Civiltà
L’élite apocalittica vuole i robot killer per proteggersi dopo il collasso
Nel 2018 l’influente professore e scrittore Douglas Rushkoff ha critto un articolo intitolato «Survival of the Richest» («la sopravvivenza del più ricco»), un titolo che fa eco al darwiniano «Survival of the Fittest», cioè la sopravvivenza del più adatto.
Questi miliardari senza nome stavano cercando il suo consiglio per pianificare la loro sopravvivenza dopo quello che hanno chiamato «l’evento», il termine per il collasso della Civiltà
Nell’articolo, lo specialista di cibercultura rivelava che un anno prima era stato pagato un’enorme cifra per incontrare cinque gestori di hedge fund estremamente ricchi.
Rushkoff afferma che questi miliardari senza nome stavano cercando il suo consiglio per pianificare la loro sopravvivenza dopo quello che hanno chiamato «l’evento», il termine per il collasso della Civiltà attraverso la distruzione del clima, la guerra nucleare o qualche altra catastrofe che apparentemente consideravano tanto probabile e vicina da iniziare a pianificare per la sopravvivenza.
Rushkoff scrive che alla fine divenne chiaro che la principale preoccupazione di questa ricca élite ultramiliardaria era mantenere il controllo su una forza di sicurezza che avrebbe protetto le loro proprietà dalla plebe in un mondo post-apocalittico in cui il denaro potrebbe non significare nulla.
«Sapevano che sarebbero state necessarie guardie armate per proteggere i loro complessi dalla folla inferocita. Ma come avrebbero pagato le guardie una volta che i soldi non avevano più valore?»
«Questa singola domanda ci ha occupato per il resto dell’ora. Sapevano che sarebbero state necessarie guardie armate per proteggere i loro complessi dalla folla inferocita. Ma come avrebbero pagato le guardie una volta che i soldi non avevano più valore?»
Una domanda non da poco. Senza i soldi, l’élite che potere ha? Senza il danaro, come impedire che gli esseri umani si raggruppino intorno ad elementi più naturali?
«Cosa avrebbe impedito alle guardie di scegliere il proprio capo? I miliardari presero in considerazione l’uso di speciali serrature a combinazione sulla fornitura di cibo che solo loro conoscevano. O costringere le guardie a indossare collari disciplinari di qualche tipo in cambio della loro sopravvivenza. O forse costruire robot che servano da guardie e lavoratori, se quella tecnologia potesse essere sviluppata in tempo».
«Cosa avrebbe impedito alle guardie di scegliere il proprio capo? I miliardari presero in considerazione l’uso di speciali serrature a combinazione sulla fornitura di cibo che solo loro conoscevano. O costringere le guardie a indossare collari disciplinari di qualche tipo in cambio della loro sopravvivenza. O forse costruire robot che servano da guardie e lavoratori, se quella tecnologia potesse essere sviluppata in tempo»
Non sono pochi i miliardari della Silicon Valley che non fanno mistero dei loro investimenti apocalittici: bunker sotterranei, navi, elicotteri, armi. Peter Thiel, geniale fondatore di PayPal e primo investitore in Facebook (oltre che attore di misteriosi contatti con il sistema più profondo della Difesa USA), si è mosso come sempre per primo, arrivando ad acquisire, cosa non facile, la cittadinanza neozelandese per poi costruire una sorta di base post-catastrofe sull’isola.
Si tratta del fenomeno dei «tech survivalist billionaires», i miliardari tecnologici survivalisti: survivalist, o prepper, è colui che si prepara a sopravvivere alla fine della civiltà. Un tempo era un fenomeno delle milizie più o meno fondamentaliste dell’America profonda, ora è un fenomeno che ora coinvolge i più ricchi e intelligenti d’America. La cosa fu descritta con perizia da un articolo della rivista New Yorker in cui dettagliava con perizia le strategie dei nababbi per il giorno del giudizio.
Insomma, all’élite non dispiacerebbe una tecnologia robotica assassina sufficientemente avanzata da poter fungere da scorta post-apocalittica: scorta che, lo sanno, servirà loro specialmente per difenderli dalla plebe che li accuserà del disastro, o che semplicemente vorrà un pezzo di quello che essi avranno.
«Siamo governati da guerrafondai e sociopatici, e nessuno di loro ha piani sani per il nostro futuro»
Renovatio 21 vi parla spesso di androidi da combattimento, droni, carri armati senza pilota, slaughterbots, robocani etc. Oggi sono curiosità – o elementi della guerra avanzata. Domani potrebbero essere vostri nemici diretti. Come nell’episodio di Black Mirror «Metalhead», domani, per la vostra sopravvivenza, potreste trovarvi a fronteggiare un robot killer.
