondo quanto riportato, il corpicino della piccola sarebbe stato ritrovato in un bagno di un appartamento collegato ad un night club a Piove di Sacco, nel Padovano, in una zona purtroppo nota alla cronaca nera degli anni passati anche per la cosiddetta «mafia piovese», o «mala del Brenta» – la famosa «banda Maniero», a cui la TV nazionale dedica serie TV, ovviamente negando, come in tutti i casi di grandi produzioni su mafia, camorra, mala romana, che si tratti di qualcosa di anche lontanamente agiografico.
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Secondo articoli apparsi sulla stampa, per l’autopsia la bambina sarebbe morta annegata. L’esame autoptico tuttavia sarà reso disponibile solo tra settimane.
Per la morte sarebbe stata fermata la presunta madre, una donna italo-brasiliana di 29 anni, che ora si troverebbe agli arresti domiciliari, e si sarebbe avvalsa della facoltà di non rispondere.
Secondo la procura, «la neonata era stata trovata morta all’interno del water e appariva essere completamente formata» scrive Fanpage. «Secondo gli inquirenti, la 29enne avrebbe partorito “direttamente all’interno del wc dell’appartamento in cui alloggiava” e sostenuto il parto “senza chiedere l’ausilio di personale sanitario o di altre persone”, tirando lo sciacquone “quando la bambina si trovava già con la testa in basso all’interno del WC, causando così l’annegamento”».
La tragedia della bambina del water Piove di Sacco arriva dopo lo shock del ritrovamento dei neonati morti di Traversetolo, in provincia di Parma, che secondo l’accusa sarebbero stati partoriti della giovane madre e sepolti nel giardino della villetta di famiglia, senza che nessuno si accorgesse di nulla.
Si tratta di un trend? C’è un lato nuovo della maternità che sta emergendo?
Per chi conosce il lato oscuro della riproduzione nell’ora presente, in realtà la sorpresa è poca: la società, lo sappiamo, si avvicina sempre di più all’autorizzazione dell’infanticidio, chiamato pudicamente «aborto post-natale». Filosofi e bioeticisti rilanciano l’opzione da diversi anni. Politici di rilievo del Partito Democratico USA come il governatore della Virginia Ralph Northamhanno discusso apertamente l’idea che medico e madre del neonato possano, a pochi momenti dalla nascita, decidere di sopprimere in bambini. In pratica: l’infanticidio è da un pezzo nella finestra di Overton.
Nel mondo in cui l’aborto è un diritto – o, per alcuni, un «obbligo sacro», un sacramento – come lamentare il pendio scivoloso che porta l’uccisione del bambino oltre il limite della nascita? È anche quello, alla fine, solo un confine arbitrario, una convenzione – né più né meno come la «morte cerebrale», in base alla quale in questo stesso momento quantità di persone stanno venendo squartate in ospedale e depredati dei loro organi mentre il cuore batte ancora.
Tuttavia, è un’altra immensa ipocrisia che vogliamo qui segnalare.
Abbondano ora in rete le immancabili analisi dei Soloni che parlano di «territorio alla deriva», «malessere profondo della società», e via sbadigliando. Gli editorialisti, gli opinionisti, gli psicologi mediatici, i giornalisti direttorazzi, i socio-sapientoni, quelli che il mondo lo capiscono benissimo per stipendio (eccerto), sono scandalizzati da questa storia del pargolo finito del water, con i giornali che suggeriscono anche che sarebbe stato tirato lo sciacquone come per liberarsene. Raro orrore. No?
Ebbene, informiamo i benpensanti salariati con il ditino alzato che partorire il bambino nel water è la norma dell’aborto chimico.
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L’«interruzione volontaria di gravidanza con metodo» farmacologico, la cui implementazione è stata voluta con forza dalla politica e inflitto ancora più efficacemente durante il biennio pandemico, agisce esattamente in questo modo: la pastiglia di mifepristone (RU486) uccide l’embrione, una successiva assunzione (dopo 48 ore) di una prostaglandina (misoprostolo, gemeprost) provoca l’espulsione.
La RU486 è stata approvata dall’AIFA nel 2009. Tuttavia secondo le linee guida l’assunzione del farmaco figlicida dovrebbe comportare un ricovero ospedaliero «obbligatorio» di tre giorni continuativi con assegnazione di posto letto per il pernottamento, di modo che avvenga in nosocomio «l’intera procedura abortiva, nelle sue diverse fasi».
Quindici anni fa, momento dell’immissione del farmaco nel sistema nazionale, il Consiglio Superiore di Sanità stabilì che, a differenza della Francia dove le pillole possono prendersi a casa, in Italia il percorso di aborto farmacologico dovesse avvenire in ricovero ospedaliero «dal momento dell’assunzione del farmaco fino alla verifica dell’espulsione del prodotto del concepimento».
