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Necrocultura

Dalla guerra civile alla «guerra biotica»

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Nei primi anni Novanta uscì un libro del filosofo marxista Robert Kurz intitolato Il collasso della modernizzazione. In esso si rifletteva su cosa sarebbe successo al mondo dopo la fine del blocco socialista.

 

«Il mondo unitario e unificato, infine realizzato e generalmente riconosciuto (…) si rivela nell’orrenda visione di una guerra civile planetaria (Weltbuergerkrieg) in cui non vi saranno più fronti riconoscibili, ma solo una cieca esplosione di violenza ad ogni livello».

 

Kurz non aveva torto: in quei mesi, si assisteva al massacro yugoslavo, di fatto una guerra civile di violenza inaudita basata su una matrice etnica fino a poco prima totalmente impensabile.

«Il mondo unitario e unificato, infine realizzato e generalmente riconosciuto (…) si rivela nell’orrenda visione di una guerra civile planetaria (Weltbuergerkrieg) in cui non vi saranno più fronti riconoscibili, ma solo una cieca esplosione di violenza ad ogni livello»

 

Tuttavia, l’analisi psico-politica dello studioso tedesco voleva andare ancora più a fondo.

 

«Quando uomini, popoli, regioni e stati si accorgeranno che mai più gli si ripresenterà l’occasione di essere vincenti e che, continuando a perdere, saranno infine privati di ogni possibilità accettabile di vita, finiranno col rovesciare il tavolo da gioco e sputare su tutte le regole della cosiddetta Civiltà».

 

Il Kurz insomma prevedeva l’arrivo di una fase di caos sanguinario, quella che il filosofo Réné Girard, nella sua teoria riguardo La violenza e il sacro, chiama «crisi sacrificale».

 

Il mondo sazio avrebbe generato quantità di conflitti che avremmo chiamato «guerre civili», ciascuna tendente verso la barbarie. Non era un pensiero inesatto: a quei tempi vi era la pioggia di sangue sui Balcani (che si protrasse, tra un disastro ONU-NATO e l’altro, per un decennio) ma anche l’Algeria, che dimentichiamo tutti: centinaia di migliaia di morti; bambini, maestre di scuola, donne di Paese, monaci massacrati nel modo più belluino dagli stessi jihadisti che avrebbero affinato l’apprendimento della pragmatica della violenza iniziato con gli sgozzamenti di soldati sovietici in Afghanistan per finire con il granguignolesco circo stragista dell’ISIS della metà degli anni 2010. Non dimentichiamo, del resto, che il libro-guida del jihadismo si chiama Idarat at-Tawahhus, cioè «la gestione della barbarie». (Per inciso: lo sto traducendo, da diversi anni, e spero di finire il lavoro entro pochi mesi).

Barbarie e guerra civile, quindi, sono sfere che nell’ultimo secolo sono finiti quasi per coincidere

 

Barbarie e guerra civile, quindi, sono sfere che nell’ultimo secolo sono finiti quasi per coincidere; il tardo successo del filone revisionista di Pansa sui partigiani crudeli ne è una testimonianza. Il messaggio era semplice, nonostante il tabù imposto dalla Repubblica «nata dalla Resistenza» (e dalla magica manina di James Jesus Angleton, vabbè), anche la «guerra civile» seguita all’8 settembre fu di fatto un momento di estrema barbarie, da tutte le parti. I corpi appesi di Mussolini e della Petacci lo stanno a significare benissimo: la guerra civile è regressione nel primordiale, nel tribale, nel ferale.

 

Kurz avanzava con la sua teoria per trovare il respiro di insurrezione marxista: la guerra civile, storicamente, ha riguardato ceti superiori, con le masse proletarie solo recentemente chiamate alla mobilitazione. Bisogna che questa guerra civile sfoci in una rivoluzione, pensavano i vecchi-nuovi comunisti, bisogna che ne esca la dittatura del proletariato che aspettiamo da secoli, visto che quella che abbiamo vista realizzata in mezzo mondo non possiamo dire a voce alto che non c’è piaciuta tantissimo…

 

Tutti coloro che hanno studiato Marx oggi sono servi del capitale globale – sia da questa parte del muro, che dall’altra, dove i leader politici (per esempio, in Albania) sono invitati al banchetto di nozze di George Soros

Sono passati tanti anni da questo libro, e da queste idee.

 

Tutti coloro che hanno studiato Marx oggi sono servi del capitale globale – sia da questa parte del muro, che dall’altra, dove i leader politici (per esempio, in Albania) sono invitati al banchetto di nozze di George Soros.

 

Il marxismo è rivendicato come la base di movimenti sintetici come Black Lives Matter, sostenuto apertis verbis da miliardari e multinazionali sfruttatrici. La «guerra civile» che è consentita ora ai neri, con imposizione della barbarie a intere aree urbane americane, è applaudita dai politici progressisti sul libro paga della Silicon Valley e i miliardari della finanza.

 

Quindi, la «guerra civile planetaria», questo universo di barbarie perpetua che ci prometteva il filosofo marxista dopo la fine del Patto di Varsavia, si è realizzata in forma di cartapesta: una scenografia intercambiabile, finta, poco profonda, buona per un teatrino che tenga impegnati gli allocchi.

La «guerra civile planetaria», questo universo di barbarie perpetua che ci prometteva il filosofo marxista dopo la fine del Patto di Varsavia, si è realizzata in forma di cartapesta: una scenografia intercambiabile, finta, poco profonda, buona per un teatrino che tenga impegnati gli allocchi

 

O forse non è del tutto così.

