Economia
Blackout in Sri Lanka

Anche Ceylon entra nella lista dei Paesi che in questi mesi stanno subendo interruzioni di corrente: il razionamento dell’energia elettrica, con blackout di intere città, è una realtà globale innegabile.
Come riporta l’agenzia Reuters, gli abitanti dello Sri Lanka hanno affrontato interruzioni di corrente di 10 ore mercoledì e avvisi di blackout più lunghi giovedì, poiché una crisi economica sempre più profonda ha sconvolto i mercati e l’autorità di regolamentazione dell’elettricità ha esortato più di un milione di dipendenti governativi a lavorare da casa per risparmiare carburante.
La nazione insulare non è stata in grado di pagare le spedizioni di carburante a causa di una carenza di valuta estera ed è pronta a chiedere assistenza al Fondo monetario internazionale (FMI).
Giovedì le interruzioni di corrente sarebbero state estese a 13 ore, ha affermato l’autorità per l’energia dello Sri Lanka in una dichiarazione.
Le protratte interruzioni di corrente di mercoledì sono state in parte causate dall’incapacità del governo di pagare 52 milioni di dollari per una spedizione di diesel da 37.000 tonnellate che era in attesa di scarico, ha detto Ratnayake.
Come riportato da Renovatio 21, blackout di varia natura e intensità hanno interessato in questi mesi la Cina, la Turchia, il Giappone, il Kazakistan, l’Uzbekistan, Taiwan, il Kirghizistan.
Per timore dei blackout, l’Indonesia ha proibito l’esportazione di carbone.
La Francia, a causa di strani incidenti a due centrali nucleari, temporaneamente chiuse, ha paventato il rischio blackout, con alcune industrie strategiche che hanno dovuto chiudere a causa del costo dell’energia.
Paesi UE come l’Austria e la Romania hanno cominciato a parlare a livello politico e in TV di blackout già lo scorso autunno. La Germania ha mandato in onda spot apocalittici per preparare i tedeschi (e gli immigrati in Germania, a giudicare dal video) ad un inverno in cui poteva venire a mancare il riscaldamento.
In Germania, Paese che a causa della privatizzazione ha rischiato a inizio anno un blackout del gas, la scorsa settimana le ferrovie hanno fermato tutti i treni merci a causa della mancanza di corrente elettrica.
Il tema dei blackout era stato trattato da un documento del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (COPASIR), l’organo che controlla i servizi segreti italiani. Il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti 4 mesi fa davanti ad una platea di imprenditori ha parlato apertis verbis di rischio blackout.
Il razionamento energetico del gas è una realtà già in discussione in Italia e Germania, le due Nazioni più esposte sul fronte del gas importato dalla Russia.
Immagine di Dyl86 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Economia
Gli USA impongono dazi fino al 3.521% sulle importazioni di energia solare legate alla Cina

Washington ha imposto dazi fino al 3.521% sulle importazioni di energia solare dal Sud-Est asiatico, secondo le informazioni pubblicate lunedì dal dipartimento del Commercio degli Stati Uniti. Gli aumenti fanno seguito alle accuse secondo cui i produttori di proprietà cinese che operano nella regione avrebbero violato le norme commerciali. Lo riporta Bloomberg.
Secondo la testata economica neoeboracena, i dazi colpiscono le importazioni da Malesia, Cambogia, Thailandia e Vietnam, Paesi che complessivamente lo scorso anno hanno fornito agli Stati Uniti apparecchiature solari per un valore di oltre 12,9 miliardi di dollari.
Note come dazi antidumping e compensativi, le misure mirano a contrastare l’impatto di quelle che il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ritiene essere pratiche di sussidi e prezzi ingiusti.
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La decisione è stata presa a seguito di una petizione presentata dall’American Alliance for Solar Manufacturing Trade Committee, che rappresenta diversi produttori statunitensi. Le aziende nazionali hanno affermato che i produttori cinesi di pannelli solari con stabilimenti nei quattro paesi del Sud-Est asiatico esportavano pannelli a prezzi inferiori ai costi di produzione e beneficiavano di sussidi ingiusti che compromettevano la competitività dei prodotti americani.
Le sanzioni variano a seconda dell’azienda e del Paese: i prodotti Jinko Solar provenienti dalla Malesia sono soggetti a dazi antidumping e compensativi combinati del 41,56%, i prodotti Trina Solar realizzati in Thailandia sono soggetti a tariffe del 375,19% e i fornitori cambogiani, che non hanno collaborato all’indagine, rischiano tasse punitive fino al 3.521%.
I critici del provvedimento, come la Solar Energy Industries Association (SEIA), sostengono che i dazi danneggerebbero i produttori di energia solare statunitensi, aumentando il costo delle celle importate, che le fabbriche americane utilizzano per assemblare i pannelli, ha osservato Reuters.
La Commissione per il commercio internazionale, un’agenzia federale statunitense indipendente e imparziale che indaga su questioni legate al commercio, voterà a giugno per determinare se l’industria nazionale ha subito danni materiali a causa delle importazioni, un passaggio necessario affinché i dazi entrino in vigore pienamente.
Dopo che circa 12 anni fa erano stati imposti dazi simili sulle importazioni di energia solare dalla Cina, le aziende cinesi hanno reagito aprendo attività in altri Paesi che non erano state interessate dai dazi, ha osservato Bloomberg.
Le nuove imposte si aggiungeranno ai dazi doganali introdotti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che hanno scosso i mercati globali. Finora, Trump ha imposto dazi del 145% sulle importazioni cinesi e ha minacciato un ulteriore possibile aumento al 245%.
La Cina ha accusato gli Stati Uniti di «bullismo», ha reagito imponendo una tassa del 125% sui prodotti statunitensi e ha promesso di «combattere fino alla fine».
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Immagine di AgnosticPreachersKid via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Economia
Il dollaro ai minimi storici: Trump tira dritto