Tuttavia, in almeno tre regioni – Toscana, Emilia-Romagna, Lazio – la pillola era programmata per essere disponibile anche senza ospedalizzazione. Nel 2015 una nota della Sanità del Piemonte scriveva che «7.311 donne hanno usufruito della RU486 presso l’ospedale Sant’Anna, primo in Italia». Nello stesso comunicato, era specificato che «per quanto riguarda le IVG fino a 49 giorni e gli aborti interni, complessivamente, il 99% delle donne non è stata ricoverata per tre giorni ed ha potuto lasciare l’ospedale tra la somministrazione del mifepristone e quella della prostaglandina due giorni dopo. Nel tempo tale percentuale è diventata prossima al 100% e negli ultimi tre anni solo 4 donne su 3.217 sono rimaste ricoverate».
Il vincolo dei tre giorni in ospedale fu quindi definitivamente rimosso dal ministro della Salute Roberto Speranza nel 2020.
E quindi è naturale pensare che, in tali condizioni, l’espulsione del figlio avviene nella quasi totalità dei casi nel bagno di casa. E la quantità di bimbi scaricati nel cesso non può che essere massiva.
Proprio così: tanti bambini, anche oggi stesso, stanno venendo partoriti nel water, con la madre che poco dopo tira l’acqua – esattamente come sarebbe successo a Piove di Sacco, con grande scandalo di quelli che benpensano.
Renovatio 21, quando tratta del tema, non manca di ricordare il proseguo. Perché la questione, tirato lo sciacquone, per la madre finisce, ma per il bambino no.
E allora, cerchiamo di vedere il resto della storia dagli occhi del piccolo espulso dal grembo materno: finisce giù per la tubatura, assiame a liquami ed escrementi, per poi finire direttamente nella fogna, dove vivono tante creature: insetti, pesci, anfibi, topi – questi ultimi con un fiuto notorio, e immaginiamo una carne giovanissima, ricca di cellule staminali, quanto possa risultare irresistibile.
Questa storia di bambini finiti nelle fogne e divorati dalle bestie manca stranamente dalle cronache recenti della RU486: proprio pochi giorni fa la Regione Emilia-Romagna (sempre all’avanguardia per quanto concerne l’aborto: pensiamo alle NIP, gli esami non invasivi che ti dicono subito se il bambino che porti in grembo è down, così da poter decidere che fare) ha aggiornato i profili di assistenza per la IVG – acronimo orwelliano per «feticidio» – tramite metodi farmacologici, istituendo definitivamente l’assunzione del «pesticida umano» a livello domestico.
Nessun giornale, nemmeno quelli sedicenti «cattolici», sembra voler pensare al destino dei bambini nel water. Pare di capire: a seconda dell’età dal concepimento, ci sono bambini-toilette di Serie A e di Serie B. Dei primi si può parlare, dei secondi no, nemmeno quando si dovrebbe.
Quindi: sì, l’Italia è il Paese dove, passando per una legge che ne autorizza la distruzione chimica, i feti finiscono nella tazza del cesso e nella fogna, ogni giorno. A decine, forse a centinaia – chi può avere questi numeri? Come vengono conteggiati? È possibile farlo?
Pure vogliamo rammentare, en passant, che mentre la tragedia dei feti uccisi agisce su tutti i livelli, visibili ed invisibili, qualcuno sta andando in giro per l’Italia a sotterrare barattoli di vetro con dentro feti, come se si trattasse di piccoli occulti capitelli di questo maleficio sui piccoli esseri umani. Gli scandalizzati di mestiere, pro-vita o meno che siano, non sanno nemmeno di cosa stiamo parlando. E quelli che lo sanno, fanno finta di niente, fischiettosamente.
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Prima di gridare allo scandalo, quindi, pensiamo a quella che è la realtà. La stampa mainstream fa il suo lavoro: vuole fissarvi sul dito e non sulla luna, sulla pagliuzza invece che sulla trave. Vuole istupidirvi, rendervi ciechi rispetto al dominio della Necrocultura sul nostro mondo, sulle nostre stesse esistenze.
Diventa chiaro a tutti cosa diviene quindi questa storia: è un fenomeno di proiezione, di sfogo programmato. La società concentra su un singolo caso – possiamo dire che si tratta di un capro espiatorio? – il male che la pervade tutta, istituzionalmente e profondamente.
Dunque, caro cittadino sincero-democratico, caro contribuente perbene, caro italiano postcattolico, caro genitore borghese pronto alla provetta e alla siringa RNA, ora lancia pure le tue pietre contro la «spogliarellista», mentre tua moglie, tua figlia, tua sorella, la tua amante, la tua collega, la tua fidanzata, la tua vicina, tua madre partoriscono bambini nel cesso.
Sono i tuoi figli, i tuoi nipoti – sono il prossimo tuo, sono il futuro dell’umanità, sono l’Imago Dei, l’immagine di Dio resa carne.
Caro italiano adulto, sopravvissuto per qualche ragione anni fa allo sciacquone della Cultura della Morte: quanto ancora per capire sotto quale incantesimo malefico ti trovi?
Roberto Dal Bosco
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