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Politica

Hanno scelto la palude

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Mi ero disinteressato. La corsa al Quirinale non mi riusciva proprio di seguirla.

 

Avevo l’impressione che i partiti, i loro leader oramai inguardabili, non sarebbero riusciti a trovare una qualche soluzione che non fosse un segno di impotenza. La prima impressione è quella buona.

 

Certo, c’era stata la storia di Berlusconi lanciato, ed era bellissimo: lui che scatena Sgarbi in cerca di «scoiattoli», il Vittorio che chiama grillini e comunisti a ore improbabili per poi passargli Berlusconi, che fa sempre un figurone. Era, a modo suo, stupendo: sapeva della vecchia politica spettacolo del Berlusca, quella che lo fece eleggere premier 3 volte, è fece fondere completamente la sinistra – letteralmente: dall’odio cieco per Berlusconi, alimentato dal gruppo De Benedetti (Espresso-Repubblica), vennero fuori i grillini. Nessuno lo ricorda, ma è così.

 

Ho pensato: Silvio alla fine, però, non vuole arrivare al Quirinale. Sta facendo un assolo del suo forte, la politica-spettacolo, solare e sgangherata, per poi lanciare il suo vero candidato. Cioè, immaginavo, Gianni Letta. Sarebbe stato bellissimo vedere cosa il capo del PD avrebbe fatto votare al partito: Enrico Letta è il nipote. La prospettiva quasi mi piaceva.

 

Sbagliavo terribilmente: non c’era, nemmeno in un fuoriclasse come il padrone del Monza, nessuna strategia.

 

Né lui, né nessun altro. Salvini aveva una strategia? No. Letta? No. Conte? Non ne parliamo. Di Maio? Chi?

 

La «palude», in inglese «The Swamp», fu uno dei termini clou delle elezioni 2016 di Donald Trump

Hanno buttato lì, nel superbowl dell’arte politica italiana, degli schemi a caso. Mosse intentate così a caso, perché non sapevano bene costa stavano facendo.

 

In realtà, in un certo senso sapevano benissimo cosa stavano facendo: stavano scegliendo la palude.

 

La «palude», in inglese «The Swamp», fu uno dei termini clou delle elezioni 2016 di Donald Trump. La «palude», diceva la teoria, è Washington: un sistema fatto di fango, nebbia, malattie, talvolta creature mostruose. I politici, i lobbysti, i grand commis, i generali, i grandi industriali, etc. sono tutti felici di stare nella palude, dove niente cambia, al massimo si affonda un po’ nella putredine, di cui però si è parte.

 

Steve Bannon diede una definizione pregnante: la palude in realtà è un business model. Un modello di business di successo. La palude si perpetua perché il sistema produce trippa per tutte le bestie che abitano le se acque putride. Lo stratega trumpiano disse quindi che per prosciugare la palude (un motto in voga in quei tempi era «dry the swamp») non sarebbe bastato Donald alla Casa Bianca, ci sarebbero voluti almeno venti anni.

 

La palude resiste perché è radicata, è profonda. Distribuisce danari. E sta lì da secoli.

 

La palude resiste perché è radicata, è profonda. Distribuisce danari. E sta lì da secoli.

Ora, voi capite che Roma, che sorge materialmente su una palude, sta lì da non da due secoli, ma da millenni.

 

Per carità, niente di tremendo. Ho parlato con un servitore dello Stato di alto livello, una volta, che mi convinse pure: diceva, guarda i grillini, calati a Roma pieni di ideali, selvaggi nei contenuti e nella forma. Guardali, digeriti uno ad uno dalla palude, trasformati nel giro di pochi anni in abitanti dello stagno, dove piazzano i loro girini – parenti, amici, compagni di liceo – ad ogni piè sospinto.

 

Tuttavia, la palude magari dovrà pure esserci per fisiologia naturale del potere, ma in questo momento, una scelta pura per la palude è qualcosa di disperante, è qualcosa di insostenibile. Il mondo, usando le vecchie regole, è andato a pezzi.

 

Non vi sono stati altri momenti come questo. Nessuno di noi può ricordare niente di simile. Anche perché la Spagnola non generò questa isteria – rileggetevi l’articolo che avevamo pubblicato due anni fa sui teatri di Nuova York rimasti aperti, «Gotham rifiuta di chiudere» – e una guerra, per lo meno la guerra tradizionale, è meno spaventosa di quello che stiamo attraversando. La guerra finisce, la guerra è l’attesa della sua fine, che tutti sanno essere inevitabile. La guerra non può durare per sempre. Per il virus non è così. La guerra non impedisce alla persone di abbracciarsi, di stare insieme, di morire mano nella mano.