«Siamo governati da guerrafondai e sociopatici, e nessuno di loro ha piani sani per il nostro futuro» scrive Caitlin Johnstone su Medium.
«Non sono buoni e non sono saggi. Non sono nemmeno particolarmente intelligenti. A meno che non riusciamo a trovare un modo per staccare le loro dita dal volante del nostro mondo in modo da poter voltare le spalle dalla direzione in cui siamo diretti, le cose probabilmente diventeranno molto oscure e spaventose».
Immagine di longgi via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)
Civiltà
Professore universitario mette in guardia dall’«imperialismo cristiano europeo» nello spazio
La preside di scienze sociali della Wesleyan University Mary-Jane Rubenstein, una «filosofa della scienza e della religione» (che è anche affiliata al programma di studi femministi, di genere e sessualità della scuola), afferma di aver notato come «molti dei fattori che hanno guidato l’imperialismo cristiano europeo» siano stati utilizzati in «forme ad alta velocità e alta tecnologia».
La Rubenstein si chiede se «pratiche coloniali» come «lo sfruttamento delle risorse ambientali e la distruzione dei paesaggi», il tutto «in nome di ideali quali il destino, la civiltà e la salvezza dell’umanità», faranno parte dell’espansione dell’uomo nello spazio.
Lo sfruttamento degli altri corpi celesti, quantomeno nel nostro sistema solare, è stata considerata in quanto vi è una ragionevole certezza che su altri pianeti vicini non vi sia la vita, nemmeno a livello microbico. Quindi, che importanza ha se aiutiamo a salvare la Terra sfruttando Marte, Mercurio, la fascia degli asteroidi, per minerali e altre risorse?
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Rubenstein nota che il presidente della Mars Society Robert Zubrin ha sostenuto esattamente questo. In un editoriale del 2020, Zubrin ha attaccato un «manifesto» da un gruppo NASA DEI (diversità, equità e inclusione) che aveva sostenuto «dobbiamo lavorare attivamente per impedire l’estrazione capitalista su altri mondi».
Ciò «dimostra brillantemente come le ideologie responsabili della distruzione dell’istruzione universitaria in discipline umanistiche possano essere messe al lavoro per abortire anche l’esplorazione spaziale», ha scritto lo Zubrin.
Lo Zubrin ha osservato che poiché il gruppo DEI non ha alcun senso su base scientifica, deve ricorrere a «una combinazione di antico misticismo panteistico e pensiero socialista postmoderno» – come affermare che anche se non ci sono prove nemmeno dell’esistenza di microbi su pianeti come Marte, «danneggiarli sarebbe immorale quanto qualsiasi cosa sia stata fatta ai nativi americani o agli africani».
Tuttavia la Rubenstein afferma che varie credenze indigene «sono in netto contrasto con l’insistenza di molti nel settore sul fatto che lo spazio sia vuoto e inanimato».
Tra questi vi sono un gruppo di nativi australiani che affermano che i loro antenati «guidano la vita umana dalla loro casa nella galassia» (e che i satelliti artificiali sono un pericolo per questa «relazione»), gli Inuit che sostengono che i loro antenati vivono in realtà su “corpi celesti” e i Navajo che considerano sacra la luna terrestre.
«Gli appassionati laici dello spazio non hanno bisogno di accettare che lo spazio sia popolato, animato o sacro per trattarlo con la cura e il rispetto che le comunità indigene richiedono all’industria», afferma la Rubenstein.
In effetti, in una recensione del libro di Rubenstein Astrotopia: The Dangerous Religion of the Corporate Space Race, la testata progressista Vox ha osservato che «in effetti, alcuni credono che questi corpi celesti dovrebbero avere diritti fondamentali propri».
Quindi, l’ordine degli accademici è che gli esseri umani dessero priorità alle credenze dei nativi nell’esplorazione dello spazio rispetto a quelle dei cristiani europei?
Dovremmo rinunciare all’estrazione di minerali preziosi da asteroidi, comete e pianeti vicini, perché hanno tutti una sorta di Carta dei diritti «mistica panteistica»?
I limiti posti ai programmi di esplorazione spaziale sono da sempre legati a movimenti antiumanisti che odiano la civiltà – in una parola alla Cultura della Morte.
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Lo stesso Zubrin, ex dipendente NASA frustrato dalla mancanza di un programma per la conquista di Marte e il suo terraforming, ne ha scritto in libri fondamentali come Merchants of Dispair (2013), dove spiega come la pseudoscienza e l’ambientalismo siano di fatto culti antiumani.
