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La potenza atomica europea al collasso politico e sociale: cosa accadrà alla Francia?

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Succede che le elezioni francesi hanno mostrato qualcosa di prevedibile ma al contempo incredibile. Succede che la situazione di Parigi, oramai, è considerabile solo come pericolosissima.

 

Andiamo con ordine: le elezioni sembrava le dovesse vincere, anzi, stravincere, la Le Pen con il suo delfino Bardella. L’«estrema destra» al potere a Parigi: si era a pochi metri. Come hanno notato molti osservatori, Macron – l’uomo del sistema, forse in maniera così profonda ed esoterica che non ancora possiamo comprendere – ha manovrato così bene che invece al potere ci andrà l’estrema sinistra del Nouveau Front Populaire.

 

Capito? In meno di qualche giorno, da una Francia di estrema destra ci siamo ritrovati in una Francia di estrema sinistra. Interessante.

 

Rubo le considerazioni di David Sacks, investitore americano che viene dalla cosiddetta «PayPal mafia», il gruppo di ragazzi (da Musk a Peter Thiel ad una manciata di altri) che hanno creato gran parte di internet così come la conosciamo ora.

 

«Macron ha cospirato con l’NFP per eliminare 200 candidati dal ballottaggio, assicurando che RN vincesse il terzo maggior numero di seggi anche se aveva la percentuale più alta di voti. Ciò potrebbe essere stato legale, ma non è stato “solo” il voto a produrre questo risultato».

 

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«Sì, hanno votato, ma per un ventaglio di scelte ridotto. Macron ha cospirato con l’NFP per eliminare 200 candidati dal ballottaggio, assicurando che RN vincesse il terzo maggior numero di seggi anche se aveva la percentuale più alta di voti. Potrebbe essere stato legale, ma non facciamo finta che “il semplice voto” abbia prodotto questo risultato».

 

Aveva ragione Macron: alla destra è stata tirata davvero una granata fra le gambe. E mica è finita: ora la magistratura muove contro la Le Pen. Si sa, i francesi amano distinguersi: in Italia e negli USA la giustizia ad orologeria colpisce prima delle elezioni, in Francia dopo. Forse, oltre che segno chic, è anche indice di una coordinazione maggiore, di una certezza salda sull’esito delle cose. Chissà.

 

C’è da dire che bisogna ritirare tanti mugugni fatti in questi anni sul Front National ora Rassemblement National «venduto». È chiaro: ai Le Pen non faranno mai toccare il potere francese. Un qualcosa che dice molto non solo su Marine e compagni, ma anche su un altro suo amico al quale chiaramente mai faranno vedere davvero la stanza dei bottoni – Matteo Salvini – e quindi forse qui c’è un rilievo da fare anche su Giorgia Meloni…

 

La tempesta di citochine politiche contro i Le Pen è risalente.

 

Chi scrive ricorda il primo vero botto: era il 2002, c’erano le presidenziali, era vivo il presidente Chirac, gollista atomico completamente fuso nell’establishment nazionale francese e in quello europeo – vabbè sintetizziamo pure che dicono che avesse dei massoni in famiglia. Incredibilmente, al ballottaggio non arrivò il socialista Jospin, ma lui, l’innominabile, il guercio, il picaresco, l’intollerabile, irricevibile, inimitabile Jean-Marie Le Pen.

 

Fu una di quelle prime volte in cui giornali ed opinionisti cominciarono a lasciarsi scappare che sì, la democrazia non va benissimo, la democrazia può dare scandalo.

 

Rammento il discorso di Le Pen al suo popolo ad un festone in una villa di Montmartre: inarrestabile, ironico, forse già vecchio, ma emanante l’aria di chi ha fatto l’impresa. La gente lo acclamava: «Le-Pen-président-Le-Pen-président». Per qualche ragione, finito il comizio, fecero partire la canzone di Kylie Minogue che spopolava in quel momento. «Na-na-na, na-na-nan-nan-na». Ci stava pure.

 

Notai all’epoca, anche in Italia, come nessuno fosse davvero preoccupato della possibilità che Jean-Marie potesse ascendere all’Eliseo. In TV c’era Giuliano Ferrara, che sorvolava sulla cosa, dicendo che più che Le Pen bisognava guardare le motivazioni che avevano portato i francesi a votarlo (forse al giornalista romano interessava all’epoca più che altro la questione islamica, per certi motivi), che comunque in pochi giorni il Front National sarebbe – spero di ricordare bene l’espressione, tornato nelle fogne. Sapete, era un vecchio adagio dell’estrema sinistra da cui proveniva il Ferrara: «fascisti/carogne/tornate nelle fogne».

