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Necrocultura

Feto in barattolo trovato fra i cespugli. Rito satanico o rifiuto sanitario, è sempre guerra all’Imago Dei

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Accade a Bassano, piccola e ricca cittadina in provincia di Vicenza. Il fatto risale ad una settimana fa, ma la notizia, forse perché un po’ scioccante, è stata data solo da poche ore.

 

Secondo quanto riportato dalle cronache, i carabinieri stavano conducendo un’operazione antidroga, andando a cercare luoghi dove gli spacciatori potrebbero nascondere gli stupefacenti.

 

Ecco che durante il setaccio, dietro un cespuglio, gli agenti fanno una scoperta agghiacciante: un barattolo, con dentro un essere umano grande quanto il palmo di una mano. Un feto di sei mesi, conservato in un liquido che probabilmente è formalina. Parte la segnalazione alla procura di Vicenza.

 

«Un feto nel cespuglio. L’ipotesi di riti satanici» è il primo titolo del quotidiano locale, Il Giornale di Vicenza, che parla di possibile «pista del satanismo». «Il timore è che dietro al ritrovamento possa celarsi un mercato clandestino destinato a qualche setta per effettuare riti occulti». Altre testate regionali e nazionali seguono. Non è immediatamente chiaro da dove i giornalisti traggano questa prospettiva.

 

Buttare lì l’idea che in zona, oltre ai pusher, operi evidentemente una setta diabolica è un po’ tanto da digerire per il cittadino che paga le tasse e compra i giornali per sentirsi protetto e rassicurato.

 

Ecco che infatti la cosa dura poco. L’indomani, lo stesso giornale titola «Il feto nascosto nel cespuglio a San Giorgio. Sfuma la pista satanica».

 

«Pochi i dettagli trapelati ieri nell’ambito di questa delicata indagine: il ritrovamento è avvenuto in particolare in contra’ San Giorgio di Bassano e a quanto pare la pista del satanismo, che pure in un primo momento era stata giudicata plausibile per giustificare una presenza tanto macabra, starebbe via via perdendo credibilità, anche perché nei paraggi non sono stati trovati altri indizi, come candele, segni e quant’altro» scrive il seguitissimo quotidiano locale.

 

La storia, a questo punto, vira su tutt’altro versante, quello della Sanità pubblica, che – almeno sulla carta – è molto meno inquietante. «La procura della Repubblica di Vicenza sta indagando per il reato di illecito smaltimento di rifiuti speciali di tipo sanitario» viene detto, epperò viene respinta l’ipotesi che venga dal vicino ospedale, che nei mesi scorsi avrebbe subito un furto.

 

Quindi: non sono satanisti, ma nemmeno le strutture sanitarie di zona.

 

E quindi, da dove viene questo bambino, asportato dal ventre materno quando era quasi considerabile a termine?

 

La figura umana, a quanto ci è dato di capire, sarebbe integra, e non fatta a pezzi come avviene con i normali aborti chirurgici operati nei nostri ospedali a carichi del contribuente. Perché quindi è conservato nel barattolo?

 

Il luogo in cui è stato ritrovato non fa pensare in nessun modo ad un tentativo di disfacimento. Perché era stato piazzato in quell’area, in quel cespuglio?

 

Bisogna considerare che, in fondo, la pratica è più comune di quanto si possa pensare. L’ex ministro e Commissario Europeo Emma Bonino, eterna figura della politica italiana pure candidata da Monti alla Presidenza alla Repubblica, partecipava ad aborti clandestini prima della legge 194/78 – così come l’attuale ministro della Famiglia del governo Meloni, e poi rivendicava l’uso dei barattoli per il feto abortito.

 

In un’intervista a Neera Fallaci, sorella di Oriana, pubblicata su Oggi nel 1976 la grande amica di George Soros diceva, descrivendo il cosiddetto metodo Karman (quello che aspira il feto, facendolo a pezzi), che «prima di tutto occorre un vaso, ermeticamente chiuso, dove si crea il vuoto e dove finisce il contenuto dell’utero che viene aspirato con la cannula. Io uso un barattolo da un chilo che aveva contenuto marmellata (…) alle donne non importa nulla che io non usi un vaso acquistato in un negozio di sanitari, anzi è un buon motivo per farsi quattro risate».

 

Ma mica è solo la Bonino – anzi, tanta altra gente ha esibito i feti in un barattolo. Negli anni, molto si è scritto della collezione di stranezze dell’artista americano Joe Coleman, tra cui un feto deforme in vaso di vetro che questi dice di aver adottato con il nome di Junior – di questo bambino in barattolo esiste una foto con un giovane Leonardo di Caprio.

