Storia
Blair insiste: far fuori Saddam era «una cosa importante da fare»

L’ex primo ministro Tony Blair è tornato alla ribalta la scorsa settimana quando ha difeso con forza la sua decisione di unirsi all’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003 e per offrire le sue opinioni sulle crisi che affliggono il mondo di oggi
«È sempre difficile tornare indietro con il senno di poi. Ma dico sempre alla gente che ci sono molte cose che avremmo fatto diversamente. Ma continuo a pensare che alla fine, in Medio Oriente, la rimozione di Saddam Hussein sia stata una cosa importante da fare», ha detto Blair, parlando in un’intervista ai media giapponesi.
Il politico britannico, che ora dirige il Tony Blair Institute for Global Change, una ONG finanziata da uno sceiccato del Golfo, dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, dal World Economic Forum, dalla Bill & Melinda Gates Foundation, non ha dettagliato le motivazioni per cui la rimozione il leader iracheno – che ha distrutto l’Iraq e destabilizzato il Medio Oriente – sarebbe così importante.
I suoi commenti impenitenti fanno pensare alla famigerata intervista alla trasmissione TV di inchiesta 60 Minutes data dall’ex Segretario di Stato Clinton Madeline Albright del 1997, in cui la Albright disse che il «prezzo» di mezzo milione di bambini iracheni morti a causa delle sanzioni occidentali contro Baghdad «ne valeva la pena».
Blair, 70 anni, ha anche offerto la sua opinione sulla situazione mondiale, compresa la guerra per procura NATO-Russia in Ucraina, e l’importanza della Cina in un ordine mondiale in mutamento.
Blair ha affermato che lo stretto rapporto di Pechino con Mosca ha svolto un ruolo chiave nell’impedire alla Russia di utilizzare armi nucleari in Ucraina. Come riportato da Renovatio 21, aveva già parlato dell’uso delle atomiche occidentali nel conflitto un anno fa.
«Sebbene ci siano molti problemi legati al sostegno della Cina alla Russia, l’unico vantaggio di quella stretta relazione, che si può vedere nell’insistenza della Cina sul fatto che la Russia non usi armi nucleari, è che penso che la Cina non creda affatto che sia nel suo interesse perché questo scivoli verso un conflitto globale», ha detto.
I termini della dottrina nucleare russa del 2020 in realtà proibiscono severamente l’uso di armi nucleari, tattiche o strategiche, a meno che il Paese non venga attaccato con armi di distruzione di massa o affronti un attacco convenzionale così grave da ritenere a rischio la sua stessa esistenza.
L’ex premier britannico, che ha incontrato Putin negli anni 2000 durante il suo mandato come primo ministro, ha suggerito che mentre il presidente russo era ancora una volta aperto alla cooperazione con l’Occidente, «il Putin di oggi capisce solo il linguaggio della forza». Lui «e qualsiasi futuro leader russo sa che l’Ucraina ha il diritto di proteggere la propria sovranità, e così anche il resto dell’Europa orientale», ha affermato il Blair.
L’ex politico ha anche respinto il piano di pace in Ucraina in 12 punti della Cina, dicendo che «ovviamente non sarà accettabile per gli ucraini», ma ha aggiunto che la Cina potrebbe svolgere un ruolo «importante» se si riuscisse a elaborare una «soluzione ragionevole e negoziata».
Le «grandi questioni geopolitiche del 21° secolo», ha continuato, ruoteranno attorno alla Cina e al suo rapporto con l’Occidente, e ha esortato i Paesi occidentali a «rimanere impegnati» con il gigante asiatico, adottando anche un approccio di «pace attraverso la forza» nei confronti di Pechino. «Non devono avere alcun dubbio sul fatto che siamo abbastanza forti da affrontare qualunque cosa accada, perché questo sarà il deterrente per qualsiasi cosa avventata», ha dichiarato, sottolineando l’incapacità dell’Occidente di coinvolgere i paesi del Sud del mondo e affermando che il processo negoziale letargico e burocratico sui progetti di sviluppo delle infrastrutture ha permesso alla Cina di «ottenere una posizione enorme in questi Paesi».
