Sorveglianza
L’amministrazione Biden designa come terrorista chi protesta contro il lockdown

Il Department for Homeland Security (DHS), ossia il ministero della sicurezza interna degli Stati Uniti, ha emesso un avviso che sembra mettere gli americani che rifiutano le restrizioni pandemiche alla pari dei jihadisti che potrebbero colpire nell’anniversario degli attacchi dell’11 settembre.
Il DHS, istituito 2002, di fatto nacque per combattere il terrorismo islamista poco dopo il massacro terrorista delle Torri Gemelle. Ora, a quanto sembra, vuole spostare l’obbiettivo sui dissidenti interni, cioè i semplici cittadini che protestano contro le leggi emanate con il COVID, o anche, scrive il documento, «teorici del complotto».
Un bollettino del DHS pubblicato lo scorso venerdì ha affermava che «estremisti violenti anti-governativi e anti-autorità» potrebbero cercare di «sfruttare l’emergere di varianti di COVID-19 considerando il potenziale ripristino delle restrizioni sulla salute pubblica negli Stati Uniti come una motivazione per condurre attacchi».
La pandemia di COVID-19 ha alimentato «tensioni sociali», scrive il comunicato del DHS, «guidando diversi complotti di estremisti violenti domestici e potrebbero contribuire ad un aumento della violenza quest’anno».
Il ministero della sicurezza interna degli Stati Uniti ha emesso un avviso che sembra mettere gli americani che rifiutano le restrizioni pandemiche alla pari dei jihadisti
L’avviso sul terrorismo, che dura fino all’11 novembre, citava una serie di altre potenziali minacce, compresi i fanatici violenti che potrebbero perpetrare attacchi di vittime di massa, «sebbene al momento non siano state identificate minacce credibili o imminenti».
Altri potenziali aggressori includono «estremisti violenti domestici» e altri individui «motivati ideologicamente» che potrebbero essere innescati da «teorie della cospirazione» su questioni come «frodi elettorali percepite», ha affermato il DHS.
«Le forze dell’ordine hanno espresso preoccupazione per il fatto che la più ampia condivisione di false narrazioni e teorie della cospirazione otterrà trazione negli ambienti tradizionali, portando individui o piccoli gruppi ad abbracciare attacchi violenti per raggiungere i loro obiettivi desiderati», ha affermato il bollettino.
L’amministrazione del presidente Joe Biden ha elevato l’«estremismo» interno a principale alla sicurezza sulla scia della rivolta del 6 gennaio al Campidoglio degli Stati Uniti.
I politici democratici hanno pubblicizzato la rivolta come una «insurrezione» a sfondo razziale e Biden ad aprile l’ha definita «il peggior attacco alla nostra democrazia dalla guerra civile».
L’amministrazione del presidente Joe Biden ha elevato l’ «estremismo» interno a principale alla sicurezza sulla scia della rivolta del 6 gennaio al Campidoglio degli Stati Uniti
I critici hanno respinto l’affermazione, notando tragedie precedenti come gli attacchi dell’11 settembre 2001, l’attacco giapponese a Pearl Harbor nel 1941, quattro omicidi presidenziali e, più recentemente, rivolte razziali che hanno incendiato città e lasciato decine di persone morte la scorsa estate.
Venerdì, tuttavia, il DHS ha nuovamente sollevato lo spettro del 6 gennaio. Il capo dell’intelligence del DHS John Cohen ha dichiarato alla CNN che la retorica online è simile alle chiacchiere viste prima della rivolta al Campidoglio. Ha citato commenti «estremisti» come «il sistema è rotto», «agire con le proprie mani» e «tirare fuori la forca».
In breve: state attenti, sempre, a quando esprimete rabbia o anche solo disappunto in rete. Lo Stato vi ascolta – e ve lo dice anche. L’idea che del potere ci si possa lamentare, o sognare di cambiarlo, è ora considerata pericolosa, proibita – anche nella patria della libertà di parola, gli Stati Uniti d’America
Il DHS ha anche osservato che, con l’avvicinarsi del 20° anniversario degli attacchi dell’11 settembre, Al-Qaeda ha recentemente pubblicato il primo numero della sua rivista in lingua inglese in più di quattro anni. Questa mossa «dimostra che le organizzazioni terroristiche straniere continuano gli sforzi per ispirare gli individui con sede negli Stati Uniti suscettibili di influenze estremiste violente», ha affermato l’agenzia.
Curioso che il governo americano parli di Al-Qaeda proprio mentre ha riconsegnato le chiavi di un Paese intero, l’Afghanistan, a coloro che di Al-Qaeda erano i generosi ospiti, i talebani. Mentre scriviamo, infatti, i talebani sino ripresi Kabul, con scene orrende ed apocalittiche in ogni angolo della città.
