Necrocultura
Un altro feto trovato nel cassonetto. Volete davvero credere alla favola del disagio sociale?
Due giorni fa è stato rinvenuto un feto di poche settimane in un cassonetto situato in un parco a Parona, un comune della Lomellina nei pressi di Vigevano, in provincia di Pavia.
L’individuazione è avvenuta grazie agli operatori ecologici impegnati nelle operazioni di pulizia dell’area. Durante la loro attività di svuotamento dei cestini lungo via Papa Giovanni XXIII, il feto è emerso dal cassonetto.
Si tratta esattamente della trama della canzone Cassonetto differenziato (1989) di Elio e le Storie Tese, quella che ipotizzava una raccolta differenziata per i feti, vista la quantità di casi che finivano sui giornali: «lo spazzino è più sereno/ e poi si impressiona meno». Trentacinque anni fa già questo tipo di eventi seguiva un pattern molto riconoscibile, al punto da divenire una canzone satirica.
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Conosciamo, ad ogni modo, anche il ruolino di marcia delle cronache di situazioni come questa: secondo quanto riportano all’unisono i giornali locali e nazionali, i carabinieri sono stati tempestivamente contattati e si sono recati sul luogo. Possiamo annunciarvi che, nonostante si parli di telecamere ed altro, con molta difficoltà verrà trovato chi ha lasciato lì il bambino. Ad oggi, non abbiamo presente di casi di «scagliatrici di feto nel cassonetto» (cit. sempre Elio) identificate ed arrestate (e a dire il vero, non siamo nemmeno sicuri che si tratti di donne).
Torniamo alle cronache fetali pavesi: il feto, delle dimensioni di dieci centimetri, è stato affidato agli esperti dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Pavia per essere sottoposto a esame, è stato riportato. La cosa potrebbe creare una certa dissonanza cognitiva: il lettore sa che in certi casi – come quelli degli enigmatici feti imbarattolati disseminati in tutto il Paese – inizialmente si sospetta proprio di ospedali ed università, da cui «il residuo» potrebbe essere uscito. Abbiamo appreso anche che il giallo dei bidoni gialli di Granarolo, dove furono trovati feti umani, si risolse esattamente con l’Università che ne chiese la restituzione, e la procura che ne dispose il dissequestro. (Altro non ci è dato sapere: quanti erano, perché erano lì, a cosa servivano, chi erano… tutte domande che ci rimangono addosso)
Le cronache, in coro, continuano informandoci che date le sue ridotte dimensioni, si suppone che la gravidanza della madre del bambino del cassonetto pavese sia stata breve,
Nessuno osa ovviamente specificare come sia possibile che il bambino, che si presume sia uscito intero dal grembo materno, possa essere finito lì: vi sarebbe da fare la dolorosa ammissione per la quale – è la possibilità meno allucinante – il bambino sia uscito con la RU486, la pillola dell’aborto domestico che permette di espellere il feto integro, in genere nel water, pronto per farlo viaggiare nelle tubature giù giù sino alle fogne, dove sarà divorato da pantegane, batraci e pesci coprofagi, magari pure qualche insetto goloso che apprezza la carne umana tenera e i concentrati di staminali.
La RU486 – che qualcuno giustamente ha chiamato «il pesticida umano» – permette di far uscire integri dal grembo materno questi bambini minuscoli, ma mica questo orrore può essere detto pubblicamente (la storia dei bambini divorati nelle sentine, che Renovatio 21 va ripetendo da anni, dove altro credete di poterla leggere?), perché la pasticca della morte va sdoganata sempre più: ricorderete il ministro Roberto Speranza (quello che adesso ha qualche problemino nel presentare i suoi libri in giro per l’Italia, dove lo aspettano alcune persone che ha fatto vaccinare genicamente) e la sua spinta, in pieno lockdown, per la distribuzione più libera della pillola dell’aborto fai-da-te, da rifilare alle donne senza ricovero. Di nostro possiamo dire che più di una decina di anni fa abbiamo visto politici sedicenti pro-life – ancora in circolo, presso pure le alte sfere – votare a favore della distribuzione ampliate del pastiglione omicida.
Ciò detto, non è per parlarvi della RU486 – ora distribuita su internet anche per impulso civico delle femministe americane, sconvolte dalla defederalizzazione dell’aborto subita due anni fa tramite la sentenza della Corte Suprema USA Dobbs v. Jackson – che scriviamo queste righe.
In realtà, non è nemmeno per parlare dell’aborto – o meglio, per cercare di raccontare, una volta di più, che oramai siamo convinti di come esso sia solo un pezzo del puzzle, e il puzzle è talmente mostruoso che non c’è film o libro che lo abbia anche solo concepito.
