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Necrocultura

Il Tempio Satanico aprirà una clinica per aborti nel Nuovo Mexico

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Il Tempio Satanico (TST), un gruppo di attivisti politici noto per protestare contro il simbolismo religioso negli spazi pubblici, ha annunciato che aprirà una clinica per aborti nel New Mexico, offrendo prescrizioni per prodotti abortivi.

 

«Il TST è orgoglioso di espandere le opzioni di riproduzione per i nostri membri. Questo è solo l’inizio», ha affermato Erin Helian, direttore esecutivo delle operazioni della campagna del gruppo. «Rimarremo saldi (…) per sostenere la giustizia riproduttiva negli Stati Uniti».

 

L’aborto è legale fino alla nascita nel New Mexico, ad eccezione delle città di Clovis e Hobbs, che hanno approvato leggi che vietano l’aborto dopo il ribaltamento di Roe v. Wade. La mossa del TST è un tentativo di contrastare qualsiasi restrizione all’aborto nello stato.

 

Il gruppo, che nega l’esistenza di Satana ma si associa a immagini sataniche, afferma che la clinica online fornirà pillole abortive per posta a coloro «che desiderano eseguire il rituale di aborto religioso del Tempio satanico».

 

 

La scelta di un nome sprezzante per un giudice federale

La clinica per aborti del New Mexico si chiamerà The Samuel Alito’s Mom’s Satanic Abortion Clinic – «La clinica abortiva satanica della madre di Samuel Alito»  –, secondo il sito web della TST. Alito è il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha redatto l’opinione della maggioranza in Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization nel giugno 2022, che ha ribaltato Roe v. Wade.

 

Il TST ha scritto sul suo sito web: «nel 1950 la madre di Samuel Alito non aveva alternative. Il nome della clinica serve a ricordare alle persone quanto sia importante avere il diritto di controllare il proprio corpo e le potenziali conseguenze della perdita di tale diritto». Il sito web presenta una donna anziana che entra nella clinica dicendo: «Se solo l’aborto fosse stato legale quando ero incinta».

 

Ethel Maharg, direttore esecutivo di Right to Life nel New Mexico, ha dichiarato a KOB4 che l’annuncio di TST è «una cosa oltraggiosa». Ha aggiunto: «stanno cercando di renderlo un diritto religioso in modo da poter usare, immagino, il Primo Emendamento, ma c’è una differenza tra libertà di parola e libertà di religione».

 

Il «rituale dell’aborto»

Per potersi avvalere del Primo Emendamento, il TST ha sviluppato il «rituale dell’aborto» che si estende per tutta la durata dell’interruzione della gravidanza e comprende l’aborto. La donna si guarda allo specchio e recita una «affermazione rituale» dichiarando la sua autonomia e la sua decisione. Questi sono in realtà il 3° e il 5° principio fondamentale del movimento.

 

Poiché l’aborto fa parte del rituale, il TST sostiene che sottoporre una donna a un periodo di attesa equivale a un’interferenza del governo in un battesimo o in una comunione. Nel febbraio 2021, il TST ha intentato una causa contro il Texas, accusando violazioni della libertà religiosa.

 

La clinica affronta anche il tema dell’accesso all’aborto per coloro che non vivono nel New Mexico. È possibile utilizzare i suoi servizi, purché la persona sia nello stato durante il videoconsulto e durante il rito dell’aborto. Il costo di un aborto è fissato a 90 dollari, ma l’assistenza finanziaria è possibile.

 

Ciò che è più inquietante è il fatto che il TST sia riconosciuto come una società “religiosa” e possa quindi sperare di invocare il Primo Emendamento per i suoi rituali, in altre parole, per l’aborto.