 

Così fu: al ballottaggio stravinse lo Chirac.

 

Sarebbero seguiti altri déjà vu. 2017: Marine Le Pen, che oramai da anni ha ereditato il partito dal padre, va al ballottaggio con Macron e perdere, nonostante il record di 10 milioni di voti, mai visti per il FN: è il doppio dei voti che prendeva il genitore.

 

Alle presidenziali 2022 Marine prende addirittura 13 milioni di voti, ma – guarda guarda – lo strano personaggio che viene dalla Banca Rothschild e ha sposato la sua insegnante di quando era ragazzino la batte e si tiene il potere. Au revoir, Marine.

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2024, fino a poche ore fa la vittoria tanto agognata sembrava a portata, vento degli exit poll in poppa. Macché. Ecco il pazzesco fenomeno per cui è possibile passare dall’estrema destra all’estrema sinistra, perché tutto può cambiare al fine di mantenere le cose come stanno – e quindi lasciare i Le Pen fuori dai giochi.

 

A questo punto bisogna fare un discorsetto storico-morfologico sull’accaduto, tanto per unire qualche puntino.

 

Le Pen è un fenomeno organico. Si è fatto largo partendo dal nulla. Dalla sua aveva, si dice, un finanziatore che era il re francese dei cementi, la simpatia non nascosta di Brigitte Bardot, e una capacità affabulatoria e persuasiva unica nel panorama ingessato dei burocrati politici d’Oltralpe. È poca cosa, se si va contro il mastodonte dell’establishment illuminista francese, che ha radici violente che affondano in più di due secoli.

 

La prima crescita fu quando, si dice, Mitterand gli permise di andare in TV: al furbo presidente serviva far crescere il FN per sgonfiare gli avversari gollisti. Giammaria si fece strada alla grande, talk show dopo talk show, sparando verità indicibili una dopo l’altra. È il modello che una trentina di anni dopo avrebbe portato a Brasilia Javier Messias Bolsonaro.

 

Un amico mi raccontò di quando andò a prendere parte dell’occupazione della chiesa parigina di Saint Nicolas du Chardonnet da parte della Fraternità San Pio X – i lefebvriani, per chi non sa. Era il febbraio 1977: un manipolo di membri della FSSPX sotto la guida del sacerdote letterato Francois Ducaud-Bourget (1897-1984) entrarono nella chiesa e ne presero possesso – ancora oggi vi si celebrano quantità di messe vetus ordo.

 

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L’amico mi racconta che, arrivato con il primo treno da Firenze, trovò una situazione unica: c’erano fedeli e novizi di tutte le razze che dormivano sulle panche, c’era un senso di urgenza e di unione unico, era come sentire una Francia sepolta che stava tornando fuori in maniera potente, forse perfino circense: mi dice che fuori dalla chiesa ad un certo punto si presentò un tizio con un coccodrillo al guinzaglio, cose così, era membr0 del circo – anche quella una comunità dedita ad un’arte antica incompatibile con il mondo moderno, così come c’erano personaggi di ogni risma.

 

Ad un certo punto, mi dice, apparve anche Jean-Marie Le Pen.

 

In quello storico coacervo di stranezza e determinazione, mica poteva mancare: del resto, a differenza della figlia, della sua stravaganza lui ha fatto la sua cifra. È poco noto che Jean-Marie fu amicissimo di Marco Pannella, e diceva di stimarlo enormemente. Qualcuno anni fa ha raccontato ai giornali che se andavi a casa di Pannella a Roma poteva anche capitarti di trovarci ebbro il Le Pen, che in anni recenti ha pure protestato per la fine dei finanziamenti pubblici a Radio Radicale (!)

 

È chiaro quindi cosa è costata questa scalata: una vita intera, partita dai bassifondi più strambi, un’anabasi attraverso i decenni, mentre la Francia socialista diventava sempre più solidamente mondialista ed apertamente massonica, mentre la quantità di immigrati che vi venivano buttati dentro – da molto prima delle crisi migratorie degli anni Duemila – rendevano le città francesi delle bombe ad orologeria.

