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Pensiero

I pro-life italiani vogliono tenersi la legge 194. Mentre qualcuno dissemina il Paese di feti in barattolo

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Oggi mi ha chiamato un amico per chiedermi se avevo sentito di una nuova iniziativa del mondo prolife italiano.

 

Io rispondo che no, è difficile, se non impossibile, perché, secondo una comprensione ingeneratasi in me nel tempo, considero storicamente l’antiabortismo organizzato come un fenomeno ingenuo se non stupido nel migliore dei casi, venduto se non corrotto nel peggiore, e comunque sempre deleterio, con forte nocumento finale alla stessa causa che credono di portare avanti, la difesa della vita umana.

 

Forse qualche lettore sa cosa ne penso: l’aborto è uno stalking horse, uno specchietto per le allodole, un’arma di distrazione della massa cattolica: mentre mandano tante brave persone a protestare contro l’interruzione di gravidanza, questi dall’altra parte continuano a sprone battuto con la produzione di esseri umani in laboratorio, che tecnicamente ad oggi, dati governativi ufficiali, uccide più embrioni che l’aborto chirurgico e/o chimico.

 

L’amico comincia a raccontarmi per sommi capi di cosa si tratta: è un insieme di tutte le sigle possibili, sempre le stesse, della giostra catto-attivistica degli ultimi lustri.

 

Quelli che dicevano di lottare contro l’aborto, ma poi hanno mandato alle elezioni politiche personaggi che dichiaravano che la legge feticida non andava toccata.

 

Quelli che dicevano di combattere contro il matrimonio gay, che poi si è materializzato sotto i loro occhi senza che potessero fare niente, pur avendo ampie proiezioni parlamentari (deputati, senatori, ministri, sottosegretari) negli allora partiti di governi.

 

Quelli che dicevano di essere in trincea contro il gender nelle scuole, che ora è percolato sin negli asili, senza che questi, a parte chiedere soldi o fare congressi infertili ed altre trovate pubblicitarie, potessero fare nulla.

 

Quelli che parlavano di dignità umana, per poi fare le conferenze con il green pass – cioè la sottomissione biologica della persona, realizzata attraverso un farmaco derivato dall’aborto.

 

Insomma, capite con quale difficoltà, per ascoltare la storia di questa telefonata, freno il disgusto.

 

Ecco che mi racconta: «si tratta di una raccolta di firme – sì, un’altra… – per modificare la legge 194». Già qui cadono le braccia, e non solo. Ma come? Davvero ancora propongono di stare dentro quella legge, invece che abolirla?

 

In verità non mi sorprendo: da Ruini sino al ministro Roccella, sono decenni che il potere democristiano ancora infiltrato ovunque ci dice che la 194 non si tocca. Tuttavia, possibile che almeno sigle e movimenti (compresi quelli fatti magari da una solo persona, o anche due), perennemente ingannati dalla classe politica ed episcopale, siano rimasti ancora lì, e pure senza vergognarsi?

 

L’amico va avanti, e la racconta tutta: «in pratica si aggiungerebbe un comma nella legge sull’aborto per obbligare il medico che visita la donna che vuole abortire a fargli ascoltare il battito del cuore del bambino, magari farle pure vedere delle ecografie».

 

A questo punto il sangue, e lo schifo, ribollono nelle vene.

 

A questo punto tocca di analizzare il processo cerebrale che sta alle spalle di tale idea, di figurarsi come possa essere venuta loro in mente una cosa del genere.

 

Dobbiamo immaginarci la storia che si sono fatti in testa questi pro-life pro-194: cercate di vederlo proprio come una striscia a fumetti.

 

Primo riquadro: donna triste che va dal tizio in camice, e dice «dottore voglio abortire».

 

Secondo riquadro: il dottore (che magari ha prescritto o eseguito centinaia e migliaia di aborti, o ha visto e lasciato fare quantità di colleghi con cui pranzava continuamente, il tutto votando PD, Radicali, Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, quello che volete) che a questo punto esclama, perché intimamente obbligato dalla legge: «prima dobbiamo ascoltare il battito cardiaco del nascituro!»