 

Infine, il sito offre anche l’assistenza di «ministri ordinati» alle donne che ne sentono il bisogno! È risaputo che il diavolo è la scimmia di Dio…

 

 

 

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

 

 

 

 

Immagine screenshot dal sito web TST

 

 

 

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Animali

Le belve in terrazza. Per il sacrificio umano totemico

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Abbiamo visto la forte presenza degli orsi in Trentino. Magari potete finirci pure contro in auto senza dovervi nemmeno avventurare nei boschi come successo pochi giorni fa a Villa Lagarina, a pochi chilometri da Rovereto nord. 

 

Del resto a Calliano, ridente comune della stessa valle, già nel 2020 un signore si è ritrovato l’orso sul balcone: i plantigradi sono spesso ottimi arrampicatori. Quindi, con buona pace dell’idiozia animalista per cui è sempre l’uomo a importunare l’animale entrando di proposito o per sbaglio nel suo habitat naturale, gli orsi ci vengono a cercare nelle nostre case, nella nostra quotidianità, nel luogo dei nostri affetti.

 

E fossero solo gli orsi. La continua e pervasiva presenza del lupo non più solo in zone pedemontane, montane o boschive è senza precedenti.

 

Nessuno, pastori compresi, si sarebbe aspettato che i lupi potessero sferrare i loro attacchi a Valeggio sul Mincio, in piena campagna veronese, ai confini col mantovano, come accaduto qualche giorno fa o a pochi passi da Verona sud mentre nei paesi del Garda li si può ormai incontrare per strada

 

Non c’è da stupirsi, è ciò che fanno i «grandi carnivori» e i nostri nonni o forse bisnonni e antenati lo sapevano bene tant’è che fino a qualche decennio fa difficilmente un lupo avrebbe osato avvicinarsi ad un centro abitato anche per non rimetterci la pellaccia

 

Ora la musica è cambiata e chiunque, anche uscendo per andare a bere un bicchiere e giocare una mano di briscola all’osteria, può trovarsi davanti ad una belva in cerca per l’appunto di carne.

 

E così l’inquietudine e la paura serpeggiano tra trentini, veneti e non solo, tra gli escursionisti, gli appassionati di montagna, gli amanti delle passeggiate col cane, i cicloturisti della domenica.

 

Sembra dunque che, ai predatori bipedi che percorrono senza sosta grandi e piccoli centri urbani liberati dei governi europei ad assediarci ci siano pure le belve e vere e proprie, un pensiero che ci eravamo lasciati alle spalle da anni o addirittura da secoli.

 

La paura, il terrore, l’insicurezza diffusa fanno parte di una strategia di cui si è già parlato su Renovatio 21 che attiene al principio massonico dell’«Ordo ab Chao». Non ci deve essere pace e tranquillità nemmeno nei luoghi dell’escursione in montagna o della gita fuori porta. 

 

Ma ci sono altri elementi di cui si è parlato in più occasioni, tra cui il ritorno del paganesimo e del sacrificio umano ad esso connaturato. 

 

Gli animali totemici del paganesimo euro-asiatico, l’orso e il lupo, sembrano diventati intoccabili come mostra anche la sentenza del Tar di Trento che ha accolto le istanze degli animalisti impedendo la soppressione dell’orsa responsabile della morte di Andrea Papi.

 

Secondo un interessante articolo apparso in rete – un articolo che non esita a parlare di sacrificio umano nel caso della morte del ragazzo trentino – di orsi ve ne sarebbero addirittura 200 nella sola Provincia Autonoma di Trento, un numero impressionante.

 

L’articolo pubblicato dal sito Ruralpini menziona anche la «sfacciata propaganda istituzionale, pagata dal contribuente» in una situazione che appare gravissima, e tuttora pericolosa per gli esseri umani.

 

Nel frattempo l’offensiva animalista continua con minacce, intimidazioni, proposte di boicottaggio di prodotti trentini e commenti emblematici sui social media come quello secondo cui la vita di un orso vale più di quella di mille uomini.

 

Si tratta dell’ennesimo tassello di quella Cultura della Morte che impera in ogni aspetto della vita quotidiana.

