Pensiero
Definizione filosofica della sottomissione che state subendo

È stato osservato da alcuni nella fase che stiamo attraversando è possibile vedere un cambiamento filosofico epocale: la disintegrazione del contratto sociale.
Secondo alcuni filosofi il contratto sociale è ciò che permette l’uscita dell’uomo dallo Stato di natura (dove non vi è apparato che lo comprenda e dove vigono violenze e prepotenze animali) e fonda lo Stato, dove invece egli può vivere in armonia con i suoi simili.
Il contratto sociale è un accordo spontaneamente eletto (e talvolta, possiamo dire, tacito, anche troppo) tra individuo ed individuo, e quindi tra i governanti e i governati.
«Che un uomo approfitti dello stato di necessità di un altro e lo costringa a divenire suo vassallo, negandogli quel sostegno che Dio esige sia offerto al fratello bisognoso, non è più giusto del fatto che chi è più forte sfrutti il più debole, lo domini imponendogli l’obbedienza, e con un pugnale alla gola gli offra di scegliere tra la morte o la schiavitù»
Il contrattualismo è una corrente di pensiero che ha trovato nella storia vari nemici, da Platone ed Aristotele al Sette-ottocento dell’utilitarismo, dell’hegelismo, del marxismo. Tuttavia la filosofia del contratto sociale, da Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) a John Rawls (1921-2002).
Era contrattualista uno dei padri della filosofia politica moderna, l’inglese John Locke (1632-1704). Locke credeva che gli individui in uno stato di natura sarebbero stati moralmente vincolati, dalla Legge di Natura, a non danneggiarsi a vicenda nelle loro vite o nei loro beni. Locke credeva inoltre che le persone non avrebbero avuto sicurezza nei loro diritti e avrebbero vissuto nella paura senza un governo che li potesse difendere da coloro che cercavano di ferirli o schiavizzarli.
Nel suo Secondo trattato sul governo (1662), Locke sostiene che la legittimità di un governo deriva dalla delega dei cittadini al governo del loro diritto assoluto di violenza (riservando il diritto inalienabile di autodifesa o «autoconservazione»), insieme a elementi di altri diritti (ad esempio la proprietà sarà responsabile alla tassazione) come necessario per raggiungere l’obiettivo della sicurezza attraverso la concessione allo stato del monopolio della violenza.
Questa è la definizione di dominazione secondo Locke: essere in una posizione tale da sfruttare le necessità dell’altro. È esattamente quello che lo Stato sta facendo con il green pass
Per cui il governo, in quanto giudice imparziale, può usare la forza collettiva della popolazione per amministrare e far rispettare la legge, in alternativa alla situazione in cui ogni uomo agisce come giudice e carnefice – la condizione tipica dello stato di natura.
Locke immagina infatti una sorta di distribuzione delle risorse basata sulla morale cristiana. Nel primo dei Due trattati sul governo egli scrive:
«Noi sappiamo che Dio non lascia un uomo alla mercé di un altro al punto che questi possa, volendo, farlo morire di fame: Dio, il padre e il signore di tutti, non ha dato a nessuno dei suoi figli una tale proprietà sulla sua particolare porzione di cose di questo mondo, egli ha dato bensì al suo fratello bisognoso un diritto al sovrappiù dei suoi beni; così che ciò non possa essergli giustamente negato, quando i suoi bisogni urgenti lo richiedono».
Era inconcepibile, per Locke, che non si provvedesse al sostentamento vitale del prossimo.
Sì, la scelta tra «la morte e la schiavitù»: stiamo vivendo esattamente questo bivio
«E quindi nessun uomo potrebbe mai avere un potere giustificato sulla vita di un altro, derivante dal diritto di proprietà sulla terra o sui possessi; perché un uomo ricco commetterebbe un peccato se lasciasse morire un suo fratello non provvedendo a fornirgli aiuto grazie al proprio patrimonio».
«Come la giustizia dà a un uomo diritto alla proprietà di ciò che ha prodotto con il suo onesto lavoro e alle acquisizioni legittime dei suoi antenati che a lui sono state trasmesse per eredità; così la carità dà diritto ad ogni uomo a quella parte della ricchezza di un altro che gli è necessaria per fuggire una situazione di estremo bisogno, qualora egli non abbia altri mezzi di sussistenza».
