Pensiero
Il Drago continua. La palude pure.
Quindi, sembra di capire che saremmo al capolinea del governo Draghi. Almeno, del Drago-1.
Il primo ministro è salito due volte al Colle (sentite quanta italica gravitas in quest’espressione!) a rassegnare le dimissioni dinanzi al Presidente della Repubblica.
Il quale le ha respinte, rinviandolo alla Camere mercoledì. Questa cosa delle dimissioni respinte non l’abbiamo mai capita: uno se ne vuole andare perché sente di aver fallito, perché è arrabbiato con i colleghi, perché è malato, per gli affari suoi, ma il padrone ti dice «e invece stai qua e lavori».
Boh. Del resto il lettore accorto sa bene che del figlio di Bernardo Mattarella per motivi legali, non possiamo scrivere più di tanto. Rassegnatevi.
Quindi, la faccenda è questa: al voto non ci vuole andare nessuno, tranne una piccola fronda piddina filo-grilla (Boccia, Orlando) convinta che si si va alle urne al volo il M5S sarebbe costretto ad allearsi al PD, racimolando così gli ultimi rimasugli elettorali a cinque stelle – in ispecie al Sud.
Tutti gli altri, dall’idea di votare fuggono a gambe levate. Salvini frena come può, sa che con l’abbrivio, giocando sul pedale, può riuscire a rimanere al volante della Lega, e ripartire come vuole e con chi vuole tra un po’. Si mormora che stia avvenendo pure l’indicibile: Renzi e Letta si stanno parlando (ricordate quella cerimonia della campanella di quasi dieci anni fa?) perché spingono ambedue per il Draghi-bis. Che è un’ipotesi più che plausibile, che vedremo poco sotto.
Il risultato sarebbe, a quanto ci è dato di capire, l’eliminazione dell’elemento alieno in Parlamento, ossia il M5S con sopra Conte, vero intruso della situazione, che con le sue mosse erratiche ed ottuse non ha davvero nessun senso nell’odierna situazione di concertazione assoluta, quella che dobbiamo chiamare, su suggerimento di Rino Formica, lo Stato-partito.
Nella palude, le creature minori, non adattate all’ecosistema, vengono divorate da chi con l’ambiente palustre ha dimestichezza. Pace.
Liquidato l’avvocato del popolo, che ha un malloppo di seggi senza sapere cosa farci (del resto mica è stato votato, né ha fatto parte del partito), si può andare avanti in tranquillità. La scissione di Giggino di Maio, lapalissianamente, a questo serviva. Ora si va oltre: Conte sarà emarginato e dimenticato, con tutta la schiera di dimenticabili peones vincitori della lotteria Casaleggio che si porta dietro (sempre senza sapere bene perché, né per cosa).
E ora?
Diremo che il Draghi-bis sembra inevitabile: basta alterare un po’ la maggioranza, biodegradare qualche partitino acefalo, aprire un minimo mercato delle vacche e ci siamo.
Draghi incredibilmente nelle comunicazioni di queste ore parla dei rischi per la sua «credibilità personale»: eccerto, la Nazione va allo sfascio, mentre l’Europa abbrucia, e il tizio del Britannia, giustamente, pensa al personal branding.
Ciò ci spiega in chiarezza che non è davvero preoccupato di quel che accadrà. Questo sito, a differenza di tanti altri, dopo la fallita ascesa al Colle del Drago, è rimasto dell’idea che al Quirinale esso è destinato comunque sia al prossimo giro. C’è tempo, tuttavia.
Qualora non dovesse tornare Draghi, le opzioni di cui si vocifera sono Amato (l’immortale, il dottor sottile, l’unico socialista non frantumato da Tangentopoli, premier durante il mercoledì nero 1992 in cui Soros distrusse la lira italiana guadagnandoci miliardi di dollari) oppure Frattini (il giudice del Consiglio di Stato amico degli animali che, correndo anche lui verso il Quirinale, ha ribaltato la sentenza TAR sulla libertà dei medici rispetto alla «tachipirina e vigile attesa» del governo).
Noi aggiungiamo il nome di Colao, il tecnocrate che piace a Mattarella, che lo aveva infilato nella grottesca idea della Task Force pandemica di geni impegnati a salvare l’Italia, che l’ex top manager Vodafone guidava comodamente dalla sua magione londinese. Avrete notato: dopo mesi in cui si era inabissato attirandosi sibili velenosetti (ma questo serve davvero?), ora è riemerso con conferenze stampa fluviali e interviste chilometriche in cui loda tutti i partiti ribadendo però di essere unico al mondo.
