Necrocultura
Deindustrializzare per deumanizzare

Il direttore generale della Banca d’Italia Luigi Federico Signorini ha dichiarato in estrema tranquillità che, pur essendo d’accordo con le misure dei governi «per mitigare l’impatto immediato dei rialzi eccezionali dei prezzi energetici», bisogna pur ricordare che «tali prezzi devono crescere per raggiungere i nostri obiettivi di lungo termine nella transizione climatica, obiettivi che l’attuale transizione rende ancora più vitali».
«I relativi segnali di prezzo dovrebbero, in linea di massima, essere mantenuti, anche per bilanciare la domanda e l’offerta nelle attuali circostanze».
Potete rileggere, stropicciarvi gli occhi, rileggere ancora, il senso è chiaro. Gli aumenti non vanno cancellati – come si dovrebbe fare per mandare avanti un Paese già da anni in crisi sistemica – ma vanno «mitigati». Anzi, no, vanno mantenuti e basta: perché così il mondo diventerà più verde. Le vostre bollette impagabili hanno la funzione di cambiare il clima terrestre.
Quindi, le bollette assassine servono eccome. Per questo non si toccano.
Uscite come queste sono espressione di una linea di pensiero, e soprattutto di una ineludibile azione governativa transnazionale, che esiste da decenni.
Il succo è: deindustrializzare il pianeta per renderlo un posto più ecologico, che vuol dire più inospitale per la popolazione. Meno industria, uguale meno civiltà, uguale meno vita umana.
Gli esseri umani sono il cancro del pianeta, di cui l’ecologismo è la terapia, e il controllo della popolazione è invece la rimozione chirurgica della massa infetta.
Quindi: deindustrializzare significa deumanizzare.
Non ci vuole un genio a capirlo. Chi vi propina la chiusura della fabbrica (e del bar, del negozio, di tutto intorno a voi), magari indossando la maschera verde, lo fa eseguendo gli ordini degli arconti che odiano la riproduzione umana.
Chi parla di ecologia e di decrescita, chi gode dei consumi energetici divenuti insostenibili, in realtà odia voi e soprattutto i vostri figli: di qui il culto alimentato per gatti e cagnolini, oggi perfino titolari di «diritti». Loro. Un cane, in Occidente, rischia di essere più al sicuro di un bambino: basti pensare da un lato alle battaglie contro la sperimentazione sugli animali, dall’altro all’uso di feti squartati vivi per ricerche biomediche e farmaceutiche, e anche, come sappiamo, per qualche vaccino (tra parentesi, ci chiediamo ancora: a cosa servivano quei barili di feti ritrovati a Granarolo? Qualche movimento prolife si sta occupando di capirlo?).
Mentre si sostituiscono i bambini con gli animali, si sostituiscono le industrie con il niente, in attesa che non vi sia più nessun essere umano a chiedere conto di qualcosa.
Tuttavia, bisogna anche capire come il Padrone del Mondo non avanzi contro il lavoro moderno per tramite del luddismo. No. Non vuole distruggere la tecnologia: semplicemente, punta a ridurne l’impiego utile per la prosecuzione della vita (che consuma, che necessita di energia) implementandola e affinandola invece, sempre più mostruosamente, per modificare la vita, per manipolarla, se non per crearla addirittura ex novo.
Mentre chiudono le fabbriche, in varie parti del mondo procedono furiosamente gli esperimenti di bioingegneria CRISPR, che ci daranno bambini OGM più-che-hitleriani, in attesa che il superbebé certificato divenga obbligatorio come il calendario vaccinale.
Mentre falliscono le imprese, in varie parti del mondo continuano le ricerche sull’utero artificiale, magari con mega finanziamenti UE, in un processo che è ormai in dirittura di arrivo.
Mentre il prezzo della benzina rende insostenibile viaggiare in automobile, in varie parti del mondo si lavora alla gametogenesi, cioè la creazione di gameti a partire da qualsiasi cellula: così da avere uno spermatozoo da una donna e un ovulo da un uomo, o da un eunuco, o da persone a caso che nemmeno sanno che qualcuno sta generando una loro discendenza a partire da tracce lasciate nella camera d’albergo. Un urrà per le coppie monosessuali, e per tutto quel mondo reso sterile e ipotestosteronico da farmaci e sostanze chimiche.