 

In realtà, è da tanto tempo che su Renovatio 21 ve lo ripetiamo: si prepara un movimento di contrazione non pacifica della società. Il nostro consorzio umano era stato polarizzato in modo mai visto dapprima per tramite social media: la politica lo sa bene, e l’effetto massimo di quanto sto dicendo è stato Donald Trump, che portò ad una divisione dell’elettorato (e dei media, e degli enti statali) che creò gruppi incapaci anche solo di comunicare fra lodo.

 

Poi è venuta la pandemia. Il gap qui  si è aggravato in modo molto più profondo, e su una linea completamente nuova: non più su un piano politico e civile, ma su un piano biotico. È la vita biologica stessa delle persone – il bios – che adesso è il dato rilevante per le fazioni contrapposte.

 

Poi è venuta la pandemia. Il gap qui  si è aggravato in modo molto più profondo, e su una linea completamente nuova: non più su un piano politico e civile, ma su un piano biotico. È la vita biologica stessa delle persone – il bios – che adesso è il dato rilevante per le fazioni contrapposte

Io ho fatto il vaccino, perché tu no?

 

Io mi proteggo con la mascherina dalla minaccia biologica del millennio, perché tu no?

 

Io accetto le modificazioni cellulari per tramite dell’mRNA, perché tu no?

 

Io sono disposto a rinunziare alla mia privacy sanitaria, perché tu no?

 

Io ho sterilizzato mio figlio, perché tu no?

 

Sono tutte domande che strisciano, più o meno evidenti, sotto ogni discorso pubblico e privato, quando si parla di obblighi, di rischi, di no-vax, questo indicibile, inspiegabile cancro sociale che a nessuno salta in mente di definire, come una volta, «dissidenti», né tantomeno con il (brutto) termine giuridico che vi sarebbe pronto per la bisogna, «obiettori».

I no-vax, questo indicibile, inspiegabile cancro sociale che a nessuno salta in mente di definire, come una volta, «dissidenti», né tantomeno con il (brutto) termine giuridico che vi sarebbe pronto per la bisogna, «obiettori»

 

Ciò che divide ora la popolazione è un dato biologico, non etnico. Ciò che crea insiemi di contrasto all’interno della società, non è un’ideologia, ma una biopolitica.

 

Come visibile a chiunque, una delle due fazioni gode non solo dell’appoggio dello Stato, ma anche di tutto il sistema sovranazionale (OMS, Bill Gates, Big Tech, Big Pharma etc.) che di fatto elargisce ordini e prebende alle élite statali. Lo Stato moderno, dunque, non ha nessuna intenzione di placare lo scontro in seno al suo stesso corpo.

 

L’idea che può avere quindi l’Autorità, forte di un sostegno popolare che non ha avuto in altri periodo , quindi, può essere una e una sola: il sacrificio del segmento ritenuto sbagliato. L’annichilimento della minoranza tossica. La cancellazione del gruppo difforme – le cui idee, come il virus, sappiamo quanto siano contagiose.

 

I calcoli li hanno già fatti: se i dissidenti sono il 30%, come dice qualcuno, cancellandoli otteniamo comunque una situazione che consente la sopravvivenza del sistema.

Ciò che divide ora la popolazione è un dato biologico, non etnico. Ciò che crea insiemi di contrasto all’interno della società, non è un’ideologia, ma una biopolitica

 

È in base a questo conto che i social vi stanno censurando e buttando fuori: come ogni altro sistema (le scuole, gli ospedali, le chiese) hanno già accettato l’idea di fare a meno di voi, perfino del vostro portafogli, e continuare sereni con la massa bovina di chi non si pone problemi e obbedisce in cambio di una brucata qua e là, fino al giorno in cui (appunto) non le mucche non si portano al macello.

 

Voi, che disturbate la ruminazione della mandria e per di più la spaventata con questa storia del macellaio, siete in realtà un problema di cui sbarazzarsi – gli conviene non solo politicamente, ma anche economicamente. E conviene allo Stato che ha come unico sistema operativo la filosofia dell’utilitarismo: massimo godimento dei più tramite accettazione di eventuali sacrifici delle minoranze.

 

Non stupiamoci quindi, se lo Stato, tra gli applausi di chi fa la coda all’hub della siringa genica, ha affidato il processo biopolitico principale in atto ai militari

C’è più di una motivazione valida e concreta, quindi, per sbarazzarsi di voi.

 

Non stupiamoci quindi, se lo Stato, tra gli applausi di chi fa la coda all’hub della siringa genica, ha affidato il processo biopolitico principale in atto ai militari. Abbiamo sentito sui giornali ogni sorta di linguaggio guerresco, con discorsi sulla «caccia ai non vaccinati», e i no-vax «da stanare» etc. Sì, si tratta proprio di un’operazione militare, perché di fondo il manovratore sa che il quadro in arrivo è un quadro di scontro, e quindi ci ha messo i soldati, cioè degli uomini armati.

 

Perché sono in parecchi che, come noi, non si arrenderanno mai, preferendo – sul serio – la morte piuttosto che bruciare il granello d’incenso alla Necrocultura pandemica, alla sua dittatura biosecuritaria, ai suoi farmaci transumanisti.

In parecchi non si arrenderanno mai e non bruceranno il granello d’incenso alla Necrocultura pandemica, alla sua dittatura biosecuritaria, ai suoi farmaci transumanisti

 

«Si prepara una guerra civile, e voi lo sapete» avevano scritto i soldati francesi ai loro politici in una strana lettera qualche settimana fa.