 

È un odio senza fine contro la vita umana che porta a desiderare un mondo distopico dominato dalle fiere in cui l’uomo diviene la preda, la vittima.

 

È una bestemmia contro la Creazione Divina che ha dato all’uomo la custodia della terra e dei suoi essere viventi da far fruttare per il proprio sostentamento senza che, ovviamente, ne abusi.

 

È un’assurdità che nega la realtà per cui è l’azione umana, instancabile e coerente con i ritmi della natura ad aver creato quei paesaggi e quegli equilibri tra uomo e ambiente in cui sono cresciuti i nostri nonni

 

I nostri benemeriti antenati non avrebbero esitato a difendere sé stessi e i loro cari da ogni tipo di belva, a due o a quattro zampe.

 

E noi, come ci vogliamo comportare?

 

 

 

 

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Animali

Circondati dai lupi. Cosa vogliamo fare?

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Il problema è che a breve non si parlerà più degli orsi. Si parlerà dei lupi. E non per un morto e, se va bene, un solo attacco all’anno, o due-tre.

 

No, potremmo cominciare a sentir parlare dei lupi a cadenza regolare, e per episodi raccapriccianti: bambini sbranati, bestie che si inoltrano sin dentro i giardini delle villette, poi dentro le case. È inevitabile, in realtà in larga parte sta già accadendo.

 

Ad Asiago c’è un gruppo Whatsapp dei cittadini che cercano di avvisarsi in caso di avvistamento: branchi di lupi sono passati dallo sbranare mucche e asini e animali domestici a farsi trovare direttamente fuori dai portoni delle case.

 

A Lucca, lo scorso 11 aprile, una signora è stata attaccata da un lupo che le ha morso la mano. Quattro mesi fa, un automobilista ne ha filmato uno per strada, nel Chianti. A Siena quattro anni fa un branco aveva attaccato un’azienda agricola colpendo 70 pecore.

 

A Sondrio un bambino di 10 anni ha trovato una cerva dilaniata a poca distanza dalle case.  Era capitato anche nel pavese due anni fa, quando una telecamera di sorveglianza riprese un lupo sbranare un capriolo dentro il giardino di una casa.

 

A Cesena, è stato visto un lupo ieri, in mezzo alle case. Stessa cosa, due mesi fa, nel centro di Busto Arsizio.

 

A Romano d’Ezzelino, in provincia di Vicenza, a inizio mese i cittadini hanno visto il lupo in pieno giorno, in pieno centro.

 

Il vicentino sembra particolarmente colpito. Il lupo è stato visto a Schio, tra piante e radure a poca distanza dal Santuario di Monte Berico, a Monteviale, piccolo comune collinare fatto di cascine e belle case. Chiunque ami fare delle passeggiate nella natura con i propri figli finisce per fare quel pensiero.

 

«Non hanno più timore di avvicinarsi agli insediamenti umani» ha detto una veterinaria al quotidiano milanese La Verità. «Anche perché non hanno nessun motivo per averne».

 

I numeri del fenomeno sono impressionanti. Vi sarebbero 3.300 lupi in tutta Italia, un esercito ululante e spaventoso che ha già una sua mitologia: sarebbe sorto dall’incontro, nel 2011, tra Giulietta, una lupa della Lessinia, e Slavc, un lupo che, ci dicono, sarebbe migrato spontaneamente dalla Slovenia – tutti insistono sul fatto che i lupi non sono stati reintrodotti artificialmente, si tratta, assicurano, di fake news.

 

Le cucciolate di Giulietta con suo Romeo sloveno e la loro discendenza si sarebbe diffusa a macchia d’olio: Friuli, Veneto, Lombardia, Trentino, anche Emilia-Romagna.