Mentre le nazioni parlano di razionamenti e di blackout, in varie parti del mondo si fabbricano ibridi uomo-animale, con la nobile scusa dei «trapianti» (ovvero della predazione degli organi a cuore battente) e dello studio delle malattie.
Potremmo continuare: gli scienziati del mondo in decrescita lavorano senza tregua sulla biologia sintetica, sognano i mirror-humans, umanoidi artificiali dalla biochimica completamente invertita.
Quando diciamo deumanizzare, non stiamo parlando solo di una riduzione della quantità di vita umana presente sulla superficie terrestre. È la sostanza della vita, cioè la sua natura, che vogliono cambiare materialmente. Vogliono sostituire l’essere umano.
Il mondo deindustrializzato e deumanizzato è quello in cui più parte dei sopravvissuti non sarà più nemmeno umana. Questo è il programma. Questo è, forse, ciò di cui parla San Giovanni nell’Apocalisse, quando scrive di coloro «il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello immolato» (Ap 13, 8).
La nostra società va a pezzi con la nostra economia, e i vertici ne gioiscono, invocando dinanzi alla catastrofe il ruolino di marcia di Agenda 2030, ESG e altre meraviglie ONU.
Di fatto, ha ragione chi dice che questa è una nuova Holodomor: una fame artificiale sterminatrice creata dalle élite contro la popolazione.
In Ucraina, in realtà si gioca di nuovo questo gioco qui.
Anche qualora l’Europa facesse la pace con Mosca, il gas non sarebbe più possibile averlo – e questo dovrebbe dirci tutto su chi ha bombardato i Nord Stream.
Il risultato non cambia. Anzi, forse il progetto è ancora peggiore.
Distruggere la Russia significherebbe tappare le sue infinite risorse energetiche, quelle che fanno andare avanti le industrie, cioè l’economia, di tanta parte del mondo. Di nuovo, ciò dovrebbe indicarci con chiarezza perché il potere occidentale non voglia la pace in Ucraina, ma spinga sempre più per una guerra calda con i russi.
Distruggere la Russia per disumanizzare il pianeta.
Come non vedere da che parte della guerra sta il nemico dell’uomo?
Roberto Dal Bosco
Elisabetta Frezza
Animali
Le belve in terrazza. Per il sacrificio umano totemico

Abbiamo visto la forte presenza degli orsi in Trentino. Magari potete finirci pure contro in auto senza dovervi nemmeno avventurare nei boschi come successo pochi giorni fa a Villa Lagarina, a pochi chilometri da Rovereto nord.
Del resto a Calliano, ridente comune della stessa valle, già nel 2020 un signore si è ritrovato l’orso sul balcone: i plantigradi sono spesso ottimi arrampicatori. Quindi, con buona pace dell’idiozia animalista per cui è sempre l’uomo a importunare l’animale entrando di proposito o per sbaglio nel suo habitat naturale, gli orsi ci vengono a cercare nelle nostre case, nella nostra quotidianità, nel luogo dei nostri affetti.
E fossero solo gli orsi. La continua e pervasiva presenza del lupo non più solo in zone pedemontane, montane o boschive è senza precedenti.
Nessuno, pastori compresi, si sarebbe aspettato che i lupi potessero sferrare i loro attacchi a Valeggio sul Mincio, in piena campagna veronese, ai confini col mantovano, come accaduto qualche giorno fa o a pochi passi da Verona sud mentre nei paesi del Garda li si può ormai incontrare per strada.
Non c’è da stupirsi, è ciò che fanno i «grandi carnivori» e i nostri nonni o forse bisnonni e antenati lo sapevano bene tant’è che fino a qualche decennio fa difficilmente un lupo avrebbe osato avvicinarsi ad un centro abitato anche per non rimetterci la pellaccia.
Ora la musica è cambiata e chiunque, anche uscendo per andare a bere un bicchiere e giocare una mano di briscola all’osteria, può trovarsi davanti ad una belva in cerca per l’appunto di carne.
E così l’inquietudine e la paura serpeggiano tra trentini, veneti e non solo, tra gli escursionisti, gli appassionati di montagna, gli amanti delle passeggiate col cane, i cicloturisti della domenica.