Tony Blair è diventato il più stretto alleato del presidente degli Stati Uniti George W. Bush durante l’invasione dell’Iraq del 2003, e prima di allora ha inviato truppe britanniche per assistere l’invasione e l’occupazione dell’Afghanistan guidate dagli Stati Uniti nel 2001.
Blair è stato accusato di crimini di guerra, con attivisti e personaggi di spicco tra cui Desmond Tutu, il drammaturgo britannico Harold Pinter, l’autore indiano Arundhati Roy, l’avvocato britannico per i diritti umani Geoffrey Bindman e l’ex primo ministro malese Mahathir Mohamad che chiedevano che lui e Bush fossero trascinati davanti al Corte Penale Internazionale.
Come riportato da Renovatio 21, la sua nomina a cavaliere ha avuto di recente qualche problema, perché buona parte dell’opinione pubblica del suo Paese lo ritiene un criminale di guerra.
Nel 2017, l’ex generale iracheno Abdulwaheed Shannan Al Rabbat ha intentato una causa contro Blair in un tribunale di Londra accusandolo di «crimine di aggressione» contro l’Iraq. La corte ha stabilito che «sebbene ci fosse un crimine di aggressione ai sensi del diritto internazionale consuetudinario, non esisteva un crimine come crimine di aggressione ai sensi della legge dell’Inghilterra e del Galles».
È emerso in questi anni che Bush e Blair programmarono l’invasione dell’Iraq molto prima dello schieramento effettivo.
Un anno fa Blair scrisse un documento intitolato «The Immediate Challenge in Ukraine: Maximum Pressure Combined with Structured Negotiation» («La sfida immediata in Ucraina: la massima pressione combinata con la negoziazione strutturata») e pubblicato sul sito web del suo istituto il 15 marzo in cui sosteneva che non bisognava togliere dal tavolo l’opzione di attacco nucleare contro «coloro che si oppongono al nostro stile di vita, basato sulla democrazia liberale».
Come riportato da Renovatio 21, Blair ha iniziato due anni fa a parlare di microchip per identificare i cittadini e tracciare il loro «stato di malattia»; poi ha continuato anche di recente, dichiarando che i passaporti vaccinali sono «inevitabili».
Blair è segnalato già negli anni Novanta come vicino al World Economic Forum, dove avrebbe frequentato il programma Global Leaders for Tomorrow nel 1992 assieme a Angela Merkel e al Bill Gates. Si dice che potrebbe prendere il posto di Schwab una volta che il guru si ritirerà.
Storia
Casse di documenti nazisti riemergono in Argentina

L’Argentina ha annunciato una «scoperta di importanza mondiale» dopo aver riportato alla luce una serie di documenti della Germania nazista conservati in casse di champagne vecchie di decenni, nel seminterrato della Corte Suprema del Paese.
Lunedì, la Corte Suprema dell’Argentina ha rivelato di aver aperto sette scatole di legno contenenti champagne, contenenti propaganda nazista, documenti di appartenenza al partito, quaderni, foto e persino cartoline.
Un dipendente del tribunale, che aveva fatto la scoperta iniziale durante i preparativi per un nuovo museo, aveva aperto una delle scatole e riferito di aver trovato materiali apparentemente «destinati a consolidare e diffondere l’ideologia di Adolf Hitler in Argentina, durante la seconda guerra mondiale».
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Le restanti sei scatole di champagne sono state aperte venerdì in tribunale alla presenza dei membri del Museo dell’Olocausto di Buenos Aires e del rabbino capo del centro comunitario ebraico Amia, noto per il sanguinario attentato subito negli anni Novanta che cagionò 85 morti e un mistero su cui non c’è ancora alcuna chiarezza.
Secondo un comunicato stampa della Corte Suprema, i primi riscontri indicano che le scatole arrivarono in Argentina il 20 giugno 1941 insieme a una spedizione proveniente dall’ambasciata tedesca a Tokyo a bordo del piroscafo giapponese «Nan-a-Maru».