 

Solo nel Bellunese ci sarebbero 17 branchi per un totale di 120 lupi. Quando due anni fa ad Auronzo di Cadore un automobilista fece un video mentre un branco gli correvano davanti in strada, vi fu scandalo: le associazioni animaliste chiesero l’identificazione dell’uomo; il PD veneto, dopo aver parimenti chiesto con un’interrogazione in giunta regionale di individuare l’automobilista, secondo il servizio TV parlò di «folle inseguimento che deve essere punito (…) un episodio vergognoso e gravissimo», anche perché, avrebbero detto i democratici, le temperature rigide, la rottura del branco e la tanta fatica fatta, quegli animali sarebbero andati  «sicuramente incontro alla morte».

 

Di certo sappiamo che a morire, più che i lupi inseguiti, ad Auronzo sono i cervi, trovati sbranati dai lupi – uno dei quali colto sul fatto – neanche due settimane fa, ma anche lo scorso settembre, il pony di una bambina 13enne, massacrato dai lupi. «Succede spesso, ma nessuno parla per non spaventare i turisti» ha dichiarato il titolare di una malga.

 

Se c’è del vero il mito fondativo lupino di Giulietta e Slavc, che da due che erano hanno lanciato la procreazione di 3.300 lupi in dieci anni, dobbiamo aspettarci una esplosione esponenziale che porterà la presenza sul territorio di decine di migliaia di belve – creature aggressive che, lo stanno dimostrando, non hanno alcuna paura dell’uomo.

 

A quel punto, gli incontri tra uomo e lupo saranno inevitabili – ed estremamente frequenti.

 

Gli attacchi dei lupi saranno sconvolgenti, perché, a differenza dell’orso, il lupo è un animale non esattamente timido. E ama con evidenza quello che gli anglofoni chiamano, overkill, o surplus killing: ammazza altre creature e poi le lasciano là, sbrana non più per fame, ma per altre pulsioni ferali (qualcuno dice, «per sport»). È possibile vedere il fenomeno negli attacchi agli allevamenti: i lupi uccidono più pecore di quante ne riescono a mangiare.

 

E chi saranno le vittime? Dicono che i bambini sono a rischio, perché i lupi li vedono come bestie della loro altezza, e non escludo che siano in grado anche di valutare il loro essere indifesi perché «cuccioli» (è il linguaggio della natura per moltissime specie: i cuccioli li riconosci immediatamente dalle forme arrotondate, gli occhi grandi, in alcune specie la loro visione depotenzia l’aggressività, altre invece ne stimolano gli istinti predatori). Pensiamo anche che gli anziani, con meno agilità e forza per difendersi (cosa che un lupo forse può odorare: qualcuno sostiene che i canidi possano sentire la presenza di testosterone negli umani), potrebbero divenire vittime della popolazione lupesca.

 

Vecchi e bambini come prime vittime: non diversamente da certe stragi psicopatiche che stiamo vedendo di recente. Non diversamente dal principio della crudeltà che vuole i deboli attaccati subito dal predatore.

 

Come è possibile, quindi, tollerare il ritorno del lupo? Com’è possibile che nessuno sia sconvolto dallo scenario che si sta aprendo dinanzi a noi?

 

Qualcuno, al di fuori dei canali ufficiali, sembra ci stia pensando. Vi è stata una reazione tremenda pochi mesi fa a Samolaco, in Val Chiavenna: su un cartello stradale qualcuno ha issato la testa di un lupo decapitato, con un messaggio forte: «I professori parlano, gli ignoranti sparano».

 

Stessa cosa nel 2014, in Maremma. Venne rivenuta una testa di lupo mozzata, attaccata ad un palo ai piedi del bosco. Qualcuno disse che erano cacciatori, o contadini della zona. In verità i misteriosi autori avevano lasciato una firma: «Cappuccetto Rosso».

 

La favola di Cappuccetto Rosso, che ha diversi piani di lettura, è nota per un fatto che nel tempo ha un po’ inquietato: nella sua prima versione scritta, quella di Charles Perrault (1697), non vi è alcun lieto fine. Il lupo divora la nonna, inganna la bambina, e si mangia anche quella. Il lupo vince: i vecchi e i bambini vengono divorati. Il lieto fine sarebbe stato apposto solo più tardi, nelle versioni dei fratelli Grimm (1812), che immaginano l’arrivo di un cacciatore che uccide il lupo e lo sventra, salvando così la nonna e Cappuccetto Rosso.

