Storia
Erdogan con Scholz al suo fianco dice che la Germania non può parlare liberamente di Israele a causa dell’Olocausto
Venerdì, mentre si trovava in visita in Germania, il presidente turco Receps Erdogan ha proseguito nella sua aggressiva denuncia dell’operazione militare israeliana contro Hamas e Gaza.
Durante la conferenza stampa congiunta a Berlino, Erdogan ha messo in imbarazzo al cancelliere tedesco Olaf Scholz: il turco non solo ha ribadito i suoi appelli per un cessate il fuoco immediato, ma è arrivato al punto di dire che ciò che Israele sta facendo è contro la religione ebraica, denunciando gli attacchi contro bambini e civili negli ospedali come contrari al libro sacro ebraico.
«Sparare agli ospedali o uccidere i bambini non esiste nella Torah, non si può fare», ha detto Erdogan, che ha poi sottolineato le numerose e crescenti vittime tra le donne, i bambini e gli anziani palestinesi, e ha anche menzionato gli attacchi alle chiese.
«Israele prende di mira ospedali, luoghi di culto e chiese? Sì, lo fa. Io, come musulmano, ne sono turbato», ha detto, hanno riportato i media turchi. Erdogan ha quindi rimproverato i leader occidentali per non aver condannato tali sfacciati abusi dei diritti umani, sempre con Scholz in piedi a disagio proprio accanto a lui.
Erdogan ha ulteriormente complicato le cose facendo riferimento ad un argomento estremamente delicato per i tedeschi, affermando che la Germania non è in grado di criticare Israele a causa dell’Olocausto.
«Parlo liberamente perché non dobbiamo nulla a Israele. Se fossimo in debito, non potremmo parlare così liberamente», ha detto. «Chi è indebitato non può parlare liberamente. Non abbiamo vissuto l’Olocausto e non ci troviamo in una situazione del genere».
🇩🇪🇹🇷🚨‼️ FULL ADDRESS: Erdogan and Scholz!
Erdogan: “We have no debt to Israel.
Those with debts cannot speak freely!
We did not go through the Holocaust.” pic.twitter.com/JRUXwPhQKI
— Lord Bebo (@MyLordBebo) November 18, 2023
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Il presidente turco ha quindi sottolineato che le azioni di Israele sarebbero contrario ai precetti del giudaismo.
Secondo Erdogan, esiste la possibilità che la Turchia possa mediare la pace, cosa che rimane altamente improbabile date le attuali crescenti tensioni nelle relazioni Israele-Turchia che hanno recentemente visto il ritiro reciproco degli ambasciatori e denunce verbali «occhio per occhio».
«Come Turchia, il nostro obiettivo è facilitare un’atmosfera in cui palestinesi e Israele coesistono pacificamente», ha dichiarato il vertice dello Stato turco.
Erdogan ha anche insistito sull’arsenale nucleare segreto di Israele, affermando che il mondo deve esigere che venga ufficialmente reso pubblico, promettendo anche di mandare Israele davanti alla Corte penale internazionale (CPI) per crimini di guerra.
'We don't owe them anything' Erdogan hits Germany unable to criticise Israel because of the Holocaust
Video Credit @ShanghaiEye pic.twitter.com/NeyhDhOas0— Zhang Heqing (@zhang_heqing) November 18, 2023
Il cancelliere tedesco Scholz, compresente lì a pochi centimetri di distanza, nella stessa conferenza stampa è rimasto impassibile.
In risposta alla domanda di un giornalista se la Germania sosterrebbe un’azione legale contro i crimini di guerra in corso da parte di Israele contro i palestinesi a Gaza, Scholz ha risposto che «il diritto di autodifesa di Israele non deve essere messo in discussione».
Scholz si è recato in Israele per offrire il sostegno incondizionato e incrollabile della Germania dopo gli attacchi del 7 ottobre.
Il commento di Erdogan ha suscitato immediate polemiche tra i leader tedeschi, sconvolgendo i politici di tutto lo spettro in Germania. Scholz ha poi descritto le accuse di Erdogan contro Israele come «assurde».
«Non è un segreto che abbiamo, in parte, opinioni molto diverse sull’attuale conflitto», ha detto Scholz nella breve conferenza stampa insieme a Erdogan prima dei colloqui. Tuttavia, «soprattutto nei momenti difficili, dobbiamo parlarci direttamente».