 

Credo di ricordare, andando dietro di lustri, un qualche libro del giro cattolico italiano, dove si parlava dei feti in barattolo che, se esibiti, possono avere effetti positivi, mostrando macabramente al pubblico delle conferenze che si parla di esseri umani  e non di «grumi di cellule» – ho cercato a lungo tra i miei libri, non trovo il riferimento, tuttavia bisogna capire come in anni passati il feto imbarattolato non fosse considerato lo spettacolo rivoltante che è, e nemmeno era così desueto.

 

E poi diciamo anche: la «pista satanica» finita subito sui giornali di primo può confondere l’osservatore. Gli adoratori del demonio usano feti in barattolo?

 

Bisogna considerare il luogo. L’Alto Vicentino ha una particolarità: è il luogo dove si erge il Monte Summano.

 

Non si tratta di una montagnola come le altre: la sua doppia cima, finita pure in alcuni proverbi volgari in lingua veneta, era una calamita per pellegrini dell’antichità pagana, si dice, magari provenienti anche da luoghi lontani.

 

Gli archeologi hanno trovato quantità di ossa bruciate, e si pensa quindi che il luogo attirasse i roghi votivi. Furono trovate, ad un certo punto, delle monete che rappresentavano una divinità maschile e una femminile, che corrisponderebbero alle due cime, che sarebbero consacrate alle due divinità – una a simboleggiare la fertilità (la femmina ritratta seduto su un trono fatto di piante e serpenti), una invece a rappresentare il mondo degli inferi, da cui l’idea di alcuni che la parola Summano deriverebbe dal latino «Summus Manium», ovvero il più grande dei Mani, cioè degli spiriti dell’oltretomba. Summamus era la divinità etrusca dei tuoni e della notte.

 

Tuttavia qualche voce sostiene che su quel monte si venerassero divinità ancora più antiche, pre-romane, venetiche: sarebbe il luogo del culto a Reitia, definita potnia theron, «signora delle creature», assimilabile forse a Demetra e Persefone, o la dea della luna e dei boschi Diana. Il cristianesimo, più avanti, avrebbe portato sopra il monte la sua leggenda, raccontando la storia di Sant’Orso, pellegrino dei tempi di Carlo Magno inviato da papa Adriano I ad espiare i suoi peccati, e morto lungo il sentiero proprio sotto il Summano, dando il nome al vicino paesino, che anche oggi si chiama, appunto, Santorso.

 

In questa storia di mistero dell’Alto Vicentino mi era impossibile non pensare al Summano perché è forte in me il ricordo di quanti nei decenni passati mi raccontavano che il monte era teatro di continui riti satanici. Una signora massoterapista, che purtroppo non è più con noi, mi raccontava di ripetuti ritrovamenti di animali sacrificati lungo il sentiero che porta alle due vette.

 

«Dovresti vedere quanta roba dopo il giorno dopo dei solstizi» mi diceva, spiegandomi di aver visto negli anni vari resti di riti sacrificali – migliaia di anni fa, come ore, quel luogo è teatro dei medesimi atti…

 

Ho guardato proprio mentre scrivevo quest’ultima riga in basso a destra dello schermo, e ho visto che, in effetti, oggi è il giorno dopo il solstizio d’estate. Il ritrovamento del barattolo, quindi, per coincidenza è avvenuto in prossimità di questa data considerata così importante dalla spiritualità antica, e non solo.

 

Il fatto è che la gente sottovaluta la persistenza profonda della «vecchia religione» nel contesto locale, in ispecie in Italia. Per «vecchia religione», espressione usata in alcuni studi vecchi di più di un secolo, si intende, nientemeno, che la stregoneria. Che non è come bizzarra e romantica come la vedete in Harry Potter o nei film con Renato Pozzetto – è oscura e piena di orrore, e soprattutto sta vicino a voi.

 

Il revival della stregoneria negli ultimi anni, per esempio nella tendenza religiosa chiamata Wicca, si devono a Charles Godfrey Leland (1824-1903), studioso americano di folclore che soggiornò a Firenze nel 1886, dove incontrò una tale Maddalena, cioè una strega, che gli spiegò come il culto delle streghe ancora si tramandasse nell’Appenino tosco-emiliano.