 

Terzo riquadro: la donna, sentendo il toc-toc del cuore del figlio, esclama (col fumetto seghettato e abbondanza di punti esclamativi): «ma allora è vivo! Non abortisco più!»

 

Quarto riquadro: il bambino nasce e la mamma è felicissima. (Del padre non si sa nulla, mica possiamo metterlo nel fumetto: di fatto la 194/78 lo estromette dall’assassinio del figlio, e questa è una fantasia ad inchiostro sub speciem centum nonaginta quattuor).

 

Quinto riquadro: il bambino cresce e diventa un ingegnere, un geniale musicista, un contribuente dell’8 per mille. L’aborto, grazie a questa piccola gabola inserita nella legge genocida, è sconfitto per sempre. Trionfa il bene e il futuro dell’umanità. Fine.

 

Il lettore capisce da sé che i fumetti della Marvel, paragonati a questo, sono puro neorealismo: L’Uomo Ragno, I fantastici Quattro, L’Incredibile Hulko si danno a questo punto come opere veriste. Mostrano d’improvviso la loro cifra di realismo sociale anche Topolino e Dylan Dog (il quale esclamerebbe, con molta ragione visto il contesto, «Giuda ballerino!»).

 

Siamo nell’antiabortismo fantasy, nella fantascienza pro-life: eppure qualche anziano presente nelle varie sigle dovrebbe ricordarsi di quando la visita per l’aborto poteva essere fatta di un dentista (professione medica che con la ginecologia non c’entra nulla, a parte quel famoso irripetibile canto d’osteria, il duodecimo).

 

Altri, più giovani, possono ricordare che le visite pre-aborto prescritte dalla legge vengono eseguite con tale cura che, anni fa, accadde che mandarono a far abortire una signora che non era nemmeno incinta. È una storia che circolava: scommettiamo che i casi sono molteplici, ma, certamente, non raggiungono i giornali.

 

Non è finita, perché di qui, come la nobile iniziativa contro l’aborto, si va in peggio.

 

L’amico mi legge il testo del comunicato: «La donna ha il diritto di essere resa consapevole della vita che porta nel grembo, una vita con un cuore che pulsa. Solo in tal modo può essere realmente libera e responsabile delle sue azioni».

 

Ammettiamo di non capire cosa ci sia davvero scritto: aiutiamo la donna a capire davvero di stare per divenire un’assassina figlicida?

 

Oppure c’è scritto: lasciamo la donna libera di uccidere il figlio in piena consapevolezza?

 

La parola «responsabile», cosa significa? «Responsabile» di che, visto che l’aborto (con la produzione di esseri umani in vitro e lo squartamento per predazione degli organi) è, al di fuori della guerra, l’unica forma di terminazione della vita altrui (dicesi anche: «omicidio») senza alcuna conseguenza penale, anzi, con dietro una spinta morale dello Stato e della società?

 

Nemmeno ora è finita: la proposta di legge «intende dare piena applicazione alla legge sul consenso informato».

 

Eh?

 

Consenso informato? Ma stiamo scherzando, vero? Il «consenso informato» vale una vita umana? Un bambino vale un bugiardino?

 

E poi, scusate, parliamo di consenso informato, dopo anni di vaccinazioni obbligatorie mRNA? Dopo che milioni di persone (e quanti antiabortisti viscidi, scappati di casa e/o para-democristiani?) si sono iniettati un siero genico sperimentale senza sapere nemmeno cosa fosse – come non lo sapevano nemmeno i produttori dell’intruglio stregonesco genetico-nanolipidico?

 

Massì. I prolife italici cianciano «consenso informato» dopo che hanno accettato – praticamente tutti – il vaccino venuto dal niente, che è stato derivato, memento, proprio dall’aborto.

 

Arrivati qui, non riesco nemmeno a definirmi bene in testa la magnitudine dello schifo che provo.