La Germania è tra i Paesi europei che hanno una grande popolazione musulmana e soprattutto turca. Lì sono scoppiate grandi proteste filo-palestinesi. Uno dei rari punti di accordo tra Turchia e Germania durante la visita di Erdogan è stata la necessità di una soluzione a due Stati.
Nel frattempo, la Turchia di Erdogan continuerà a rappresentare un’eccezione in termini di politica estera nell’alleanza NATO, che il «sultano» sa usare a suo vantaggio: quattro mesi fa si dice che Biden abbia offerto alla Turchia 11 miliardi del Fondo Monetario Internazionale per permettere alla Svezia di entrare nel Patto Atlantico; Erdogan avrebbe altresì detto che l’ammissione di Stoccolma nella NATO poteva arrivare qualora la UE facesse entrare Ankara nell’eurogruppo.
Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Erdogan ha dichiarato che Israele è uno «Stato terrorista» che sta commettendo un «genocidio» a Gaza.
Tre settimane fa Erdogan aveva accusato Israele di «crimini di guerra» per poi attaccare l’intero mondo Occidentale (di cui Erdogan sarebbe di fatto parte, essendo la Turchia aderente alla NATO e aspirante alla UE) a Gaza «ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità».
Come riportato da Renovatio 21, in un episodio che lasciò alcuni osservatori un po’ interdetti, nel giugno 2022 il governo dello Stato Ebraico aveva emesso un avviso di viaggio per Istanbul alzando l’allerta terrorismo al massimo livello dopo che i funzionari hanno affermato di aver fermato diversi progetti di attacco iraniano contro i turisti israeliani.
Riguardo al fatto che la Turchia starebbe in silenzio se avesse un «Olocausto», molti si permetterebbero di dissentire, visto lo spudorato sostegno, politico e militare, dato da Erdogan e il suo clan all’Azerbaigian nel suo conflitto con gli armeni, i quali un secolo fa avrebbero subito un genocidio proprio per mano turca.
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Arte
La Russia di Alessandro I e la disfatta di Napoleone, una lezione attuale
Renovatio 21 ripubblica questo articolo comparso su Ricognizioni.
Ideatore della società filosofico-religiosa nella città di San Pietroburgo e della rivista «Novyj Put» (che tradotto significa «La via nuova»), padre riconosciuto del Simbolismo russo, Dmitrij Sergeevic Merežkovskij è stato uno dei più interessanti scrittori russi della prima metà del ‘900. Esule a Parigi dopo la Rivoluzione d’Ottobre, dove visse e morì nel 1941, spirito profondamente religioso passato anche per la massoneria durante il periodo zarista, viene finalmente tradotto e pubblicato in Italia dall’editore Iduna.
Lo Zar Alessandro I (pagine 450, euro 25) è un’avvincente biografia in forma di romanzo dello Zar che sfidò Napoleone, una figura leggendaria e romantica, uno dei più affascinanti personaggi della dinastia dei Romanov.
Il libro è stato curato da Paolo Mathlouthi, studioso di cultura identitaria, che per le case editrici Oaks, Iduna, Bietti ha curato già diversi volumi in cui ha indagato il complesso rapporto tra letteratura e ideologia lungo gli accidentati percorsi del Novecento, attraverso una serie di caustici ritratti dedicati alle intelligenze scomode del Secolo Breve. Ricognizioni lo ha intervistato.
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Paolo Mathlouthi, lei ha definito questo romanzo un’opera germogliata dalla fantasia titanica ed immaginifica di Merežkovskij. Cosa significa?
In una celeberrima intervista rilasciata nel 1977 ad Alberto Arbasino che, per spirito di contraddizione, lo incalzava sul tema del realismo, ipnotico mantra di quella che allora si chiamava cultura militante, Jorge Luis Borges rispondeva lapidario che la letteratura o è fantastica oppure, semplicemente, non è. «Il realismo – precisava – è solo un episodio. Nessuno scrittore ha mai sognato di essere un proprio contemporaneo. La letteratura ha avuto origine con la cosmogonia, con la mitologia, con i racconti di Dèi e di mostri».
La scellerata idea, oggi tanto in voga, che la scrittura serva a monitorare la realtà, con le sue contraddizioni e i suoi rivolgimenti effimeri è una stortura, una demonia connaturata al mondo moderno. Merezkovskij si muove nello stesso orizzonte culturale e simbolico tracciato da Borges. Sa che è la Musa a dischiudere il terzo occhio del Poeta e ad alimentare il sacro fuoco dell’ispirazione. Scrivere è per lui una pratica umana che ha una strettissima correlazione con il divino, è il riverbero dell’infinito sul finito come avrebbe detto Kant, il solo modo concesso ai mortali per intravedere Dio.