 

Maddalena trasmise al Leland una serie di pagine che lo statunitense riunì in un libro che chiamò Aradia o il Vangelo delle Streghe, che trabocca di riferimenti contro il Cattolicesimo – tra cui fantasie di omicidio di preti – ed è considerabile a tutti gli effetti come il testo sacro di una contro-religione antigerarchica che ha come oggetto di odio assoluto la Chiesa di Roma. Aradia infatti è il nome di una antica dea venuta sulla terra per insegnare ai contadini delle pratiche magiche che li liberino del giogo della Chiesa. Altri personaggi nominati nel testo esoterico sono la dea romana Diana, il biblico Caino inteso però come figura dai tratti esoterici, e un dio solare chiamato, senza tanto pudore, Lucifero.

 

I territori italiani, vogliamo dire, potrebbero essere ancora fortemente intrisi dalla stregoneria – in alcuni casi per via di tradizione diretta, di tante «Maddalena» che hanno iniziato altre streghe più giovani, e via così nei secoli e nei millenni.

 

Ma cosa facevano, quindi, queste streghe autoctone? Una risposta possiamo averla dal Malleus Maleficarum, noto presso il pubblico italiano come Il Martello delle streghe, è un trattato sulla stregoneria scritto nel 1486 dall’inquisitore tedesco Heinrich Krämer (1430-1505), detto anche Henricus Institor, che ha redatto una sorta di manuale per gli inquisitori che avevano a che fare, in ogni parte d’Europa, con la stregoneria.

 

Leggiamo la Quaestio XI del Malleus: «le streghe ostetriche in diversi modi uccidono nell’utero i concepiti, provocano l’aborto, e se non fanno questo, offrono ai diavoli i bambini appena nati».

 

Il lettore è libero di mettere in fila tutto quanto come vuole: i feti nei barattoli, gli aborti femministi, gli inquisitori di mezzo millennio fa. Le cronache locali e la «vecchia religione», la stregoneria, invisibile ma ancora viva nelle nostre terre, con i suoi dei crudeli.

 

Qualcuno dirà: è un volo pindarico, dai, in fondo si tratta «solo» di un feto in barattolo, finito dietro un cespuglio in campagna. Sono cose che succedono, dai.

 

Sissì, tutto vero. Anzi diremo di più: sono cose che sono già successe, e in misura ancora più inquietante.

 

Renovatio 21 vi parlò l’anno scorso dell’allucinante caso di Granarolo, in provincia di Bologna. Ricorderete i fatti: un ragazzo fa per caricare dei barili per portarli via da un capannone industriale, al fine di «smaltirli da qualche parte». Ne apre uno, e si rende conto che, in un liquido verdastro, galleggiano dei feti umani. I bidoni sono almeno una quarantina.

 

Anche lì, lo shock su giornali si attutisce pochissimi giorni dopo. Viene rinvenuta l’origine dei feti, e quindi la dissonanza cognitiva della popolazione si riduce. Dai primi accertamenti parrebbe che i fusti provengano da una struttura universitaria, in particolare una biblioteca di anatomia che li avrebbe conservati per motivi di ricerca» scrive con sicumera il Corriere. Il cittadino sincero-democratico, a questo punto, dovrebbe tirare un sospiro di sollievo. No?

 

Le aquile giro catto-prolife italico attaccano a dire che bisogna seppellirli – che è tipo guardare il dito se ti indicano la luna. Nessuno fa le domande che vanno fatte.

 

C’è una denuncia? C’è un’indagine? C’è un’interrogazione parlamentare?

 

Quanti sono quei bambini?

 

Da dove vengono? Di chi sono figli?

 

Cosa significa che erano «conservati per motivi di ricerca»?

 

Di quali esperimenti sono stati oggetto?

 

Chi è coinvolto il tutto il traffico sanitario? Aziende pubbliche? Private? Istituzioni?

 

Passano le settimane, i mesi. Nessuno se ne occupa più, non i politici, non i giornali, non i preti, non il vescovo (quello che tra un tortello pro-islam e l’altro, va in Ucraina per la pace), nemmeno noi – che pure avevamo promesso di tentare di andare a fondo.

 

Noi, tuttavia, non abbiamo dimenticato, e non potremmo mai farlo. Perché il nostro compito è farvi unire questi puntini.

 

Quanta distanza credete che ci sia tra quel barattolo nel cespuglio di Bassano e i feti sacrificati per darvi la vaccinazione universale?

 

Quanto lontani sono quei feti nei barili di Bologna da quelli che vengono squartati e venduti alla ricerca medica in America e ovunque altro?

 

Quanto distanti sono le streghe dal mondo drogato dalle pozioni mRNA?

 

La risposta a questo punto dovete darvela da soli.