 

Noi la pensiamo un po’ più articolatamente: Si prepara una guerra biotica, e nessuno lo ha ancora capito bene.

 

Per cui, cari lettori, stiamo vicini. Prepariamoci all’urto. Sarà tremendo, anzi, lo è già. Già ora vediamo gli effetti devastanti, sulle vite e sulle famiglie di tanti, del DL 44, la prima vera legge di discriminazione biologica di questo conflitto.

 

Si prepara una guerra biotica, e nessuno lo ha ancora capito bene

Ma ricordatelo sempre: nella guerra biotica planetaria, non siamo noi quelli dalla parte della barbarie.

 

Non siamo noi che facciamo i bambini a pezzi per farci le pozioni.

 

Non siamo noi che imponiamo al prossimo di divenire cavia di un esperimento scientifico.

 

Ricordatelo sempre: nella guerra biotica planetaria, non siamo noi quelli dalla parte della barbarie

Non siamo noi ad aver riempito le terapie intensive per svuotarle senza nessuna autopsia.

 

Non siamo noi che abbiamo cremato i resti di esseri umani senza che nessuno potesse piangerli.

 

Non siamo noi che abbiamo impedito alla gente di vivere, lavorare, abbracciarsi, pregare – per mesi.

 

Noi siamo la Civiltà, la Civiltà della vita – e per essa vale la pena di combattere fino a che avremo il cuore che batte

Non siamo noi quelli che, nemmeno per un istante, pensano alla violenza, pensano a chiamare i militari.

 

Noi siamo la Civiltà, la Civiltà della vita – e per essa vale la pena di combattere fino a che avremo il cuore che batte.

 

 

Roberto Dal Bosco

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Necrocultura

Il cardinale, la DC e lo sterminio degli italiani

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Tendo a dimenticarmi, talvolta, che il cardinale Ruini è ancora qui.

 

Lui, tuttavia, ha ciclicamente modo di ricordarcelo, spuntando fuori sui grandi media. Il prelato emiliano ha poc’anzi dato un’intervista al Corriere della Sera che ha destato scalpore.

 

Della conversazione dell’ex presidente CEI con il quotidiano «laico» la politica ha recepito soprattutto una piccola rivelazione (in realtà, una conferma di quanto già scritto nel libro Il colle d’Italia) di carattere storico. In pratica, subito dopo l’estate 1994 il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, aveva invitato a pranzo Ruini, il cardinale Angelo Sodano e monsignor Jean-Louis Tauran per chiedere di «aiutarlo a far cadere il governo Berlusconi».

 

«Effettivamente andò così. La nostra decisione di opporci a quella che ci appariva come una manovra — al di là della indubbia buona fede di Scalfaro — fu unanime». Notare la bontà del cardinale verso il democristiano Scalfaro. «E pensare che Scalfaro era stato per me un grande amico».

 

L’ammissione dà un senso nuovo anche alle parole di Giovanni Agnelli, che anche lui confessò in tranquillità di aver ricevuto una telefonata dallo Scalfaro mentre a Natale 1994 era in crociera nei Caraibi. Secondo Repubblica, lo Scalfaro avrebbe «chiesto invano all’Avvocato di formare il nuovo governo, in nome dell’amor di patria».

 

«Dopo di me dovrebbero chiamare un cardinale o un generale» disse l’Agnelli, che immaginiamo pronunziare queste parole con il solito ghigno e l’inevitabile erre moscia. La realtà, prendiamo atto: è che l’erede dell’impero industriale para-statale fu ascoltato anche quella volta: chiamarono un cardinale, mentre per il generale, nel caso sia stata fatta anche quella telefonata, non sappiamo di chi si possa essere trattato, e neanche lo vogliamo sapere – perché parlare di generali e politica in Italia nella Prima Repubblica faceva suonare sirene d’allarme, mentre oggi… Vannacci.

 

Insomma, un piccolo colpo di palazzo, al cui racconto ora in Forza Italia stanno reagendo in molti. Erano tuttavia cose note.

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Come noto è il fatto che il vero golpe fu fatto, pochi anni prima, con Tangentopoli. Un’operazione certamente diretta dall’estero, pensano in tanti. Caduto il muro, il potere profondo americano – ciò che rende l’Italia un Paese a «sovranità limitata», espressione anticostituzionale che si usava e si usa con sempre minor pudore – doveva cambiare i cavalli. Craxi e il PSI gli avevano fatto qualche scherzetto: baciano Arafat, mandano i carabinieri a circondare i soldati americani a Sigonella. E la DC…

 

La DC è il vero tema dell’intervista, che giunge guarda caso proprio mentre si stanno per stappare le bottiglie per gli 80 anni dalla sua fondazione. È il macabro compleanno di una cosa morta, ma in verità, lo sappiamo, la DC non è mai davvero morta. E tenerla in vita, sotto forma di spezzatino frankensteiniano disseminata ovunque, è stato il lavoro di Ruini per decenni.

 

«Ed è stato un brutto modo di cadere» dice il cardinale nell’intervista, parlando della DC. «Quando accadde ci interrogammo, perché anche per noi si poneva un problema. Dissi subito: “Un altro partito dei cattolici è impossibile”. Percepii che, storicamente, non c’era più lo spazio».

 

«In quel periodo di passaggio da un partito all’altro ero molto ricercato da uomini politici della DC e di altre forze che volevano consultarmi. Da Mino Martinazzoli a Giovanni Spadolini».