Erigere cattedrali di luce per illuminare l’oscurità, spargere dei draghi il seme, «gettare le proprie arcate oltre il mondo dei sogni» secondo l’ammonimento di Ernst Junger: questo sembra essere il compito gravido di presagi che lo scrittore russo intende assegnare al periglioso esercizio della scrittura. Opporre alle umbratili illusioni del divenire la granitica perennità dell’archetipo, attingere alle radici del Mito per far sì che l’Eterno Ritorno possa compiersi di nuovo, a dispetto del tempo e delle sue forme cangianti.
Merezkovskij si è formato nell’ambito della religiosità ascetica e manichea propria della setta ortodossa dei cosiddetti Vecchi Credenti, la stessa alla quale appartiene Aleksandr Dugin. Una spiritualità, la sua, fortemente condizionata dal tema dell’atavico scontro tra la Luce e le Tenebre. Quello descritto da Merezkovskij nei suoi romanzi è un universo organico, un mosaico vivente alimentato da una legge deterministica che, come un respiro, tende alla circolarità. Un anelito alla perfezione, riletto in chiave millenaristica, destinato tuttavia a rimanere inappagato poiché la vita, nella sua componente biologica calata nel divenire, è schiava di un rigido dualismo manicheo non passibile di risoluzione.
L’esistenza, per Merezkovskij, è dominata dalla polarità, dal conflitto inestinguibile tra due verità sempre equivalenti e tuttavia contrarie: quella celeste e quella terrena, ovvero la verità dello spirito e quella della carne, Cristo e l’Anticristo. La prima si manifesta come eterno slancio a elevarsi verso Dio rinunciando a se stessi, la seconda, al contrario, è un impulso irrefrenabile in senso inverso teso all’affermazione parossistica del propria volontà individuale.
Queste due forze cosmiche, dalla cui costante interazione scaturisce il corretto ordine delle cose, sono in lotta tra loro senza che mai l’una possa prevalere sull’altra.
Cielo e terra, vita e morte, libertà e ordine, Dio e Lucifero, l’uomo e le antinomie della Storia, l’Apocalisse e la funzione salvifica della Russia: come in uno scrigno, ecco racchiusi tutti i motivi fondanti del Simbolismo russo, gli stessi che il lettore non avrà difficoltà a rintracciare nella vita dell’illustre protagonista di questa biografia.
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Chi era veramente Alessandro I?
La formazione liberale ricevuta in gioventù dal precettore ginevrino Frédéric Cesar Laharpe, messogli accanto dalla nonna Caterina II perché lo istruisca sull’uso di mondo, diffonde tra i membri della corte, sempre propensi alla cospiratoria maldicenza, la convinzione che Alessandro sia un debole, troppo innamorato di Voltaire e Rousseau per potersi occupare dell’Impero con il necessario pugno di ferro.
Mai giudizio è stato più malriposto. Se la Russia non è crollata sotto l’urto della Grande Armée lo si deve innanzitutto alle insospettabili attitudini al comando rivelate dallo Zar di fronte al pericolo incombente. I suoi dignitari hanno in tutta evidenza sottovaluto la lezione di cui Alessandro I ha fatto tesoro durante gli anni trascorsi nella tenuta di Gatcina dove il padre Paolo I, inviso alla Zarina che lo tiene lontano dagli affari di governo, impone al figlio una rigida educazione di tipo prussiano: la vita di caserma con i suoi rigori e le sue privazioni, le marce forzate e la pratica delle armi fortificano il principe nel corpo e gli offrono l’opportunità di riflettere sulla reale natura del ruolo che la Provvidenza lo ha chiamato a ricoprire.
Matura in lui, lentamente ma inesorabilmente, la consapevolezza che le funamboliche astrazioni dei filosofi illuministi sono argomenti da salotto, utilissimi per intrattenere con arguzia le dame ma assai poco attinenti all’esercizio del potere e alle prerogative della maestà. La Svizzera e l’Inghilterra sono lontanissime da Carskoe Selo e per fronteggiare la minaccia rappresentata da Napoleone e impedire che l’Impero si frantumi in mille pezzi, allora come oggi alla Russia non serve un Marco Aurelio, ma un Diocleziano.