 

Perché sento addosso le ore-uomo passate in questi anni a riflettere e a scrivere sulla fine del «consenso informato» decretata dalla pandemia, la cancellazione di Norimberga, l’istituzione di un biototalitarismo spietato ed onnipervadente che non ha bisogno né di informarci né di avere il nostro consenso, perché, toltici i diritti e le costituzioni, siamo solo schiavi.

 

Eccoli, discutono di «consenso informato», in un argomento, quello dell’aborto, dove inserirlo non poteva venire in mente neanche sotto tortura – perché è ridicolo, non c’entra nulla con la vita del bambino, che è l’unica cosa che conta! – in un mondo dove, con estrema probabilità, già si muovono i vaccini autopropaganti: cioè, piccole epidemie vaccinali che si diffondono non con programmi statali sanitari di sierizzazione, ma con la diffusione virale tipica delle malattie.

 

Su Renovatio 21 ne parliamo da anni: i vaccini autopropaganti – che sono materialmente la fine del feticcio del «consenso informato» – stanno avanzando, oltre che nei discorsi dei bioeticisti, anche negli esperimenti. E non è detto che quello che chiamano lo «shedding», la diffusione involontaria interpersonale delle proteine spike e possibilmente dell’mRNA (e pure delle particelle LNG che trasportano il materiale genetico del vaccino), una questione che sta impegnando diversi scienziati al momento, non abbiamo un esempio di vaccino autopropagante già con la siringa anti-COVID-19.

 

Il che significa, che c’è chi dice che i non vaccinati si stiano contaminando anche solo rimanendo a contatto con i vaccinati – e non solo con i contatti sessuali (dove, con orrore, si è osservata l’incidenza della spike negli spermatozoi!) ma pure per trasmissione aerea.

 

Gli antiabortisti, che magari si sono fatti il siero fatto con l’aborto, vogliono la clausola di «consenso informato», mentre magari stanno contagiando, con la loro pozione diabolica derivata da sacrificio di bambino, il prossimo loro, senza che questi possa essere informato, o consentire, ad alcunché.

 

Bisogna dire che non sono solo stanco delle ingenuità, così come dei traffici dell’immortale network democristiano para-episcopale, con la loro programmatica opposizione simbolica all’aborto, che mi sono ritrovato ovunque, nel governo Berlusconi, nel governo Monti, nel governo Letta, nel governo Renzi e pure ora, a volte ritornano, nel governo Meloni. Ne ho scritto, negli anni, ad nauseam.

 

Il fatto è che sto cominciando a maturare una visione più ampia, e tetra, che mi rende la dabbenaggine catto-attivista ancora più intollerabile. Non è solo il fatto che il maggiore numero di morti non lo fa la 194/78, ma la 40/2004: cioè muoiono più embrioni con la riproduzione assistita (legge vergata, come quella abortista, da democristiani) che con l’interruzione volontaria di gravidanza. Non è solo il fatto che mi è chiaro, e da anni, che il Vaticano, con i suoi omini piazzati in politica e le capriole bioetiche nei Sacri Palazzi, sta preparando lo sdoganamento del bambino artificiale, dell’umano concepito in provetta, magari bioingegnerizzato col CRISPR.

 

No, il mio livello di disillusione, e di timore, oramai è passato di livello.

 

Ho capito che mentre tutto il mondo pro-vita – per decenni, me compreso – parlava di 194, legge 40, uteri in affitto, DICO, PACS, unioni civili, fecondazione eterologa, gay, testamento biologico, DDL e pontificie accademie, qualcuno nascondeva in giro per il Paese barattoli contenenti feti.

 

Se siete nuovi su Renovatio 21 e questa non l’avete sentita, andate a leggervi qualcuno degli articoli. Bambini perfettamente formati, figli di chissà chi, abortiti chissà come (per cesareo? I bambini abortiti normalmente escono a pezzi, «frullati») inseriti in barattoli pieni formaldeide, e disseminati sul territorio, specialmente in zone verdi.