Ad ogni modo, niente paura: non cambia nulla. Anzi: se non si va a elezioni qui siamo pure più felici. Perché, lo avrete notato, non c’è un solo partito, un singolo cognome, a cui dare il voto.
No. Non uno – compresa anche e soprattutto la cosiddetta opposizione della Giorgia Melona. Sono tutti, senza eccezione, dei traditori. Sono personaggi che vi hanno imprigionato e impoverito, che vi hanno schiavizzato e canzonato, per mettervi poi – ciliegina sulla torta della decrescita pandemica e post-pandemica – a rischio di annientamento termonucleare.
Così, forse ingenuamente, crediamo che il momento del voto non sia ora: non prima di aver visto organizzare, magari anche solo per tentativo, un qualche soggetto vagamente presentabile, che non sembri il coacervo verminoso e putrescente che vorrebbe farsi votare adesso come «opposizione al sistema». Avete presente: avanzi 5 stelle, dei più rancidi. Partitelli di dilettanti paracattolici stupidamente altezzosi quanto vacui (di pensieri, di voti). Accozzaglie di medici e avvocati youtubari paraculi fino al parossismo. Sindacalisti spaccatutto con il superpotere di diventare rapidamente invisibili, e di fidarsi per ingenuità di chiunque (di senatori, di se stessi). C’è perfino, che circola, forse perfino una trappoletta dell’establishment, che i maligni dicono messo in piedi in funzione carta moschicida da qualche apparato dello Stato profondo italiota.
Sì, avete presente. Lo spettacolo è francamente rivoltante. È invotabile – perfino per chi nel voto non crede.
Quindi, bene così, e non preoccupiamoci – perché la maschera è calata, perché, come raccomanda Sun Tzu nell’Arte della Guerra come condizione per la battaglia, il nemico si è rivelato.
Il disegno oramai, se leggete Renovatio 21, lo conoscete.
Sto pensando che per vederlo riflesso, in queste ore, dobbiamo tornare all’esempio dello Sri Lanka. Un Paese diversissimo, certo, dall’Italia, ma fino ad un certo punto.
Colpisce come la fame, il collasso energetico siano arrivate a Ceylon con politiche distruttrice venute fuori, quelle dell’ONU e del World Economic Forum. Il premier che avevano messo lì da maggio, Weckremesinghe, è un uomo di Davos. Tuttavia, la cosa interessante era che era stato già premier con il governo precedente, quello di Sirisena, prima che tornassero gli avversari, i crudeli fratelli Rajapaksa responsabili dell’eccidio di almeno 20 mila Tamil nel 2009 (crimine contro l’umanità sul quale la Comunità internazionale, Putin compreso, sì, nulla ha avuto da eccepire).
Insomma: era un governo multicolore anche quello di Ceylon. Opposizione e maggioranza assieme, clan nemici da decenni governano insieme. Come in Germania. Come, da qualche mese, anche in Italia – sempre più grottescamente, certo.
Voglia dire: siamo nella fase in cui la politica, con le sue differenze, è sottomessa e resa vestigiale. Contano solo gli ordini mondialisti, da eseguire alla lettera. E il risultato è fame, blackout e violenza a livelli apocalittici.
Avrete capire dove voglio andare a parare: i comandi della Necrocultura globalista hanno camerieri anche in Italia. E anche un capo maggiordomo.
Quindi, il programma va avanti. Sappiamo peraltro che è un programma incentrato sulla nostra stessa distruzione. Ce lo hanno detto in tutti i modi, apertis verbis. Ricordate la storia della «distruzione creativa» promossa dal Gruppo dei 30 guidato da Draghi?
Il ruolino di marcia ora prevede forse un altro po’ di green pass, magari nemmeno per il virus, ma per la siccità, per l’inflazione, per la mancanza di riscaldamento, per la crisi economica totale, per la guerra. Razionamenti, interruzioni di energia elettrica, magari pure un bello shock di guerra diretta: è una mossa cinica e facile, attacchi i russi, che non si fanno pregare per risponderti, ma tanto dell’Ucraina, della guerra, dell’Italia, dell’Europa, non ti frega niente, perché il tuo fine è impaurire e schiavizzare ancora più profondamente la popolazione.
Ecco, distruggeranno ancora di più per introdurre quest’idea del sistema premiale, dove i tuoi diritti, il tuo sostentamento, ti vengono erogati solo se sei allineato e obbedisci. Devasteranno le vostre case, le vostre vite e quelle dei vostri cari, vi sostituiranno per installare la piattaforma che deve contenere la vostra esistenza.