 

Tuttavia, considerata cosa tutte queste vittime di sacrifici umani – satanici o scientifici che siano, avevano in comune: ognuno di quei bambini era Imago Dei – ognuno di quei bimbi assassinati, e poi utilizzati come strumento medico o diabolico, era fatto ad immagine di Dio.

 

Lo abbiamo tanto ripetuto: la storia moderna, vista nello spirito, altro non è che la storia della lotta contro l’Imago Dei. Il fine della Necrocultura, che si è impossessata degli Stati e delle società umane, è quello di distruggere ed umiliare l’Immagine di Dio, cioè l’essere umano.

 

La cosa, purtroppo, vi riguarda.

 

Perché potete essere belli o brutti, ricchi o poveri, giovani o vecchi, intelligenti o stupidi, buoni o cattivi, bianchi o neri, colti o ignoranti, forti o deboli, bravi o incapaci, santi o peccatori, ma siete, e sarete sempre, Imago Dei – siete stati creati ad immagine della Divinità. E avete avuto la fortuna di nascere invece che essere sacrificati dalle streghe.

 

Per chi non lo ha già fatto, è il momento di capirlo: c’è una guerra contro di voi.

 

Sì, la vostra vita è un capitolo di una guerra cosmica di cui siete parte integrante, e insostituibile.

 

Svegliatevi. Combattete. Rendete grazie a questo dono che vi è stato fatto, il più sacro che vi sia: la Vita.

 

L’orrore dei bambini nei barattoli sta a ricordacelo.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

Necrocultura

Il piano inclinato della morte cerebrale

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La civiltà occidentale nel corso dei secoli ha uniformato il suo diritto e la sua morale alla tradizione filosofica secondo cui l’essere umano è composto di anima e corpo e ha nell’anima razionale il principio vitale che lo caratterizza.

 

Questo principio vitale di natura spirituale, pur essendo nel corpo, non si trova nel cuore, nel cervello né in qualsiasi altro organo, tessuto o funzione. Sulla base di tale assunto, ciò che sostanzia l’uomo non è l’intelletto, né l’autocoscienza e neppure l’interazione sociale, bensì l’anima razionale che contiene in potenza l’uso di tutte queste funzioni.

 

La vita umana inizia con l’infusione dell’anima nel corpo e termina con la separazione da esso, nel momento in cui l’organismo si dissolve nei suoi elementi.

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I momenti iniziale e finale della vita sono avvolti dal mistero ed è compito della filosofia indagare e speculare su di essi; la morale invece ha il dovere di trattare l’essere umano più innocente e indifeso, l’embrione, come una persona, perché non si può escludere che l’anima venga infusa nell’uomo fin dal momento del concepimento (questa tesi è oggi prevalente tra i teologi e i filosofi) e perché qualsiasi atto aggressivo nei suoi confronti rappresenta, in ogni caso, un attentato alla vita umana.

 

Per le medesime ragioni, il principio di precauzione deve essere applicato anche all’individuo di cui non è stata accertata la morte al di là di ogni ragionevole dubbio.

 

I casi di morte apparente, ossia di ritorno alla vita dopo diverse ore in cui erano scomparse tutte le manifestazioni vitali, stanno a dimostrare che fra il momento della morte accertata e quella reale esiste sempre e comunque un periodo più o meno esteso di vita latente. Pertanto, fintantoché non è possibile avere l’oggettiva certezza dell’avvenuto decesso di un essere umano (l’inizio del processo di decomposizione del corpo) sussiste l’obbligo morale di evitare ogni azione lesiva della sua persona.

 

Questa impostazione è stata prevalente nel mondo occidentale fino agli anni sessanta per poi essere soppiantata da una visione utilitaristica e materialistica dell’esistenza.

 

È evidente come il criterio neurologico di morte venne introdotto al fine di stabilire chi conveniva dichiarare morto, non chi era effettivamente deceduto. Nella nuova definizione di morte, commissionata agli esperti di Harvard, al cervello viene arbitrariamente attribuito il ruolo che compete all’anima razionale, ossia dirigere e governare tutti gli organi e funzioni che compongono l’organismo umano.

 

Quindi, coerentemente con tale impostazione, una lesione cerebrale ritenuta irreparabile comporterebbe la fine dell’essere umano considerato come un tutt’uno integrato, e i segni vitali ancora presenti nell’individuo dichiarato cerebralmente morto costituirebbero dei meri riflessi e/o delle funzioni mantenute in maniera artificiale mediante il supporto farmacologico o l’ausilio di macchinari.