 

Uno è stato ritrovato poco tempo fa nella campagna veneta. Uno lo avevano rinvenuto nel 2019 in un parchetto di Torino. Indietro con gli anni spuntano gli stessi feti imbarattolati, con la formaldeide, vicino ai fiumi, nei cimiteri… un caso su cui sto cercando materiale, di anni fa, riguarderebbe addirittura una chiesa: enigmatico aborto in bottiglia, piazzato dentro la Casa di Dio.

 

Non nascondo, infine, che nonostante la mia tenacia, ancora nulla ho capito riguardo a cosa fossero quelle decine di barili pieni di feti ritrovati in quel capannone di Granarolo… Chi erano? Come erano stati ottenuti? A cosa servivano? All’uomo che tenta di unire i puntini, può uscire il pensiero più folle, e finire per ipotizzare che siano in qualche modo correlati a questi feti in barattolo occultati nel territorio – un fenomeno il cui pattern, ci rendiamo conto, è stato ipotizzato solo da Renovatio 21.

 

Torno a parlare di questa storia perché, qualora avessi ragione, saremo davanti alla necessità di capire che la lotta contro l’aborto è condotta sul piano sbagliato, con i mezzi sbagliati, e magari pure con le persone sbagliate.

 

E se l’aborto, invece che essere una faccenda di raccolta di firme e di marcette, di comma di legge, di incontri con vescovi e parlamentari farlocchi… fosse una guerra con forze sataniste, post-sataniste, organizzate in reti di cui mai abbiamo avuto sentore?

 

Quanto è importante l’aborto per questi attori invisibili, se arrivano a incastonare nelle provincie – a loro pericolo – questa serie di capitelli occulti fatti di feti morti?

 

Quella motivazione esoterica, prima che sociopolitica, ha davvero la persistenza dell’aborto legale nel nostro Paese?

 

Dovete capire che per me non è una domanda campata in aria. Qualche idea mi gira già per la testa, e da tempo. Ci sono alcune cose che mi hanno riportato riguardo ad antiche figure che sulla carta dovevano combattere l’aborto (hanno fallito, o anzi hanno fatto peggio) che, messe insieme con altre informazioni, mi hanno portato ad unire altri puntini ancora… facendo uscire disegni indicibili, che lambiscono scandali e misteri del Paese.

 

Non lo sto dicendo per una qualche forma di vanteria, per gongolare stile «io-so-una-cosa-che-voi-no», anche perché con certezza non so nulla, sono solo stato gettato, con la mente, in quadro che è spaventoso, e ogni passo che faccio in avanti, più mi rendo conto che l’abominio è radicato in cose che nulla hanno a che fare con la politica, con la CEI, con gli attivismi inetti e babbalei.

 

Non è una ricerca che ho portato a compimento: non ho certezze, perché so che nel momento in cui mi dedicassi a cercarle, ne verrei divorato, non potrei pensare ad altro, finirei come tutti quegli scrittori la cui esistenza finisce consumata dall’ossessione per un serial killer… e mi rendo conto che è proprio questa la questione, perché qui parliamo di persone e strutture che hanno consentito l’omicidio seriale non di decine, non di centinaia, ma di milioni di persone.

 

Qualcuno, operante su un livello ancora incompreso, ha impostato questo immane sacrificio umano – e lo sta mantenendo, forse pure con segni occulti.

 

Mi fermo qua. Il fastidio per l’ingenuità pro-vita sta lasciando il passo alla paura, all’orrore.

 

Il fumetto che descrive ciò di cui sto scrivendo è, quello sì, davvero un pezzo di letteratura fantastica. Tuttavia, esso è aderente alla realtà: mostruosa e oscura, la storia più orrenda che abbiate mai sentito, il racconto che più nella vita dovrebbe intimorirvi, la maledizione concreta che dovrebbe terrorizzare tutti i cristiani, e non solo loro.