Sembra dunque che, ai predatori bipedi che percorrono senza sosta grandi e piccoli centri urbani liberati dei governi europei ad assediarci ci siano pure le belve e vere e proprie, un pensiero che ci eravamo lasciati alle spalle da anni o addirittura da secoli.
La paura, il terrore, l’insicurezza diffusa fanno parte di una strategia di cui si è già parlato su Renovatio 21 che attiene al principio massonico dell’«Ordo ab Chao». Non ci deve essere pace e tranquillità nemmeno nei luoghi dell’escursione in montagna o della gita fuori porta.
Ma ci sono altri elementi di cui si è parlato in più occasioni, tra cui il ritorno del paganesimo e del sacrificio umano ad esso connaturato.
Gli animali totemici del paganesimo euro-asiatico, l’orso e il lupo, sembrano diventati intoccabili come mostra anche la sentenza del Tar di Trento che ha accolto le istanze degli animalisti impedendo la soppressione dell’orsa responsabile della morte di Andrea Papi.
Secondo un interessante articolo apparso in rete – un articolo che non esita a parlare di sacrificio umano nel caso della morte del ragazzo trentino – di orsi ve ne sarebbero addirittura 200 nella sola Provincia Autonoma di Trento, un numero impressionante.
L’articolo pubblicato dal sito Ruralpini menziona anche la «sfacciata propaganda istituzionale, pagata dal contribuente» in una situazione che appare gravissima, e tuttora pericolosa per gli esseri umani.
Nel frattempo l’offensiva animalista continua con minacce, intimidazioni, proposte di boicottaggio di prodotti trentini e commenti emblematici sui social media come quello secondo cui la vita di un orso vale più di quella di mille uomini.
Si tratta dell’ennesimo tassello di quella Cultura della Morte che impera in ogni aspetto della vita quotidiana.
È un odio senza fine contro la vita umana che porta a desiderare un mondo distopico dominato dalle fiere in cui l’uomo diviene la preda, la vittima.
È una bestemmia contro la Creazione Divina che ha dato all’uomo la custodia della terra e dei suoi essere viventi da far fruttare per il proprio sostentamento senza che, ovviamente, ne abusi.
È un’assurdità che nega la realtà per cui è l’azione umana, instancabile e coerente con i ritmi della natura ad aver creato quei paesaggi e quegli equilibri tra uomo e ambiente in cui sono cresciuti i nostri nonni.
I nostri benemeriti antenati non avrebbero esitato a difendere sé stessi e i loro cari da ogni tipo di belva, a due o a quattro zampe.
E noi, come ci vogliamo comportare?
Animali
Circondati dai lupi. Cosa vogliamo fare?

Il problema è che a breve non si parlerà più degli orsi. Si parlerà dei lupi. E non per un morto e, se va bene, un solo attacco all’anno, o due-tre.
No, potremmo cominciare a sentir parlare dei lupi a cadenza regolare, e per episodi raccapriccianti: bambini sbranati, bestie che si inoltrano sin dentro i giardini delle villette, poi dentro le case. È inevitabile, in realtà in larga parte sta già accadendo.
Ad Asiago c’è un gruppo Whatsapp dei cittadini che cercano di avvisarsi in caso di avvistamento: branchi di lupi sono passati dallo sbranare mucche e asini e animali domestici a farsi trovare direttamente fuori dai portoni delle case.
A Lucca, lo scorso 11 aprile, una signora è stata attaccata da un lupo che le ha morso la mano. Quattro mesi fa, un automobilista ne ha filmato uno per strada, nel Chianti. A Siena quattro anni fa un branco aveva attaccato un’azienda agricola colpendo 70 pecore.
A Sondrio un bambino di 10 anni ha trovato una cerva dilaniata a poca distanza dalle case. Era capitato anche nel pavese due anni fa, quando una telecamera di sorveglianza riprese un lupo sbranare un capriolo dentro il giardino di una casa.
A Cesena, è stato visto un lupo ieri, in mezzo alle case. Stessa cosa, due mesi fa, nel centro di Busto Arsizio.
A Romano d’Ezzelino, in provincia di Vicenza, a inizio mese i cittadini hanno visto il lupo in pieno giorno, in pieno centro.
Il vicentino sembra particolarmente colpito. Il lupo è stato visto a Schio, tra piante e radure a poca distanza dal Santuario di Monte Berico, a Monteviale, piccolo comune collinare fatto di cascine e belle case. Chiunque ami fare delle passeggiate nella natura con i propri figli finisce per fare quel pensiero.