 

Qui anche l’intervistatore di Via Solferino salta sulla sedia: ma cosa c’entra Giovanni Spadolini? Il capo del Partito Repubblicano, che del laicismo (che, in molti casi, è parola che sta a significare altro) ha fatto la sua bandiera esistenziale? Spadolini, e tutte le chiacchiere che si portava dietro?

 

«Spadolini venne da me per opporsi al cambio di nome della DC. Mi chiese di fare qualcosa per impedirlo». Insomma, Spadolini consulente del branding politico per i cattolici italici. «Ricordo le sue parole: “Da storico le dico che il nome Democrazia cristiana è il nome della vittoria dei cattolici. Partito popolare è invece il nome della sconfitta”. Gli risposi: “Presidente, sono d’accordo con lei, ma non decido io”».

 

C’è da ricordare, a questo punto, che il «laico» Spadolini nel 1981 divenne il primo presidente del Consiglio dei ministri non democristiano dal 1945. Quindi, vi erano commistioni, tra vescovi e «laici», sulle quali forse avevamo sorvolato, ma che sono effetto di un patto più profondo che lega la chiesa italiana – cioè la chiesa cattolica dopo il Concilio – ai poteri non-cristiani che hanno dato forma al disastro italiano pienamente visibile nell’ora presente.

 

La dottrina Ruini fu quella di aprire a Berlusconi, che invece aveva ricevuto tanta antipatia dai democristiani sopravvissuti ai giudici (Mino Martinazzoli, Rosa Russo Jervolino, Rosy Bindi), che infatti passarono in scioltezza agli ex-comunisti del PDS (poi DS poi PD: loro il brand hanno dovuto aggiornarlo).

 

Di più: Ruini immaginò che la diaspora della DC poteva essere una strategia in sé: ficcare in ogni partito una pattuglia di uomini vescovili, di modo da concorrere sempre comunque agli sterzi della politica.

 

«Nel 1995, nel suo discorso conclusivo al convegno ecclesiale di Palermo, Giovanni Paolo II dichiarò che la Chiesa non avrebbe dovuto coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito» dice Ruini. «Ma – aggiunse – ciò non implica in alcun modo una diaspora culturale dei cattolici.

 

Secondo il cardinale, Woytila «voleva dire che non si può ritenere compatibile con la fede l’adesione a forze politiche che si oppongono o non prestano attenzione ai principi della dottrina sociale della Chiesa: sulla persona, sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace. Fu una linea saggia e producente».

 

Ci chiediamo: «saggia e producente», esattamente, in cosa? Nell’intervista Ruini dà immediatamente risposta.

 

«Allungando un po’ lo sguardo, i momenti salienti furono il referendum sulla procreazione assistita: puntando sull’astensione ottenemmo il 74%», rivendica il porporato.

 

Ricordiamo al lettore brevemente di cosa si tratta: la riproduzione artificiale fu normata in Italia da una legge concepita da democristiani, la famosa legge 40/2004. In molti osservano che legge sembra scritta in modo tale da poter essere smontata in un secondo tempo dall’intervento di giudici di vario grado. La legge permette la produzione di esseri umani in laboratorio, ma in un certo numero. Quanto poi è scritto rispetto allo scarto degli embrioni cozza, ovviamente, con l’intoccabile legge 194/1978, che oltre agli embrioni consente di uccidere anche feti e bambini.

 

Soprattutto: la legge sui bambini sintetici voluta dai democristiani e difesa boicottando il referendum 2005 è, ad oggi, la causa della distruzione di centinaia di migliaia di embrioni l’anno, più esseri di quanti non se ne uccidano annualmente con l’aborto di Stato. Ricordiamo pure che, grazie al ministro Lorenzin – un’altra transitata dal NCD – la creazione di bambini in provetta è ora nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), cioè il massacro è pagato, esattamente come il feticidio 194, direttamente dallo Stato, dalle tasse del contribuente.

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E poi, quali altri ricordi, cardinale? «Più tardi l’opposizione alla legge del governo di Romano Prodi sui DICO, che apriva le porte al riconoscimento delle unioni tra omosessuali. Non ero più presidente della CEI, ma guidai ancora io quel passaggio».

 

«Grazie alla manifestazione del Family day quel provvedimento si fermò. Ecco, sia il referendum sia il Family Day furono esempi del modo in cui la Chiesa si posizionò in proprio, esprimendo direttamente la sua posizione».

 

Eccoci: il Family Day, quella serie di grandi eventi dove per un giorno i cattolici vanno in piazza a Roma e sembrano tantissimi (in genere, grazie alle parrocchie neocatecumenali della periferia della capitale, dove giocoforza ci sono tante famiglie numerose), una vera forza politica. Poi il giorno dopo sparisce tutto, e la Necrocultura politica segue il suo corso. Il cardinale gioisce per aver fermato i DICO di Prodi, ma pochi anni dopo ecco che ci ritroviamo con le Unioni Civili, cioè il matrimonio omosessuato. Non un gran lavoro.

 

Tuttavia, i Family Day sono importanti: perché consentono di gestire, e lanciare, figure politiche che poi rimangono persistenti nel tempo. È il caso di Eugenia Roccella, ex radicale abortista presentatrice del primo Family Day. Ce la ritroviamo eletta con Berlusconi, poi parte del dimenticato partito scissionista di Angelino Alfano NCD (nel quale, disse qualche cronaca, i vescovi pure potrebbero averci messo lo zampino), poi, dopo una pausa perché non eletta, d’un bleu rispunta in lista con FdI nel 2022 e viene immediatamente fatta sedere nello scranno del ministero della famiglia.