In breve, abbiamo maturato la convinzione che il ritrovamento di feti in luoghi improbabili e degradanti – o misteriosi, inspiegabili – non sia un fenomeno spontaneo, una storia spiegabile con le categorie che ci forniscono giornali e politici – di sinistra, di destra, abortisti, pro-lifi.
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La narrazione, che perdura dai casi di feto nel cassonetto che avanza dagli anni Ottanta, vuole farci pensare che l’abominevole atto è un segno di degrado. Si tratta di persone povere, disperate. Forse una donna che non può permettersi di avere un bambino, o che non vuole averlo perché vive in un appartamento dove il patriarcato le imporrebbe di divenire madre. Cose così.
Insomma: lo shock del feto trovato nella spazzatura serviva a consolidare l’aborto di Stato, ad estenderlo: se la donna avesse abortito avremmo evitato di scandalizzare il netturbino («Ma mettetevi nei panni di chi / il cassonetto pulisce / mi trova e non capisce / il perché di tanta inciviltà / poi scende in piazza e sciopera / e la colpa è anche un po’ tua / se non ti batti per un mondo migliore / in cui una madre sappia dove gettare il bebè»: sono i realistici versi di Elio).
Logica ferrea: fai a pezzi il bambino dentro il grembo materno con il metodo Karman (facendolo diventare un rifiuto ospedaliero, o in certi casi materiale da esperimento) invece che farlo trovare poche settimane dopo nell’immondizia. Non una grinza: come diceva una filastrocca delle scuole medie, «era meglio morire da piccoli / con i…»
Il problema è che oggi tutta questa teoria non tiene più. Il bambino non è nato, è stato fatto uscire dalla madre prima, integro, quando era lungo poco più di un dito – eppure, già perfettamente umano, già Imago Dei.
L’aborto è libero, liberissimo: consentito dalle autorità anche senza essere incinte (è successo), celebrato come grande conquista sociale dalla stampa, dalla politica (tutta!), glorificato da fiction e serie TV. Perché mai allora, continuiamo a trovare feti nel cassonetto?
Se qualche voce «laica» ora si alza per dire che è per colpa del clima intollerante causato dalla chiesa cattolica, può tacersi anche subito: perché sappiamo come Roma non solo non abbia intenzione in alcun modo di andare contro la legge di figlicida (abbiamo cardinali che lo hanno pure dichiarato, e casi sussurrati di confessori che consigliano la procedura a fedeli disperate) ma come abbia fatto di tutto per infliggere il mondo un prodotto che dall’aborto è derivato, il vaccino COVID (e prima ancora, altri vaccini, tutti – come sa il lettore che ci segue negli anni 0 ottenuti con cellule di aborto). Il Vaticano sapeva, ma ha fatto spallucce.
E quindi? Se non si tratta di disagio, dramma sociologico, di repressione del diritto umano all’ammazzare la propria discendenza, cosa sono questi feti nei cassonetti?
Quello che pensiamo noi, adesso, è che siano essenzialmente dei segni. Non sono stati abbandonati, sono stati piazzati. Sono delle puntine su una mappa oscura, sono capitelli di un territorio letto secondo una mistica del male. Sono antenne, amuleti, sono prove di un sacrificio avvenuto sopra una determinata zona del Paese.
Chi li mette? Qualcuno che concepisce l’aborto, o meglio l’uccisione della vita umana innocente, come una realtà da rendere simbolo ripetibile distribuito sul territorio.
Immaginate tutte quelle vecchie chiesette, anche minuscole, ora deserte, che vedete un po’ ovunque. Immaginate che lì vi è un altare, che serve per il sacrificio di Dio per l’uomo. Invertite tutto: ecco che bisogna puntellare la Terra del segno del sacrificio dell’essere umano per il dio – o meglio, per il demone.
Si può trattare, quindi, di una sorta di pratica satanica, o forse perfino«post-satanica», di cui non abbiamo mai sentito nulla, perché tenuta davvero segreta da chi la pratica?
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Abbiamo ipotizzato questa spiegazione per la storia dei feti in barattolo rinvenuti nel corso di più decenni in vari luoghi improbabili, spesso nel verde: campi, argini dei fiumi, aiuole urbane, cimiteri. Probabilmente, siamo stati i primi a cercare di unire i puntini di questi casi: chi può avere interesse, nell’arco di trenta o quaranta anni, ad abbandonare vasetti con bambini dentro a Nord e Sud, in città e in campagna? Come può trattarsi di un unico soggetto che lo fa?
Ora stiamo cercando di allargare la medesima idea ai bimbi nei cassonetti. Forse non si tratta di donne disperate, a cui gli obiettori di coscienza cattivi hanno negato l’accesso al feticidio. Non si tratta di degrado sociale, non si tratta di quelle storie brutte che ci fanno allargare le braccia e dire «ma dove andremo a finire», così da spingerci sempre più dentro il nostro bozzolo domestico.
