Civiltà
L’élite apocalittica vuole i robot killer per proteggersi dopo il collasso
Nel 2018 l’influente professore e scrittore Douglas Rushkoff ha critto un articolo intitolato «Survival of the Richest» («la sopravvivenza del più ricco»), un titolo che fa eco al darwiniano «Survival of the Fittest», cioè la sopravvivenza del più adatto.
Questi miliardari senza nome stavano cercando il suo consiglio per pianificare la loro sopravvivenza dopo quello che hanno chiamato «l’evento», il termine per il collasso della Civiltà
Nell’articolo, lo specialista di cibercultura rivelava che un anno prima era stato pagato un’enorme cifra per incontrare cinque gestori di hedge fund estremamente ricchi.
Rushkoff afferma che questi miliardari senza nome stavano cercando il suo consiglio per pianificare la loro sopravvivenza dopo quello che hanno chiamato «l’evento», il termine per il collasso della Civiltà attraverso la distruzione del clima, la guerra nucleare o qualche altra catastrofe che apparentemente consideravano tanto probabile e vicina da iniziare a pianificare per la sopravvivenza.
Rushkoff scrive che alla fine divenne chiaro che la principale preoccupazione di questa ricca élite ultramiliardaria era mantenere il controllo su una forza di sicurezza che avrebbe protetto le loro proprietà dalla plebe in un mondo post-apocalittico in cui il denaro potrebbe non significare nulla.
«Sapevano che sarebbero state necessarie guardie armate per proteggere i loro complessi dalla folla inferocita. Ma come avrebbero pagato le guardie una volta che i soldi non avevano più valore?»
«Questa singola domanda ci ha occupato per il resto dell’ora. Sapevano che sarebbero state necessarie guardie armate per proteggere i loro complessi dalla folla inferocita. Ma come avrebbero pagato le guardie una volta che i soldi non avevano più valore?»
Una domanda non da poco. Senza i soldi, l’élite che potere ha? Senza il danaro, come impedire che gli esseri umani si raggruppino intorno ad elementi più naturali?
«Cosa avrebbe impedito alle guardie di scegliere il proprio capo? I miliardari presero in considerazione l’uso di speciali serrature a combinazione sulla fornitura di cibo che solo loro conoscevano. O costringere le guardie a indossare collari disciplinari di qualche tipo in cambio della loro sopravvivenza. O forse costruire robot che servano da guardie e lavoratori, se quella tecnologia potesse essere sviluppata in tempo».
«Cosa avrebbe impedito alle guardie di scegliere il proprio capo? I miliardari presero in considerazione l’uso di speciali serrature a combinazione sulla fornitura di cibo che solo loro conoscevano. O costringere le guardie a indossare collari disciplinari di qualche tipo in cambio della loro sopravvivenza. O forse costruire robot che servano da guardie e lavoratori, se quella tecnologia potesse essere sviluppata in tempo»
Non sono pochi i miliardari della Silicon Valley che non fanno mistero dei loro investimenti apocalittici: bunker sotterranei, navi, elicotteri, armi. Peter Thiel, geniale fondatore di PayPal e primo investitore in Facebook (oltre che attore di misteriosi contatti con il sistema più profondo della Difesa USA), si è mosso come sempre per primo, arrivando ad acquisire, cosa non facile, la cittadinanza neozelandese per poi costruire una sorta di base post-catastrofe sull’isola.
Si tratta del fenomeno dei «tech survivalist billionaires», i miliardari tecnologici survivalisti: survivalist, o prepper, è colui che si prepara a sopravvivere alla fine della civiltà. Un tempo era un fenomeno delle milizie più o meno fondamentaliste dell’America profonda, ora è un fenomeno che ora coinvolge i più ricchi e intelligenti d’America. La cosa fu descritta con perizia da un articolo della rivista New Yorker in cui dettagliava con perizia le strategie dei nababbi per il giorno del giudizio.
Insomma, all’élite non dispiacerebbe una tecnologia robotica assassina sufficientemente avanzata da poter fungere da scorta post-apocalittica: scorta che, lo sanno, servirà loro specialmente per difenderli dalla plebe che li accuserà del disastro, o che semplicemente vorrà un pezzo di quello che essi avranno.