 

Le posizione della Roccella sono note: la 194 non si tocca («mi occupo del contrario»; «L’aborto? Non è roba mia, chiedetelo al ministro della Salute»), apertura ai bambini delle coppie gay con una bella sanatoria («la strada corretta è la stepchild adoption»).

 

È quindi utile chiedersi, per il lettore sbadato, chi fosse sul palco del secondo Family Day. Renovatio 21 ha cercato di descrivere il quadro in un articolo dell’ottobre 2022, quando era fresca la vittoria dei Meloni alle urne. Parlavamo di un «network democristiano» dietro a Giorgia, le cui posizioni su aborto etc. sono, casualmente, proprio quelle dei personaggi di Ruini, che con evidenza è riuscito ad infiltrarsi anche qui.

 

Perché, in fondo, si tratta della posizione del cardinale stesso: Ruini nel 2008 chiese di «non rivoltarsi» contro la 194. «L’ex presidente della CEI ha evitato, “parlando a titolo personale”, di utilizzare la parola “omicidio” per l’aborto» scriveva La Stampa, descrivendo un’intervista TV del cardinale con Giuliano Ferrara.

 

L’intervista termina con una strana dichiarazione di affetto del cardinale ad un’altra figura laica di alto livello Carlo Azeglio Ciampi e alla moglie 102enne. Su Ciampi, e sul suo ruolo nell’attacco che nel 1992 George Soros portò alla lira, abbiamo scritto altre volte.

 

Insomma, arrivati in fondo, non si scorge nel discorso del prelato non diciamo l’amarezza, ma anche la semplice constatazione di cosa davvero sia successo in Italia mentre lui stava nella stanza dei bottoni, con o senza DC.

 

La legge per l’aborto di Stato 194/1978 – una legge prodotta e votata da un governo democristiano, quello papale papale di Giulio Andreotti – ha prodotto, si dice, sei milioni di cittadini in meno. Un calcolo, come abbiamo visto altre volte, che è possibile considerare con l’unità di misura inventata per i danni delle bombe atomica, il megadeath, «megamorte». Ogni megadeath vale un milione di vittime.

 

L’Italia starebbe, in teoria, a 6 megamorti. Praticamente, è come se avessero nuclearizzato una grande regione, o anche due: considerate che a Hiroshima vi furono sul momento 66 mila morti, pari a 0,06 megadeath. All’Italia pare essere andata peggio. E ai megadeath della 194 aggiungiamo quelli degli embrioni distrutti dalla 40: per ogni bambino artificiale in braccio se ne uccidono quantità, forse 150 mila l’anno, forse di più.

 

In verità, c’è una considerazione aritmetica ulteriore, che non ho sentito fare in Italia. Associato all’aborto, vi è un ghost number, una cifra nascosta di persone che vengono a mancare.

 

Considerate che una bambina abortita nel 1978, nel 1980, nel 1982, potrebbe aver avuto già nei primi anni 2000 una figlia. E costei, se avesse partorito alla medesima età della madre, potrebbe aver avuto a sua volta una figlia in questi stessi anni che stiamo vivendo.

 

Proprio così: gli aborti della legge democristiano potrebbero essere, oggi, nonni.

 

Quindi, lo sterminio degli italiani, del quale il cardinale non sembra avere alcuna contezza, è di proporzioni molto, molto superiori a quanto si possa immaginare. È un massacro infinito, dai contorni metafisici – ricordate il detto ebraico, «chi salva un uomo salva l’umanità»? Ecco, realizziamo qui che uccidere un bambino significa distruggere, per sempre, la sua discendenza.

 

Una bomba atomica sganciata sull’Italia, sul suo futuro. Un’intera nazione – parole che deriva dall’etimo nascere – devastata nell’unica cosa che conta davvero: la vita dei suoi cittadini.

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Ma, di questa Nazione Non Nata, a chi importa? Gli italiani non nati votano? Pagano le tasse? Offrono l’8 per mille? No. Forse per questo, meritano di essere eliminati a piacimento, anche tutti. La parola per descrivere tale fenomeno è tornata recentemente di moda: genocidio.

 

Di tale abisso, che è stato creato da democristiani assieme ai vescovi, che dimostra l’esito anticristiano dello Stato moderno – il dominio violento ed assassino del più forte sul più debole – non c’è traccia nella riflessione di nessuno. Né cardinali, né intellettuali, al riparo nei loro pranzetti e nei loro stipendioni, paiono anche solo volersi avvicinare al pensiero.

 

Pensiamo all’articolo di Marcello Veneziani – uno che aveva già dimostrato la sua posizione sulla questione ai tempi della sentenza della Corte Suprema USA che de-federalizzò l’aborto – comparso oggi su La Verità a celebrare un convegno per gli 80 anni della Democrazia Cristiana, la quale, è scritto, «aderiva così profondamente alle fibre del nostro Paese da essere considerata un elemento naturale della nostra vita pubblica e privata».

 

La DC non è il partito che ha legalizzato lo sterminio di milioni di italiani e cancellazione della loro discendenza, ma è «quasi l’autobiografia degli italiani, come si disse pure del fascismo: il fascismo-Stato pretende di essere la versione paterna mentre la DC-Stato fu la versione materna».