«Non hanno più timore di avvicinarsi agli insediamenti umani» ha detto una veterinaria al quotidiano milanese La Verità. «Anche perché non hanno nessun motivo per averne».
I numeri del fenomeno sono impressionanti. Vi sarebbero 3.300 lupi in tutta Italia, un esercito ululante e spaventoso che ha già una sua mitologia: sarebbe sorto dall’incontro, nel 2011, tra Giulietta, una lupa della Lessinia, e Slavc, un lupo che, ci dicono, sarebbe migrato spontaneamente dalla Slovenia – tutti insistono sul fatto che i lupi non sono stati reintrodotti artificialmente, si tratta, assicurano, di fake news.
Le cucciolate di Giulietta con suo Romeo sloveno e la loro discendenza si sarebbe diffusa a macchia d’olio: Friuli, Veneto, Lombardia, Trentino, anche Emilia-Romagna.
Solo nel Bellunese ci sarebbero 17 branchi per un totale di 120 lupi. Quando due anni fa ad Auronzo di Cadore un automobilista fece un video mentre un branco gli correvano davanti in strada, vi fu scandalo: le associazioni animaliste chiesero l’identificazione dell’uomo; il PD veneto, dopo aver parimenti chiesto con un’interrogazione in giunta regionale di individuare l’automobilista, secondo il servizio TV parlò di «folle inseguimento che deve essere punito (…) un episodio vergognoso e gravissimo», anche perché, avrebbero detto i democratici, le temperature rigide, la rottura del branco e la tanta fatica fatta, quegli animali sarebbero andati «sicuramente incontro alla morte».
Di certo sappiamo che a morire, più che i lupi inseguiti, ad Auronzo sono i cervi, trovati sbranati dai lupi – uno dei quali colto sul fatto – neanche due settimane fa, ma anche lo scorso settembre, il pony di una bambina 13enne, massacrato dai lupi. «Succede spesso, ma nessuno parla per non spaventare i turisti» ha dichiarato il titolare di una malga.
Se c’è del vero il mito fondativo lupino di Giulietta e Slavc, che da due che erano hanno lanciato la procreazione di 3.300 lupi in dieci anni, dobbiamo aspettarci una esplosione esponenziale che porterà la presenza sul territorio di decine di migliaia di belve – creature aggressive che, lo stanno dimostrando, non hanno alcuna paura dell’uomo.
A quel punto, gli incontri tra uomo e lupo saranno inevitabili – ed estremamente frequenti.
Gli attacchi dei lupi saranno sconvolgenti, perché, a differenza dell’orso, il lupo è un animale non esattamente timido. E ama con evidenza quello che gli anglofoni chiamano, overkill, o surplus killing: ammazza altre creature e poi le lasciano là, sbrana non più per fame, ma per altre pulsioni ferali (qualcuno dice, «per sport»). È possibile vedere il fenomeno negli attacchi agli allevamenti: i lupi uccidono più pecore di quante ne riescono a mangiare.
E chi saranno le vittime? Dicono che i bambini sono a rischio, perché i lupi li vedono come bestie della loro altezza, e non escludo che siano in grado anche di valutare il loro essere indifesi perché «cuccioli» (è il linguaggio della natura per moltissime specie: i cuccioli li riconosci immediatamente dalle forme arrotondate, gli occhi grandi, in alcune specie la loro visione depotenzia l’aggressività, altre invece ne stimolano gli istinti predatori). Pensiamo anche che gli anziani, con meno agilità e forza per difendersi (cosa che un lupo forse può odorare: qualcuno sostiene che i canidi possano sentire la presenza di testosterone negli umani), potrebbero divenire vittime della popolazione lupesca.
Vecchi e bambini come prime vittime: non diversamente da certe stragi psicopatiche che stiamo vedendo di recente. Non diversamente dal principio della crudeltà che vuole i deboli attaccati subito dal predatore.
Come è possibile, quindi, tollerare il ritorno del lupo? Com’è possibile che nessuno sia sconvolto dallo scenario che si sta aprendo dinanzi a noi?