«Siamo governati da guerrafondai e sociopatici, e nessuno di loro ha piani sani per il nostro futuro»
Renovatio 21 vi parla spesso di androidi da combattimento, droni, carri armati senza pilota, slaughterbots, robocani etc. Oggi sono curiosità – o elementi della guerra avanzata. Domani potrebbero essere vostri nemici diretti. Come nell’episodio di Black Mirror «Metalhead», domani, per la vostra sopravvivenza, potreste trovarvi a fronteggiare un robot killer.
«Siamo governati da guerrafondai e sociopatici, e nessuno di loro ha piani sani per il nostro futuro» scrive Caitlin Johnstone su Medium.
«Non sono buoni e non sono saggi. Non sono nemmeno particolarmente intelligenti. A meno che non riusciamo a trovare un modo per staccare le loro dita dal volante del nostro mondo in modo da poter voltare le spalle dalla direzione in cui siamo diretti, le cose probabilmente diventeranno molto oscure e spaventose».
Immagine di longgi via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)
Civiltà
Chiediamo l’abolizione degli assessorati al traffico
Renovatio 21 propone una soluzione apparentemente drastica, ma invero assai realistica, ad uno dei problemi che affligge l’uomo moderno: il traffico.
Non si parla di una questione da niente, e ci rendiamo conto che essa pertiene propriamente alla catastrofe del mondo odierno, e proprio per questo serve una modifica radicale di carattere, soprattutto, istituzionale.
Lo aveva capito il genio di Marshall McLuhan: «La strada è la fase comica dell’era meccanica (…) Il traffico è l’aspetto comico della città» (Gli Strumenti del comunicare, 1964). Il culmine comico dell’era dell’industria: la civiltà costruisce strade ed automobili per muoversi in libertà e rapidità, e si ritrova imbottigliata per ore, innervosita, massacrata da miriadi di leggi, restrizioni, multe.
Il traffico è un fenomeno generatore di caos e dolore, di isterie e sprechi – il tutto subito sulla nostra pelle, ogni singolo giorno – al quale nessuno sembra trovare soluzione, soprattutto quanti sarebbero preposti a risolverlo. Costoro sembrano invece, consapevoli o no, impegnati nell’aggravarsi del dramma.
Davanti a noi abbiamo la degradazione continua, inarrestabile della mobilità urbana. È difficile trovare qualcuno che possa dire che il traffico è migliorato, o che una soluzione azzeccata adottata su una qualche strada non sia stata poi azzerata da una scelta successiva, calata, come tutte, dall’alto, sul cittadino schiavo inerme.
Crediamo che uno dei motivi di tale regressione diacronica ed ubiqua sua l’esistenza dei cosiddetti assessorati al traffico, che si chiamano in vari modi (uffici mobilità, dipartimento dei trasporti, direzione viabilità), ma che sono tutti costruiti attorno ad uno assunto semplice: spendere un determinato budget per cambiare le strade.
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Probabilmente la questione è davvero così semplice: nell’impossibilità di non spendere l’ammontare di danaro assegnato (grande tabù per qualsiasi ente pubblico: i soldi che risparmi non generano un premio, ma una diminuzione della cifra che arriva l’anno dopo) gli assessori e i loro scherani non possono che mettere mano ovunque, con decisioni a volte incomprensibili, a volte ideologiche, e quasi sempre dannosissime.
Ecco che, perché l’assessorato deve fare qualcosa, invertono un senso unico, cagionando il disorientamento totale del cittadino automunito, che d’un tratto si trova non solo multato, ma anche al centro di un pericolo per sé e per gli altri. Ricordiamo le tecniche dei missionari: cambiare la forma del villaggio è aprire la mente dell’indigeno all’altro, qui tuttavia non c’è il Vangelo a dover essere diffuso, ma il nulla di una decisione burocratica stupida e gratuita – gratuita per modo di dire, perché anche per un’inezia del genere vi è un costo non indifferente per il contribuente.
Ecco che, perché l’assessore deve finire sui giornali, l’area viene pedonalizzata: ZTL laddove prima potevi passare per portare i figli a scuola o fermarti nel negozietto (che ne patirà, ovvio, le conseguenze). Sempre considerando che le ZTL sono da vedersi come riserve indiane degli elettori dei partiti di sinistra, gli unici che possono permettersi di vivere in centro.
Ecco che, perché l’assessore deve far carriere nel partitello con le fisime ecologiche, laddove c’erano due corsie ce ne troviamo una sola, con una, perennemente vuota, riservata ad autobus che fuori dalle ore di scuola sono oramai solo utilizzati da immigrati che con grande probabilità non pagano il biglietto e in caso potrebbero pure picchiare il controllore (succede, lo sapete). Il risultato è, giocoforza, un imbottigliamento ancora più ferale, un’eterogenesi dei fini per politica ecofascista che è, in ultima analisi, solo una mossa di PR inutile quanto oscena.