 

Nell’orrore e nell’incomprensione, nel mistero e nella stupidità, il sacrificio umano nazionale va avanti.

 

Mentre i catto-ebeti continueranno, ad aeternum, a non capire un cazzo.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

Pensiero

Sacerdote tradizionalista «interdetto» dalla diocesi di Reggio: dove sta la Fede cattolica?

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Ci risiamo.

 

A Reggio Emilia, ancora una volta, la Diocesi torna ad esprimersi su due sacerdoti che da qualche anno hanno preso residenza sulle colline di Casalgrande Alto, in un’altura che sormonta e si affaccia su tutto il panorama padano della provincia.

 

Il settimanale cattolico reggiano La Libertà, nella sua versione online, vero e proprio megafono della Diocesi, rende nota la vicenda riuscendo a sbagliare subito il bersaglio, ovvero pubblicando la foto di un castello presente a Casalgrande Alto e identificandolo, nella didascalia, come «sede della Città della divina misericordia». Peccato che quel castello non sia affatto la sede dei due sacerdoti. 

 

Ma tornando ai due preti, trattasi di don Claudio Crescimanno e don Andrea Maccabiani, già da tempo saliti agli onori della cronaca locale e nazionale a motivo di quella che la stessa Curia ritiene essere una presenza, ma soprattutto un ministero, illecito e non autorizzato dalle gerarchie. 

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Cosa fanno di così strano questi due sacerdoti? In sintesi: si limitano a fare i preti, celebrano la Santa Messa, amministrano i sacramenti e assicurano una buona formazione cattolica a ragazzi ed adulti. Insieme a loro, in quella che potremmo tranquillamente definire un’umile dimora, ci sono alcuni animali facenti parte di quella che è un’azienda agricola gestita dagli stessi sacerdoti con l’aiuto di qualche laico.

 

Nessun clamore. Nessun profilo appariscente o volutamente polemico, sulle colline di Casalgrande si respira piuttosto un certo silenzio e uno stile di vita molto tranquillo, sia per i sacerdoti che per i laici che frequentano la piccola comunità sorta per un semplice e quanto mai pratico motivo – cercare ciò che nelle istituzioni ordinarie ecclesiali ora sembra mancare: la Fede cattolica. 

 

Ebbene si sa che oggi, la categoria più detestata dalla gerarchia ecclesiastica, è proprio quella che nella semplicità della tradizione bimillenaria della Chiesa Cattolica, ricerca la Fede così come sempre è stata insegnata, attraverso il catechismo e la liturgia, quest’ultima vera e propria teologia pregata

 

Non potevano, a motivo di quanto appena accennato, passare inosservati due sacerdoti stanchi delle istituzioni ordinarie, stanchi di strutture senza Fede e liturgie protestantizzate («Signore io non sono degno di partecipare alla Tua mensa», recitano in coro tutti coloro i quali continuano a celebrare e a frequentare il Nuovo Rito, ignari, oppure no, di aderire ipso facto ad un protestantesimo velato sotto le mentite spoglie del cattolicesimo), giunti dunque davanti al bivio più importante della loro vita: stare con Dio e con la Chiesa, o prestare obbedienza a chi Dio lo mette sempre al secondo posto, o, addirittura, lo rende «il dio» di tutte le religioni. 

 

Già, perché mentre la Diocesi di Reggio Emilia nei giorni scorsi stilava, per poi renderla pubblica magari anche con la lettura nelle chiese della provincia durante la Messa domenicale, la lettera che vede infliggere la pena dell’interdetto per don Claudio Crescimanno (per «interdetto» s’intende la pena che impedisce non solo di amministrare tutti i sacramenti, i sacramentali, di partecipare a qualsiasi forma di culto liturgico, ma anche l’impossibilità di ricevere ciascune delle cose elencate), papa Francesco a Giacarta, recando grande scandalo per la partecipazione ad un incontro interreligioso e la visita alla moschea di Istiqlal, non contendo, incontrando i giovani di Schola Occurrentes appartenenti alle più svariate «fedi» impartiva loro una «benedizione» interreligiosa, dove è mancato programmaticamente il segno della croce.