Forse non è una storia che potete ancora immaginare. Perché potrebbe essere talmente spaventosa da dover essere tenuta segreta – sia da chi la pratica, che da chi forse lo ha capito, ma non può dirlo, vuoi perché teme il panico sociale che potrebbe scatenare, vuoi perché forse qualcuno in alto desidera che continui, perché parte di un meccanismo, di un accordo indicibile.
Mentre meditate dentro questo abisso, abbiate una certezza: quella di non credere più, nemmeno per un secondo, a quanto vi dicono sull’aborto i politici, i giornali, i pregatori seriali, i pro-life a caccia dei vostri soldini.
Rifiutate del tutto chi vuole farvi fissare il dito invece che la luna di sangue che è sopra tutti noi.
Roberto Dal Bosco
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Immagine ottenuta con immagini su licenza Envato
Bioetica
Bambina partorita nel water. Chi si scandalizza sa che la RU486 fa la stessa cosa?
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Necrocultura
L’arcidiocesi inizia a offrire opzioni di sepoltura «ecologiche»
L’arcidiocesi di Chicago ha svelato le prime opzioni di sepoltura «ecologiche» in uno dei suoi cimiteri, citando un «riflesso di una crescente coscienza ambientale tra gli americani».
Verso la fine della scorsa settimana, l’arcidiocesi cattolica di Chicago ha annunciato l’introduzione di una «opzione di sepoltura naturale» che offrirà «inumazioni ecologiche». Lo riporta LifeSite.
«Siamo onorati di offrire una nuova opzione di sepoltura naturale che non solo rispetta l’ambiente, ma è anche in linea con gli insegnamenti cattolici per trattare il corpo umano con dignità», ha annunciato Ted Ratajczyk, direttore esecutivo dei cimiteri cattolici dell’arcidiocesi di Chicago. «Questa iniziativa riflette il nostro impegno nel fornire scelte che onorano la dignità della vita, le esigenze della nostra comunità e i valori della nostra fede».
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Catholic Cemeteries Chicago scrive sul suo sito web che «le sepolture naturali rinunciano a fluidi per imbalsamazione aggressivi, bare tradizionali e contenitori per sepoltura esterni a favore di materiali biodegradabili, fibre organiche e tecniche di imbalsamazione ecologiche. Ciò riduce al minimo l’impatto ambientale e al contempo onora il ciclo naturale della vita e della morte».
La sepoltura presumibilmente «ecologica» fornirà «alle famiglie modi nuovi e significativi per onorare i propri cari», ha affermato l’arcidiocesi, aggiungendo che è stata la prima diocesi cattolica nello stato dell’Illinois a offrire tale opzione.
I lotti di sepoltura «ecologici» saranno situati su un acro di terra che l’arcidiocesi ha appositamente riservato nei prati presso il cimitero di San Michele Arcangelo a Palatine.
Annunciando il terreno appositamente designato, l’arcidiocesi ha affermato che l’area «offrirà uno spazio sacro e meraviglioso per una riflessione tranquilla e un contatto con la natura, dove le famiglie potranno fare visita e ricordare i propri cari».
«L’ambiente tranquillo sarà caratterizzato da sentieri tortuosi, piante autoctone e un mix di prati e terreni forestali», ha aggiunto l’arcidiocesi.
Le cosiddette sepolture «naturali» o «verdi» stanno diventando sempre più popolari nella società laica, e ora stanno riscuotendo successo anche tra i membri della Chiesa cattolica. L’arcidiocesi di Chicago ha descritto il processo come uno che “sottolineerebbe la semplicità e la responsabilità ambientale consentendo al corpo di tornare alla terra in modo naturale».
«La pratica», ha aggiunto l’arcidiocesi del cardinale Cupich, «è in linea con gli insegnamenti cattolici sulla sacralità della vita e sul rispetto per l’ambiente e onora la fede cattolica nella Resurrezione, il ciclo di morte e rinascita».
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Descrivendo una sepoltura «naturale» come «un ritorno alla tradizione», il gruppo dei cimiteri ha affermato che la «Chiesa cattolica consente la sepoltura naturale, poiché è in linea con le pratiche funerarie cattoliche tradizionali ed è stata la norma per la maggior parte della storia umana. La Chiesa incoraggia il trattamento rispettoso del corpo e la sepoltura in luoghi sacri consacrati».
Invece di utilizzare una lapide verticale per ogni tomba, una tomba naturale utilizzerebbe un «monumento a livello del prato, un masso inciso o un masso con una targa in bronzo».