Ecco la sparizione di parcheggi gratuiti – grande segno della fine della Civiltà – così da scoraggiare, come da comandamento di Aurelio Peccei, l’uso dell’auto che produce anidride carbonica, orrenda sostanza per qualche ragione alla base della chimica organica e quindi della vita stessa, soprattutto quella umana. Chi va all’Estero – non in Giappone, ma in un Paese limitrofo come l’Austria – sogna vedendo la quantità di parcheggi sotterranei creati attorno alle cittadine, senza tanti problemi per gli scavi al punto che, con recente politica, il rampollo Porsche si è fatto il suo tunnel che lo porta da casa al centro di Salisburgo in un batter d’occhio.
Il superamento del traffico attraverso la dimensione infera è stato compreso, con la solita mistura di genio e concretezza, da Elon Musk con la sua Boring Company: se vuoi migliorare la tragedia del traffico l’unico modo di farlo è andando verso il basso, anche se sembrerebbe che il prossimo misterioso modello di Tesla, la Roadster, potrebbe poter operare verso l’alto. Noi, tuttavia, non abbiamo Elone, abbiamo gli assessori al traffico.
E poi, i capolavori – sempre trainati da ideologia verde, interessi cinesi impliciti e tagli di nastro sul giornale – della «micromobilità», con i monopattini e le bici «free-floating» rovinate, abbandonate e utilizzate, in larghissima parte, dalle masse di eleganti africani, che magari con esse si spostano con più agilità per certe loro attività, come lo spaccio di droga: massì, vuoi non pagargli, oltre che vitto-alloggio-acqua-gas elettricità-internet-telefonino-avvocato-sanità-bei vestiti alla moda anche dei mezzi di trasporto con cui, appunto, possono evitare il traffico? Tipo: un inseguimento di una gazzella della Polizia nel traffico contro un criminale in monopattino, come finisce? L’eterogenesi dei fini qui non è nemmeno comica, è tragicomica, o tragica e basta.
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Potremmo continuare con la lista. Laddove c’era una rotonda che funzionava meglio di un semaforo (ogni tanto, qualcuna la devono azzeccare, ma non dura) ecco che te la cancellano e ci mettono cordoli, fiori, pianticelle, magari perfino un monumento orrendo o una fontana lercia.
Laddove c’era una strada larga, eccotela divorata da un nuovo mega-marciapiede che non usa nessuno, se non i ciclofascisti zeloti, i quali tuttavia divengono presto vittime della follia viabilitaria, con sensi unici e corsie di trenta centimentri anche per i velocipedi.
Laddove c’era una strada dritta che in 50-100 metri ti portava allo snodo, loro, per farti arrivare al medesimo punto, ti costruiscono una deviazione di mezzo chilometro che ti manda sotto un supermercato, un tribunale, una palestra, una pizzeria, appartamenti di lusso e uffici pubblici – insomma un bel progetto di complessone che qualcuno deve aver costruito e in qualche modo venduto, con tutti incuranti del fatto che se all’esame di urbanistica all’Università proponevi una cosa del genere venivi bocciato seduta stante.
Laddove devono costruire una tangenziale, magari con decenni di ritardo, ti rendi conto che si dimenticano di fare le uscite nei comuni che attraversa e ci fanno l’immissione con uno stop invece di una corsia di accelerazione, con il risultato che entri a 0 km/h in una strada dove da sinistra ti arriva uno che viaggia ufficialmente a 70-90 km/h, che poi divengono sempre 100-120 km/h se non, nel caso del tizio con l’Audi in leasing, cinque vaccini e chissà cos’altro in corpo, perfino di più.
E non parliamo dei casi di corruzione che saltano fuori in quegli uffici – dove ci sono appalti, ci sono mazzette, uno pensa. Ma non è nemmeno questo il punto: nel disastro, gli effetti della malizia possono essere indistinguibili da quelli dell’ebetudine conclamata dei soggetti e del sistema.
È difficile, davvero, trovare qualcosa di positivo in quello che fanno quanti sono politicamente preposti al miglioramento della mobilità – cioè dell’esistenza – dei cittadini. Il motivo, lo ripetiamo, è strutturale: gli assessorati sono macchine strutturate per modificare, cioè complicare, le cose. In pratica, sono l’essenza stessa della burocrazia, con effetti fisici però immediati e devastanti.