 

Una volta dichiarata la morte cerebrale, «viene interrotto qualsiasi supporto vitale. I familiari possono voler essere accanto alla persona in quel momento. Hanno bisogno che venga spiegato loro che uno o più arti possono muoversi quando viene interrotta l’assistenza respiratoria o che la persona può addirittura sedersi (talvolta chiamato segno di Lazzaro). Questi movimenti sono causati dalle contrazioni muscolari di riflesso della colonna vertebrale e non significa che la persona non sia in stato di morte cerebrale». (Manuale MSD, diagnosi della morte cerebrale).

 

Da notare come gli estensori del Manuale, probabilmente per non cadere in dissonanza cognitiva, non se la siano sentita di definire cadaveri per l’appunto le persone che dimenano gli arti perché non riescono a respirare …

 

La stessa legge 194/1978 sull’aborto volontario, che fissa il limite dell’omicidio dell’innocente entro i primi 90 giorni dal concepimento, poggia le sue basi ideologiche sulla tesi del cervello come sede dell’essere, senza di cui non è possibile considerare il bambino ai primi stadi dello sviluppo come una persona, bensì come un semplice agglomerato di cellule e tessuti.

 

Non solo, il fatto che per i novatori il cervello costituisca il principio vitale dell’individuo pone in ogni caso il bambino non ancora nato, o comunque non ancora in grado di avere una vita autonoma al di fuori del grembo materno, in una posizione di «inferiorità ontologica»: non è affatto chiaro, infatti, quando un feto o un bambino molto piccolo possa aver sviluppato la quantità richiesta di autocoscienza per poter essere considerato una persona.

 

Sono note le teorie del filosofo australiano Peter Singer secondo il quale uccidere un neonato non equivale moralmente a uccidere un essere umano razionale e autocosciente e che un malato può essere eliminato se ciò può tornare utile alla società. È quindi interessante notare come Singer sia stato molto critico nei confronti del nuovo criterio di morte cerebrale. Egli riteneva infatti che non ci fosse bisogno di contrabbandare una scelta etica con una indimostrata presunta verità scientifica.

 

Il recente fatto di cronaca accaduto a Traversetolo in provincia di Parma, in cui due bambini appena nati sarebbero stati uccisi dalla madre e sepolti nel giardino della villetta in cui abitava insieme ai genitori, è emblematico dell’insopportabile ipocrisia di una società che condanna l’eliminazione di un innocente appena nato e al contempo considera un diritto l’uccisione del medesimo bambino innocente poco prima, quando si trova ancora nel grembo materno.

 

Con l’introduzione del rivoluzionario criterio della morte cerebrale, il cogito ergo sum di cartesiana memoria entra prepotentemente nel diritto e nella prassi medica, finendo per relegare l’essere umano nell’angusto ambito dell’autocoscienza.

 

I casi relativamente recenti di Vincent Lambert in Francia e dei piccoli Charlie Gard e Alfie Evans in Inghilterra, così come altri tragici casi italiani, possono rappresentare casi di persone uccise tramite eutanasia di Stato semplicemente perché bisognosi di cure e assistenza, stanno a dimostrare che una volta ridefinito il criterio di accertamento della morte si è passati consequenzialmente a ridefinire il significato stesso di essere umano, attraverso l’arbitraria distinzione tra vite degne e indegne di essere vissute.

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In altri termini, a prescindere dalla condizione clinica e dallo stato di coscienza in cui si viene a trovare un determinato soggetto, il suo diritto alla vita è subordinato alla «qualità» della sua esistenza, che si fonda essenzialmente sulle capacità intellettive del soggetto.

 

Pertanto, il vero obiettivo della rivoluzione non era quello di modificare il criterio di accertamento della morte bensì, attraverso di esso, di arrivare a trattare gli esseri umani, nessuno escluso, come corpi senz’anima, ammassi di organi tenuti insieme da principi meramente meccanicistici.

 

Non stupisce allora come nella società contemporanea l’uomo venga considerato un prodotto, un insieme di «pezzi di ricambio».

 

Cos’è la fecondazione in vitro (e tutte le pratiche da essa discendenti come l’utero in affitto e l’utilizzo di cellule embrionali per la produzione di farmaci e vaccini) se non la produzione in laboratorio dell’essere umano ridotto a bene di consumo?

 

Cos’è la cosiddetta «donazione» (meglio dire: predazione) degli organi se non la logica conseguenza della riduzione dell’uomo a merce di scambio?

 

Cos’è l’eutanasia se non l’omicidio di una persona le cui facoltà intellettive risultano ridotte o latenti?

 

Cos’è l’infanticidio se non l’inevitabile approdo della Necrocultura imperante il cui fondamento pseudo scientifico è la cosiddetta morte cerebrale?