Era inconcepibile, quindi, anche solo immaginare che un uomo potesse togliere i viveri al prossimo. Si tratterebbe di qualcosa che ha a che fare con la violenza, quindi con il contrario del contratto sociale, con lo stato brutale della natura prepolitica, dove comanda il sangue.
«Che un uomo approfitti dello stato di necessità di un altro e lo costringa a divenire suo vassallo, negandogli quel sostegno che Dio esige sia offerto al fratello bisognoso, non è più giusto del fatto che chi è più forte sfrutti il più debole, lo domini imponendogli l’obbedienza, e con un pugnale alla gola gli offra di scegliere tra la morte o la schiavitù». (John Locke, Due trattati sul governo, I, cap. IV punto 42)
O la morte (al momento, una morte civile da emarginati dalla società e poveri senza più viveri; ma per alcuni soggetti di reazioni avverse, una morte tout court) o la sottomissione allo Stato pandemico, all’apartheid biomolecolare, al Nuovo Ordine Biotico che informa ogni aspetto delle nostre vite
Secondo il politologo di Yale Ian Shapiro questa è la definizione di dominazione secondo Locke: essere in una posizione tale da sfruttare le necessità dell’altro.
Questo, lo avrete oramai pensato, è esattamente quello che lo Stato sta facendo con il green pass.
Egli sta sfruttando il suo vantaggio per escludere i dissidenti dalle loro necessità. Se non hai il green pass non lavori – quindi non mangi. È esattamente la situazione di assenza di carità, di violenza immaginata da Locke come l’opposto della pace sociale.
Non un altro cittadino, ma lo stesso Stato lascia programmaticamente gli uomini in «estremo bisogno», al fine di manipolarne la vita e la volontà, con tanto di pugnale (manganello, lacrimogeno) puntato. Del resto della violenza, lo abbiamo visto, lo Stato ha il monopolio, anche se ci dimentichiamo spesso che tale potere è acquisito da esso non per diritto divino, ma per delega del singolo, che rinuncia alla sua forza singola, quella sì donata da Dio.
La sottomissione biologica filosoficamente definita: hanno minacciato il vostro stesso sostentamento, per ottenere il dominio biopolitico assoluto sul vostro essere
Sì, la scelta tra «la morte e la schiavitù»: stiamo vivendo esattamente questo bivio.
O la morte (al momento, una morte civile da emarginati dalla società e poveri senza più viveri; ma per alcuni soggetti di reazioni avverse, una morte tout court) o la sottomissione allo Stato pandemico, all’apartheid biomolecolare, al Nuovo Ordine Biotico che informa ogni aspetto delle nostre vite.
Il contratto sociale è finito. Al suo posto, schiavitù, prepotenza, fame, ingiustizia, violenza, mRNA, morte
La sottomissione biologica filosoficamente definita: hanno minacciato il vostro stesso sostentamento, per ottenere il dominio biopolitico assoluto sul vostro essere.
Il contratto sociale è finito. Al suo posto, schiavitù, prepotenza, fame, ingiustizia, violenza, mRNA, morte.
Roberto Dal Bosco
Pensiero
Professore di studi bellici avverte: molti Paesi europei si trovano in uno stato «pre-guerra civile»

Uno dei massimi esperti studi bellici di guerra ha lanciato l’allarme: molti paesi europei sono sull’orlo della guerra civile e potrebbero aver già superato il punto di non ritorno. Lo riporta Modernity News.
David Betz, professore di guerra nel mondo moderno al King’s College di Londra, afferma che la sua ricerca dimostra che esiste una probabilità statisticamente significativa che entro cinque anni scoppi una guerra civile in un importante paese europeo, con una concreta possibilità che il conflitto possa estendersi alle nazioni vicine.
Parlando con il documentarista Andrew Gold, Betz ha inoltre osservato che probabilmente è troppo tardi per impedire che la situazione in Europa «peggiori molto e che i governi potrebbero solo prepararsi meglio all’inevitabile.
«Probabilmente eviterei le grandi città. Ti suggerirei di ridurre la tua esposizione alle grandi città, se puoi», esortò Betz con tono gelido. «Non c’è niente che possano fare, è insito. Abbiamo già superato il punto di non ritorno, secondo la mia stima… abbiamo superato il punto in cui si verifica una disfatta politica. Abbiamo superato il punto in cui la politica normale è in grado di risolvere il problema».