I Draghi servono a questo. E le paludi che li circondano, fatte dei nostri voti marciti, della nostra incapacità di essere rispettati e di cacciare le creature parassite che vi si ingenerano, sono lì per proteggere i grandi rettili terrifici che gli stregoni delle tenebre hanno destinato alla devastazione del nostro villaggio.
Fino a che non si bonificherà, sarà così. Fino a che non emergeranno i cacciatori di draghi, questi continueranno la loro opera.
Sta a noi.
Per questo, chiudiamo con un messaggio di servizio a quanti ci leggono e conoscono la sincerità e la determinazione di queste pagine. Scriveteci, rimaniamo in contatto, seguiteci. Avremo voluto aprire un forum, per scambiare le idee con i lettori, ma non ne abbiamo i mezzi – e temiamo le infiltrazioni di chi poi ci infila porcherie per far saltare tutto in aria. Di nostro, possiamo dirvi, che stiamo tentando di ripristinare gli incontri di persona, le conferenze in giro per l’Italia, come prima del virus cinese.
Questo è per dire che Renovatio 21 non sono solo gli articoli che leggete: è, concretamente la forza, materiale e spirituale, che voi che state leggendo offrirete in questa guerra spaventosa.
Se vi riconoscete in quello che ho scritto qui sopra, significa che siete portatori di qualcosa di preziosissimo: la lucidità. E forse di qualcosa ancora di più introvabile, della sostanza più rara dell’Universo: la volontà.
Dovete capire che questo è un tesoro che in questo momento non dovete sprecare per niente al mondo. Non è nemmeno qualcosa che vi appartiene: probabilmente vi è stato concesso per combattere la battaglia contro le Forze del Male, per il bene dell’umanità assediata dai mostri.
È con la presenza, dei nostri corpi e dei nostri spiriti, che vinceremo.
Di questo dovete essere certi. Perché sta scritto.
Roberto Dal Bosco
Immagine di Pierre-Lagarde via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)
Pensiero
Mosca bataclanizzata: qual è il messaggio?
Al momento in cui scrivo la conta dei morti del massacro di Mosca è di 60 morti e 140 feriti.
Abbiamo raccolto e mostrato qualche immagine agghiacciante: sì, un commando è entrato in un centro commerciale (su qualche canale ebete di Telegram avete letto che era un municipio: il traduttore automatico dei geni ha tradotto «Crocus City Hall» in «Municipio di Crocus», come se Crocus fosse un quartiere della capitale russa; gli ignoranti che seguite sui social fanno anche questo) con fucili automatici e hanno iniziato a sparare all’impazzata. Sono stati colpiti anche dei bambini, e due dodicenni sarebbero gravi.
È interessante notare quanto siano restii i nostri media a pronunziare, davanti allo schema perfettamente ripetuto, la parola che aveva inondato il discorso pubblico sul terrorismo quasi dieci anni fa: Bataclan.
Il disegno tecnico è il medesimo: colpire la popolazione comune, falciandola con armi a ripetizione e magari qualche bomba suicida o meno, nel momento di massimo svago e massima vulnerabilità – quando va a vedere un concerto. Sparare sulla gente quando è concentrata in un unico punto ed indifesa. Massacrare in maniera massiva per compiere il lavoro del terrorismo, e portare il suo messaggio.
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Mosca è stata bataclanizzata. I grandi media non vogliono dirvelo – perché significherebbe elevare il popolo russo a vittima, dopo due anni di campagna martellante per convincerci che la Russia è carnefice. E poi, soprattutto, nessuno ha voglia davvero di guardarci dentro: se il disegno è lo stesso del Bataclan, gli autori sono gli stessi? I mandanti pure?
Alla rivendicazione dell’ISIS, buttata subito in stampa da tante testate internazionali, non possiamo credere. Curioso, tuttavia, che l’ISIS possa voler colpire la Russia proprio ora, quando l’intervento in Siria è finito da anni…
L’Ucraina, per bocca di un ciarliero e molto visibile tizio consigliere di Zelens’kyj, Mikhailo Podolyak (quello che aveva insultato il papa e il cristianesimo) ha detto non siamo stati noi, mentre altri ucraini hanno ovviamente tirato fuori l’hastatoputin. Chiaramente, ci vogliono far credere, è un false-flag del Cremlino per scatenarsi, anzi, guarda, è la festa personale di Putin per aver vinto l’elezione con quasi il 90% dei voti. Come no. (in rete circolano meme divertenti con il passaporto di un terrorista miracolosamente, come al solito, ritrovato sul luogo del delitto: la foto è quella di un Putin barbuto)
Si tratta della più grande strage terrorista dai primi anni 2000. Qualcuno ricorderà i 130 morti (più quaranta terroristi) e i 700 meriti della crisi del Teatro Dubrovka, quando vennero sequestrati 850 civili da un gruppo di islamisti separatisti ceceni.