 

Cappuccetto Rosso ci riporta ad un tempo in cui il lupo era praticamente inevitabile: l’Europa era un grande, infinito bosco, nel quale, secondo la battuta, una scimmia poteva salire su un albero a Lisbona e scendere a terra a Roma. Secoli di lavoro – secoli di civiltà cristiana – hanno umanizzato il territorio, eliminando per l’uomo la possibilità di essere ucciso e divorato dalle fiere.

 

Ora lo Stato moderno ripopola le terre degli uomini dei suoi predatori, quelli con cui la convivenza – attestano le favole, le tradizioni, le Sacre Scritture – è impossibile.

 

Si tratta di una verità che si può estendere ben al di là del ritorno delle bestie feroci nei nostri spazi. Pensiamo a quello che ci sta intorno. Speculazione finanziaria, politica tirannica, farmaceutica totalitaria, ladri e rapinatori lasciati indisturbati, pedofili nascosti nelle pieghe delle più alte istituzioni. La Cultura della Morte informa il mondo moderno, è esattamente il sistema operativo che rende possibile la violenza dei predatori sugli innocenti.

 

Sono lupi coloro che stanno ai vertici dei poteri occidentali, che sacrificano senza batter ciglio gli interessi del popolo e la stessa vita umana.

 

Sono lupi perfino i pastori della religione, che invece che guidare e proteggere il gregge sembrano volerlo divorare e dimenticarne le carcasse.

 

Siamo circondati dai lupi, in ogni senso possibile. Siamo in compagnia dei lupi e tendiamo, per quieto vivere, a dimenticarcene.

 

Quindi: che cosa intendiamo fare?

 

Quale finale vogliamo per la favola di Cappuccetto Rosso che è diventata la vita nostra e quella dei nostri bambini?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

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Necrocultura

Roulette sessuale con aborto incorporato: le ragazze disintegrate dalla Necrocultura

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I giornali italiani stanno iniziando a parlare di una nuova moda che corre tra le giovani sui social: fare sesso con sconosciuti cercando di non rimanere incinte. Qualora ciò avvenisse, si deve provvedere subito con l’uccisione del bambino concepito nella sfida elettronica. Così, immaginiamo, da essere magari pronte a ripartire.

 

«Su episodi di questo tipo sta indagando anche la Procura di Brescia, dipartimento Soggetti deboli, che ricordiamo ha competenza distrettuale anche sulle province di Bergamo, Cremona e Mantova» scrive Brescia Today. «Il caso della “sex roulette” è solo il più recente di una vasta gamma di “challenge“, anche pericolosissime».

 

Il pensiero va alla controversa storia della Blue Whale, una serie di sfide che finisce con il suicidio del giovane che le intraprende. Ma ve ne sono molte altre, popolari anche decenni fa, ma ora esplosa con smartphone e social media: spostarsi all’ultimo momento prima che un’auto ti colpisca, la «Skull Breaker challenge», in cui di persone calciano le gambe di una terza, facendola rovinare violentemente a terra, ma anche il «knock-out game», di cui si era sentito qualche anno fa, che consisteva nel piazzare un pugno in faccia ad uno sconosciuto di passaggio, di solito facendolo crollare a terra privo di conoscenza.

 

Tuttavia il carattere sessuale e riproduttivo della «sex roulette» ci impressiona.

 

Per primo perché mostra a il livello di disintegrazione della decenza, del pudore femminile innestato dalla Rivoluzione sessuale: non si tratta più solo di poligamia, ma di promiscuità gratuita e belluina vissuta come valore da esibire. L’indecenza come virtù: e il sesso come giochino che nulla ha più di privato, di intimo.

