Bioetica
La sorella conferma: «non è vero che Giorgia Meloni è contro l’aborto»
Il quotidiano agnelliano La Stampa ha intervistato ieri Arianna Meloni, 47enne sorella della vincitrice delle elezioni Giorgia.
Le domande spaziavano dalla «difesa dell’Europa e della NATO («Certamente, lo ha spiegato molte volte e lo proverà con i fatti»), alla lista dei ministri, ai rapporti con la leadership di centrodestra, agli strilli dei giornali per il paventato «ritorno del fascismo».
«Chi l’ha attaccata durante la campagna elettorale dovrà ricredersi» ha detto la sorella della possibile futura presidente del Consiglio.
«Hanno detto che Giorgia è contro la legge 194 sull’aborto, ma non è vero. Lei è dalla parte delle donne e dei diritti acquisiti. Chi l’ha accusata lo ha fatto per renderla ridicola ma ha perso perché mia sorella dimostrerà il suo valore e i suoi principi».
Questa ci sembra la parte più rilevante dell’intervista. Come si possa essere di destra, o anche solo conservatori, e magari poi professarsi pure cattolici (non abbiamo mai capito se sia il suo caso) e poi negare di essere contro l’aborto è certamente posizione nuovo, o almeno lo è il parlarne così apertamente.
È un segno dei tempi: la destra è divenuta non solo abortista, ma anche timorosa di sembrare antiabortista. Non si tratta di un cambiamento di poco conto.
Esso riflette uno smottamento più generale: è di pochi giorni fa la dichiarazione del Paglia che parla della legge assassina genocida 194/78 come di un «pilastro della società». Eccerto: milioni di sacrifici umani senza i quali il nostro Paese, che ora è in inverno demografico e che importa gommonauti africani a bizzeffe, non poteva proprio esistere.
Così è: l’aborto di destra è realtà. Perché ricordiamoci che la destra mica deve essere per forza cattolica: l’ateismo non è che facesse difetto anche a certi esponenti storici innominabili.
Il controverso pensatore cattolico brasiliano Plinio Correa de Oliveira parlava di «trasbordo ideologico inavvertito», noi più semplicemente pensiamo alla rana bollita. La rana della destra è oramai stata completamente bollita nel pentolone dell’abortismo del Mondo moderno, diktat irrinunziabile dell’establishment di ogni angolo della Terra.
Per i lettori di Renovatio 21, tuttavia, questa rivelazione del famiglio della Meloni non è una novità.
Alla pubblicazione di Dobbs, la rivoluzionaria sentenza della Corte Suprema USA che nega l’aborto come diritto federale americano, la Meloni aveva dichiarato la sua posizione sul libero aborto: «“Vaneggia” chi, pur di attaccarla, pensa che il suo partito lavori all’abolizione della legge» 194, scriveva l’ANSA riportando il suo pensiero. La Meloni non voleva paragoni con quanto accaduto con il pronunciamento della Supreme Court: «chi lo fa, probabilmente, è in malafede o ha obiettivi ideologici».
Anche i candidati eletti sembrano rispecchiare la linea dell’«abortismo conservatore», con la 194 che non va toccata in alcun modo.
La candidata Eugenia Roccella, già parlamentare per il PDL e poi per il partito scissionista biodegradabile para-cattolico NCD, è stata rieletta in Calabria per Fratelli d’Italia. A inizio settembre aveva rilasciato una intervista a Il Giornale titolata dalla testata «La 194 non si tocca. Ma si fa ancora troppo poco per la maternità».
Concetto ribadito da Maria Rachele Ruiu, altra candidata appena eletta tra le file di FdI, che ha ripetuto il concetto in una intervista sempre a Il Giornale: una richiesta di abolizione della 194 «non avrebbe alcun senso né risultato».
Colpisce che entrambe le candidate sono considerate esponenti del mondo cattolico e pro-life.
Ma abbiamo capito cosa è successo: siamo passati di fase, come nella più classica Finestra di Overton, l’aborto da «impensabile» e «radicale» è divenuta «accettabile» e «razionale». Non c’è bisogno, in realtà, del passaggio a «popolare», perché siamo già, da 44 anni, alla fase successiva: la legalizzazione – che, ricordiamolo, fu fatta da un governo democristiano…
Bioetica
In Nuova Zelanda i bambini vengono lasciati morire se nascono vivi dopo gli aborti
I dati governativi hanno confermato che in Nuova Zelanda i bambini nascono vivi dopo un tentativo di aborto almeno una volta al mese e, come prassi, muoiono senza ricevere assistenza medica. Lo riporta LifeSite.
L’aborto in terra neozelandese è legale su richiesta fino alla 20ª settimana di gravidanza e viene spesso praticato anche oltre, se un medico ne autorizza la necessità per motivi di «salute».