Dobbiamo capire che la vittoria sulla questione cecena – e sul terrorismo correlato – è stata la scala d’ingresso di Putin verso il Cremlino. La Cecenia era un disastro che poteva trascinare giù tutta la Russia: un alveare terrorista nel cuore del Paese, e allo stesso tempo un fattore di demoralizzazione devastante per la popolazione. Erano i primissimi tempi di internet, ma già circolavano i video, poi perfezionati da ISIS e compagni, di sgozzamenti di soldati e civili russi.
Putin fu colui che mise fine al pericolo. Da primo ministro ha vinto la Seconda Guerra Cecena, di fatto sottomettendo una fazione in lotta, quella di Kadyrov, il cui figlio ora al potere a Grozny manda i suoi soldati a combattere in Ucraina con adunate oceaniche negli stadi dove si grida «Allahu Akbar» e subito dopo «viva il presidente Putin».
La strage di Dubrovka non è stata la sola. Poco dopo, ci fu il massacro di Beslan, ancora più intollerabile nella volontà terrorista di colpire gli indifesi: il 1 settembre 2004 un gruppo di 32 fondamentalisti separatisti ceceni entrò in una scuola elementare e sequestrò 1200 persone, per maggior parte bimbi. Ricordate quell’immagine: una bomba pronta ad esplodere piazzata dentro il canestro della palestra, e i bambini sotto. Il conto, dopo che gli Spetsnats (le forze speciali russe) liberarono la scuola, fu di oltre trecento morti, di cui 186 bambini, e 700 feriti. Quasi tutta la scuola è stata ferita dal terrorismo.
Si tratta di traumi che i russi pensavano passati. Sono seguiti gli anni putiniani dove stipendi e pensioni sono saliti di 7, 15 volte. Dove il popolo russo, che dopo il 1991 aveva cominciato a perdere un milione di persone l’anno (alcol, disperazione) ha ritrovato la dignità, e, parola chiave per capire Putin e la Russia odierno, rispetto.
Il terrorismo, essenzialmente, è un linguaggio. Ogni atto terroristico ha un messaggio da portare al mondo – questo è quello che ci dicono, almeno. Sappiamo che il messaggio è, in genere, più di uno. C’è un messaggio di superficie, quello dei perpetratori: vogliamo l’indipendenza, vogliamo vendetta, vogliamo la shar’ia, vogliamo la fine dell’occupazione, cose così.
Poi c’è il messaggio profondo, quello dei veri mandanti, di cui non si può discutere, perché non si può saperne nulla.
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Le stragi dei primi 2000 avevano, come messaggio di superficie, la Cecenia: la terra dove Putin aveva riportato l’ordine, promettendo di inseguire i terroristi anche al cesso ed ucciderli lì, disse in una famosa dichiarazione.
Il messaggio profondo possiamo immaginare fosse un altro: lasciaci continuare a depredare la Russia. Il desiderio, profondo ed irrevocabile, dei veri mandanti, che non necessariamente stavano in russo.
I terroristi takfiri ceceni, si è detto, potevano aver legami con oligarchi nemici di Putin riparati all’estero. Era chiaro cosa volevano gli oligarchi ribelli: proseguire, anche per conto dei loro soci occidentali, la razzia resasi possibile con il crollo dell’Unione Sovietica nel decennio di Eltsin, come visibile, ad esempio, nel caso magnate del petrolio Mikhail Khodorkovskij, quello che Pierferdi Casini difendeva al Parlamento italiano, prima di essere imprigionato da Putin si diceva avesse trasferito le sue quote a Lord Nathaniel Jacob Rothschild, quello dei quadri satanici con Marina Abramovic spirato pochi giorni fa. Liberato dalla clemenza di Putin prima delle Olimpiadi 2014 (l’Occidente ringraziò organizzando poco dopo i Giochi di Sochi Piazza Maidan a Kiev), il Khodorkhovskijj ora è tornato a galla per la questione ucraine, i giornali lo definiscono «oppositore di Putin».