 

Forse è così: una madre moderna, però, una madre che abortisce i propri figli in tranquillità, per edonismo (deve andare ad Ibiza, per far carriera, o difendere il clima) e per sciocchezza ed immoralità, senza nemmeno le motivazioni psicotiche di Medea. Perché la psicosi, per una società che uccide la propria prole, non può che essere è la norma.

 

E quindi, tornando al cardinale, vogliamo dirgli – noi sopravvissuti alla strage, noi che siamo chiamati a vivere i suoi postumi apocalittici – che la sua voce non vorremo interviste al Corriere, ma per ben altro: la realizzazione del fatto che le forze sedicenti cattoliche nel Paese hanno costruito una macchina di morte massiva che grida vendetta al cielo, e che ha preparato di fatto ad una società ancora più folle, tra obblighi di vaccini prodotti (guarda caso) con feti abortiti, islamizzazione (cioè: anarco-tirannia su base migratoria), biototalitarismo molecolare, crollo delle nascite, violenza e follia, alimentate magari da psicodroghe legali, in ogni dove – e non è ancora finita, perché l’obbligo di fare i bambini in provetta, con sicuro imprimatur papale, è dietro l’angolo – e le leggi, statene sicuri, saranno preparate dai democristiani e digerite dal Vaticano.

 

Bel lavoro, non c’è che dire.

 

E se, invece di parlare ai giornaloni, i responsabili stessero in silenzio, magari in un convento, a pregare e a meditare su quanto accaduto – e quanto sta venendo inflitto ai nostri figli, ai sopravvissuti di questo infinito massacro?

 

Il pentimento non era una cosa cattolica?

 

Forse. Ma di cattolico, caro cardinale Ruini, chi – cosa – è rimasto in Italia?

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine di Grzegorz Artur Górski via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported; immagine modificata

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Ambiente

Fermare il cambiamento climatico con «l’abbattimento della popolazione tramite pandemia mortale»: parla un professore

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Un professore di rischi geofisici e climatici dell’University College di Londra (UCL) ha pubblicato sabato un messaggio controverso sui social media che sembrava fornire sostegno ad una prospettiva di riduzione della popolazione umana tramite tremenda pandemia.   Condividendo sul suo account X un articolo del Guardian in cui si chiedeva quanto sia preparata l’umanità per una potenziale epidemia di influenza aviaria, il cattedratico inglese ha scritto: «Se devo essere brutalmente onesto, l’unico modo realistico in cui vedo le emissioni diminuire alla velocità necessaria, per evitare un catastrofico collasso climatico, è l’abbattimento della popolazione umana da parte di una pandemia con un tasso di mortalità molto elevato».  

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Il professore l’indomani avrebbe cancellato il messaggio, «non perché me ne pento, ma perché così tante persone là fuori l’hanno erroneamente o intenzionalmente presa nel modo sbagliato» ha scritto su un tweet.     Davanti ad una ridda di commenti, l’esperto in seguito ha poi puntualizzato che per «l’abbattimento della popolazione» intendeva in realtà «un crollo improvviso dell’attività economica. Non le persone che muoiono», ha affermato.   «Sto parlando di una riduzione dell’attività economica, NON di una riduzione della popolazione», ha affermato ancora.     «Ditemi come le emissioni possono diminuire del 50% necessario entro 66 mesi, se non a causa di un grave shock socio-economico come una grave pandemia, una guerra nucleare o una catastrofe geofisica globale. Sto parlando di una ridotta attività economica, NON di una riduzione della popolazione» ha continuato.  

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Il climatologo, specializzato in vulcanologia, è stato membro del gruppo di lavoro sui rischi naturali del governo britannico, istituito nel 2005 in seguito allo tsunami nell’Oceano Indiano del 2004, e nel 2010 membro del gruppo consultivo scientifico per le emergenze (SAGE), che si occupava del problema delle ceneri islandesi emesse dal vulcano islandese Eyjafjallajökull. Più tardi il SAGE sarebbe divenuto noto al mondo per l’implementazione delle restrizioni pandemiche COVID, che colpirono la Gran Bretagna con una brutalità perfino maggiore a quella degli altri Paesi.   Come riportato da Renovatio 21, idee estreme per la «soluzione» del cosiddetto cambiamento climatico sono in circolazione da tempo, pubblicate tranquillamente anche da grandi giornali.   Due anni fa il principale scienziato fautore della cosiddetta geoingegneria solare, l’harvardiano David Keith, ha rivendicato la tecnologia di controllo del clima planetario in un lungo editoriale sul New York Times, che esprimeva concetti allucinanti, come l’accettazione della morte di quantità massive di esseri umani a causa delle ricadute delle sostanze chimiche spruzzate con gli aerei per deflettere la luce solare (cioè oscurare il sole: altro progetto finanziato da Bill Gates, e non solo da lui), un male minore rispetto all’apocalisse climatica prospettata dall’esperto.   Il pensiero della riduzione della popolazione, come noto, non è sconosciuto alle élite dominanti, con il guru del World Economic Forum Yuval Harari a dichiarare platealmente che il pianeta non ha più bisogno di una vasta maggioranza degli esseri umani che vi vivono. Di qui, un’agenda indicibile che, mentre siamo distratti da stupidaggini, sterilizza e ammazza in varie parti del mondo.   Come riportato da Renovatio 21, una pandemia «peggiori di quelle del COVID», che ora cominciano a chiamare «Malattia X», è discussa apertis verbis da miliardari come Bill Gates e Warren Buffett, oltre che dagli immancabili Rockefeller, attivi «filantrocapitalisticamente» nei decenni scorsi in programmi di contrasto a quella che chiamano «sovrappopolazione», un mito fasullo (è vero il contrario: l’implosione demografica è imminente) ammannito al pubblico per giustificare lo spopolamento di un pianeta che gli oligarchi, che non abbisognano più di mano d’opera umana, vogliono solo per sé e per i loro robot.   Ecco dove pandemia e cambiamento climatico si toccano: nel cuore della Necrocultura, nella pratica di una nuova religione di morte che serve a svuotare la Terra con uno sterminio infinito, un grande sacrificio umano di cui non vediamo i confini.