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La soluzione a tutto questo potrebbe essere davvero facile-facile: abolizione completa degli assessorati al traffico. Con essa, si perderebbe l’incentivo strutturale a cambiare sempre e comunque tutto, e a valutare con più responsabilità le innovazioni.
Immaginiamo che se la viabilità fosse fra le mansioni dirette del sindaco, cioè se la responsabilità fosse la sua, le decisioni sulla mobilità sarebbero più dosate e sensate, perché esposte al popolo con il quale il primo cittadino ha certo un rapporto più diretto, nonché mediato dal voto, passato e soprattutto futuro.
È una proposta che non sappiamo se sia già stata fatta. Certo si possono valutare cose anche più radicali: come la punizione per quanti complicano e distruggono la viabilità delle nostre città. Lo sappiamo, è la mancanza di castigo che crea aberrazioni ed orrori, con la devastazione di tanta parte d’Italia dovuta a questo principio di irresponsabilità della casta politico-burocratica.
La realtà è che, per ottenere qualcosa, il cittadino sincero-democratico automunito deve arrabbiarsi molto di più. Non basta ringhiare al bar, o imprecare dentro l’abitacolo, magari pure, a certe latitudini, suonando il clacsone. Non serve alimentare un sistema che, alla fine, continua a produrre assessori al traffico, e traffico.
No, serve davvero di più. Perché l’auto è davvero un mezzo di libertà, e aggiungiamo, di vita – l’auto è uno strumento della famiglia. Chi vuole togliervela – come quelli di Davos, le cui idee percolano poi giù giù fino al vostro assessorino – odia la vita, odia voi e i vostri figli.
Chiedere l’abolizione degli assessorati al traffico ci sembra il minimo che possiamo fare se vogliamo sul serio lottare per la Civiltà.
Roberto Dal Bosco
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Civiltà
«Pragmatismo e realismo, rifiuto della filosofia dei blocchi». Il discorso di Putin a Valdai 2025: «la Russia non mostrerà mai debolezza o indecisione»
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Civiltà
La lingua russa, l’amicizia fra i popoli, la civiltà
Lo scorso 20 settembre l’ambasciatore della Federazione Russa in Italia, Alexey Paramonov, ha aperto le porte della sua residenza romana agli studenti italiani di lingua e letteratura russa presso la scuola della Casa Russa.
Io c’ero. Eravamo in tanti, dall’estremo Nord della penisola fino alla Sicilia.
Dell’accoglienza, impeccabile, nella splendida cornice di Villa Abamelek, ha colpito sopratutto ciò che è andato oltre i canoni della diplomazia: ci hanno conquistati la cordialità e il calore con cui l’ambasciatore si è rivolto a noi che, attraverso la via maestra della lingua, mostriamo il desiderio di avvicinarci alla sensibilità e alla cultura di un popolo la cui storia in parte parla anche italiano.

In un tempo in cui i codici comunicativi tendono inesorabilmente a immiserirsi, omologarsi, imbarbarirsi, intraprendere lo studio di un idioma identitario dalla straordinaria ricchezza espressiva – anche perché flesso e quindi più che mai duttile – e avventurarsi nei suoi meandri stilistici e nelle sue sonorità arcane, implica essere attratti dalla civiltà che ne è nutrita. Una civiltà, infatti, vive dentro la sua lingua – dentro la lingua che le fa da madre.
Per molte ragioni, sondate e insondate, il richiamo è reciproco. Sono rimasta ammirata, in questi anni, dalla conoscenza profonda che tanti russi vantano del nostro patrimonio artistico e letterario e dalla curiosità inesausta con cui continuano a esplorarlo.
Ancor più, sono rimasta stupita dall’affetto che, nonostante tutto, essi continuano a manifestare per l’Italia e per gli italiani.
Come per me, così per altri studenti con cui ho avuto modo di confrontarmi, cominciare a scoprire questa lingua dalle infinite suggestioni è stata sì una scelta figlia della passione per la cultura lussureggiante che ne è intessuta, ma non solo: discende anche da una reazione istintiva alla demonizzazione illogica, innaturale, assurda, di tutto quanto proviene da una nazione legata all’Italia da un rapporto di scambio e di amicizia radicato nei secoli. Vuole essere un modo concreto per tendere la mano a un popolo che non ci è mai stato ostile.