Betz ha sottolineato che «quasi ogni possibile soluzione da qui in poi, a mio avviso, implica una qualche forma di violenza».
«Qualsiasi cosa il governo cerchi di fare a questo punto… puoi risolvere un tipo di problema, ma nel farlo aggraverai un altro tipo di problema, e tornerai alla violenza», ha continuato il professore.
«Secondo me la questione è come mitigare i costi, non come prevenire il risultato, mi dispiace dirlo… Non ho sentito una soluzione politica credibile e non vedo una sola figura politica che sia credibile nel ruolo di salvatore nazionale, o anche solo incline a farlo», ha aggiunto.
«La conclusione è che non credo che ci sia al momento una soluzione politica a questa situazione, che consista nel far sì che tutto vada per il meglio dopo un periodo di difficoltà», conclude cupamente Betz, osservando «Le cose vanno male ora, ma peggioreranno molto».
«Spero che poi la situazione migliori, ma prima di arrivarci bisognerà attraversare un periodo in cui la situazione è molto peggiore», ha previsto.
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In sostanza, è una spirale discendente. «Capisco che ciò che dico è estremamente spiacevole», ha detto Betz, aggiungendo: «voglio solo dire, care élite, che le conseguenze delle vostre azioni sono arrivate».
Betz osserva che il Regno Unito, la Francia e la Svezia sono tutti già afflitti da una «terribile instabilità sociale», un «declino economico» e una «pusillanimità delle élite», tutti storicamente precursori di conflitti.
Lo studioso stima che una guerra civile nel Regno Unito, che ora ha una popolazione di 70 milioni di persone, potrebbe causare decine di migliaia di morti.
«Le società più instabili sono moderatamente omogenee», ha osservato in precedenza Betz, notando che i gruppi di maggioranza tradizionali sentono che il loro status è minacciato o sta per essere completamente sostituito e sono più propensi a lottare per mantenere il predominio.
Sebbene la ricerca abbia indicato che il Regno Unito è sulla buona strada per diventare un paese abitato da una minoranza bianca entro pochi decenni, Betz prevede che ciò non accadrà realmente perché un numero sufficiente di britannici nativi potrebbe trasferirsi per invertire la tendenza.
«Si potrebbe sostenere un’argomentazione del genere, ma credo che si tratti di fare troppe supposizioni sulla probabile reazione delle persone. Non credo che la società sia così inerte», ha detto il Betz, aggiungendo: «non credo che gli inglesi vogliano essere sfrattati dal proprio Paese… Credo che la gente lo rifiuterà. E la gente sta già percependo l’urgenza di agire per impedire la perdita di qualcosa a cui tiene molto».
Betz ha inoltre affermato che «l’esistenza di questa idea di Inghilterra… è seriamente in pericolo… come le persone reagiranno a questo è la questione. C’è un grave rischio che reagiscano in modi che ci porteranno fuori scala. Spero che ciò non accada, ma siamo in un momento molto pericoloso».
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Pensiero
Scuola, la tempesta sui nostri figli: dal terrore pandemico all’«educazione al consenso»

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Pensiero
La metamorfosi di Trump tra l’Iran e Israele: spietata, sanguinaria arte del deal

Non a tutti è piaciuta quella grafica che Renovatio 21 ha fatto, e piazzato su magliette. Il profilo di Trump che si staglia sulla tenebra, e ti fissa con occhi di fuoco, ha inquietato qualcuno. Ci sono persone che ci hanno scritto per protestare. Altri hanno chiesto spiegazioni.
Subito ci siamo stupiti: riteniamo quel disegno particolarmente riuscito. L’artigiano che ci segue per le serigrafie la ha messa in esposizione come una delle sue massime opere, e in molti gli domandano come comperarla. Noi la guardiamo e pensiamo: in questa immagine c’è tutto.
Eppure no, taluni non capiscono, lasciandoci interdetti: è come se non vedessero il valore metafisico, metapolitico, metastorico a cui è assurta la figura di Donaldo. Di più: non possono vedere la cifra di determinazione, risoluzione, di giustizia che, infine, arriva – con una parola che ci fa rischiare di sembrare perfino evoliani, non realizzano l’uomo Trump come potenza.