 

Questo è il momento di crisi dove, è chiaro, si stanno per liberare energie nuove, mai viste. Fiumi di forza immensa, imprevista, che possono spazzare via ogni struttura precedente. Un momento, come dire, apocalittico.

 

Uno si aspetta che il politico, che se sta lì un po’ fiuto deve averlo, lo possa aver capito. Può mollare, magari anche non totalmente, la palude, e cominciare il lavoro di rabdomante sull’energia umana del futuro.

 

Così, si poteva pensare, avrebbero, forse pure con qualche mira gattopardesca, messo lì un volto nuovo, rassicurante, poco schierato.  Così, per dare al popolo, impaurito e disorientato (perché incapace di vedere la fine di questo tunnel), quantomeno la percezione di una remota possibilità di cambiamento.

 

Hanno deciso, così, di sancire una volta per tutte il loro divorzio dal Paese reale – credono davvero che i cittadini volessero la soluzione che sembra emergere?

No, niente. Niente. Hanno messo lì nomi partitici improbabili, bocche a culo di gallina, avanzi parlamentari riciclati in qualche stagno minore, non uno ma due nomi passati per i servizi segreti (dai servizi al Quirinale una cosa, come ha notato qualcuno, con accenti fortemente sovietici). Non un nome presentabile, non uno. Non un nome nuovo – neppure un vecchietto bonario che ispiri simpatia e firmi le leggi senza tante storie.

 

Non ce l’hanno fatta, perché hanno scelto la stagnazione.

 

Hanno scelto di buttare la palla a campanile, perché non hanno idea di cosa fare, non c’è schema, non c’è fantasia, non c’è fiducia nei compagni, c’è solo il timore di subire un goal. Spara il pallone in corner, in tribuna, dove vuoi. Ma non giocare a calcio.

 

Hanno deciso, così, di sancire una volta per tutte il loro divorzio dal Paese reale – credono davvero che i cittadini volessero la soluzione che sembra emergere?

 

Hanno deciso, così, di mostrare impudicamente la loro inutilità – cosa rappresentano, cosa decidono, cosa comandano, se poi devono subire un premier che mai ha fatto politica e riciclare un presidente di un’era geologica precedente, il Giurassico prepandemico?

 

Hanno deciso, così, di mostrare impudicamente la loro inutilità – cosa rappresentano, cosa decidono, cosa comandano, se poi devono subire un premier che mai ha fatto politica e riciclare un presidente di un’era geologica precedente, il Giurassico prepandemico?

Hanno deciso, così, di dimostrarci che c’è continuità assoluta tra partiti, e ancora peggio, tra partiti e Stato? Sì, una sola, unica palude che è lo «Stato-partito» di cui ha dato una geniale descrizione l’ex ministro PSI Rino Formica.

 

«Lo Stato diventa partito e per risolvere i conflitti che sono dentro la società reale deve dire che non c’è destra e sinistra. C’è lo Stato».

 

«I segretari non vengono consultati e il governo, partito con un mix fra tecnici e politici, ora è un tutt’uno omogeneo coordinato da un presidente che ha già sperimentato come si guida una istituzione senza stato, come la Banca centrale europea – che è senza Stato ma ha i poteri di un superstato»

 

Hanno deciso, così, di dimostrarci che c’è continuità assoluta tra partiti, e ancora peggio, tra partiti e Stato – una sola, unica palude che è lo «Stato-partito»

Insomma: ci hanno dato tutti gli elementi per rifiutare la realtà politica-statale in blocco.

 

Questo rifiuto, carburato anche dalla polarizzazione sociale (cioè, dall’apartheid biotica, sempre più intollerabile anche per gli attacchi nella vita quotidiana che tocca subire ai non vaccinati) non possono dire che non era previsto.

 

Formica lo aveva descritto benissimo:

 

«La scorciatoia dello Stato che diventa partito è un’illusione con uno sbocco autoritario. Lo Stato non può assorbire i conflitti che sono nell’interno della società senza una via democratica (…) Lo Stato che diventa partito non può assorbire i conflitti che ci sono nel Paese, che invece continua a tenere aperti i problemi del conflitto sociale e civile nell’interno del Paese».