 

«Vorrei impartire una benedizione (…) Qui voi appartenete a religioni diverse, ma noi abbiamo un solo Dio, è uno solo. E in unione, in silenzio, pregheremo il Signore e io darò una benedizione per tutti, una benedizione valida per tutte le religioni». Forse per la prima volta, un papa ha benedetto qualcosa senza fare il segno della croce.

 

Nihil sub sole novum, è tutto già visto e rivisto in seno ai predecessori di Bergoglio, che in particolare da Assisi ‘86 in poi hanno consolidato la pratica — poiché la teoria fonda le sue radici nel Concilio Vaticano II e nei suoi stessi documenti — di un sincretismo da coltivare e, appunto, «benedire». 

 

Nessun commento tuttavia su questa ennesima riprova di quanto la Fede cattolica da oltre cinquant’anni sia messa a forte rischio e abbia smarrito la retta via e la retta ragione, ma si trova piuttosto il tempo e la volontà di prendere seri provvedimenti verso due sacerdoti che sul cocuzzolo della montagna rispondono semplicemente alla richiesta dei fedeli che chiedono aiuto.

 

Suppliscono, cioè, alle mancanze dei tanti confratelli e degli stessi vescovi impegnati a riempirsi la bocca di parole come «unità», «comunione ecclesiale» e tanto altro ancora salvo poi minarla continuamente con il pieno appoggio o ancora peggio con il silenzio rispetto ad una chiesa ormai fondata su valori — o sarebbe meglio dire disvalori — che nulla hanno a che vedere con Cristo.

 

Sarebbe interessante, e pure molto avvincente, evidenziare tutte le possibili lacune e le imprecisioni presenti nel comunicato che vede infliggere la pena a don Crescimanno, ma non è questo l’intento. Vorrei qui invece sottolineare quella che io ritengo personalmente essere la totale impossibilità, secondo ragione e secondo logica, di ricevere, accogliere e ritenere queste pene valide. 

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Se è vero che riconoscendo l’autorità gli si dovrebbe riconoscere anche il comando e, quindi, l’eventuale divieto e pena, la situazione di grave crisi nella Chiesa obbliga vescovi, sacerdoti e fedeli ancora cattolici a scegliere sé obbedire ciecamente a guide che, seppur con il carattere di guide, sono guide cieche, oppure sé ricorrere ai mezzi opportuni per salvare l’anima e salvare anime.

 

Dio o gli uomini. La propria anima, le anime dei fedeli, o l’obbedienza sproporzionata e non ancorata alla Verità a chi non propone più i veri mezzi della Salvezza, non proponendo più, in sintesi, Gesù Cristo ed il Suo estremo Sacrificio sulla Croce, che si ripete in modo incruento sull’Altare.

 

La questione, aldilà di ogni discussione di diritto canonico, è più semplice che mai, e ci obbliga, non tanto per superficialità quanto piuttosto per capacità di cogliere le priorità, ad una scelta immediata per conservare la Fede, visto la grave crisi in cui da oltre mezzo secolo versa la Santa Chiesa, costringendoci ad invocare un altrettanto e quanto mai reale stato di necessità per tante anime in pericolo poiché senza veri pastori. 

 

Davanti a questi reali fatti, davanti allo scempio che, nei contenuti identici a chi ha preceduto ma in una forma ancor più evidente e rapida, non c’è più spazio per mezze misure, non c’è più tempo per cantilene conservatrici, oramai sepolte come polvere sotto al tappeto, spazzate via seguendo la sorte di chi, stando sempre in mezzo, viene o ingoiato da una parte o sputato via dall’altra, seguendo le coordinate di Bussole rotte, Gruppi (in)Stabili e Timoni senza più un timoniere. 

 

Oltre a quelle già presenti e strutturate, forse è tempo di piccole minoranze pronte a sorgere ed insorgere, per combattere la propria piccola battaglia al servizio di Dio.