Ancora più interessante riguardo al terrorismo, come visibile in alcuni video dell’articolo di Renovatio 21, è il fatto che tanti combattenti islamisti sono stati liberati in queste ore dalle carceri dove erano imprigionati dagli USA e dal loro governo fantoccio.
Ad ogni modo, il comunicato DHS non fa menzione di possibili attacchi diretti da parte di terroristi stranieri.
Mentre i legislatori repubblicani hanno continuamente sollevato preoccupazioni sui potenziali terroristi che si infiltrano negli Stati Uniti attraverso il confine meridionale della nazione, le dogane e la protezione delle frontiere statunitensi hanno cercato di minimizzare la minaccia percepita. Annunciando a marzo che due uomini yemeniti che erano sulla lista di controllo del terrorismo dell’FBI sono stati arrestati mentre cercavano di entrare negli Stati Uniti, il CBP ha descritto tali incidenti come «molto rari».
Nel frattempo in USA stanno montando diverse controversie riguardo al ruolo dell’FBI nella tessitura delle trame dei rivoltosi
Nel frattempo in USA stanno montando diverse controversie riguardo al ruolo dell’FBI nella tessitura delle trame dei rivoltosi. Alcune voci conservatrici chiedono a gran voce di sapere quali conoscenze della situazione avesse l’FBI riguardo alla protesta al Campidoglio del 6 gennaio. L’FBI, infatti, avrebbe avuto più di qualche infiltrato tra le fila delle varie sigle – come le varie milizie – che hanno partecipato alla manifestazione.
Parimenti è emerso il ruolo dell’FBI come origine stessa della trama, ampiamente sbandierata sui media, per cui un gruppo di estrema destra voleva rapire l’anno scorso la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer.
Il gruppo dei «rapitori» virtuali, infatti, era largamente infiltrato dai agenti dell’FBI, che potrebbero definirsi anche agents provocateurs: il resto del gruppo, fatto di attivisti di destra, era fatto da disadattati al limite della homelessness; insomma, una banda di disperati che forse al piano criminale è stata spinta, più che scoperta, dalla stessa FBI.
Ora gli accusati accusano a loro volta il governo di entrapment, cioè di aver teso una trappola, come sarebbe dimostrato da alcune prove inavvertitamente rivelate dalle autorità.
Sorveglianza
Nintendo avverte che potrà bloccare definitivamente le Switch se rileva hacking e pirateria

Il principio di controllo sociale del «sorvegliare e punire» arriva anche nel mondo dei videogiuochi.
Gli utenti di Switch e Switch 2 che tentano di hackerare le proprie console o di giocare a copie pirata di giochi potrebbero scoprire che i loro dispositivi sono completamente inutilizzabili a causa di Nintendo. Lo riporta Game File.
Il nuovo avviso è stato nascosto in un recente aggiornamento del contratto di account utente-Nintendo.
L’aggiornamento dell’EULA di Nintendo di maggio 2025 aggiunge una nuova dicitura relativa alle modalità specifiche di utilizzo dei «Servizi Account Nintendo» sulla console, termine qui definito per comprendere l’utilizzo di «videogiochi e contenuti aggiuntivi». In base al nuovo EULA, qualsiasi utilizzo della console senza licenza e non autorizzato da Nintendo potrebbe portare l’azienda a «rendere i Servizi Account Nintendo e/o il dispositivo Nintendo in questione permanentemente inutilizzabili, in tutto o in parte», scrive il contratto in lingua inglese secondo Ars Technica.
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Secondo quanto riportato, la formulazione non si applicherebbe solo alla console Switch 2, di imminente uscita, ma anche alla vecchia console Switch.
Più avanti nello stesso EULA in inglese, Nintendo aggiunge una nuova clausola che chiarisce che si riserva il diritto di «sospendere l’accesso a uno o tutti i Servizi dell’Account Nintendo, a propria esclusiva discrezione e senza preavviso». Tale sospensione può avvenire anche prima che si verifichi una violazione dell’EULA, qualora Nintendo abbia «il ragionevole sospetto che tale violazione… si verificherà, o qualora ritenesse ragionevolmente necessario per motivi legali, tecnici o commerciali, ad esempio per prevenire danni ad altri utenti o ai Servizi dell’Account Nintendo».
Quindi, quale tipo di utilizzo di Switch viene considerato una «violazione» in questo caso? Non sorprende che giocare a giochi piratati sia in cima alla lista; l’EULA ora specifica espressamente «l’ottenimento, l’installazione o l’utilizzo di copie non autorizzate dei Servizi Account Nintendo». Questa clausola si applicherebbe probabilmente agli utenti con hardware della console hackerato e a coloro che utilizzano cartucce flash di terze parti per giocare a giochi piratati.