 

Hanno alienato ogni possibile speranza residua in una massa di elettori non indifferenti. E quindi, lasciato aperto spalancato il conflitto sociale e civile nel Paese. Questo chiunque lo sente

Hanno alienato ogni possibile speranza residua in una massa di elettori non indifferenti. E quindi, lasciato aperto spalancato il conflitto sociale e civile nel Paese. Questo chiunque lo sente.

 

A loro, probabilmente, non interessa: e lo hanno dimostrato scegliendo, senza vergogna, la palude. Noi facciamo parte di quel famoso calcolo sacrificale che hanno fatto tutti, dai social media ai governi pandemici: il segmento dissidente, può e deve essere eliminato. Si deve procedere solo con la maggioranza bovina (anzi, vaccina). Dei soldi e dei voti dei piantagrane non ci importa nulla: viviamo benissimo con quelli dei bovini, sierizzati, dipendenti, obbedienti anche quando capiscono che li si porta al macello.

 

Lo Stato-partito vi detesta – a meno che non vi sottomettiate come gli altri, dimenticate di avere una coscienza, rinunciate agli ideali spirituali e perfino ai diritti costituzionali.

 

Ecco perché non si sono vergognati della farsa al Quirinale dove tutti – da Salvini, a Letta, a Conte, a Berlusconi – hanno dimostrato di non essere in controllo di nulla.

 

Quando nel 2023 Draghi ascenderà alla Presidenza, il partiti saranno ancora più fusi con l’apparato dello Stato – perché altre direzioni al momento non ne hanno, o meglio, hanno paura di prenderle. La palude, cioè, si infittirà. Diventerà ininfluente sapere se sei un senatore della Lega o un ex funzionario finanziario dello Stato: quello che conta è la comune, putrescente appartenenza alla palude

Tecnicamente, succederà che Mattarella farà come Napolitano, neanche due anni e poi si dimetterà a secondo mandato lontano dalla conclusione (una nuova tradizione quirinalizia?), lasciando il posto a Draghi, che di fatto deve essere stato rassicurato da qualcuno, visto che pochi giorni fa sembrava volesse andarsene qualora non gli avessero dato la prima carica dello Stato – probabilmente sarebbe stato, cioè sarà, il primo Presidente della Repubblica mai passato per la politica, i circoli, le strette di mano, la raccolta umana dei voti, etc. e questo si vede nelle disastrose conferenze stampa. La tecnocrazia sarà quindi completa.

 

Quando nel 2023  la vera creatura che domina la palude, il drago, ascenderà al Colle, il partiti saranno ancora più fusi con l’apparato dello Stato – perché altre direzioni al momento non ne hanno, o meglio, hanno paura di prenderle. La palude, cioè, si infittirà. Diventerà ininfluente sapere se sei un senatore della Lega o un ex funzionario finanziario dello Stato: quello che conta è la comune, putrescente appartenenza alla palude.

 

Tuttavia, una nota positiva. La liberazione di energie sconosciute di cui parlavamo sopra, non arresterà il suo corso. Anzi, l’intensità dell’emersione aumenterà vertiginosamente, senza dare la possibilità di comprendere in tempo quale volto essa assumerà.

 

Sanno di questo esiziale rischio? Ripetiamo, forse sì. Ma hanno scelto comunque la palude.

 

Perché insetti, anfibi, rettili, mostri, possono vivere solo lì.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

Immagine di SomeAnna via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)

 

 

 

Politica

FBI e media non credono nemmeno che Trump sia stato colpito da una pallottola

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In una testimonianza resa mercoledì alla Commissione giudiziaria della Camera, direttore dell’FBI Christopher Wray  ha detto ai legislatori che «ci sono alcuni dubbi sul fatto che sia stato un proiettile o una scheggia a colpire l’orecchio» del Trump quando un uomo armato ha aperto il fuoco su Trump durante un comizio elettorale all’inizio di questo mese.

 

La dichiarazione del Wray sembra convalidare le teorie circolate online dopo la sparatoria, secondo cui Trump sarebbe stato colpito da un pezzo di vetro rotto del suo gobbo e non dal proiettile del potenziale assassino.

 

La rivista Newsweek è uscita questa settimana con un articolo intitolato «Dopotutto, potrebbero non aver sparato a Donald Trump».

 


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Il fact-checking tuttavia è facile e veloce: entrambi i teleprompter – i dispositivi di vetro che fungono da «gobbo» per i discorsi presidenziali – dopo l’incidente appaiono integri.