All’epoca, i diplomatici nazisti in Argentina sostenevano che le scatole contenessero solo oggetti personali. Tuttavia, preoccupato per il rischio che l’Argentina neutrale venisse coinvolta in guerra, l’allora Ministro degli Esteri Enrique Ruiz Guiñazú aveva sequestrato le scatole.
Si è temuto che la propaganda trovata nelle scatole potesse essere utilizzata anche per danneggiare le democrazie degli alleati dell’Argentina.
Due mesi dopo, i funzionari della dogana e del Ministero degli Esteri ispezionarono cinque delle scatole, trovando migliaia di documenti del partito nazista e quaderni rossi con il simbolo del Fronte del lavoro tedesco, che sostituì i sindacati indipendenti in Germania durante la nazificazione del paese negli anni Trenta.
I documenti non sono mai stati restituiti all’ambasciata tedesca e sono rimasti, a quanto pare intatti, fino ad ora nei sotterranei della Corte Suprema.
Il presidente della Corte Suprema, Horacio Rosatti, ha dichiarato lunedì che, data la «rilevanza storica» della scoperta, ha ordinato un’indagine completa sui materiali per cercare nuove informazioni sull’Olocausto o altri aspetti sconosciuti della Germania nazista, come la proliferazione di denaro nazista a livello internazionale.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Argentina divenne un punto di riferimento per simpatizzanti e funzionari nazisti, che cercavano di sfuggire ai processi per i loro crimini di guerra. Membri di alto rango del regime, tra cui il medico «Angelo della Morte» Josef Mengele, l’architetto dell’Olocausto Adolf Eichmann e il comandante delle SS Erich Priebke, furono tra coloro che cercarono rifugio nella nazione peronista.
Come noto, Eichmann, che conduceva una vita da mite impiegato in periferia con il nome di Ricardo Klement (i documenti gli furono dati dal vicario di Bressanone e rilasciati dal comune dell’Alto Adige), fu catturato dal Mossad e portato in Israele per essere sottoposto ad un processo che divenne spettacolo internazionale e infine giustiziato.
Secondo le cronache avrebbe detto «ci rivedremo presto» ai suoi boia israeliani prima di morire. Ma vi sono diverse versioni delle sue ultime parole.
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Il caso di Priebke, considerato responsabile del massacro delle Fosse Ardeatine a Roma, interessò per quasi due decenni l’opinione pubblica italiana: assolto da un primo processo in Italia, fu sottoposto nuovamente a giudizio dopo il clamore mediatico unito alle veementi proteste della comunità ebraica romana. Priebke, che si era convertito nel frattempo al cattolicesimo, fu protagonista, anche da morto, di un’indegna canea montata da chi voleva perfino impedirne funerali e sepoltura.
Come riportato da Renovatio 21, due mesi fa l’Argentina aveva promesso di pubblicare anche i documenti sui rifugiati nazisti nel Paese.
Il mese scorso era emerso come la CIA aveva continuato segretamente la ricerca di Hitler in Sud America negli anni Cinquanta: con evidenza, i servizi di Intelligence americani non avevano certezza della sua morte.
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Immagini della Corte Suprema de Justicia de la Nacion.
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Pensiero
Il ritorno della diplomazia vaticana. A papa morto

Renovatio 21 ha spesso sottolineato che una delle tragedie del papato bergogliano è stata senza dubbio la perdita del prestigio diplomatico.
Quello che una vola era un canale di comunicazione saldissimo ed affidabile tra nazioni terrestri – al punto che il Giappone nei primi mesi del 1945 cercò di attivare la Santa Sede per trattare la pace con gli americani, procedimento che per qualche ragione si arenò cagionando la distruzione atomica di Hiroshima e Nagasaki – era ridotto ad una pantomima superficiale, vuota, sbagliata, come nello stile dell’argentino.