 

Alfredo De Matteo

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Immagine di JasonRobertYoungMD via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International;immagine modificata.

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Necrocultura

Nunzio apostolico in Germania: l’Europa si sta suicidando con aborto, eutanasia e ideologia di genere

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L’arcivescovo Nikola Eterovic, nunzio apostolico in Germania, ha messo in guardia dal «suicidio» dell’Europa dovuto alla promozione dell’aborto, dell’eutanasia e dell’ideologia di genere. Lo riporta LifeSite.   Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa cattolica tedesca (KNA), monsignor Eterovic ha recentemente lanciato l’allarme durante un sermone nel suo paese d’origine, la Croazia, in merito alla grave crisi demografica che sta attraversando la civiltà occidentale.   L’arcivescovo ha detto che l’Europa è afflitta da una «Cultura della morte» dovuta all’aborto e all’eutanasia. Vede il crollo demografico nella maggior parte dei paesi europei come un «segno di suicidio».

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Il monsignore ha anche messo in guardia dall’ideologia di genere, che vede come una forma di «colonizzazione ideologica» dell’Europa diretta contro la comprensione cristiana della famiglia.   Il nunzio apostolico ha descritto la guerra tra Russia e Ucraina come un segno di «suicidio sociale», perché due Paesi storicamente cristiani si stanno combattendo.   «Se un uomo rompe con Dio, se uccide simbolicamente Dio, allora, purtroppo, uccide anche se stesso: perde il fondamento su cui si regge, disprezza i valori che, tra le altre cose, hanno plasmato l’Europa e reso possibile il fiorire della civiltà occidentale», ha detto Eterovic.   Nonostante i tassi di natalità siano ben al di sotto del livello di sostituzione in quasi tutti i paesi europei, i governi di Danimarca e Finlandia hanno recentemente allentato le loro leggi sull’aborto, aumentando il limite dell’aborto da 12 a 18 settimane.

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Nel frattempo, il Regno Unito è attualmente impegnato nell’approvazione di una legge sull’eutanasia simile al MAiD, cioè la tremenda eutanasia canadese.   Tutti questi, assieme a tanti altri che su questo sito documentiamo ogni giorno, sono segni di quella che Renovatio 21 chiama Necrocultura, che è la Mortis Cultura, la Cultura della Morte, di cui parlava Giovanni Paolo II nell’Enciclica Evangelium Vitae.   La Necrocultura è ora il sistema operativo della politica e della vita quotidiana, è la forza di gravità artificiale che vuole spingere l’essere umano verso la sua terminazione, passando per la sua umiliazione. Questo sito documenta dalla sua nascita tale fenomeno, che si concretizza in un’agenda nemmeno occulta di ritorno sul pianeta del sacrificio umano.   Sempre più figure di spicco, da Tucker Carlson a Elon Musk, pur nella loro declinazione, paiono aver capito l’essenza della Necrocultura e il suo potere sull’ora presente.   Cosa si farà per combatterla è cosa che riguarda non solo loro, ma anche lo stesso lettore che sta leggendo questa riga.  

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Bioetica

Bambina partorita nel water. Chi si scandalizza sa che la RU486 fa la stessa cosa?

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Sulla base dei rilievi iniziali fatti dai medici del 118 sul corpo della bimba, «l’infanticidio è l’ipotesi più probabile nel caso della neonata trovata morta a Piove di Sacco». Lo riporta l’agenzia ANSA.

 

Si tratta di un ulteriore caso di morte di neonato che sconvolge l’Italia. Episodi simili sembrano susseguirsi l’uno dopo l’altro.

 

Secondo quanto riportato, il corpicino della piccola sarebbe stato ritrovato in un bagno di un appartamento collegato ad un night club a Piove di Sacco, nel Padovano, in una zona purtroppo nota alla cronaca nera degli anni passati anche per la cosiddetta «mafia piovese», o «mala del Brenta» – la famosa «banda Maniero», a cui la TV nazionale dedica serie TV, ovviamente negando, come in tutti i casi di grandi produzioni su mafia, camorra, mala romana, che si tratti di qualcosa di anche lontanamente agiografico.

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Secondo articoli apparsi sulla stampa, per l’autopsia la bambina sarebbe morta annegata. L’esame autoptico tuttavia sarà reso disponibile solo tra settimane.

 

Per la morte sarebbe stata fermata la presunta madre, una donna italo-brasiliana di 29 anni, che ora si troverebbe agli arresti domiciliari, e si sarebbe avvalsa della facoltà di non rispondere.