 

 

 

Dopo essersi sfogato con Wray sulla sua piattaforma Truth Social venerdì, Trump ha condiviso una lettera del suo medico, Ronny Jackson, che ha affermato che «non ci sono prove che si sia trattato di qualcosa di diverso da un proiettile» e che «il direttore Wray sbaglia e non è appropriato suggerire altro».

 

«Avendo prestato servizio come medico di medicina d’urgenza per oltre 20 anni nella Marina degli Stati Uniti… ho curato molte ferite da arma da fuoco nel corso della mia carriera», ha osservato il dottor Jackson.

 

In un articolo pubblicato ieri, il New York Times ha concordato con Jackson. «Un’analisi dettagliata delle traiettorie dei proiettili, dei filmati, delle foto e dell’audio del New York Times suggerisce fortemente che il signor Trump sia stato sfiorato dal primo degli otto proiettili sparati dall’uomo armato», ha affermato il giornale neoeboraceno.

 

«Un modello 3D del terreno del raduno più un’analisi della traiettoria mostrano che il proiettile ha viaggiato in linea retta dal killer agli spalti, colpendo Trump lungo il suo percorso. Ciò suggerisce che il proiettile non è stato deviato colpendo prima un oggetto che avrebbe poi spruzzato detriti sul signor Trump», ha spiegato il quotidiano di Nuova York.

 

L’uomo armato, il ventenne Thomas Matthew Crooks, ha ucciso uno spettatore e ne ha feriti altri due prima di essere colpito a morte dai cecchini dei servizi segreti. Prima di essere portato via dal palco dagli agenti dei servizi segreti, Trump si è alzato in piedi e ha alzato il pugno in aria, con l’orecchio visibilmente sanguinante e il viso rigato di sangue.

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A poche ore dall’attentato, il New York Times aveva pubblicato una foto di un suo fotoreporter, corredata da un articolo, che mostrava la pallottola viaggiare nell’aria poco prima di impattare con l’orecchio di Trump.

 

Nei giorni successivi alla sparatoria, i repubblicani hanno duramente criticato il Secret Service per non aver messo in sicurezza il punto panoramico sul tetto di Crooks, nonostante si trovasse a circa 150 metri dal palco su cui si trovava Trump, e per aver apparentemente ignorato le segnalazioni di un Crooks armato che strisciava sul tetto pochi minuti prima di aprire il fuoco.

 

La direttrice del Secret Service Kimberly Cheatle si è dimessa martedì, un giorno dopo aver dichiarato al Comitato di vigilanza di essersi assunta la responsabilità del «più significativo fallimento operativo del Secret Service degli ultimi decenni».

 

«L’errore più grande che hanno fatto è stato lasciarmi andare», ha detto Trump a Fox News giovedì. «Non avrebbero dovuto lasciarmi salire sul palco. Diversi gruppi di persone sapevano che c’era qualche pazzo sul tetto».

 

Nei giorni successivi all’incredibile attentato nei circoli della sinistra anti-Trump sono sorte quantità di teorie della cospirazione – ribattezzate dai giornali BlueAnon, come se si trattasse di un QAnon ma in versione blu, cioè del Partito Democrat – che arrivano a dire che tutto era stato in realtà preparato a tavolino in un diabolico piano di Trump per guadagnare popolarità.

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Politica

«Madame Von der Leyen, il suo posto è in prigione»: discorso di una eurodeputata polacca a Bruxelles

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Durante il dibattito sull’elezione del presidente della Commissione europea, alla quale è stata rieletta Ursula von der Leyen, l’eurodeputata polacca Ewa Zajączkowska-Hernik ha accusato Ursula Von der Leyen, appena rieletta a capo della Commissione Europea, dicendo che dovrebbe andare in galera.   «È ora che qualcuno ti dica cosa pensa di te la stragrande maggioranza degli europei. La vostra elezione a presidente della Commissione europea è stata un errore enorme e alcuni sono ancora con i postumi di questa decisione», ha detto la Zajączkowska-Hernik dal podio dell’Europarlamento.   L’eurodeputata polacca ha aggiunto che la Von der Leyen è il volto del Green Deal che sta distruggendo l’economia e l’agricoltura europea. «Lei è il volto di tutta la follia europea che porta noi europei a diventare sempre più poveri», ha affermato l’eurodeputata.    