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Ancora: vediamo che essi non ne percepiscono il carattere punitivo.
Nella tragica ora in cui il Medio Oriente si infiamma – e le fiamme sono, ha detto il direttore AIEA Rafael Grossi, radiattive – la metamorfosi di Trump a noi pare più chiara che mai. No, non è più il Trump-45, il presidente impolitico venuto dal business e dalla reality TV (con i quali, va ricordato, ha scalato, da outsider, la scena più ardua e medievale del mondo, Nuova York).
No. Lo abbiamo pensato subito, forse da qualche parte lo abbiamo pure scritto: The Donald è cambiato, molto. Doveva esservi chiaro almeno da quando giurò da presidente, quel 20 gennaio, senza – inedito totale, pure per lui stesso – toccare la Bibbia: un gesto enigmatico, ma pure, qualsiasi fosse l’intenzione, profondamente morale. Trump-47 è un’altra persona, un essere nuovo, trasformato.
Ad inizio aprile il Washington Post aveva scritto, citando un anonimo funzionario della Casa Bianca, che Trump era «at peak of not giving a fuck», cioè «al vertice del non fregarsene un cazzo». Un ultra-nichilismo funzionale al potere, una sorta di satori regale, di illuminazione definitiva del comando monarchico: uno status che pochi hanno raggiunto, e che francamente noi mai abbiamo davvero veduto.
Non crediamo che questa trance metapolitica sia stata raggiunta negli ultimi tempi. Era pienamente intuibile durante il primo attentato, quello che doveva fargli saltare la testa in mondovisione (perché la CNN aveva mandato tutte quelle telecamere per un comizio qualsiasi, in un Paesino della Virginia? Se lo chiedono in diversi). Una traiettoria spiegabile solo con la religione gli sfiora l’orecchio, linee di sangue gli rigano il volto, che diviene la riflessione perfetta della bandiera USA che garrisce sopra di lui. Lui si rialza, non banda agli agenti del Secret Service che devono portarlo via, alza al cielo il pugno, si rivolge al suo popolo, e gli chiede per tre volte di continuare a lottare. «Fight, fight, fight».
Era evidente: a quell’uomo non importa di morire. Con il cuore è decisamente altrove, in un luogo ideale che non conoscevamo e che non sappiamo bene descrivere. È oltre agli interessi individuali, e al contempo calato in modo totalizzante nel suo desiderio di comunione con il popolo, con il suo imperativo interiore di essere, prima che populista, popolare.
Credo di averlo già scritto: Mussolini è morto mentre scappava in Svizzera vestito da soldato tedesco. Hitler (in teoria, OK) si è suicidato nascosto in un bunker tra la puzza di piscio. Questo esemplare di leader sembra diverso.
Non è che lo abbiamo notato solo noi. Prendiamo Naomi Wolf: intellettuale proveniente dalla sinistra liberal (ebrea, studi oxoniani, un passato da abortista sfegatata), già collaboratrice dei Clinton, ora però redpillata nella comprensione del Vero, con indomito sforzo di analizzare la catastrofe pandemica già visibile, dice, nelle carte di Pfizer. Chiedere alla Wolf, che nel frattempo ha cominciato a comprendere verità geodemonologiche sul mondo moderno, di sostenere Trump era tantissimo. Tuttavia un giorno ha dovuto farlo – fu quando, a fine campagna elettorale era uscita la notizia per cui c’erano almeno cinque squadre di assassini, pure dotati di missili terra-aria, attivate per assassinare Trump. Lui di contro, twittava di cose ridicoli, provocando al solito qualcuno che gli stava antipatico. «Mi ci sono voluti anni a riconoscerlo, ma devo dirlo: tipo che sei figo».
Figo, cool: la parola significa anche «freddo». Capace di decisione; al comando della situazione.
È quello che sta mostrando, anche in modo non proprio edificante, in queste ore. Ha scritto, usando il maiuscolo, che i generali iraniani «hardliners», cioè le «teste calde» che si opponevano ai negoziati «sono tutti MORTI». Quello di Israele sembra proprio essere stato un decapitation strike. Un attacco che toglie di mezzo il centro di controllo di un sistema. Lui, piuttosto brutalmente, mostra che ciò è di suo giovamento – perché con evidenza il suo fine è il negoziato, l’arte del deal sulla quale ha costruito tutta la sua vita.