 

Forse è il tempo di ricreare quel rapporto interrotto da quella diabolica rivoluzione francese, che come insegnava il compianto Agostino Sanfratello, aveva interrotto, per sempre, quel rapporto più semplice e più genuino fra clero e popolo, nelle campagne, nelle parrocchie vere. 

 

Casomai il vescovo di Reggio Emilia, monsignor Giacomo Morandi, dovesse perdersi su un sentiero di montagna durante una camminata od un’escursione, troverà forse la consapevolezza che, cercando nuove vie potrebbe smarrirsi; tornando indietro, invece, sulla strada principale già percorsa, potrebbe ritrovare la giusta via.

 

Chi ha orecchie, intenda. 

 

Cristiano Lugli 

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Geopolitica

Zakharova e le sanzioni ai media russi: gli USA stanno diventando una «dittatura neoliberista»

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Le ripetute sanzioni volte a limitare la libertà dei media russi negli Stati Uniti sono un segnale dell’erosione dei valori democratici a Washington, ha affermato la portavoce del Ministero degli Esteri, Maria Zakharova.   La portavoce ha rilasciato queste dichiarazioni all’agenzia di stampa RIA Novosti a margine dell’Eastern Economic Forum tenutosi mercoledì a Vladivostok, poche ore dopo l’introduzione di un nuovo ciclo di sanzioni da parte degli Stati Uniti.   Washington ha imposto severe restrizioni ai media russi in passato, ha osservato Zakharova. L’imposizione di queste nuove sanzioni «testimonia l’irreversibile degrado dello stato democratico negli Stati Uniti e la sua trasformazione in una dittatura neoliberista totalitaria», ha affermato, aggiungendo che i notiziari sono diventati una «merce di scambio nelle dispute di parte e il pubblico è deliberatamente tratto in inganno da insinuazioni su mitiche interferenze nei “processi democratici”».

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Gli attacchi ai media russi sono «il risultato di operazioni attentamente ponderate» pianificate dai servizi segreti e coordinate con i principali organi di informazione, ha affermato la Zakharova.   L’obiettivo, ha affermato, è «sterilizzare lo spazio informativo nazionale e, in futuro, globale da qualsiasi forma di opinione dissenziente». Questa nuova «caccia alle streghe» è volta a mantenere «la popolazione in uno stato di stress permanente», oltre a costruire l’immagine di «un nemico esterno», in questo caso la Russia, ha sottolineato la portavoce. Mercoledì, i dipartimenti di Giustizia, Stato e Tesoro hanno annunciato uno sforzo congiunto per colpire con sanzioni e accuse penali i media russi, tra cui il noto notiziario governativo Russia Today, e gli individui che l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden afferma essere «tentativi sponsorizzati dal governo russo di manipolare l’opinione pubblica statunitense» in vista delle elezioni presidenziali di novembre.   Queste azioni degli Stati Uniti «contravvengono direttamente ai loro obblighi di garantire il libero accesso alle informazioni e il pluralismo dei media» e non rimarranno senza risposta, ha affermato la Zakharova.

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Immagine di Diana Robinson via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
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Pensiero

JFK: perché le vere repubbliche odiano la censura e necessitano una stampa libera

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Renovatio 21 pubblica il discorso tenuto dal presidente John Fitzgeraldo Kennedy il 27 aprile 1961 davanti all’American Newspaper Publishers Association. Il significato di queste parole pronunziate oramai 63 anni fa è, con ogni evidenza, ancora piuttosto valido per l’ora presente.

 

La stessa parola «segretezza» è ripugnante in una società libera e aperta; e noi siamo un popolo intrinsecamente e storicamente contrario alle società segrete, ai giuramenti segreti e ai procedimenti segreti.

 

Abbiamo deciso molto tempo fa che i pericoli di un occultamento eccessivo e ingiustificato di fatti pertinenti superavano di gran lunga i pericoli citati per giustificarlo.