«Family First New Zealand ha riferito di aver ottenuto dati governativi dopo una richiesta ufficiale, scoprendo che i feti sopravvivono regolarmente ai tentativi di aborto», ha riportato Live Action News. «Dal 2020, 80 tentativi di aborto hanno portato a nascite vive, anche se il numero reale potrebbe essere superiore, poiché alcuni distretti non hanno fornito queste informazioni. Le sopravvissute all’aborto avevano una gestazione compresa tra le 20 e le 30 settimane e non hanno ricevuto cure salvavita».
Il rapporto ha inoltre rilevato che l’assistenza medica veniva concessa solo ai neonati desiderati dai genitori: «È preoccupante che il distretto di Te Tai Tokerau abbia affermato che l’assistenza di sostegno vitale è presa in considerazione solo per i “neonati desiderati a 22 settimane + 5 giorni”. A Waikato, c’è la discrezionalità dei genitori di accettare o meno la rianimazione». Canterbury aveva precedentemente consigliato che il «neonato venga avvolto in una coperta e tenuto in braccio fino al decesso».
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Casi specifici di questo protocollo sono emersi in passato. Nel 2021, Gript ha riferito che «un bambino sano sarebbe nato vivo dopo un aborto tardivo fallito ed è stato lasciato morire in un ospedale neozelandese», aggiungendo che «il bambino è stato lasciato ansimare per due ore mentre gli operatori sanitari si rifiutavano di intervenire, prima di morire». Uno studente di medicina, profondamente traumatizzato dall’aver assistito alla morte del bambino, ha affermato che la madre era incinta da oltre 21 settimane.
«Non faremmo mai una cosa del genere a un animale. Ero inorridita», ha detto la studentessa, che usa lo pseudonimo Nicola. «Non abbiamo dato potere a questa donna lasciando che suo figlio soffrisse e morisse in quel modo. Quando ha lasciato l’ospedale, aveva ancora bisogno di sostegno e aiuto per la sua situazione. Tutto quello che abbiamo fatto è stato porre fine alla vita del suo bambino in modo prolungato e crudele. È davvero vile e disgustoso che un essere umano venga trattato in quel modo».
L’anno precedente, il parlamentare Simon O’Connor aveva proposto un emendamento al disegno di legge sull’aborto del Primo Ministro Jacinda Ardern, che imponeva l’obbligo di assistenza ai bambini sopravvissuti a un tentativo di aborto. Il governo, inclusa la stessa Ardern, si oppose all’emendamento. «Ci è stato detto che il mio emendamento non era necessario, eppure eccoci qui in una situazione con un bambino nato vivo, lasciato morire da solo – ed è semplicemente orribile», ha detto O’Connor.
«Non siamo sorpresi da questi dati [del governo], ma sono comunque davvero scioccanti. Che il nascituro sia alla 15ª, 20ª, 30ª o 40ª settimana di gravidanza, lotterà naturalmente per la propria vita», ha affermato Bob McCoskrie, CEO di Family First New Zealand. «Questo è il nostro istinto umano. Dovremmo proteggere la vita dei bambini innocenti che sopravvivono ai tentativi di aborto. Dovremmo chiarire con estrema chiarezza che questo è un obbligo per i professionisti sanitari». McCroskie ha osservato che ora ci sono dati governativi che confermano ciò che i pro-life sostengono da tempo: che a volte i bambini sopravvivono agli aborti.
Il ministro della Salute e del Lavoro Andrew Little aveva precedentemente respinto queste affermazioni, affermando: «vorrei vedere i dati scientifici sulla nascita di un bambino dopo un aborto». McCroskie ha risposto: «Ecco le prove. Non si tratta di politica, si tratta di avere un cuore». Ha ragione. Ci sono persino alcune sopravvissute all’aborto che sono sopravvissute per raccontare le loro storie, per l’industria dell’aborto, quelle che se l’erano cavata».
Il caso che viene in mente a tutti è quello di Gianna Jessen, abortita ma sopravvissuta anche se con una vita con la paralisi cerebrale. Si tratta con probabilità di una delle migliori speaker pro-life al mondo.
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Il segreto più orribile dell’industria dell’aborto, scrive LSN, è che i bambini nascono regolarmente vivi dopo tentativi di aborto e vengono lasciati morire dai medici che hanno appena tentato di ucciderli. Ci sono esempi frequenti e documentati di questo tipo solo negli ultimi anni in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Canada e in Irlanda, dove l’aborto è legale solo dal 2019.
Come riportato da Renovatio21, a inizio anno la Camera USA aveva approvato la legge per proteggere i bambini nativi vivi dopo l’aborto.
Come riportato da Renovatio 21, anche l’eutanasia galoppa alla grande in Nuova Zelanda, dove è stata approvata per referendum. In un impeto di creatività, tre anni fa si cominciò a parlare nel Paese di possibilità di eutanatizzare i pazienti COVID.
Ricordiamo che si tratta del Paese dei lockdown draconiani, inflitti anche per un solo caso di positività, sotto l’imperio della premier Jacinda Andern, allevata dal World Economic Forum e pronta a progettare una «società a due livelli» (vaccinati e non vaccinati), a chiedere ai propri cittadini di non chiacchierare col vicino (per evitare i contagi), a istigare la delazione dei dissidenti politici ora etichettati come «terroristi», a proibire del tutto il tabacco, e a garantire in lockdown il diritto di fare orge da 25 persone a chi avesse acquisito il diritto pandemico ad uscire di casa.
