Geopolitica
Il clan Erdogan e gli affari milionari con Baku nel Nagorno-Karabakh

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Progetto comune da 100 milioni di euro affidato a uomini di fiducia del presidente turco e del suo omologo azero. La visita dei due leader al parco agricolo da 500 posti di lavoro e 10 mila capi di bestiame. Investimenti anche nelle infrastrutture e nelle miniere di oro e rame. Le gare di appalto assegnate alla «Banda dei cinque».
Ankara e Baku in nome della «fratellanza» islamica e degli interessi comuni rafforzano le relazioni lanciando un progetto comune da 100 milioni di euro, affidato a familiari e uomini di fiducia dei presidenti dei due Paesi.
Una unità di intenti che è andata crescendo dalla vittoria dell’Azerbaigian sull’Armenia nella guerra del 2020, durante la quale la Turchia ha fornito all’alleato consistenti aiuti militari e che oggi passa all’incasso: aziende vicine a Recep Tayyip Erdogan hanno ricevuto almeno centinaia di milioni in contratti, in particolare nella ricostruzione di territori del Nagorno-Karabakh che gli azeri hanno ripreso durante la guerra.
In alcuni casi le relazioni vanno oltre affari e politica: nella regione di Zangilan membri della famiglia Erdogan sono parte attiva di un complesso affare con parenti dell’omologo azero Ilham Aliyev.
I due leader si erano spesi in prima persona nella nascita del parco agricolo di Dost («amiciù) nell’ottobre 2021, un progetto da 100 milioni e 500 posti di lavoro, per un totale di 10mila capi di bestiame; entrambi hanno rivisitato l’area (e il progetto) il 20 ottobre scorso durante una tappa comune nel Nagorno-Karabakh, in cui hanno inaugurato un nuovo aeroporto al confine con Armenia e Iran.
Ad accompagnare Erdogan nel tour vi era Abdulkadir Karagöz, proprietario di Dost Ziraat, principale investitore turco nel parco agricolo, ma soprattutto marito della nipote del presidente, figlia del fratello Mustafa.
Poco dopo il matrimonio celebrato nel 2016, l’uomo ha iniziato a collezionare contratti governativi e un volume di affari sempre crescente, uno dei quali è proprio il progetto agricolo nel Karabakh e inserendo nella compagnia altri membri della famiglia Erdogan.
In alcuni documenti commerciali analizzati da Eurasianet emergono i nomi di altri due nipoti: Üsame, figlio di Mustafa, e Ahmet Enes İlgen, figlio della sorella del leader Vesile İlgen (oggi fuoriusciti).
Per quanto riguarda il lato azero, il referente più importante è Pasha Investments, parte della Pasha Holding, che unisce una serie di aziende e attività riconducibili alla moglie di Aliyev e primo vice presidente, Mehriban Aliyeva. Tuttavia, la gestione di parco agricolo è appannaggio di un altro alleato di Erdogan, Mehmet Zeki Tuğrul, un tempo membro dell’ala giovanile del partito di governo AKP. Il piano è di espanderlo ulteriormente sfruttando il territorio di Lachin, anch’esso conquistato nella guerra del 2020 contro Erevan.
Karagöz non è il solo uomo d’affari turco del clan Erdogan. Fra gli altri troviamo: Cemal Kalyoncu, presidente di Kalyon Holding; Mehmet Cengiz, presidente di Cengiz Holding; Yıldırım Demirören, presidente di Demirören Holding.
Il trio è da sempre un alleato chiave e ne ha accompagnato l’ascesa politica, oltre a essere parte della cricca di aziende nota come «Banda dei cinque», che si è vista assegnare la maggior parte delle grandi gare di appalto per affari miliardari, oggi concentrati su infrastrutture e miniere (oro e rame).
Un’altra compagnia della Banda dei cinque, la Kolin İnşaat, ha ricevuto anch’essa un sostanzioso appalto per la realizzazione di strade nel Nagorno-Karabakh, finalizzato alla costruzione della «Victory Road» in direzione Shusha, con il partner azero Azvirt.
Kolin ha inoltre un ruolo attivo nella creazione di un mercato (situato lungo la «Via dell’amicizia turco-azera») nel villaggio di Agali, dove si sono trasferiti i primi azeri reinsediati nel territorio conteso.
Vi sono circa 30 aziende turche che operano sul territorio, secondo l’ambasciata di Ankara a Baku. «Queste imprese – ha spiegato Yakup Sefer, capo consulente commerciale della Turchia a Baku – hanno già investito oltre un miliardo di euro e le risorse sono destinate a crescere» in futuro.
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Immagine di Prezident az via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Geopolitica
Gli Houthi lanciano un missile balistico contro Israele