Vi sono tuttavia casi più evidenti. Rapporti tra terroristi ed oligarchi furono discussi per uno dei nemici più acerrimi di Putin, l’oligarca riparato a Londra Boris Berezovskij. Una trascrizione di una conversazione telefonica tra Berezovsky e il fondamentalista Movladi Udugov – attualmente uno degli ideologi e il principale propagandista del cosiddetto Emirato del Caucaso, un movimento militante panislamico che rifiuta l’idea di uno stato ceceno meramente indipendente a favore di uno stato islamico che comprenda la maggior parte del Caucaso settentrionale russo e si basi su principi islamici e sulla legge della shar’ia – fu trapelata su uno dei tabloid di Mosca il 10 settembre 1999. Udugov propose di iniziare la guerra del Daghestan per provocare la risposta russa, rovesciare il presidente ceceno Aslan Maskhadov e fondare la nuova repubblica islamica di che sarebbe stata amica della Russia pre-putiniana.
Dopo la Seconda Guerra Cecena, Berezovskij aveva mantenuto i rapporti con i signori della guerra islamisti. Nel 1997, nell’ambito di supposte attività di ricostruzione della Cecenia, fece una donazione di 1 milione di dollari (alcune fonti menzionano 2 milioni di dollari) per una fabbrica di cemento a Grozny. Per tale pagamento fu negli anni accusato di finanziare i terroristi ceceni.
Il 23 marzo 2013 Berezovskij, che bazzicava il World Economic Forum di Davos e aveva avuto un ruolo attivo nella rielezione di Eltsin nel 1996, fu trovato morto nel bagno nella sua villa nel Berkshire, vicino ad Ascot, luogo caro alla nobiltà britannica. Dissero dapprima che era depresso, perché aveva perso una causa con Roman Abramovic (ex patron del Chelsea, anche lui oligarca ebreo ultramiliardario che però si era sottomesso a Putin) e quindi aveva debiti; la polizia inglese invece disse che era una morte senza spiegazioni e volle lanciare un’inchiesta, ma non arrivò a nulla. Si dice prendesse farmaci antidepressivi, e un giorno prima di morire avrebbe detto ad un giornalista londinese che non aveva più niente per cui vivere.
Parlo della morte di Berezovskij perché all’epoca notai come potesse essere correlata ad una strage terrorista dall’altra parte del mondo: il 15 aprile dello stesso anno due bombe esplodono alla Maratona di Boston ammazzando tre persone e ferendone 250. Vengono accusati due fratelli ceceni, Dzhokar e Tamerlan Tsarnaev. Emerse che loro zio, che i giornali dissero subito si era dissociato dalla deriva islamista dei nipoti, era stato sposato con la figlia di un agente CIA, con cui avrebbe pure convissuto.
Difficile capirci qualcosa: tuttavia, la domanda che mi feci, all’epoca, era: il messaggio profondo della strage bostoniana è che, morto Berezovskij, qualcuno stava chiedendo il riequilibrio di questa rete antirussa occulta che attraversa il mondo.
La mia era solo una supposizione. Di certezze sulle connessioni tra gli americani e gli islamisti ceceni, invece, ne ha Vladimir Putin.
In una sequenza di tensione rivelatrice del documentario che Oliver Stone ha dedicato a Putin – un’intervista di ore e ore tra il 2015 e il 2016 – il presidente russo dà una notizia piuttosto gigantesca: racconta che gli USA, trovati ad aver contatti con i terroristi ceceni, hanno risposto alle rimostranze del Cremlino dicendo che essi erano autorizzati diplomaticamente a parlare con chi volevano.
Putin era visibilmente scosso: la Cecenia, per lui che l’aveva vinta come prima missione della sua carriera ai vertici, significava tanto: il dolore di tanti morti, il rischio di far finire la Russia, ancora una volta, in una spirale di razzia e violenza, in pratica di farla sparire dalla storia.
Discorsi simili sono stati fatti poche settimane fa nell’intervista che Putin ha concesso a Tucker Carlson. Il presidente russo lo aveva ripetuto ai giornalisti anche l’anno scorso: «nel Caucaso l’Occidente sosteneva Al-Qaeda». Washington appoggia il terrorismo antirusso, in sintesi. Per gli italiani che si ricordano quando – al tempo non c’era la parola «complottista» – si parlava della Strategia della Tensione, non è una storia tanto campata in aria.
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E quindi, qual è il messaggio della strage terrorista al Crocus di ieri sera?
È lo stesso, crediamo, di quello di quando l’anno scorso hanno bombardato a Mosca Darja Dugina o a San Pietroburgo il blogger Vladen Tatarskij: vogliono ri-cecenizzare la Russia.
Vogliono riportare le lancette indietro a quegli anni, quando Mosca era debole, il popolo incerto ed impaurito, e le risorse del bicontinente libere per i rapaci internazionali. Quando c’era il terrorismo islamico, usato come solvente da un potere superiore per distruggere definitivamente ogni potere indipendente per la Russia e piegare nella paura la psiche del popolo russo.