In pratica, Trump pare aver usato Israele per riportare gli ayatollah al tavolo, e alle sue condizioni.
Già qui c’è questa novità enorme: non è Israele che usa l’America, ma l’America che usa Israele. Scusate: anche qui, crediamo di mai aver veduto questa cosa. Cambio di paradigma metafisico.
Trump ha imparato la lezione. Renovatio 21 è una delle poche testate che aveva riportato le parole che mesi fa Trump aveva affidato ad una grande rivista americana, e forse pure ripetuto in altre occasioni: il generale Soleimani lo aveva fatto uccidere su pressioni di Netanyahu (come confermato anche da spie ebraiche), che alla fine però si era tirato indietro all’ultimo minuto.
«Ho avuto una brutta esperienza con Bibi», aveva detto nel maggio 2024 Trump. «È stato qualcosa che non ho mai dimenticato», aveva detto Trump a TIME, aggiungendo che l’incidente «mi ha mostrato qualcosa».
Non che la mossa gli sia costata nulla: lui, e tutta la sua famiglia, passeranno l’esistenza sperando che il Secret Service li scudi dalla vendetta iraniana, giurata perfino su video di computer grafica diffusi da canali ufficiali.
Officials in #Iran have released a 3D animated video depicting the targeting of former President Donald Trump at his Mar-A-Lago golf course. This sequence is in revenge for killing IRGC General Qasem Soleimani. pic.twitter.com/2h1giUrlFx
— Jake Hanrahan (@Jake_Hanrahan) January 13, 2022
Oggi la faccenda è molto cambiata. Trump ha maltrattato Israele e il suo premier, al punto da suggerire, con l’idea bislacca di Gaza resa paradisiaco resort mediterraneo, l’idea che lo Stato Giudaico non avrà mai il controllo della striscia necessaria al compimento del disegno del «Grande Israele». Con evidenza, tuttavia, ha lasciato mano libera, intuendo una debolezza attuale attorno all’Iran.
La Russia e la Cina interverranno a favore di Teheran? Il potere dell’ayatollah sulla popolazione è così saldo? Sono calcoli che deve aver fatto, mentre diviene chiaro a cosa sia servito il viaggio in Arabia dello scorso mese, e quel lungo, denso discorso sulla fine della politica neocon – quindi, per paradosso, la fine della bava alla bocca contro l’Iran. A Riyadh, e negli altri regni del Golfo, Trump ha riprogrammato, deal dopo deal, l’asse del Medio Oriente, orientandolo più verso la Mecca che verso la Repubblica Islamica (che, fuori da regno dei Sauditi, tra i sunniti, godeva comunque di una presa non indifferente).
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Non possiamo sapere cosa accadrà. Il piano potrebbe non funzionare, i calcoli sulla tenuta di Khamenei, o sulla possibilità di tenere a freno lo Stato degli ebrei, potrebbero essere errati. La volontà negoziale messa in questo sforzo era partita nei primi giorni, quando dissero che aveva mandato Elon Musk a Nuova York a trattare con emissari di Teheran. Non molto pare essere stato ottenuto, e la situazione potrebbe ovviamente precipitare definitivamente – atomicamente.
Rimane che quello che stiamo vedendo è il Trump 2.0, il Donaldo scaturigine anni di pressione (con secoli di carcere minacciati dai tribunali) e di violenza, rigenerato nella lotta e nel sangue. È il re arrivato all’illuminazione oscura, al potere più enigmatico: Dark Maga Power.
Aveva scritto The Art of the Deal, l’arte di fare deal, affari. Come il suo cuore, tale arte è divenuta tenebrosa, spietata, perfino, potete dirlo, a tratti sanguinaria.
Non siamo certi che tutto questo sia bello da vedere, né – visto che ci sono di mezzo dei morti – bello. Ma mai avevamo testimoniato il potere politico utilizzato in questa tremenda purezza.
La bellezza – a volte triste, a volta tragica – che ha il castigo. Cioè quello oggi che tutti gli esseri umani rimasti tali nel mondo moderno devono chiedere al Cielo.
Roberto Dal Bosco
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia; immagine modificata
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