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Gran parte dell’intervento della Zajączkowska-Hernik riguardava il patto migratorio.   «Lei è il volto del patto migratorio. Mi rivolgo a lei da donna a una donna, da madre a madre. Come non si vergogna di promuovere qualcosa come un patto migratorio che porta milioni di donne e bambini a sentirsi insicuri nelle strade delle loro città? Lei è responsabile di ogni stupro, di ogni attacco causato dall’afflusso di immigrati clandestini» ha tuonato la polacca.   «È lei, signora, che li invita. Per quello che fa, il suo posto è in prigione, non nella Commissione europea», ha concluso la coraggiosa eurodeputata.   Ewa Zajączkowska-Hernik è associata al partito di Janusz Korwin-Mikke dal 2014. Negli anni 2016-2023 ha lavorato nei media. È stata giornalista per il portale wSensie.pl e per il portale Światrolnika.info. Da dicembre 2023 è portavoce del partito Konfederacja. Come riportato da Renovatio 21, due anni fa Konfederacja fu bannato da Facebook, scatenando reazioni in gran parte dell’arco politico polacco.   Nelle elezioni di giugno Zajączkowska-Hernik ha ottenuto un seggio al Parlamento di Bruxelles con 102.569 voti.   L’eurodeputata ha terminato il suo intervento dal podio strappando fogli che rappresentavano i patti europei.

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Politica

La conversione di JD Vance al cattolicesimo

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Le notizie riguardanti l’elezione del futuro presidente americano sono piuttosto frenetiche in questo momento, con il recente attacco a Donald Trump e il ritiro dell’attuale presidente, Joe Biden, che sta costringendo i democratici a trovare un sostituto. La seguente intervista è stata rilasciata da James Davis Vance, designato vicepresidente di Trump, dopo la sua conversione al cattolicesimo.

 

L’intervista è condotta da Rod Dreher, cresciuto metodista, convertito al cattolicesimo prima di passare all’ortodossia e che è piuttosto aggressivo nei confronti del cattolicesimo. L’intervista ha il merito di esporre il pensiero di Vance sul cattolicesimo. Aldo Maria Valli ha recentemente pubblicato il testo sul suo blog ed è stato tradotto da Benoît et moi. Risale ad agosto 2019.

 

Questo fine settimana sono stato a Cincinnati, Ohio, per un motivo speciale: il mio amico JD Vance è stato battezzato e accolto nella Chiesa cattolica. È stata una lunga strada per lui. Fu introdotto alla fede cattolica da padre Henry Stephan, domenicano, nel convento di Ste Gertrude. Ecco una breve intervista che ho fatto con JD sulla sua vita spirituale e sul suo viaggio verso il cattolicesimo.

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Perché il cattolicesimo? Perché ora?

Col tempo mi sono convinto che il cattolicesimo è vero. Sono cresciuto come cristiano, ma non sono mai stato molto legato a nessuna denominazione e non sono mai stato battezzato. Quando ho iniziato a interessarmi alla fede, ho lasciato il passato alle spalle e mi sono rivolto alla Chiesa che più mi attraeva intellettualmente.

 

Ma intellettualizzare è troppo facile. Quando guardavo le persone che contavano di più per me, mi rendevo conto che erano cattoliche. Mio zio sposato è cattolico. René Girard, che conosco solo per averlo letto, era cattolico. Ho letto e studiato questi argomenti per tre anni o più. Era giunto il momento.

 

Ciò sarebbe probabilmente accaduto prima se la crisi degli abusi sessuali, o la sua versione più recente, non avesse generato così tanto inchiostro. Mi ha costretto a pensare alla Chiesa come istituzione divina e umana e a cosa ciò avrebbe significato per mio figlio di due anni. Ma negli ultimi anni non ho mai dubitato che sarei diventato cattolico.

Hai scelto Sant’Agostino come tuo santo patrono. Per quello?

Per diverse ragioni. Il primo è che le Confessioni mi hanno commosso. Probabilmente li ho letti, in parte, due volte negli ultimi quindici anni circa. C’è un capitolo nella Città di Dio che è incredibilmente rilevante ora che penso alla politica. Agostino è un sostenitore incredibilmente potente delle cose in cui crede la Chiesa.

 

Uno dei motivi del mio ritorno al cristianesimo è che provengo da un mondo poco intellettuale riguardo alla fede. Oggi trascorro molto tempo con intellettuali non cristiani. Agostino mi ha permesso di comprendere la fede cristiana in modo molto intellettuale. Ho attraversato anche una fase di ateismo furioso. Agostino mi ha dimostrato in modo commovente che la menzogna secondo cui bisogna essere stupidi per essere cristiani, alla quale ho creduto per gran parte della mia vita, era falsa.