Tutto questo è durato fino a Putin. I mandanti non hanno mai accettato di aver perso. E quindi, nell’ora del trionfo politico e popolare di Putin, ripetono il messaggio. Puoi anche vincere le elezioni, puoi anche avere l’affetto del tuo popolo: noi te lo possiamo portar via a suon di mitragliate terrorista. Puoi vincere la guerra ucraina, noi massacreremo le famiglie ai concerti a Mosca. Lo faremo con i ceceni, con gli ucraini, con i daghestani, con i nazisti russi, con chiunque potremo manovrare.
Ora, da temere, più che il messaggio, che è chiaro, è la risposta che darà Putin.
Perché, come è evidente, potrebbe essere l’innesco della Terza Guerra, che di fatto l’élite occidentale, brama affannosamente.
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
Il diritto e il suo fondamento. Dall’antica Roma al COVID, da Hegel a Gaza
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Occulto
Feto trovato in uno stagno. Chi ce lo ha messo? E soprattutto: perché?
Leesburg è storica cittadina di 40 mila abitanti nello Stato americano della Virginia. Si trova vicino al fiume Potomac, quello che passa per la capitale Washington.
Leesburg è il capoluogo di contea della contea di Loudoun – praticamente omonima della piccolo paesino francese che nel Seicento fu teatro della possessione di massa delle suore di un convento, da cui il romanzo I diavoli di Loudun di Aldous Huxley – il luogo finito nelle cronache negli scorsi mesi per il clamore seguito alle presunte molestie sessuali subite da una ragazzina adolescente in un «bagno transgender» ad opera di uno studente transessuale. Lo scandalo si moltiplicò quando la repressione si abbattè sui genitori che protestavano negli incontri con i dirigenti della scuola, con il padre della giovane vittima arrestato dalla polizia durante un meeting.
Lo scorso 12 marzo il dipartimento di polizia locale della piccola città americana ha emanato un comunicato stampa agghiacciante.
Vi si dichiara che l’11 marzo, «il dipartimento di polizia di Leesburg è stato allertato intorno alle 16:33 da un membro della comunità che ha scoperto il corpo di un feto a termine nello stagno dietro Park Gate Drive, a Leesburg». L’espressione inglese usata per il bambino, «late term», indica un bambino nato tra 41 settimane e 0 giorni e 41 settimane e 6 giorni.
Il feto è stato trasportato all’ufficio del capo medico legale della Virginia per l’autopsia.
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«Questa è una situazione profondamente tragica», ha detto il capo della polizia di Leesburg, Thea Pirnat. «Esortiamo chiunque abbia informazioni a farsi avanti, non solo per il bene delle indagini, ma anche per garantire che a chi ne ha bisogno ricevano cure e servizi medici adeguati».
La polizia ha anche ricordato alla gente del luogo le risorse disponibili per le donne incinte, inclusa l’opzione per la consegna sicura e anonima dei neonati secondo le leggi Safe Haven della Virginia, con le quali i genitori possono consegnare il proprio bambino se ha 30 giorni o meno, insomma come si faceva un tempo con la ruota degli esposti.
«La legge fornisce protezione dalla responsabilità penale e civile in alcuni procedimenti penali e procedimenti civili per i genitori che consegnano in sicurezza i loro bambini», dichiara il dipartimento. «La legge consente a un genitore di rivendicare una difesa affermativa davanti all’accusa se l’accusa si basa esclusivamente sul fatto che il genitore ha lasciato il bambino in un luogo sicuro designato».
«L’indagine viene trattata con la massima serietà e sensibilità» afferma il dipartimento nel comunicato. Per il resto, vista la mancanza di aggiornamenti sul caso, possiamo forse usare la famosa espressione giornalistica: la polizia brancola nel buio.
La verità è che, con grande probabilità, non si farà molto per risalire a chi ha abbandonato al bambino – anche se, a pensarci, la genetica di consumo in voga negli USA, con cui si stanno prendendo serial killer che l’avevano fatta franca per decenni, potrebbe aiutare ad avvicinarsi quantomeno ai genitori del piccolo.
Il vescovo della diocesi di Arlington Michael F. Burbidge ha espresso «grande dolore» per la scoperta. «Esorto i fedeli della diocesi e tutte le persone di buona volontà ad unirsi a me nella preghiera per la madre del bambino e per chiunque sia coinvolto in questo incidente».