Lo Zubrin era animatore della Mars Society, un’associazione dedicata alla promozione dell’espansione su Marte, quando nei primi anni Duemila si presentò ad una serata del gruppo uno sconosciuto, che alla fine lasciò in donazione un assegno con una cifra inusitata per la Society, ben 5.000 dollari: si trattava di Elon Musk.
Il quale, marzianista convinto al punto da realizzare razzi che dice ci porteranno sul pianeta rosso tra quattro anni, è anche uno dei più accesi nemici del politicamente corretto, della cultura woke e soprattutto dell’antinatalismo, oltre che una persona che attivamente, negli anni – lo testimonia la sua costante attenzione per la storia della Roma antica – ha dimostrato di aver compreso il valore, e la fragilità, della civiltà umana.
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Civiltà
L’anarco-tirannia uccide: ieri ad Udine, domani sotto casa vostra
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Civiltà
Tecnologia e scomparsa della specie umana: Agamben su progresso e distruzione
Renovatio 21 pubblica questo scritto di Giorgio Agamben apparso sul sito dell’editore Quodlibet su gentile concessione dell’autore.
Quali che siano le ragioni profonde del tramonto dell’Occidente, di cui stiamo vivendo la crisi in ogni senso decisiva, è possibile compendiarne l’esito estremo in quello che, riprendendo un’icastica immagine di Ivan Illich, potremmo chiamare il «teorema della lumaca».
«Se la lumaca», recita il teorema, «dopo aver aggiunto al suo guscio un certo numero di spire, invece di arrestarsi, ne continuasse la crescita, una sola spira ulteriore aumenterebbe di 16 volte il peso della sua casa e la lumaca ne rimarrebbe inesorabilmente schiacciata».
È quanto sta avvenendo nella specie che un tempo si definiva homo sapiens per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico e, in generale, l’ipertrofia dei dispositivi giuridici, scientifici e industriali che caratterizzano la società umana.
Questi sono stati da sempre indispensabili alla vita di quello speciale mammifero che è l’uomo, la cui nascita prematura implica un prolungamento della condizione infantile, in cui il piccolo non è in grado di provvedere alla sua sopravvivenza. Ma, come spesso avviene, proprio in ciò che ne assicura la salvezza si nasconde un pericolo mortale.
Gli scienziati che, come il geniale anatomista olandese Lodewjik Bolk, hanno riflettuto sulla singolare condizione della specie umana, ne hanno tratto, infatti, delle conseguenze a dir poco pessimistiche sul futuro della civiltà. Nel corso del tempo lo sviluppo crescente delle tecnologie e delle strutture sociali produce una vera e propria inibizione della vitalità, che prelude a una possibile scomparsa della specie.
L’accesso allo stadio adulto viene infatti sempre più differito, la crescita dell’organismo sempre più rallentata, la durata della vita – e quindi la vecchiaia – prolungata.
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«Il progresso di questa inibizione del processo vitale», scrive Bolk, «non può superare un certo limite senza che la vitalità, senza che la forza di resistenza alle influenze nefaste dell’esterno, in breve, senza che l’esistenza dell’uomo non ne sia compromessa. Più l’umanità avanza sul cammino dell’umanizzazione, più essa s’avvicina a quel punto fatale in cui progresso significherà distruzione. E non è certo nella natura dell’uomo arrestarsi di fronte a ciò».
È questa situazione estrema che noi stiamo oggi vivendo. La moltiplicazione senza limiti dei dispositivi tecnologici, l’assoggettamento crescente a vincoli e autorizzazioni legali di ogni genere e specie e la sudditanza integrale rispetto alle leggi del mercato rendono gli individui sempre più dipendenti da fattori che sfuggono integralmente al loro controllo.
Gunther Anders ha definito la nuova relazione che la modernità ha prodotto fra l’uomo e i suoi strumenti con l’espressione: «dislivello prometeico» e ha parlato di una «vergogna» di fronte all’umiliante superiorità delle cose prodotte dalla tecnologia, di cui non possiamo più in alcun modo ritenerci padroni. È possibile che oggi questo dislivello abbia raggiunto il punto di tensione massima e l’uomo sia diventato del tutto incapace di assumere il governo della sfera dei prodotti da lui creati.
All’inibizione della vitalità descritta da Bolk si aggiunge l’abdicazione a quella stessa intelligenza che poteva in qualche modo frenarne le conseguenze negative.
L’abbandono di quell’ultimo nesso con la natura, che la tradizione filosofica chiamava lumen naturae, produce una stupidità artificiale che rende l’ipertrofia tecnologica ancora più incontrollabile.
Che cosa avverrà della lumaca schiacciata dal suo stesso guscio? Come riuscirà a sopravvivere alle macerie della sua casa? Sono queste le domande che non dobbiamo cessare di porci.
Giorgio Agamben
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