Qualcuno, al di fuori dei canali ufficiali, sembra ci stia pensando. Vi è stata una reazione tremenda pochi mesi fa a Samolaco, in Val Chiavenna: su un cartello stradale qualcuno ha issato la testa di un lupo decapitato, con un messaggio forte: «I professori parlano, gli ignoranti sparano».
Stessa cosa nel 2014, in Maremma. Venne rivenuta una testa di lupo mozzata, attaccata ad un palo ai piedi del bosco. Qualcuno disse che erano cacciatori, o contadini della zona. In verità i misteriosi autori avevano lasciato una firma: «Cappuccetto Rosso».
La favola di Cappuccetto Rosso, che ha diversi piani di lettura, è nota per un fatto che nel tempo ha un po’ inquietato: nella sua prima versione scritta, quella di Charles Perrault (1697), non vi è alcun lieto fine. Il lupo divora la nonna, inganna la bambina, e si mangia anche quella. Il lupo vince: i vecchi e i bambini vengono divorati. Il lieto fine sarebbe stato apposto solo più tardi, nelle versioni dei fratelli Grimm (1812), che immaginano l’arrivo di un cacciatore che uccide il lupo e lo sventra, salvando così la nonna e Cappuccetto Rosso.
Cappuccetto Rosso ci riporta ad un tempo in cui il lupo era praticamente inevitabile: l’Europa era un grande, infinito bosco, nel quale, secondo la battuta, una scimmia poteva salire su un albero a Lisbona e scendere a terra a Roma. Secoli di lavoro – secoli di civiltà cristiana – hanno umanizzato il territorio, eliminando per l’uomo la possibilità di essere ucciso e divorato dalle fiere.
Ora lo Stato moderno ripopola le terre degli uomini dei suoi predatori, quelli con cui la convivenza – attestano le favole, le tradizioni, le Sacre Scritture – è impossibile.
Si tratta di una verità che si può estendere ben al di là del ritorno delle bestie feroci nei nostri spazi. Pensiamo a quello che ci sta intorno. Speculazione finanziaria, politica tirannica, farmaceutica totalitaria, ladri e rapinatori lasciati indisturbati, pedofili nascosti nelle pieghe delle più alte istituzioni. La Cultura della Morte informa il mondo moderno, è esattamente il sistema operativo che rende possibile la violenza dei predatori sugli innocenti.
Sono lupi coloro che stanno ai vertici dei poteri occidentali, che sacrificano senza batter ciglio gli interessi del popolo e la stessa vita umana.
Sono lupi perfino i pastori della religione, che invece che guidare e proteggere il gregge sembrano volerlo divorare e dimenticarne le carcasse.
Siamo circondati dai lupi, in ogni senso possibile. Siamo in compagnia dei lupi e tendiamo, per quieto vivere, a dimenticarcene.
Quindi: che cosa intendiamo fare?
Quale finale vogliamo per la favola di Cappuccetto Rosso che è diventata la vita nostra e quella dei nostri bambini?
Roberto Dal Bosco
Necrocultura
Roulette sessuale con aborto incorporato: le ragazze disintegrate dalla Necrocultura

I giornali italiani stanno iniziando a parlare di una nuova moda che corre tra le giovani sui social: fare sesso con sconosciuti cercando di non rimanere incinte. Qualora ciò avvenisse, si deve provvedere subito con l’uccisione del bambino concepito nella sfida elettronica. Così, immaginiamo, da essere magari pronte a ripartire.
«Su episodi di questo tipo sta indagando anche la Procura di Brescia, dipartimento Soggetti deboli, che ricordiamo ha competenza distrettuale anche sulle province di Bergamo, Cremona e Mantova» scrive Brescia Today. «Il caso della “sex roulette” è solo il più recente di una vasta gamma di “challenge“, anche pericolosissime».
Il pensiero va alla controversa storia della Blue Whale, una serie di sfide che finisce con il suicidio del giovane che le intraprende. Ma ve ne sono molte altre, popolari anche decenni fa, ma ora esplosa con smartphone e social media: spostarsi all’ultimo momento prima che un’auto ti colpisca, la «Skull Breaker challenge», in cui di persone calciano le gambe di una terza, facendola rovinare violentemente a terra, ma anche il «knock-out game», di cui si era sentito qualche anno fa, che consisteva nel piazzare un pugno in faccia ad uno sconosciuto di passaggio, di solito facendolo crollare a terra privo di conoscenza.