Il problema è che chiunque in questo caso parte con un’idea che, per quanto non dimostrata, è persistente: si tratta di un caso di degrado, un segno orrendo di disagio sociale, un effetto del livello di bassezza cui è sprofondata la società… Cose così. Inevitabile, a questo punto, che salti fuori anche quello che dice che con l’aborto si risolveva tutto. È il tema dell’antica canzone di Elio e le Storie Tese: Cassonetto differenziato per il frutto del peccato.
Eccerto, se il bambino veniva fatto a pezzi nel grembo materno, gli sarebbe stato risparmiato di finire in uno stagno. La minuta voce utilitarista dentro ogni cittadino sincero-democratico dice: così non soffriva. In verità, in tanti, specie se interessati al mantenimento dell’establishment, vorrebbero dire che, uccidendolo semplicemente prima grazie alle leggi feticide, ci risparmiavamo l’orrore, lo scandalo, i quindici minuti di destabilizzazione sociale conseguenti all’orripilante scoperta.
Crediamo che ci sia la possibilità che si sbaglino tutti: polizia, abortisti, vescovi, pro-life pregatori vari. Potrebbe essere che si stiano ponendo la domanda sbagliata. Potrebbe essere che stiano guardando al dito invece che alla luna. Perché su Renovatio 21 stiamo, da tempo, sviluppando l’idea che tali ritrovamenti, che avvengono di continuo in tante parti del mondo, non siano casuali, e nemmeno siano tutti scaturigini del degrado sociale della società odierna.
Abbiamo sotto gli occhi tanti strani casi italiani, di cui da tempo stiamo tentando di iniziare un censimento.
Per esempio, nell’aprile 2006 a Terlizzi (provincia di Bari), in un cimitero, trovano sotterrato maldestramente un feto di sesso maschile di tre mesi: il bambino è inserito in un barattolo di vetro.
Nel 2017 in provincia di Benevento, i carabinieri del comando provinciale trovano «un barattolo in vetro, con all’interno un oggetto dalle presunte fattezze di un feto umano» che sarebbe stata messa, anche qui, nel verde, «in un’area prospiciente il fiume Calore, seminascosto dietro un terrapieno». Poco dopo, rientra tutto: si trattava di «due guanti in tessuto, avvolti tra loro con dello spago che erano stati riempiti con una sostanza spugnosa» scrivono i giornali. Insomma, uno «stupido scherzo», dissero. Caso chiuso.
A metà novembre 2019, in uno spazio verde di Piazza Benfica, a Torino, un signore che porta a passeggio un cane si accorge che qualcuno aveva messo lì un contenitore con all’interno, visibile nel liquido trasparente di conservazione, un feto embrionale. Dal primo esame svolto all’epoca dei sanitari fu detto che il feto aveva tra le 10 e le 15 settimane. Mesi dopo il Pubblico Ministero chiederà l’archiviazione. I giornali dicono che «il giallo è risolto» perché il feto risalirebbe ad almeno vent’anni prima. Ciò ovviamente non spiega nulla, ma basta trasmettere al lettore sincero-democratico che va tutto bene. Circolare, niente da vedere qui.
Giugno 2023, Bassano del Grappa, provincia di Vicenza: in una zona di campagna i carabinieri, secondo quanto riportato, stavano conducendo un’operazione antidroga, andando a cercare luoghi dove gli spacciatori potrebbero nascondere gli stupefacenti. Durante il setaccio, dietro un cespuglio, gli agenti scoprono un barattolo, con dentro un essere umano grande quanto il palmo di una mano. Un feto di sei mesi, conservato in un liquido che probabilmente è formalina. I giornali locali parlano di «ipotesi di riti satanici», ma come sempre, l’eterna «pista del satanismo» va a sparire dopo pochi giorni, come tutta la storia.
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Poi giace da qualche parte, enorme e dimenticato, il caso di Granarolo. Febbraio 2022: un ragazzo che recupera ferro vecchio e altri materiali nelle industrie si reca presso un capannone per eseguire una raccolta. Gli viene detto di portare via anche dei bidoni gialli, sono una quarantina, tutti accatastati lungo un muro, tra altri rifiuti. Il suo compito sarebbe di «smaltirli da qualche parte». Lui ne apre uno: è pieno di un liquido di colore verde. Dentro vi galleggia un feto umano. Il ragazzo si spaventa. Filma la situazione, poi chiama la polizia. Sembra di capire, quindi, che di feti mica ce ne era solo uno: forse che tutti quei bidoni gialli contenevano feti? Da dove provenivano? Di chi erano figli? Cosa ci facevano lì… quanti erano?