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Economia
Pubblicato il memorandum sull’accordo dei minerali tra Ucraina e Stati Uniti

Il governo ucraino ha pubblicato un memorandum d’intenti per finalizzare un accordo formale che garantirebbe agli Stati Uniti l’accesso alle risorse naturali del Paese.
Da febbraio, Stati Uniti e Ucraina stanno cercando di trovare un accordo sul cosiddetto «accordo sui minerali». L’amministrazione Trump considera l’accordo un modo per recuperare i soldi spesi da Washington per sostenere Kiev nel suo conflitto con Mosca. L’Ucraina insiste sul fatto che l’assistenza statunitense sia stata fornita incondizionatamente.
Yulia Sviridenko, vice primo ministro e ministro dell’Economia dell’Ucraina, ha rivelato che il memorandum è stato firmato giovedì.
Nel documento, reso pubblico il giorno successivo, si afferma che «gli Stati Uniti d’America e l’Ucraina intendono istituire un fondo di investimento per la ricostruzione», sottolineando che Washington «ha fornito un significativo sostegno finanziario e materiale» a Kiev dal 2022.
Sia il governo statunitense che quello ucraino hanno ribadito il loro impegno a lavorare «rapidamente per completare i documenti necessari».
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Secondo il memorandum, il primo ministro ucraino Denis Shmigal visiterà Washington la prossima settimana, dove dovrebbe incontrare il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent e concludere la «discussione tecnica».
Il documento afferma che si prevede che i negoziati si concludano entro il 26 aprile e che l’accordo sarà firmato poco dopo.
Commentando la firma del memorandum, la Sviridenko ha affermato venerdì che «c’è molto da fare, ma il ritmo attuale e i progressi significativi lasciano supporre che il documento sarà molto vantaggioso per entrambi i Paesi».
Intervenendo durante una conferenza stampa alla Casa Bianca il giorno precedente, Trump ha affermato: «abbiamo un accordo sui minerali che immagino verrà firmato giovedì, giovedì prossimo, presto».
Una versione precedente dell’accordo avrebbe dovuto essere firmata all’inizio di marzo, ma è stata bruscamente ritirata dopo che il leader ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha avuto un acceso alterco con Trump e il vicepresidente statunitense J.D. Vance durante un incontro alla Casa Bianca.
Poco dopo, il presidente Trump ha congelato temporaneamente tutti gli aiuti militari e la condivisione di informazioni di intelligence con Kiev, il che ha spinto Zelensky a segnalare la sua disponibilità a riprendere i negoziati sull’accordo sui minerali.
Secondo l’agenzia Reuters, l’ultima versione dell’accordo è notevolmente più restrittiva rispetto alle versioni precedenti.
Il mese scorso, il presidente degli Stati Uniti ha messo in guardia il leader ucraino dal «tentare di tirarsi indietro dall’accordo sulle terre rare». «Se lo fa, avrà dei problemi, grossi, grossi problemi», ha aggiunto Trump.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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