Come riportato da Renovatio 21, il Parlamento neozelandese ha concesso lo status di persona a una montagna, proprio come in precedenza lo aveva concesso ad un fiume e a un pezzo di terra: cose che sono quindi tecnicamente più protette dallo Stato di un feto umano.
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Bioetica
JD Vance paragona l’aborto al sacrificio dei bambini. C’è molto più da dire e fare contro la Necrocultura
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Bioetica
Il Quebecco si muove per riconoscere il «diritto» all’aborto nella proposta di costituzione
Il Quebecco ha proposto una legge per sancire un apparente «diritto» all’aborto nella bozza di costituzione della provincia canadese.
Il 9 ottobre, l’Assemblea nazionale del Quebecco ha presentato il disegno di legge n. 1, Legge costituzionale del 2025 sul Quebec, che mira a stabilire una costituzione per il Quebec che dia priorità ai valori della provincia, tra cui la cosiddetta «libertà» di aborto.
«Ora dobbiamo andare oltre», ha dichiarato il primo ministro François Legault all’Assemblea Nazionale. «Il Quebecco ha scelto di restare in Canada, ma ha anche scelto di affermare il suo carattere nazionale e distintivo».
«È giunto il momento di affermare, in modo chiaro, l’esistenza costituzionale della nazione del Quebecco», ha proseguito. «La Costituzione riunirà tutte le nostre regole, tutti i nostri valori fondamentali in un’unica legge. Diventerà la legge di tutte le leggi».
La proposta di legge costituzionale comprende diversi emendamenti contrari alla vita, tra cui l’inserimento delle leggi sull’aborto e sull’eutanasia nella costituzione provinciale. La legge è stata approvata con 71 voti favorevoli e 30 contrari. «Lo Stato protegge la libertà delle donne di abortire», promette l’articolo numero 29.
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Il Quebecco ha recentemente confermato il suo sostegno all’aborto quando la Corte superiore provinciale ha stabilito che le “zone bolla” delle strutture per l’aborto sono incostituzionali, ma «giustificate».
Attualmente, la legge del Quebec impedisce l’attività di advocacy pro-life entro un raggio di 50 metri da qualsiasi struttura o sede di un’attività che offre di eseguire il feticidio. Tra le attività vietate rientrano anche scoraggiare una donna dall’aborto od offrire risorse alternative per aiutare la madre a tenere il bambino.
Inoltre, la legge promette di prendere di mira i malati e gli anziani attraverso l’eutanasia. La legge si impegna a garantire che «qualsiasi persona le cui condizioni lo richiedano abbia il diritto di ricevere cure di fine vita», un termine che include il ricorso all’eutanasia. Da notare come l’anno scorso era emerso uno studio sul Quebecco che rivelava che più di uno su dieci bambini abortiti nel secondo trimestre nasce vivo, ma solo il 10% sopravvive più di tre ore.
Allo stesso tempo, il Quebecco, una provincia notoriamente liberale, ha il tasso più alto di suicidio assistito in Canada.
La provincia ha registrato un aumento del 17% dei decessi per eutanasia nel 2023 rispetto al 2022, con il programma che ha causato la morte di 5.686 persone. Questa cifra elevata rappresenta un impressionante 7,3% di tutti i decessi nella provincia, collocando il Québec in cima alla lista a livello mondiale. Di conseguenza, si è avuto anche il rivoltante record per la predazione degli organi, con la triplicazione dei trapianti da vittime di eutanasia.
Come riportato da Renovatio 21, ad agosto l’Ordine dei medici del Quebecco ha dichiarato che l’eutanasia è un «trattamento appropriato» per i bambini nati con gravi problemi di salute. L’eutanasia per i neonati era stata sostenuta dai medici quebecchesi ancora tre anni fa, mentre è discussa apertamente l’eliminazione eutanatica dei malati di demenza.
Gli sforzi quebecchesi si iscrivono in un contesto globale in cui, come per un silenzioso ordine dipanato in tutta la Terra, vari Paesi a trazione progressista sta cercando di costituzionalizzare l’aborto, sulla scorta di quanto fatto da Emanuele Macron in Francia due anni fa.
Come riportato da Renovatio 21, anche il governo spagnuolo sta lavorando per sancire il diritto al feticidio nella Costituzione.
Un anno fa a Brusselle è stato approvato il progetto di inclusione dell’aborto nella Carta Europea. L’anno precedente gli eurodeputati avevano chiesto che il feticidio divenisse «diritto fondamentale».
Altri Paesi non marciano nella stessa direzione, Cinque giorni fa il Parlamento Olandese ha respinto una risoluzione che dichiarava l’aborto come «diritto umano», idea alla base di tanti progetti di enti transnazionali
Due mesi fa la Repubblica Domenicana ha riconfermato il divieto totale di aborto.
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