 

Secondo la procura, «la neonata era stata trovata morta all’interno del water e appariva essere completamente formata» scrive Fanpage. «Secondo gli inquirenti, la 29enne avrebbe partorito “direttamente all’interno del wc dell’appartamento in cui alloggiava” e sostenuto il parto “senza chiedere l’ausilio di personale sanitario o di altre persone”, tirando lo sciacquone “quando la bambina si trovava già con la testa in basso all’interno del WC, causando così l’annegamento”».

 

La tragedia della bambina del water Piove di Sacco arriva dopo lo shock del ritrovamento dei neonati morti di Traversetolo, in provincia di Parma, che secondo l’accusa sarebbero stati partoriti della giovane madre e sepolti nel giardino della villetta di famiglia, senza che nessuno si accorgesse di nulla.

 

Si tratta di un trend? C’è un lato nuovo della maternità che sta emergendo?

 

Per chi conosce il lato oscuro della riproduzione nell’ora presente, in realtà la sorpresa è poca: la società, lo sappiamo, si avvicina sempre di più all’autorizzazione dell’infanticidio, chiamato pudicamente «aborto post-natale». Filosofi e bioeticisti rilanciano l’opzione da diversi anni. Politici di rilievo del Partito Democratico USA come il governatore della Virginia Ralph Northamhanno discusso apertamente l’idea che medico e madre del neonato possano, a pochi momenti dalla nascita, decidere di sopprimere in bambini. In pratica: l’infanticidio è da un pezzo nella finestra di Overton.

 

Nel mondo in cui l’aborto è un diritto – o, per alcuni, un «obbligo sacro», un sacramento – come lamentare il pendio scivoloso che porta l’uccisione del bambino oltre il limite della nascita? È anche quello, alla fine, solo un confine arbitrario, una convenzione – né più né meno come la «morte cerebrale», in base alla quale in questo stesso momento quantità di persone stanno venendo squartate in ospedale e depredati dei loro organi mentre il cuore batte ancora.

 

Tuttavia, è un’altra immensa ipocrisia che vogliamo qui segnalare.

 

Abbondano ora in rete le immancabili analisi dei Soloni che parlano di «territorio alla deriva», «malessere profondo della società», e via sbadigliando. Gli editorialisti, gli opinionisti, gli psicologi mediatici, i giornalisti direttorazzi, i socio-sapientoni, quelli che il mondo lo capiscono benissimo per stipendio (eccerto), sono scandalizzati da questa storia del pargolo finito del water, con i giornali che suggeriscono anche che sarebbe stato tirato lo sciacquone come per liberarsene. Raro orrore. No?

 

Ebbene, informiamo i benpensanti salariati con il ditino alzato che partorire il bambino nel water è la norma dell’aborto chimico.

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L’«interruzione volontaria di gravidanza con metodo» farmacologico, la cui implementazione è stata voluta con forza dalla politica e inflitto ancora più efficacemente durante il biennio pandemico, agisce esattamente in questo modo: la pastiglia di mifepristone (RU486) uccide l’embrione, una successiva assunzione (dopo 48 ore) di una prostaglandina (misoprostolo, gemeprost) provoca l’espulsione.

 

La RU486 è stata approvata dall’AIFA nel 2009. Tuttavia secondo le linee guida l’assunzione del farmaco figlicida dovrebbe comportare un ricovero ospedaliero «obbligatorio» di tre giorni continuativi con assegnazione di posto letto per il pernottamento, di modo che avvenga in nosocomio «l’intera procedura abortiva, nelle sue diverse fasi».

 

Quindici anni fa, momento dell’immissione del farmaco nel sistema nazionale, il Consiglio Superiore di Sanità stabilì che, a differenza della Francia dove le pillole possono prendersi a casa, in Italia il percorso di aborto farmacologico dovesse avvenire in ricovero ospedaliero «dal momento dell’assunzione del farmaco fino alla verifica dell’espulsione del prodotto del concepimento».

 

Tuttavia, in almeno tre regioni – Toscana, Emilia-Romagna, Lazio – la pillola era programmata per essere disponibile anche senza ospedalizzazione. Nel 2015 una nota della Sanità del Piemonte scriveva che «7.311 donne hanno usufruito della RU486 presso l’ospedale Sant’Anna, primo in Italia». Nello stesso comunicato, era specificato che «per quanto riguarda le IVG fino a 49 giorni e gli aborti interni, complessivamente, il 99% delle donne non è stata ricoverata per tre giorni ed ha potuto lasciare l’ospedale tra la somministrazione del mifepristone e quella della prostaglandina due giorni dopo. Nel tempo tale percentuale è diventata prossima al 100% e negli ultimi tre anni solo 4 donne su 3.217 sono rimaste ricoverate».