Davanti alla mono-narrazione mediatica che ci è imposta senza soluzione di continuità, impermeabile alle fonti e a ogni voce alternativa; davanti a decisioni sciagurate di amministrazioni sciagurate giunte fino a impunemente bandire concerti di musicisti russi, gare di atleti russi, conferenze su grandi autori russi, siamo in tanti a sentire la necessità e il dovere di alzarci e dire: non in mio nome.
Elisabetta Frezza
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Renovatio 21 pubblica il discorso tenuto il 20 settembre agli studenti e amici della lingua russa dall’ambasciatore della Federazione Russa in Italia Aleksey Paramonov. Il discorso è stato pubblicato sul sito del ministero degli Esteri di Mosca.
Cari amici!
È proprio così che mi rivolgo a Voi, poiché chi è amico della lingua russa lo è anche della Russia e dell’Ambasciata russa in Italia. Vi do il benvenuto qui a Villa Abamelek, luogo dove si parla russo già da oltre 120 anni.
La lingua è strettamente legata alla mentalità e allo spirito di ciascun popolo. Sotto questo aspetto, la lingua russa è molto vicina a quella italiana. Nella vostra lingua, infatti, si riflette tutta la profondità storica che è propria di una civiltà romanza. Anche la lingua russa, così come la vostra lingua italiana, è l’articolata, pluridimensionale manifestazione di una civiltà, e non soltanto uno strumento atto a consentire la comunicazione. Non intendo certo offendere nessuno, ma ai nostri giorni la lingua inglese, anziché farsi mezzo di espressione culturale, si tramuta sempre più in uno strumento vuoto e privo di anima.
Per noi russi, la lingua e la cultura hanno un valore a sé. Noi appoggiamo l’istanza secondo cui l’identità etnica e culturale di ciascun individuo debba essere rispettata e debba trovare realizzazione nella libera interazione con altri individui. Noi promuoviamo l’importanza di quei valori che sono fondamentali ed eterni, e difendiamo il loro primato sui dettami legati al profitto e alle logiche del mercantilismo. Ci opponiamo fermamente a ogni tentativo di sfruttare la lingua, lo sport, la cultura e l’arte, così come altri aspetti dell’attività umana, come strumento per raggiungere scopi di carattere geopolitico. Tanto più se il fine è quello di dare prova della propria superiorità ed esclusività.
Oggi, per noi la cosa più importante è che quanti più individui possibile abbiano accesso a conoscenze oggettive sulla Russia, che la percepiscano e la accolgano nella sua completezza e in tutta la sua molteplicità. Noi non ci chiudiamo né ci nascondiamo da nessuno, al contrario dell’Unione Europea. Certo, potremmo non essere ancora un «Giardino dell’Eden», ma di sicuro non siamo la giungla. Il nostro è un «Giardino dei ciliegi». I «giardinieri» di Bruxelles non ci servono.
In occasione della recente presentazione del Concorso Musicale Intervision, il ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa Sergej Lavrov si è espresso in modo molto chiaro: «Se osserviamo [l’attuale] contesto globale, la comunicazione tra le persone più diverse si rende necessaria adesso più che mai. Stanno cercando di dividerci, di costruire nuovi “muri”, stanno imponendo sanzioni e inasprendo le normative sui visti per tagliare fuori i russi dall’Occidente. In tali circostanze, la comunicazione saprà consolidare quelle naturali tendenze positive che spingono l’umanità a perseguire una sua evoluzione; umanità che, peraltro, in generale desidera soltanto vivere in pace e in prosperità, nonché avere la possibilità di comunicare e di farsi partecipe delle culture degli altri popoli».
Perciò, comunichiamo. Noi siamo sempre pronti e disposti alla comunicazione.
Ma parliamo adesso di ciò che riguarda il bello. Il grande scrittore russo Nikolaj Gogol’, originario dell’Ucraina, in una lettera indirizzata al suo amico Sergej Aksakov nel dicembre 1844, seppe descrivere con grande accuratezza la ricchezza della lingua russa: «di fronte a Voi si estende la vastità: è la lingua russa! E allora un profondo piacere Vi chiama, il piacere di immergerVi in tutta la sua immensità e di comprenderne le meravigliose leggi …».