Le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno dichiarato di aver intercettato un missile balistico lanciato dai ribelli Houthi dello Yemen. Secondo i media israeliani, si è trattato del primo attacco del genere in due mesi.
«Il missile è stato intercettato prima di entrare nel territorio del paese. Le sirene sono state attivate in conformità al protocollo», ha scritto l’IDF su X giovedì mattina presto.
Il portavoce militare degli Houthi, Ameen Hayyan, ha affermato che il missile è stato lanciato contro l’aeroporto internazionale Ben Gurion.
Gli Houthi controllano gran parte dello Yemen occidentale, inclusa la sua capitale, Sanaa. Il gruppo ha effettuato attacchi alle spedizioni internazionali e lanciato missili contro Israele in risposta all’operazione dell’IDF contro Hamas a Gaza.
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Nel fine settimana, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ordinato una serie di attacchi aerei e sbarramenti di missili da crociera contro i siti Houthi. Mercoledì, ha avvertito che il gruppo «sarà completamente annientato».
Abdul-Malik al-Houthi, il leader dei militanti, ha giurato di continuare l’attacco per conto dei palestinesi. «Faremo tutto il possibile contro il nemico israeliano e per sostenere il popolo palestinese. Affronteremo qualsiasi supporto americano [a Israele] che implichi di prendere di mira il nostro Paese», ha affermato, secondo il sito The New Arab.
Il cessate il fuoco tra Hamas e Israele è crollato questa settimana dopo che le parti non sono riuscite a concordare la fase successiva della tregua. L’IDF ha ripreso gli attacchi aerei a Gaza martedì e da allora ha continuato la sua offensiva di terra, prendendo il controllo del Corridoio Netzarim appena a sud di Gaza City.
Come riportato da Renovatio 21, nei mesi scorsi gli Houthi hanno attaccato diverse volte lo Stato Ebraico, a volte dichiarando l’uso di tecnologia ipersonica.
Due giorni fa gli Houthi hanno rivendicato un attacco ad una portaerei USA a seguito di raid ordinati da Trump in territorio yemenita.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Il Niger abbandona l’Organizzazione Internazionale delle Nazioni Francofone

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Geopolitica
Riassunto della telefonata Trump-Putin

Il presidente russo Vladimir Putin e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump hanno tenuto una telefonata molto attesa martedì, discutendo di una possibile soluzione del conflitto in Ucraina. La conversazione è durata due ore e mezza, con sia la Casa Bianca che il Cremlino che l’hanno descritta come positiva. Ecco i punti chiave della conversazione.
Putin e Trump hanno discusso l’idea di Trump di un cessate il fuoco di 30 giorni, con la parte russa che ha delineato molteplici questioni da risolvere prima della sua attuazione, ha affermato il servizio stampa del Cremlino in una dichiarazione successiva alla chiamata. Vale a dire, Putin ha delineato la necessità di stabilire un meccanismo per monitorare adeguatamente un potenziale cessate il fuoco, nonché per fermare la mobilitazione forzata e il riarmo in Ucraina.
«Sono stati inoltre rilevati gravi rischi associati all’incapacità di negoziare del regime di Kiev, che ha ripetutamente sabotato e violato gli accordi raggiunti», ha affermato il servizio stampa del Cremlino, aggiungendo che Putin ha anche attirato l’attenzione di Trump sui «barbari crimini terroristici commessi dai militanti ucraini contro la popolazione civile della regione di Kursk».
Trump ha proposto che Mosca e Kiev sospendano reciprocamente gli attacchi alle infrastrutture energetiche per 30 giorni. Putin ha sostenuto l’idea, impartendo immediatamente l’ordine corrispondente all’esercito russo.
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«I leader hanno concordato che il movimento per la pace inizierà con un cessate il fuoco energetico e infrastrutturale, nonché con negoziati tecnici sull’attuazione di un cessate il fuoco marittimo nel Mar Nero, un cessate il fuoco completo e una pace permanente. Questi negoziati inizieranno immediatamente in Medio Oriente», ha affermato la Casa Bianca in una dichiarazione.
Il presidente russo ha informato la sua controparte americana di un imminente scambio di prigionieri con l’Ucraina, programmato per mercoledì, ha rivelato il servizio stampa del Cremlino. Le due parti sono pronte a scambiarsi 175 prigionieri di guerra ciascuna. Inoltre, Mosca restituirà 23 militari ucraini gravemente feriti per dimostrare la sua buona volontà, ha osservato il servizio stampa.
Putin e Trump hanno ribadito il loro impegno a raggiungere una «pace duratura» piuttosto che una soluzione temporanea per il conflitto ucraino. Mosca considera la necessità di «eliminare le cause profonde della crisi», così come di soddisfare «i legittimi interessi della Russia nell’area della sicurezza» e «la completa cessazione degli aiuti militari esteri e la fornitura di informazioni di Intelligence a Kiev», come elementi chiave richiesti per raggiungere l’obiettivo, ha osservato il servizio stampa del Cremlino.
Sono stati discussi anche i legami tra Russia e Stati Uniti, con entrambi che hanno accettato di lavorare su progetti reciprocamente vantaggiosi. Washington e Mosca hanno preso in considerazione un «ampio spettro di aree in cui i nostri due Paesi potrebbero stabilire una cooperazione», ha affermato il servizio stampa del Cremlino.
«I due leader hanno concordato che un futuro con un rapporto bilaterale migliorato tra Stati Uniti e Russia ha un enorme potenziale positivo. Ciò include enormi accordi economici e stabilità geopolitica quando la pace sarà raggiunta», ha affermato la Casa Bianca.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0), immagine ingrandita.
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