 

Il vincolo dei tre giorni in ospedale fu quindi definitivamente rimosso dal ministro della Salute Roberto Speranza nel 2020.

 

E quindi è naturale pensare che, in tali condizioni, l’espulsione del figlio avviene nella quasi totalità dei casi nel bagno di casa. E la quantità di bimbi scaricati nel cesso non può che essere massiva.

 

Proprio così: tanti bambini, anche oggi stesso, stanno venendo partoriti nel water, con la madre che poco dopo tira l’acqua – esattamente come sarebbe successo a Piove di Sacco, con grande scandalo di quelli che benpensano.

 

Renovatio 21, quando tratta del tema, non manca di ricordare il proseguo. Perché la questione, tirato lo sciacquone, per la madre finisce, ma per il bambino no.

 

E allora, cerchiamo di vedere il resto della storia dagli occhi del piccolo espulso dal grembo materno: finisce giù per la tubatura, assiame a liquami ed escrementi, per poi finire direttamente nella fogna, dove vivono tante creature: insetti, pesci, anfibi, topi – questi ultimi con un fiuto notorio, e immaginiamo una carne giovanissima, ricca di cellule staminali, quanto possa risultare irresistibile.

 

Questa storia di bambini finiti nelle fogne e divorati dalle bestie manca stranamente dalle cronache recenti della RU486: proprio pochi giorni fa la Regione Emilia-Romagna (sempre all’avanguardia per quanto concerne l’aborto: pensiamo alle NIP, gli esami non invasivi che ti dicono subito se il bambino che porti in grembo è down, così da poter decidere che fare) ha aggiornato i profili di assistenza per la IVG – acronimo orwelliano per «feticidio» – tramite metodi farmacologici, istituendo definitivamente l’assunzione del «pesticida umano» a livello domestico.

 

Nessun giornale, nemmeno quelli sedicenti «cattolici», sembra voler pensare al destino dei bambini nel water. Pare di capire: a seconda dell’età dal concepimento, ci sono bambini-toilette di Serie A e di Serie B. Dei primi si può parlare, dei secondi no, nemmeno quando si dovrebbe.

 

Quindi: sì, l’Italia è il Paese dove, passando per una legge che ne autorizza la distruzione chimica, i feti finiscono nella tazza del cesso e nella fogna, ogni giorno. A decine, forse a centinaia – chi può avere questi numeri? Come vengono conteggiati? È possibile farlo?

 

Pure vogliamo rammentare, en passant, che mentre la tragedia dei feti uccisi agisce su tutti i livelli, visibili ed invisibili, qualcuno sta andando in giro per l’Italia a sotterrare barattoli di vetro con dentro feti, come se si trattasse di piccoli occulti capitelli di questo maleficio sui piccoli esseri umani. Gli scandalizzati di mestiere, pro-vita o meno che siano, non sanno nemmeno di cosa stiamo parlando. E quelli che lo sanno, fanno finta di niente, fischiettosamente.

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Prima di gridare allo scandalo, quindi, pensiamo a quella che è la realtà. La stampa mainstream fa il suo lavoro: vuole fissarvi sul dito e non sulla luna, sulla pagliuzza invece che sulla trave. Vuole istupidirvi, rendervi ciechi rispetto al dominio della Necrocultura sul nostro mondo, sulle nostre stesse esistenze.

 

Diventa chiaro a tutti cosa diviene quindi questa storia: è un fenomeno di proiezione, di sfogo programmato. La società concentra su un singolo caso – possiamo dire che si tratta di un capro espiatorio? – il male che la pervade tutta, istituzionalmente e profondamente.

 

Dunque, caro cittadino sincero-democratico, caro contribuente perbene, caro italiano postcattolico, caro genitore borghese pronto alla provetta e alla siringa RNA, ora lancia pure le tue pietre contro la «spogliarellista», mentre tua moglie, tua figlia, tua sorella, la tua amante, la tua collega, la tua fidanzata, la tua vicina, tua madre partoriscono bambini nel cesso.

 

Sono i tuoi figli, i tuoi nipoti – sono il prossimo tuo, sono il futuro dell’umanità, sono l’Imago Dei, l’immagine di Dio resa carne.

 

Caro italiano adulto, sopravvissuto per qualche ragione anni fa allo sciacquone della Cultura della Morte: quanto ancora per capire sotto quale incantesimo malefico ti trovi?

 

Roberto Dal Bosco

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