Dopo la vittoria a Bordino contro le truppe di Napoleone, non ebbe indugi nel dare alle fiamme Mosca, la città sacra dell’Ortodossia sede del Patriarcato, la Terza Roma erede diretta di Bisanzio dove gli Zar ricevono da tempo immemorabile la loro solenne investitura, pur di tagliare i rifornimenti all’ odiato avversario e consegnarlo così all’ inesorabile stretta del generale inverno. Un gesto impressionante…
Senza dubbio. Merezkovsij fa propria una visione della vita degli uomini e dei loro modi (Spengler avrebbe parlato più propriamente di «morfologia della Civiltà») segnata in maniera indelebile dall’idea della predestinazione. Un amor fati che si traduce giocoforza in un titanismo eroico tale per cui spetta solo alle grandi individualità il compito di «portare la croce» testimoniando, con il proprio operato, il compimento nel tempo del disegno escatologico in cui si estrinseca la Teodicea.
Per lo scrittore russo lo Zar è il Demiurgo, appartiene, come l’Imperatore Giuliano protagonista di un’altra sua biografia, alla stirpe degli Dèi terreni, che operano nel mondo avendo l’Eternità come orizzonte. Nella weltanschauung elaborata da Merezkovskij solo ai santi e agli eroi è concesso il gravoso privilegio di essere l’essenza di memorie future: aut Caesar, aut nihil, come avrebbe detto il Borgia. Ai giganti si confanno gesti impressionanti.
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Lei ha visto una similitudine tra l’aggressione napoleonica alla Russia di Alessandro a quanto sta avvenendo oggi…
Lo scrittore francese Sylvain Tesson, in quel bellissimo diario sulle orme del còrso in ritirata che è Beresina. In sidecar con Napoleone (edito in Italia da Sellerio) ha scritto che «davanti ai palazzi in fiamme e al cielo color sangue Napoleone comprese di aver sottovalutato la furia sacrificale dei Russi, l’irriducibile oltranzismo degli slavi». Questa frase lapidaria suona oggi alle nostre orecchie quasi come una profezia.
Quando l’urgenza del momento lo richiede, il loro fatalismo arcaico, l’innato senso del tragico, la capacità di immolare tutte le proprie forze nel rogo dell’istante, senza alcuna preoccupazione per ciò che accadrà, rendono i Russi impermeabili a qualunque privazione, una muraglia umana anonima e invalicabile, la stessa contro la quale, un secolo e mezzo più tardi, anche Adolf Hitler, giunto alle porte di Stalingrado, avrebbe visto infrangersi le proprie mire espansionistiche. Identico tipo umano, stesso nemico, medesimo risultato. Una duplice lezione della quale, come testimoniano le cronache belliche di questi mesi, i moderni epigoni di Napoleone, ormai ridotti sulla difensiva e prossimi alla disfatta nonostante l’impressionante mole di uomini e mezzi impiegata, non sembrano aver fatto tesoro.
«Ogni passo che il nemico compie verso la Russia lo avvicina maggiormente all’Abisso. Mosca rinascerà dalle sue ceneri e il sentimento della vendetta sarà la fonte della nostra gloria e della nostra grandezza». Sono parole impressionanti quelle di Merežkovskij.
A voler essere pignoli questa frase non è stata pronunciata da Merezkovskij, ma da Alessandro I in persona, a colloquio con il Generale Kutuzov poco prima del rogo fatale. Dostoevskij ci ricorda che «il cuore dell’anima russa è intessuto di tenebra». Quanto più intensa è la luce, tanto più lugubri sono le ombre che essa proietta sul muro. Ai nemici della Russia consiglio caldamente di rileggere queste parole ogni sera prima di coricarsi…
A quali scrittori si sentirebbe di accostare Merežkovskij?
L’editoria di casa nostra, non perdonando allo scrittore russo il fatto di aver salutato con favore, negli anni del suo esilio parigino, il passaggio delle divisioni della Wehrmacht lungo gli Champs Elysées, ha riservato alle sue opere una posizione marginale, ma in Russia Merezkovskij è considerato un nume tutelare, che campeggia nel pantheon del genio nazionale accanto a Tolstoj e al mai sufficientemente citato Dostoevskij che a lui sono legati, come i lettori avranno modo di scoprire, da profonda, intima consanguineità.
Paolo Gulisano
Articolo previamente apparso su Ricognizioni.
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Immagine: Adolph Northen, La ritirata di Napoleone da Mosca (1851)
Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia
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