La fine del rispetto internazionale per il Vaticano come paciere mondiale è stata incontrovertibile. Lo abbiamo visto negli insulti del romano pontefice ad alcune etnie russe (si è dovuto poi, molto ineditamente per un papa, scusare), agli elogi agli stessi russi (per i quali Kiev e baltici), nelle conferenze stampa aeree dove è sembrato che Bergoglio millantasse iniziative di pace improbabili, nei viaggi a vuoto del cardinale Zuppi (ahimè, ora tra i papabili) a Kiev, dove il governo ha perennemente ignorato e schernito il Sacro Palazzo, persino quando vi è stato ospite. Per non parlare dei disastri con la Cina dove il Partito Comunista Cinese, valutato il peso internazionale del vaticano bergogliano, vìola impunemente gli accordi nominandosi da sé i vescovi, senza ovviamente incorrere in scomunica, e continua senza requie nella persecuzione dei veri vescovi, chiamati per qualche ragione «sotterranei»..
Eppure, sabato mattina una scena di potenza immane si è materializzata ai margini dei funerali papali: Trump ha incontrato Zelens’kyj tra i marmi della Basilica, sedendosi sulle due seggiole messe lì per loro. L’immagine, subito ripubblicata dai canali del presidente statunitense, ha fatto il giro del mondo.
President Trump sat down to meet privately with Ukrainian President Volodymyr Zelenskyy in St. Peter’s Basilica in Vatican City this morning. pic.twitter.com/QChPiZRKzM
— The White House (@WhiteHouse) April 26, 2025
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Alcuni ora stanno scrivendo che nel vertice di pace estemporaneo è stato snobbato Macron, che ronzava da quelle parti interessato. Così come Starmer, che pure era lì – e, ovviamente, Giorgia Meloni. La quale, ci sovviene, è romana.
Non è chiaro cosa uscirà dalla scena. Alcuni nella stampa mainstream scrivono che Trump, notoriamente avverso all’ucraino, si sarebbe rabbonito. Lo Zelens’kyj, dicono, avrebbe chiesto ancora armi. Tanto per cambiare. A San Pietro, poi – non una cosa che scandalizza il lettore di Renovatio 21, che ricorderà quando Parolin parlò del diritto agli armamenti poco prima che Bergoglio fece quel suo bizzarro rito fatimoide – quello che su queste colonne abbiamo descritto come «consacrazione a mano armata». Il segretario di Stato, il lettore lo sa, ora è nelle prime corsie per lo sprint verso il Soglio petrino.
Tuttavia, nessuno dei retroscena è in realtà importante.
Perché è innegabile la bellezza, la giustizia di questa immagine. Questi pretini, monsignori, belli e sorridenti che portano le sedie. E quei due, qualsiasi cosa si possa pensare di loro, che si mettono a parlare, nel pieno centro della cristianità. Hanno parlato, per forza di cose, di pace. Ciò è bellissimo, ciò è giusto.
Behind Scenes, Vatican City—President Trump sat down to meet privately with Volodymyr Zelenskyy of Ukraine this morning in St. Peter’s Basilica… pic.twitter.com/zzC78AgbNh
— Dan Scavino (@Scavino47) April 26, 2025
Qualcuno dirà: la solita trovata, perfetta, di Trump. Optics. Look. PR – è comunicazione visuale, lui è un maestro, a partire dall’insistenza diacronica per il ciuffo sintetico, inconfondibile, immediato. Non saprei dire: l’ultima volta che aveva saputo ingenerare un’immagine di tale potenza forse Dio stesso gli aveva dato una mano: quando gli spararono e lui alzò il pugno al cielo col volto rigato di sangue e la bandiera USA che garriva sopra di lui.
Il Vaticano quindi pare essere tornato, brevemente, estemporaneamente, involontariamente, il vero luogo della diplomazia, e della pace globale. Dio, la tradizione cattolica – quella per cui questa micrologica monarchia teocratica, per quanto acciaccata, è ancora nella mente e nel cuore di tutta l’umanità e dei suoi leader – lo hanno permesso.
Una preghiera acciocché torni quel tempo dove il centro del mondo coincideva con il centro del suo spirito. Solo da lì si può ricostruire l’equilibro.
Solo ricostruendo la Chiesa si potrà avere la vera pace.
Make Vatican Great Again. Ma sul serio.
Roberto Dal Bosco
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Immagine da Twitter
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