Tuttavia, l’EULA limita anche un’ampia gamma di verbi, in gran parte sinonimi, associati all’hacking della propria console per potenziali usi non legati alla pirateria. Ciò include la limitazione del diritto di «modificare, adattare, tradurre, sottoporre a reverse engineering, decompilare o disassemblare tutti o parte dei Servizi Account Nintendo», nonché la possibilità di «aggirare, modificare, decifrare, disabilitare, manomettere o altrimenti eludere qualsiasi funzione o protezione dei Servizi Account Nintendo, anche tramite l’uso di hardware o software».
Nintendo dispone da tempo di solidi sistemi per rilevare quando si gioca online su sistemi hackerati e non ha esitato a emettere ban a livello di dispositivo per impedire a tali console di accedere ai servizi online di Nintendo. Tuttavia, il nuovo testo dell’EULA suggerisce che Nintendo stia ora preparando la possibilità di disabilitare completamente i dispositivi Switch che violano l’accordo di utilizzo, anche per l’uso offline.
Al momento non è chiaro quali mezzi tecnici Nintendo utilizzerà per applicare questa nuova punizione definitiva per gli hacker di Switch, né se gli utenti saranno in grado di ripristinare la funzionalità di qualsiasi console bloccata da remoto. Tuttavia, il nuovo linguaggio suggerisce che Nintendo sia pronta a giocare duro nella sua guerra in corso contro hacker e pirati.
La vicenda si iscrive nella tendenza generale per cui l’utente non è più il vero possessore dell’oggetto, ma solo un «licenziatario», a cui è possibile togliere l’accesso a piacimento. È il caso sollevato spesso con le macchine elettriche che, essendo collegate ad una centrale, possono essere disabilitate o persino pilotate remotamente – si è discusso della possibilità che le macchine a guida autonoma potrebbero, quindi, «autosequestrarsi» in caso il proprietario salti una rata del pagamento.
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La disabilitazione a distanza può essere concepita praticamente per tutti gli oggetti elettronici collegati alla rete: telefonini, tablet orologi, e computer – perché anche un PC senza rete deve entrarvi ogni tanto per ricevere l’aggiornamento del sistema operativo, che potrebbe già contenere sistemi per rilevare e punire violazioni, e non solo di copyright – qualcuno sostiene ad esempio che in futuro il vostro computer potrebbe leggere i contenuti che esprimete e decidere di censurarvi, o di rendersi inutilizzabile. Se considerate che Microsoft era partner di enti di controllo del discorso sul web come Newsguard, e che sta implementando un sistema di AI che conserva e legge tutte le schermate che producete, capite che questa realtà di orwellismo informatico non è lontana.
A seconda di come vi comportate, vi saranno elargiti non solo i diritti (come abbiamo visto con il green pass) ma anche gli oggetti che vi servono, e che avete pure già pagato, credendo che nel mondo dell’oligarchia social-capitalista esista ancora la proprietà privata.
«Non avrai nulla e sarai felice» era il mantra di qualche anno fa del World Economic Forum: ciò significa, sempre più chiaramente, che ci toglieranno quello che già abbiamo, quello che già abbiamo comperato.
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Immagine di KNDY です via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0
Sorveglianza
L’Irlanda si muove per legalizzare il riconoscimento facciale retrospettivo

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Intelligenza Artificiale
Meta revisiona la politica sugli occhiali-smart Ray-Ban: sorveglianza AI predefinita e archiviazione dati vocali

A fine aprile Meta ha apportato modifiche, con effetto immediato, all’informativa sulla privacy degli «occhiali intelligenti» Ray-Ban Meta, che sembrano concepite per trasformare il dispositivo in una macchina di sorveglianza per l’addestramento di modelli di Antelligenza Artificiale. Lo riporta Reclaim The Net.
In un messaggio inviato agli utenti, Meta ha affermato che la sua «Intelligenza Artificiale sugli occhiali», ovvero alcune impostazioni, sta cambiando.
La spiegazione del gigante è che questo è presumibilmente necessario per utilizzare Meta AI «più facilmente» e anche «per aiutarci a migliorare i prodotti». Gli occhiali Ray-Ban Meta sono prodotti assieme ad EssilorLuxottica, il colosso nato dalla fusione della francese Essilor con il gigante di produzione di occhiali bellunese Luxottica.
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L’aggiornamento della policy si basa sugli «opt-out»: d’ora in poi, l’Intelligenza Artificiale Meta con l’uso della fotocamera sarà sempre abilitata sugli occhiali, a meno che l’utente non si prenda la briga di disattivare «Hey Meta» nelle impostazioni.