Piuttosto che un cimitero formale con tombe posizionate a distanze misurate, il sito Meadows of St. Kateri rappresenterà un campo, pieno di vegetazione naturale e di fauna selvatica: «i nostri cimiteri naturali offrono una splendida area per una riflessione silenziosa e un contatto con la natura. L’ambiente tranquillo presenta sentieri tortuosi, piante autoctone e un mix di prati e terreni forestali».
L’arcidiocesi di Chicago ha spiegato ulteriormente la sua nuova mossa facendo riferimento a una «crescente coscienza ambientale tra gli americani» che devono defungere.
Citando un rapporto del 2023 della National Funeral Directors Association, l’arcidiocesi chicagoana ha citato il riepilogo del rapporto per affermare che «il 60% sarebbe interessato a esplorare opzioni funerarie “verdi” a causa dei loro potenziali benefici ambientali e risparmi sui costi, rispetto al 55,7% del 2021».
Il suggerimento di Chicago di sepolture «verdi» non è una novità tra le diocesi cattoliche degli Stati Uniti. Nel 2021, l’allora arcivescovo ordinario locale Michael Jackels di Dubuque raccomandò ai cattolici di usare metodi meno «offensivi» per seppellire i morti.
Criticando sia la sepoltura che la cremazione perché presumibilmente non sono ecologiche, Jackels ha raccomandato di liquefare un cadavere. Ciò implicherebbe la combinazione di «acqua calda, liscivia, pressione dell’aria e circolazione» per «liquefare un cadavere in poche ore, che può poi essere tranquillamente versato nel terreno».
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Dell’acquamazione, Renovatio 21 aveva già parlato: la scelta fatta dal vescovo anglicano-mandeliano Tutu, che per non inquinare (bruciare un corpo produce CO2) ha voluto far dissolvere il suo corpo nell’acido, un po’ come accadeva, viene da pensare alle povere vittime della mafia Matteo Messina Denaro. Secondo quanto è dato di capire, i resti liquidi del cadavere vengono quindi gettati in fogna.
Il monsignore aveva anche suggerito il «recompositing», o ricomposizione, un metodo in cui il corpo «viene posto in un contenitore, coperto con trucioli di legno, paglia ed erba medica, usando il calore per uccidere i contagi e il flusso d’aria per la decomposizione. Dopo un mese, il risultato è terra».
Come riportato da Renovatio 21, l’ecologismo alla base «compostaggio umano» prevede nientemeno che la trasformazione del corpo del defunto in concime, che poi viene dato ai campi coltivati. Più Stati americani hanno già leggi in merito. Qualche lettore può capire che si tratta, di fatto, di reintrodurre il corpo umano nella catena alimentare: il prossimo passo potete dire voi quale potrebbe essere.
Jackels ha difeso l’idea controversa, dicendo che «la Chiesa chiede solo che il corpo sia trattato con rispetto e che venga deposto in un luogo benedetto dal clero, che sia nella terra, nell’acqua, nel fuoco o nell’aria, in un cimitero o meno». In una dichiarazione rilasciata l’anno scorso, intitolata «Sulla corretta disposizione dei resti corporei», la Conferenza episcopale degli Stati Uniti (USCCB) ha condannato la distruzione di corpi umani deceduti tramite compostaggio.
Attualmente, 12 stati degli Stati Uniti, tra cui Washington, Colorado, Oregon, Vermont, California, New York, Nevada, Arizona, Maryland, Delaware, Minnesota e Maine, hanno legalizzato la pratica del compostaggio dei defunti.
Nel 2016, il documento Ad resurgendum cum Christo della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) ha continuato ad allontanarsi dalla tradizionale condanna della cremazione da parte della Chiesa, diffusasi a partire dal Concilio, e liberalizzata, bizzarramente, come primo atto dall’elezione di Paolo VI.
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Tuttavia, il documento continuava a stabilire che la Chiesa «raccomanda insistentemente che i corpi dei defunti siano sepolti nei cimiteri o in altri luoghi sacri», con una sepoltura tradizionale che è «il modo più appropriato per esprimere fede e speranza nella risurrezione del corpo».
La Chiesa «non può, pertanto, tollerare atteggiamenti o permettere riti che implichino concezioni erronee sulla morte, come quella di considerarla come l’annientamento definitivo della persona, o il momento della fusione con Madre Natura o con l’universo, o come una tappa nel ciclo della rigenerazione, o come la liberazione definitiva dalla “prigione” del corpo», ha dichiarato la CDF.
La cremazione è passata per lo sdoganamento cattolico definitivo quando l’anno scorso Bergoglio decise di omaggiare il defunto ex presidente comunista piddino, pure chiamato per qualche motivo «Re Giorgio», dichiarato falsamente dai diffusori di fake news come possibile figlio biologico di Umberto II di Savoia, Giorgio Napolitano nella Camera Ardente.
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Il cardinale, la DC e lo sterminio degli italiani
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