Tuttavia il carattere sessuale e riproduttivo della «sex roulette» ci impressiona.
Per primo perché mostra a il livello di disintegrazione della decenza, del pudore femminile innestato dalla Rivoluzione sessuale: non si tratta più solo di poligamia, ma di promiscuità gratuita e belluina vissuta come valore da esibire. L’indecenza come virtù: e il sesso come giochino che nulla ha più di privato, di intimo.
In secondo luogo, la «sex roulette» ci dimostra fino a che punto la società sia desensibilizzata nei confronti dell’aborto. La retorica abortista per cui «un aborto è sempre una sconfitta» è oramai sepolta. L’aborto è un gioco, è un sistema contraccettivo di ultima istanza perfino preferibile agli altri anticoncezionali (che forse le nuove generazioni cominciano a trovare non ideali, come vediamo nel caso del rifiuto della pillola da parte delle millennial).
Di più: l’aborto come «preservativo», pure spendibile per gioco – ed esibito sui social. Anche questo è un avanzamento ulteriore nell’abisso della Necrocultura: sono esistite, negli anni, donne che rivendicavano, talvolta in modi lugubri assai (la politica italiana che mostrava il feto nel barattolo ce la ricordiamo), ma erano tutte femministe, e l’esibizione del feticidio era un atto ideologico.
Qui l’ideologia non esiste più, perché totalmente spalmata sul sentire comune: uccidere il bambino non è più un fatto politico, né un dramma personale, è un’attività personale qualsiasi, come andare dal dentista, o – per essere più precisi – farsi un tatuaggio.
Perché il bambino, in tutto questo, non è nemmeno lontanamente considerato: le ragazzine non lo considerano tale, o forse – e qui entriamo nella regione più oscura della mutazione della Civiltà in corso – lo considerano spendibile, perfino in una sfida cretina con le proprie amiche. Sacrifici umani, anche per gioco. Sì.
Non è qualcosa che possiamo aspettarci da una società che, senza batter ciglio, si è fatta iniettare un siero genico sperimentale ottenuto con linee cellulari da aborto. Anche quei bambini morti per la farmaceutica non hanno fatto perdere il sonno a nessuno, né alle autorità civili né a quelle religiose – che, anzi, non hanno perso tempo a infliggere alla popolazione la pozione fatta, come ai tempi della stregoneria, con pezzi di bambino abortito.
E quindi: se si può uccidere un bambino non nato per un farmaco, perché non potrebbe essere giusto farlo per una challenge sui social media? Del resto, se non si tratta di esseri umani, che differenza può essere mai?
Un anno fa Renovatio 21 ha pubblicato un articolo intitolato «La Necrocultura vuole distruggere la donna». In esso dettagliavamo il crollo del senso della maternità, descrivendolo con toni apocalittici, perché «sì, la donna è il fulcro della Civiltà umana».
«Bisogna riconoscere che la donna è, oramai da secoli, l’obbiettivo degli attacchi di chi la Civiltà umana vuole distruggerla», scrivevamo. «Il mondo moderno è il calcolo della rovina della donna. La sua degradazione è programmatica, continua, inesausta».
Il progetto è contenuto nella corrispondenza di alti esponenti della setta massonica ottocenteschi. Ne parla quel libro fondamentale che è Il problema dell’ora presente di monsignor Henri Joseph Delassus (1836-1921).
«Per abbattere il cattolicismo, bisogna prima sopprimere la donna. La frase è vera in un senso, ma poiché non possiamo sopprimere la donna, corrompiamola» dice «Vindice», in francese Le vengeur, uno dei cospiratori di cui monsignor Delassus intercetta i messaggi.
Corrompere la donna, per distruggere la vita – per attaccare Dio. Questo è il senso della Necrocultura. Questa è la cifra del mondo moderno – che altro non è se non il prodotto della Cultura della Morte. Questo è ciò che sta dietro ad ogni nuova demenza giovanile, ora divenuta più assassina di quella vista in Arancia Meccanica.
Dice Gesù: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona» (Luca 11, 29). Il «segno di Giona», secondo le interpretazioni, sarebbe la Fede nel Risorto.
È così: solo la Fede può porre fine a questo abisso di sangue, crudeltà, stupidità. Solo la Fede può salvare la Vita e la Civiltà.
Roberto Dal Bosco
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