 

La risalita di Le Pen, che sistematizza un partito copiando il simbolo da quello dell’MSI (la fiammella, che dovrebbe essere ancora da qualche parte nello stemma del partito di governo in Italia FdI), giocoforza, accelerava mentre il popolo veniva aggredito ogni giorno di più dalla realtà. Tutti quei temi strani, le idee «della fogna» (sulla minaccia di immigrazione, droga libera, decadenza dei costumi), divengono una realtà sensibile per tanti cittadini francesi… al contempo, la castrazione della sua impresa politica si fa inevitabile.

 

Avete capito dove voglio arrivare: il potere francese è detenuto ancora oggi dagli eredi della ghigliottina, i massoni che rivoltarono trono e altare, con relativo genocidio in Vandea e non solo. Secoli sono passati, ma il potere mai davvero è passato di mano: anzi, nonostante le batoste belliche, vive ancora tranquillo con i suoi miti, come quello del distruttore d’Europa Napoleone Bonaparte: gli italiani dovrebbero capirlo meglio di chiunque altro, perché è proprio da lì che viene l’atteggiamento della Francia nei confronti del nostro Paese, visto – con una punta di rabbia, o ammirazione, o invidia – come una terra da depredare. L’assalto del capitalismo francese sulle nostre grandi aziende, sulle nostre banche, assicurazioni etc. deriva da qui. Il «Trattato del Quirinale», pure.

 

Questa conformazione politica storica – che, essendo basata su sempiterni ideali antireligiosi, è in realtà metapolitica e metastorica – forma una cappa da cui nessun’altra Francia è lasciata emergere. C’est-à-dire: la «cristianissima Francia», la Francia dei paesini e dei campi, la Francia delle famiglie e dei bambini, la Francia della storia e della tradizione cattolica, non la vedrete mai, e quelle volte che si è affacciata (sovvengono le proteste contro il matrimonio gay a metà anni 2010) viene soffocata, repressa con la forza.

 

Insomma: se la Le Pen vuole arrivare, deve fare più di un’abiura laicista (non costa niente, magari pure possiamo considerare che l’abbia già fatta: del resto i suoi deputati hanno votato l’aborto in Costituzione di Macron): deve purgare da sé il germe della Francia morale, la Francia eterna, la Francia cristiana. Perché la paranoia massonica altrimenti mai le permetterà di avvicinarsi al vertice: il rischio che scoppi la rivoluzione – cioè, la Controrivoluzione – è troppo grande per loro, che temono il vulcano. La valanga di voti di RN, i gilet gialli, le messe strapiene della FSSPX, i movimenti giovanili identitari, le proteste spontanee contro l’omosessualizzazione della società… sono geyser, sono lapilli di un abisso di magma che la piramide occhiuta non sa stimare, e che teme assai.

 

Ecco perché alla Le Pen non sarà mai consentito di vincere nulla.

 

Ecco perché, quindi, la situazione nel Paese potrebbe diventare pericolosa al punto da far tremare l’Europa, e il mondo.

 

Lo stop, ennesimo e repentino, del RN porterà ad un malcontento immenso presso gli autoctoni, i cittadini contribuenti orgogliosamente francesi. Assistere a cosa succederà con un governo di estrema sinistra – che adotterà provvedimenti che sono l’esatto contrario di quello per cui votano i lepenisti – radicalizzerà diverse frange di giovani e meno giovani.

 

In pratica: avranno voglia di menare le mani. L’incastro avviene immediatamente: all’estrema sinistra e nelle banlieue degli immigrati, la voglia di picchiare è permanente. Basta vedere che ci sono stati disordini pure la sera della loro vittoria elettorale. È una nuova usanza etnica: pensiamo ai danni a Milano e in altre città dopo le partite del Mondiali di Calcio in cui il Marocco vinceva. Spaccano tutto, anche quando sono felici.

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Il grande romanziere Michel Houellebecq è finito sui giornali anche in Italia dicendo che dopo queste elezioni ci sarebbe stata la guerra civile, in ispecie se avesse vinto il FN. I media hanno mancato di notare che non è una previsione nuova per lo scrittore francese: nel suo Sottomissione (2015), libro fantapolitico bello e disperato, raccontava dell’ascesa di un partito islamico e di guerriglia nel giorno delle elezioni, anche con morti: solo che i media insabbiavano tutto, e quindi sembrava che non fosse accaduto nulla.