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Necrocultura

Un altro feto trovato nel cassonetto. Volete davvero credere alla favola del disagio sociale?

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Due giorni fa è stato rinvenuto un feto di poche settimane in un cassonetto situato in un parco a Parona, un comune della Lomellina nei pressi di Vigevano, in provincia di Pavia.

 

L’individuazione è avvenuta grazie agli operatori ecologici impegnati nelle operazioni di pulizia dell’area. Durante la loro attività di svuotamento dei cestini lungo via Papa Giovanni XXIII, il feto è emerso dal cassonetto.

 

Si tratta esattamente della trama della canzone Cassonetto differenziato (1989) di Elio e le Storie Tese, quella che ipotizzava una raccolta differenziata per i feti, vista la quantità di casi che finivano sui giornali: «lo spazzino è più sereno/ e poi si impressiona meno». Trentacinque anni fa già questo tipo di eventi seguiva un pattern molto riconoscibile, al punto da divenire una canzone satirica.

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Conosciamo, ad ogni modo, anche il ruolino di marcia delle cronache di situazioni come questa: secondo quanto riportano all’unisono i giornali locali e nazionali, i carabinieri sono stati tempestivamente contattati e si sono recati sul luogo. Possiamo annunciarvi che, nonostante si parli di telecamere ed altro, con molta difficoltà verrà trovato chi ha lasciato lì il bambino. Ad oggi, non abbiamo presente di casi di «scagliatrici di feto nel cassonetto» (cit. sempre Elio) identificate ed arrestate (e a dire il vero, non siamo nemmeno sicuri che si tratti di donne).

 

Torniamo alle cronache fetali pavesi: il feto, delle dimensioni di dieci centimetri, è stato affidato agli esperti dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Pavia per essere sottoposto a esame, è stato riportato. La cosa potrebbe creare una certa dissonanza cognitiva: il lettore sa che in certi casi – come quelli degli enigmatici feti imbarattolati disseminati in tutto il Paese – inizialmente si sospetta proprio di ospedali ed università, da cui «il residuo» potrebbe essere uscito. Abbiamo appreso anche che il giallo dei bidoni gialli di Granarolo, dove furono trovati feti umani, si risolse esattamente con l’Università che ne chiese la restituzione, e la procura che ne dispose il dissequestro. (Altro non ci è dato sapere: quanti erano, perché erano lì, a cosa servivano, chi erano… tutte domande che ci rimangono addosso)

 

Le cronache, in coro, continuano informandoci che date le sue ridotte dimensioni, si suppone che la gravidanza della madre del bambino del cassonetto pavese sia stata breve,

 

Nessuno osa ovviamente specificare come sia possibile che il bambino, che si presume sia uscito intero dal grembo materno, possa essere finito lì: vi sarebbe da fare la dolorosa ammissione per la quale – è la possibilità meno allucinante – il bambino sia uscito con la RU486, la pillola dell’aborto domestico che permette di espellere il feto integro, in genere nel water, pronto per farlo viaggiare nelle tubature giù giù sino alle fogne, dove sarà divorato da pantegane, batraci e pesci coprofagi, magari pure qualche insetto goloso che apprezza la carne umana tenera e i concentrati di staminali.

 

La RU486 – che qualcuno giustamente ha chiamato «il pesticida umano» – permette di far uscire integri dal grembo materno questi bambini minuscoli, ma mica questo orrore può essere detto pubblicamente (la storia dei bambini divorati nelle sentine, che Renovatio 21 va ripetendo da anni, dove altro credete di poterla leggere?), perché la pasticca della morte va sdoganata sempre più: ricorderete il ministro Roberto Speranza (quello che adesso ha qualche problemino nel presentare i suoi libri in giro per l’Italia, dove lo aspettano alcune persone che ha fatto vaccinare genicamente) e la sua spinta, in pieno lockdown, per la distribuzione più libera della pillola dell’aborto fai-da-te, da rifilare alle donne senza ricovero. Di nostro possiamo dire che più di una decina di anni fa abbiamo visto politici sedicenti pro-life – ancora in circolo, presso pure le alte sfere – votare a favore della distribuzione ampliate del pastiglione omicida.

 

Ciò detto, non è per parlarvi della RU486 – ora distribuita su internet anche per impulso civico delle femministe americane, sconvolte dalla defederalizzazione dell’aborto subita due anni fa tramite la sentenza della Corte Suprema USA Dobbs v. Jackson – che scriviamo queste righe.

 

In realtà, non è nemmeno per parlare dell’aborto – o meglio, per cercare di raccontare, una volta di più, che oramai siamo convinti di come esso sia solo un pezzo del puzzle, e il puzzle è talmente mostruoso che non c’è film o libro che lo abbia anche solo concepito.

 

In breve, abbiamo maturato la convinzione che il ritrovamento di feti in luoghi improbabili e degradanti – o misteriosi, inspiegabili – non sia un fenomeno spontaneo, una storia spiegabile con le categorie che ci forniscono giornali e politici – di sinistra, di destra, abortisti, pro-lifi.