 

Anche oggi è poco utile opporsi alla minaccia di una società chiusa imitandone le restrizioni arbitrarie. Anche oggi, ha poco valore nel garantire la sopravvivenza della nostra nazione se le nostre tradizioni non sopravvivono insieme ad essa. E c’è il grave pericolo che l’annunciata necessità di maggiore sicurezza venga colta da coloro che sono ansiosi di espanderne il significato fino ai limiti della censura e dell’occultamento ufficiali.

 

Ciò non intendo permetterlo nella misura in cui è sotto il mio controllo. E nessun funzionario della mia amministrazione, di alto o basso rango, civile o militare, dovrebbe interpretare le mie parole qui stasera come una scusa per censurare le notizie, soffocare il dissenso, coprire i nostri errori o nasconderci alla stampa e ai media rendere pubblici i fatti che meritano di conoscere. (…)

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Perché in tutto il mondo ci si oppone una cospirazione monolitica e spietata che si basa principalmente su mezzi segreti per espandere la propria sfera di influenza: sull’infiltrazione invece che sull’invasione, sulla sovversione invece che sulle elezioni, sull’intimidazione invece che sulla libera scelta, sulla guerriglia notturna invece degli eserciti di giorno.

 

È un sistema che ha reclutato vaste risorse umane e materiali nella costruzione di una macchina compatta e altamente efficiente che combina operazioni militari, diplomatiche, di intelligence, economiche, scientifiche e politiche. (…)

 

I suoi preparativi sono nascosti, non pubblicati. I suoi errori sono sepolti, non messi in evidenza. I suoi dissidenti vengono messi a tacere, non elogiati. Nessuna spesa viene messa in discussione, nessuna voce viene stampata, nessun segreto viene rivelato. Conduce la Guerra Fredda, in breve, con una disciplina di guerra che nessuna democrazia spererebbe o desidererebbe mai eguagliare. (…)

 

Non solo non ho potuto soffocare le polemiche tra i vostri lettori, ma le accolgo con favore. Questa Amministrazione intende essere sincera riguardo ai propri errori; poiché, come disse una volta un uomo saggio: «un errore non diventa un errore finché non rifiuti di correggerlo». Intendiamo accettare la piena responsabilità dei nostri errori; e ci aspettiamo che tu li indichi quando ci mancano. (…)

 

Senza dibattito, senza critiche, nessuna amministrazione e nessun Paese può avere successo e nessuna repubblica può sopravvivere. Ecco perché il legislatore ateniese Solone decretò che fosse un crimine per qualsiasi cittadino sottrarsi alle controversie. Ed è per questo che la nostra stampa è stata protetta dal Primo Emendamento – l’unica attività in America specificamente protetta dalla Costituzione – non principalmente per divertire e intrattenere, non per enfatizzare il banale e il sentimentale, non semplicemente per «dare al pubblico ciò che vuole» – ma per informare, suscitare, riflettere, dichiarare i nostri pericoli e le nostre opportunità, indicare le nostre crisi e le nostre scelte, guidare, plasmare, educare e talvolta anche far arrabbiare l’opinione pubblica.

 

«Ciò significa una maggiore copertura e analisi delle notizie internazionali, perché non sono più lontane e straniere ma vicine e locali. Vuol dire maggiore attenzione ad una migliore comprensione delle notizie così come ad una migliore trasmissione. E significa, infine, che il governo, a tutti i livelli, deve adempiere al proprio obbligo di fornirvi la massima informazione possibile al di fuori dei limiti più ristretti della sicurezza nazionale (…)

 

E così è alla macchina da stampa – a colui che registra le azioni dell’uomo, custode della sua coscienza, corriere delle sue notizie – che cerchiamo forza e assistenza, fiduciosi che con il tuo aiuto l’uomo sarà ciò per cui è nato: essere libero e indipendente.

 

John F. Kennedy

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Immagine di Kheel Center via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic; immagine tagliata 

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