Come avevamo predetto su queste colonne, anche questa storia di feti abbandonati sparisce immediatamente dai radar. Non ci è chiaro cosa abbiamo fatto le autorità, se una qualche ricostruzione è stata data: avevano detto che forse centravano musei e università, ma era davvero così? Qualche responsabilità è stata assegnata? Qualche indagine è stata conclusa? Stiamo cercando, ma sembra proprio che, come avevamo preconizzato, notizie sulla vicenda non sono state più date – nel disinteresse totale di curia, politici locali, ebetudine pro-life organizzata varia. Va così.
Ora, il pensiero che stiamo sviluppando è quello per cui tutti questi casi di feti «abbandonati» non siano effetti casuali del disagio sociale. Potrebbe essere, invece, parti di un disegno «religioso» con forme e dimensioni ancora sconosciute. I feti non sono lasciati lì per caso: sembrano, in molti di questi casi, disposti appositamente, secondo regole precise, forse geografiche, ambientali.
Ci aveva colpito, ad esempio, che in Italia i bambini imbarattolati venissero trovati per lo più nel verde, in mezzo al nulla: cespugli, aiuole, campagne, lungo argine. Un po’ come il feto di Leesburg, trovato non in una fogna, ma in un placido specchio d’acqua, tra i verdi giardini delle casette residenziali lì attorno.
Renovatio 21 aveva fatto delle ipotesi: la società post-cristiana è in realtà divenuta anche post-satanista, dove il satanismo non più legato a messe nere e formule magiche varie, ma innestata invece nel discorso dei «diritti umani», come il feticidio e i rapporti contronatura, ora divenuti legge dello Stato moderno. Il caso del Tempio di Satana, che vuole aprire cliniche abortiste in nome della libertà religiosa, costruisce altari satanici da piazzare a Natale nei Palazzi del potere e organizza festoni satanici con green pass e mascherina obbligatori, va in questa direzione.
Ma quindi, perché la disseminazione dei feti?
Abbiamo pensato che forse, la disposizione di questi feti potrebbe suggerire che li si voglia nascondere, come si fa con gli amuleti maledetti affinché persistano la loro funzione contro la vittima: sepolti nell’erba, occultati, ma presenti nella loro drammatica verità. Delle bandierine dell’universo post-satanista, delle «antenne» con la loro funzione: reliquie occulte, ripetitori del messaggio, dell’energia del Male.
Un feto a termine ucciso e impiantato nel territorio può volere dire: qui si fa l’aborto. E il fatto che nel caso della Virginia si trattasse di un bambino late term, potrebbe fare pensare qualcuno: nel grande paradosso del presente americano, la Corte Suprema elimina l’aborto come diritto federale mentre una parte della politica parla apertamente di late term abortion, cioè della possibilità di abortire fino al momento della nascita, o pure dopo.
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Se vuole essere un segnale politico per la situazione attuale, il bambino a termine ucciso nello stagno offre un messaggio chiarissimo. Continueremo, andremo avanti anche con l’età dei sacrificandi. Questa terra è nostra.
Non è sbagliato pensare che, in questo piano metafisico, vi sia chi all’aborto dedica riti occulti – perché esso è la porta ideale per il ritorno del sacrificio umano, l’inversione definitiva della religione divina, per cui non è più Dio che si sacrifica per l’uomo (come sulla Santa Croce, come nella Santa Messa), ma l’uomo che si sacrifica per gli dei dei pagani – i quali sono, come dice il Salmo, tutti demòni.
Il sacrificio umano è, per il momento, illegale, l’aborto no – ed ecco che quindi che essi devono proteggerlo ad ogni costo, attendendo che la fetta superiore del panino, l’eutanasia, scenda giù schiacciando noi in mezzo, fino a rendere l’intera popolazione sacrificabile in ogni momento. Fino a disintegrare una volta per tutte la dignità umana, e rendere la vita spendibile, sprecabile a piacimento. Fino al Regno Sociale di Satana.
Vorremmo andare oltre. Stiamo tentando di raccogliere materiale per farci un’idea sui continui casi dei feti nei cassonetti che funestavano in passato le cronache italiane. Forse non era esattamente come pensavamo. Forse anche lì si trattava di un messaggio, della disposizione di antenne oscure, della diffusione del segnale dell’Inferno.
Quando avremo tempo, ce ne occuperemo.
Nel frattempo, preghiamo il lettore: dai gruppi che vi parlano di difesa della vita, di lotta contro l’aborto – magari chiedendovi con automatica insistenza dei danari – state alla larga.
Con evidenza, non hanno capito nulla di quello che sta accadendo. La loro funzione, forse, è proprio quella di farci continuare a non comprendere forme e proporzioni di questa guerra occulta.
Roberto Dal Bosco
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Immagine su licenza Envato, rielaborata
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