Anche lo scrittore russo Konstantin Paustovskij seppe esprimersi in maniera accurata e concisa sulla lingua russa: «con la lingua russa si possono fare miracoli. Non esiste nulla, nella vita così come nella nostra coscienza, che non possa trovare espressione attraverso le parole russe. Le sonorità della musica, lo splendore dei colori in tutto il loro spettro cromatico, i giochi di luce, i rumori e le ombre nei giardini, quella vaghezza sperimentata in sogno, il grave brontolio del temporale, il bisbigliare dei bambini, fino allo scalpiccio generato dalla ghiaia sul mare. Non esistono suoni, colori, immagini o pensieri per i quali nella nostra lingua non vi sia già un’espressione ben precisa».
Dal bello, passiamo adesso al lato pratico. Al giorno d’oggi, la lingua russa è parlata da 255 milioni di persone in tutto il mondo. La lingua russa si trova al quinto posto tra le lingue più parlate. Il russo è lingua ufficiale o di lavoro in ben 15 organizzazioni internazionali. Da questo punto di vista, la lingua russa occupa la quarta posizione dopo l’inglese, il francese e lo spagnolo.
Il sistema di istruzione in Russia, nel quale rientra anche l’insegnamento della lingua russa, è aperto a tutti. La Russia si colloca tra i primi 10 Paesi al mondo per numero di studenti stranieri. Si stima che quest’anno il numero di studenti stranieri nelle università russe supererà le 400 mila unità, mentre si prevede che entro il 2030 tale cifra raggiungerà le 500 mila unità.
Ahimé, amici miei, questo lo si deve perlopiù all’incremento del numero di studenti provenienti dai Paesi dell’Africa, dell’America Latina, dell’India e del Medio Oriente.
Tuttavia, anche per gli italiani che desiderano studiare in Russia, la via di accesso alle nostre università è sempre aperta. Gli studenti italiani possono studiare nelle principali università russe gratuitamente, dopo aver superato una selezione che permette loro di ottenere una borsa di studio statale. Di tale procedura si occupa la Casa Russa a Roma. Già da questi giorni sarà possibile presentare la domanda, che potrà pervenire fino alla scadenza del 15 gennaio 2026. Non lasciatevi sfuggire questa opportunità. La quota di domande pervenute da studenti stranieri si distribuisce su tutte le specializzazioni e su tutti i programmi di studio sulla base dei medesimi requisiti stabiliti per i cittadini russi.
Sebbene in Italia il russo non sia la lingua più studiata, essa comunque occupa una nicchia importante; e la sua importanza è in crescita in una situazione caratterizzata da un ordine mondiale in rapida evoluzione, dal rafforzamento, al suo interno, del multipolarismo e dall’avvento dei BRICS e dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai sul proscenio globale, nonché dal processo di creazione delle basi fondanti di quel Grande Partenariato Eurasiatico dal quale non siano esclusi neppure i Paesi situati sull’estremità più occidentale del continente eurasiatico. E diviene quindi ancor più prezioso il vostro contributo, cari amici, al consolidamento della tendenza legata allo studio della lingua russa in Italia. A frequentare i corsi della Casa Russa a Roma siete già in più di 600. Continuate così!
Desidero altresì esprimere la mia più sincera gratitudine dei confronti dei docenti di lingua e letteratura russa delle università di Catania, Venezia, Firenze, Roma e delle altre città italiane per il costante supporto mostrato nei confronti delle nostre iniziative, nonché per il fatto che, persino nel complesso momento attuale, sapete restare fedeli alla vostra missione. State portando avanti quel nobile lavoro, iniziato ormai più di 500 anni fa, atto ad avvicinare la Russia e l’Italia.
Il grande scrittore classico Ivan Turgenev, nel suo poema in prosa del 1882, che appunto si intitola «Lingua russa», scrisse: «Nei giorni del dubbio, nei giorni segnati dalla difficile e dolorosa riflessione sul destino della mia patria, tu sola sei per me di appoggio e di supporto, oh grande, potente, veritiera, libera lingua russa!».
Per questo motivo desidero rivolgermi a tutti coloro che in Italia parlano, leggono, scrivono, riflettono, amano e creano in lingua russa, o che soltanto adesso si apprestano ad immergersi nel meraviglioso mondo russo. Non lasciatevi cogliere da alcun dubbio! Sappiate che qui voi non siete soli! Le porte dell’Ambasciata della Federazione Russa in Italia e della Casa Russa a Roma rimarranno sempre aperte per Voi, per le Vostre iniziative e per i Vostri progetti, e accoglieranno sempre ogni opportunità di cooperazione culturale e umanistica. Perché dopotutto siamo amici, non è forse così?
Vi ringrazio per l’attenzione!
Alexej Paramonov
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