Questa è la frase di attivazione per l’assistente AI di Meta. La seconda modifica riguarda il modo in cui Meta archivia le registrazioni vocali degli utenti di Meta AI: ora vengono conservate di default nel cloud.
La ragione addotta dall’azienda è «migliorare» Meta AI o «altri prodotti Meta». L’opzione per disabilitare questo comportamento non c’è più. Ancora una volta, gli utenti sono costretti a superare ostacoli aggiuntivi, e questo è il metodo collaudato delle Big Tech per orientare il loro comportamento e la loro interazione con app e servizi nel modo desiderato, dalle Big Tech stesse.
In questo caso, gli utenti di Meta AI dovranno andare nelle impostazioni ed eliminare manualmente le proprie registrazioni vocali.
Nel prendere queste decisioni, aziende come Meta di fatto «semplificano» i loro prodotti «intelligenti» (eliminando l’interazione vocale con l’assistente, riducendo l’usabilità automatizzata all’eliminazione manuale). E questo si aggiunge al fatto che irrita coloro che non sono a loro agio con i meccanismi sempre più invasivi della privacy dietro ai suddetti prodotti e servizi.
Oltre a vendere quella che ovviamente non è una «migliore esperienza di privacy», Meta e i suoi simili insistono sul fatto che nascondere ciò che accade dietro le quinte significhi ottenere un’esperienza utente migliore («più semplice»).
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A parte gli scenari più cupi e negativi sul perché tutto questo venga fatto o su come potrebbe essere utilizzato (e abusato…) in futuro, l’intento evidente è quello di portare lo sfruttamento dei dati degli utenti a un altro livello, per garantire che enormi set di dati siano disponibili per l’addestramento dei modelli di Intelligenza Artificiale.
La notifica ricevuta dagli utenti sulle ultime modifiche alla politica aziendale aggiunge un po’ la beffa al danno quando conclude ribadendo: «hai ancora il controllo». «In controllo» per disattivare «Hey Meta» ed eliminare manualmente le interazioni di Meta AI.
Da anni nella popolazione serpeggia il pensiero che le proprie conversazioni siano registrate dallo smartphone per procurare pubblicità ancora più precise. Vi sono state, tra le smentite delle Big Tech, alcune rivelazioni in merito. Lo stesso dicasi per apparecchi come Alexa, soggetti già da tempo a richieste di sequestro dati da parte dei tribunali americani in casi come ad esempio l’omicidio domestico.
Tuttavia ora la cosa diviene più chiara: semplicemente, ogni cosa che direte (o farete) sarà registrata, salvata ed utilizzata dall’AI non solo per profilarvi, ma per potenziare se stessa: una prospettiva inquietante su più livelli davvero.
Come riportato da Renovatio 21, la scorsa settimana vi era stato shock attorno a Meta/Facebook quando si era appreso che i chatbot dell’azienda sono in grado di intrattenere con gli utenti «giochi di ruolo romantici» che possono diventare sessualmente espliciti, anche con account appartenenti a minori.
Un reportage del Wall Street Journalha riportato che, nel tentativo di diffondere dispositivi di accompagnamento digitali basati sull’Intelligenza Artificiale sulle sue piattaforme social, Meta ha preso decisioni interne per allentare le restrizioni e consentire ai suoi chatbot di interagire con gli utenti in giochi di ruolo a sfondo sessuale, secondo fonti a conoscenza della questione. Questo include interazioni con account registrati da minori di età pari o superiore a 13 anni.
Le conversazioni di prova condotte dal Wall Street Journal avrebbero rilevato che sia l’IA ufficiale di Meta che i chatbot creati dagli utenti si sono impegnati prontamente e hanno intensificato le discussioni sessualmente esplicite, anche quando gli utenti si sono identificati come minorenni.
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Varie inchieste giornalistiche negli anni hanno contribuito all’accumulo di accuse e rivelazioni su Facebook, tra cui accuse di uso della piattaforma da parte del traffico sessuale, fatte sui giornali ma anche nelle audizioni della Camera USA.
Considerato il comportamento dimostrato da Facebook, con la censura che si è abbattuta su dissidenti o anche semplici conservatori (ma non sui pedofili di Instagram o i donatori di sperma su Facebook, né sui neonazisti dell’Azov), la collusione con lo Stato profondo americano e le sue agenzie, la volontà di chiudere gli account di organizzazioni, partiti premier e presidenti, la raccolta massiva di dati anche biometrici (con il riconoscimento facciale che ha generato denunce di Stati come il Texas) nonché la possibilità di agire sul vostro telefono perfino scaricandone la batteria, c’è da domandarsi cosa la potente Intelligenza Artificiale su cui Meta sta lavorando possa fare alla vostra vita.
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