 

Voi siete ben consapevoli della difficile situazione in cui si trova oggi la Chiesa cattolica, con scandali, leadership incerte e tutto il resto. Le difficoltà della Chiesa cattolica ti scoraggiano?

Nel breve periodo sì, ma una delle cose che mi piace del cattolicesimo è che è molto antico. Ha una visione a lungo termine. La situazione è forse più preoccupante che a metà del XIX secolo? Cosa nel Medioevo? È scoraggiante quanto avere un secondo papa ad Avignone? Io non credo ciò. La speranza della fede cristiana non è radicata in una conquista a breve termine del mondo materiale, ma nel fatto che è vera e che a lungo termine, passo dopo passo, le cose andranno bene.

 

In che misura pensi che la fede cattolica guidi le tue opinioni sulle politiche pubbliche?

Le mie opinioni sulla politica pubblica e su quale dovrebbe essere lo Stato migliore sono in gran parte in linea con la dottrina sociale cattolica. Questa è una delle cose che mi hanno attratto della Chiesa. Ho notato una vera corrispondenza tra ciò che vorrei vedere e ciò che vorrebbe vedere la Chiesa. Spero che la mia fede mi renda più compassionevole e mi permetta di identificarmi con le persone bisognose.

 

Le mie opinioni politiche sono state piuttosto coerenti negli ultimi anni. Penso che il Partito Repubblicano sia stato per troppo tempo un’alleanza tra conservatori sociali e liberali, e non penso che i conservatori sociali abbiano tratto molto beneficio da quell’alleanza. Parte della sfida del conservatorismo sociale per il 21° secolo non può limitarsi a questioni come l’aborto, ma deve assumere una visione più ampia nell’ambito dell’economia politica e del bene comune.

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Quali sono secondo lei i principali pericoli spirituali per i cristiani impegnati oggi nella vita politica?

Fondamentalmente, la vita pubblica è in parte una gara di popolarità. Quando cerchi di fare cose che ti rendono popolare tra le masse, è improbabile che tu faccia cose che siano coerenti con gli insegnamenti della Chiesa cattolica. Sono cristiano, conservatore e repubblicano, quindi ho opinioni molto specifiche su cosa significhi.

 

Ma bisogna essere umili e capire che la politica è essenzialmente un gioco del tempo. So che molte persone sono molto critiche nei confronti del modo in cui la maggioranza dei cristiani si è avvicinata a Trump. Per me, fondamentalmente, la domanda che la maggior parte dei cristiani si pone è: quale di questi due partiti politici è meno offensivo per la mia fede?

 

Ma quando la domanda è questa, la risposta è quasi sempre insoddisfacente. Sono certamente critico nei confronti del modo in cui alcuni evangelici hanno risposto all’elezione di Trump. Ma so anche che la maggior parte di loro non lo fa perché sono yes-men. Lo fanno perché non pensano di avere un’opzione migliore.

 

Ron Howard ha appena finito di girare Hillbilly Elegy [Un film basato sull’autobiografia scritta da Vance nel 2016, ndr]. Grazie a questo film, milioni di persone conosceranno il tuo pellegrinaggio personale dalla tua infanzia difficile ad oggi. Esiste un modo spirituale per interpretare la storia di American Legends?

Una delle cose di cui parla Hillbilly Elegy è la lotta per trovare stabilità nella tua vita, ma anche per diventare una brava persona quando non hai avuto un’educazione facile. Significa essere un buon marito e padre ed essere sufficientemente capaci da provvedere alla propria famiglia.

 

Uno degli aspetti più attraenti del cattolicesimo è che il concetto di grazia non è espresso in termini di epifania. Non è ricevendo la grazia che si passa improvvisamente da persona cattiva a persona buona. Lavoriamo costantemente su noi stessi. Questo è ciò che mi piace. Sento che è piuttosto difficile essere una brava persona.

 

Riconoscere che la grazia opera a lungo termine è liberatorio, ma è anche coerente con il modo in cui ho visto cambiare la mia vita e quella delle persone che ho conosciuto. Una delle cose che ho avuto difficoltà a relazionare con il cristianesimo è l’idea che la trasformazione sia facile e avvenga ogni volta che dici una preghiera.

 

Questo non corrisponde al modo in cui ho visto le persone lottare, migliorare e cambiare.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news

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Immagine di Gage Skidmore via Flickr pubblicata su licenza CC BY-SA 2.0

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