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La narrazione, che perdura dai casi di feto nel cassonetto che avanza dagli anni Ottanta, vuole farci pensare che l’abominevole atto è un segno di degrado. Si tratta di persone povere, disperate. Forse una donna che non può permettersi di avere un bambino, o che non vuole averlo perché vive in un appartamento dove il patriarcato le imporrebbe di divenire madre. Cose così.

 

Insomma: lo shock del feto trovato nella spazzatura serviva a consolidare l’aborto di Stato, ad estenderlo: se la donna avesse abortito avremmo evitato di scandalizzare il netturbino («Ma mettetevi nei panni di chi / il cassonetto pulisce / mi trova e non capisce / il perché di tanta inciviltà / poi scende in piazza e sciopera / e la colpa è anche un po’ tua / se non ti batti per un mondo migliore / in cui una madre sappia dove gettare il bebè»: sono i realistici versi di Elio).

 

Logica ferrea: fai a pezzi il bambino dentro il grembo materno con il metodo Karman (facendolo diventare un rifiuto ospedaliero, o in certi casi materiale da esperimento) invece che farlo trovare poche settimane dopo nell’immondizia. Non una grinza: come diceva una filastrocca delle scuole medie, «era meglio morire da piccoli / con i…»

 

Il problema è che oggi tutta questa teoria non tiene più. Il bambino non è nato, è stato fatto uscire dalla madre prima, integro, quando era lungo poco più di un dito – eppure, già perfettamente umano, già Imago Dei.

 

L’aborto è libero, liberissimo: consentito dalle autorità anche senza essere incinte (è successo), celebrato come grande conquista sociale dalla stampa, dalla politica (tutta!), glorificato da fiction e serie TV. Perché mai allora, continuiamo a trovare feti nel cassonetto?

 

Se qualche voce «laica» ora si alza per dire che è per colpa del clima intollerante causato dalla chiesa cattolica, può tacersi anche subito: perché sappiamo come Roma non solo non abbia intenzione in alcun modo di andare contro la legge di figlicida (abbiamo cardinali che lo hanno pure dichiarato, e casi sussurrati di confessori che consigliano la procedura a fedeli disperate) ma come abbia fatto di tutto per infliggere il mondo un prodotto che dall’aborto è derivato, il vaccino COVID (e prima ancora, altri vaccini, tutti – come sa il lettore che ci segue negli anni 0 ottenuti con cellule di aborto). Il Vaticano sapeva, ma ha fatto spallucce.

 

E quindi? Se non si tratta di disagio, dramma sociologico, di repressione del diritto umano all’ammazzare la propria discendenza, cosa sono questi feti nei cassonetti?

 

Quello che pensiamo noi, adesso, è che siano essenzialmente dei segni. Non sono stati abbandonati, sono stati piazzati. Sono delle puntine su una mappa oscura, sono capitelli di un territorio letto secondo una mistica del male. Sono antenne, amuleti, sono prove di un sacrificio avvenuto sopra una determinata zona del Paese.

 

Chi li mette? Qualcuno che concepisce l’aborto, o meglio l’uccisione della vita umana innocente, come una realtà da rendere simbolo ripetibile distribuito sul territorio.

 

Immaginate tutte quelle vecchie chiesette, anche minuscole, ora deserte, che vedete un po’ ovunque. Immaginate che lì vi è un altare, che serve per il sacrificio di Dio per l’uomo. Invertite tutto: ecco che bisogna puntellare la Terra del segno del sacrificio dell’essere umano per il dio – o meglio, per il demone.

 

Si può trattare, quindi, di una sorta di pratica satanica, o forse perfino«post-satanica», di cui non abbiamo mai sentito nulla, perché tenuta davvero segreta da chi la pratica?

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Abbiamo ipotizzato questa spiegazione per la storia dei feti in barattolo rinvenuti nel corso di più decenni in vari luoghi improbabili, spesso nel verde: campi, argini dei fiumi, aiuole urbane, cimiteri. Probabilmente, siamo stati i primi a cercare di unire i puntini di questi casi: chi può avere interesse, nell’arco di trenta o quaranta anni, ad abbandonare vasetti con bambini dentro a Nord e Sud, in città e in campagna? Come può trattarsi di un unico soggetto che lo fa?

 

Ora stiamo cercando di allargare la medesima idea ai bimbi nei cassonetti. Forse non si tratta di donne disperate, a cui gli obiettori di coscienza cattivi hanno negato l’accesso al feticidio. Non si tratta di degrado sociale, non si tratta di quelle storie brutte che ci fanno allargare le braccia e dire «ma dove andremo a finire», così da spingerci sempre più dentro il nostro bozzolo domestico.

 

Forse non è una storia che potete ancora immaginare. Perché potrebbe essere talmente spaventosa da dover essere tenuta segreta – sia da chi la pratica, che da chi forse lo ha capito, ma non può dirlo, vuoi perché teme il panico sociale che potrebbe scatenare, vuoi perché forse qualcuno in alto desidera che continui, perché parte di un meccanismo, di un accordo indicibile.

 

Mentre meditate dentro questo abisso, abbiate una certezza: quella di non credere più, nemmeno per un secondo, a quanto vi dicono sull’aborto i politici, i giornali, i pregatori seriali, i pro-life a caccia dei vostri soldini.

 

Rifiutate del tutto chi vuole farvi fissare il dito invece che la luna di sangue che è sopra tutti noi.

 

Roberto Dal Bosco

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