 

In secondo luogo, la «sex roulette» ci dimostra fino a che punto la società sia desensibilizzata nei confronti dell’aborto. La retorica abortista per cui «un aborto è sempre una sconfitta» è oramai sepolta. L’aborto è un gioco, è un sistema contraccettivo di ultima istanza perfino preferibile agli altri anticoncezionali (che forse le nuove generazioni cominciano a trovare non ideali, come vediamo nel caso del rifiuto della pillola da parte delle millennial).

 

Di più: l’aborto come «preservativo», pure spendibile per gioco – ed esibito sui social. Anche questo è un avanzamento ulteriore nell’abisso della Necrocultura: sono esistite, negli anni, donne che rivendicavano, talvolta in modi lugubri assai (la politica italiana che mostrava il feto nel barattolo ce la ricordiamo), ma erano tutte femministe, e l’esibizione del feticidio era un atto ideologico.

 

Qui l’ideologia non esiste più, perché totalmente spalmata sul sentire comune: uccidere il bambino non è più un fatto politico, né un dramma personale, è un’attività personale qualsiasi, come andare dal dentista, o – per essere più precisi – farsi un tatuaggio.

 

Perché il bambino, in tutto questo, non è nemmeno lontanamente considerato: le ragazzine non lo considerano tale, o forse – e qui entriamo nella regione più oscura della mutazione della Civiltà in corso – lo considerano spendibile, perfino in una sfida cretina con le proprie amiche. Sacrifici umani, anche per gioco. Sì.

 

Non è qualcosa che possiamo aspettarci da una società che, senza batter ciglio, si è fatta iniettare un siero genico sperimentale ottenuto con linee cellulari da aborto. Anche quei bambini morti per la farmaceutica non hanno fatto perdere il sonno a nessuno, né alle autorità civili né a quelle religiose – che, anzi, non hanno perso tempo a infliggere alla popolazione la pozione fatta, come ai tempi della stregoneria, con pezzi di bambino abortito.

 

E quindi: se si può uccidere un bambino non nato per un farmaco, perché non potrebbe essere giusto farlo per una challenge sui social media? Del resto, se non si tratta di esseri umani, che differenza può essere mai?

 

Un anno fa Renovatio 21 ha pubblicato un articolo intitolato «La Necrocultura vuole distruggere la donna». In esso dettagliavamo il crollo del senso della maternità, descrivendolo con toni apocalittici, perché «sì, la donna è il fulcro della Civiltà umana».

 

«Bisogna riconoscere che la donna è, oramai da secoli, l’obbiettivo degli attacchi di chi la Civiltà umana vuole distruggerla», scrivevamo. «Il mondo moderno è il calcolo della rovina della donna. La sua degradazione è programmatica, continua, inesausta».

 

Il progetto è contenuto nella corrispondenza di alti esponenti della setta massonica ottocenteschi. Ne parla quel libro fondamentale che è Il problema dell’ora presente di monsignor Henri Joseph Delassus (1836-1921).

 

«Per abbattere il cattolicismo, bisogna prima sopprimere la donna. La frase è vera in un senso, ma poiché non possiamo sopprimere la donna, corrompiamola» dice «Vindice», in francese Le vengeur, uno dei cospiratori di cui monsignor Delassus intercetta i messaggi.

 

Corrompere la donna, per distruggere la vita – per attaccare Dio. Questo è il senso della Necrocultura. Questa è la cifra del mondo moderno – che altro non è se non il prodotto della Cultura della Morte. Questo è ciò che sta dietro ad ogni nuova demenza giovanile, ora divenuta più assassina di quella vista in Arancia Meccanica.

 

Dice Gesù: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona» (Luca 11, 29). Il «segno di Giona», secondo le interpretazioni, sarebbe la Fede nel Risorto.

 

È così: solo la Fede può porre fine a questo abisso di sangue, crudeltà, stupidità. Solo la Fede può salvare la Vita e la Civiltà.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

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