 

Houellebecq scriveva in pratica che la guerra civile potrebbe anche esserci, ma potrebbe finire per non essere registrata. Basta che l’establishment ordini di ignorarla.

 

Abbiamo visto con quanto poco si può creare il caos in Francia: basta un petardo nelle banlieue, e ottiene città intere messe a ferro e fuoco, negozi razziati, violenza indiscriminata, urla «Allahu akbar», le forze dell’ordine, lo Stato, che recedono totalmente e lasciano il cittadino sprotetto.

 

È l’anarco-tirannia, ne abbiamo parlato tanto. La Francia rimane un esempio plastico: nonostante lo smacco subito dallo Stato francese nell’estate della rivolta etnica delle banlieue, Macron è rimasto tranquillo al suo posto. Anzi: ricordiamo pure che nella sera in cui Parigi andava a fuoco, lui era con Brigitta al concerto di Elton John (lui).

 

Ma quanto può durare una situazione di questo tipo? Quanto può la tensione covare, ed esplodere, e continuare a bruciare, prima che l’intero sistema non si rovesci?

 

Gli apprendisti stregoni con il grembiule credono di poter evocare il demone anarco-tirannico per stare in sella. Pensano di poterlo controllare: del resto, divide et impera è il trucchetto più vecchio nel manuale del vero potere. Sappiamo cosa accadrà: come sempre, il genio scapperà dalla lampada, il golem si ribellerà al padrone, Frankestein comincerà ad agire per conto suo. L’incantesimo gli si ritorcerà contro. On connait la chanson.

 

Vedere la Francia ribaltata non sarebbe solo un problema per i francesi, o per il resto degli europei, e in special modo l’Italia – un altro trucchetto del manuale: nessun Paese può tollerare il caos ai suoi confini: per far terminare la bagarre ci piazzi un tuo uomo forte, o lo invadi. La Francia consumata dalla guerra civile porrebbe una questione ancora più seria: Parigi ha le testate atomiche.

 

Tenetelo a mente: dopo la Brexit, gli unici che possono fornire l’ombrello atomico alla UE – un qualcosa che pare sempre più apprezzato anche dai socialisti tedeschi, un tempo antinuclearisti e pacifisti – sono i francesi. Gli esperimenti di Mururoa, voluti da Chirac nella tradizione della force de frappe di De Gaulle, a quello servivano. A farci capire che hanno le bombe, e ora che gli inglesi si sono tolti, ci rimangono solo le loro, e pure nella situazione di più alto pericolo di guerra termonucleare mondiale, con da una parte intellettuali russi che parlano di nuclearizzare città europee e dall’altro la valigetta nucleare USA in mano ad un uomo in demenza senile conclamata.

 

Cosa ne sarebbe delle atomiche francesi qualora a Parigi scoppiasse il finimondo, e la società, e la politica, collassassero del tutto?

 

E cosa dovrebbe fare, in quel caso, l’Italia?

 

Sono belle domande, a cui non vogliamo rispondere noi. Ci limitiamo a ricordare che forse, dietro allo strano, stranissimo atteggiamento di Macron degli ultimi mesi, potrebbe esserci un computo che nulla ha a che fare con la politica, con la geopolitica, con l’economia.

 

Del resto, è stato lui ad accendere lo scontro con la Russia, a poca distanza dallo sforzo, unico nella storia, di mettere il feticidio in Costituzione, e poi passare all’eutanasia e a breve a chissà cos’altro (non fatecelo dire).

 

Ci sono quelle storie assurde sulla moglie, ma qualche commentatore dice che la storia ufficiale, fra i due, non è in realtà meno allucinante. E quindi, chiediamoci: cosa hanno intronizzato, mettendo all’Eliseo Macron?

 

Quale parte del programma deve portare avanti la Francia in questo momento fatale?

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Oligarchia e aristocrazia eurodemocratica mondialista, da Ventotene a Kalergi e oltre

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La sinistra italiana perde la testa di fronte alla semplice lettura di brani del Manifesto di Ventotene, che evidentemente nessuno aveva mai letto, soprattutto tra cui se ne riempie la bocca scendendo pure in piazza.   Capiamo che per i sinceri democratici capire che – incontrovertibilmente – il testo base dell’eurodemocrazia spinge per la dittatura è un evento che può portare ad una dissonanza cognitiva esplosiva.  

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«La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno».   Il Manifesto che si vuole alla base dell’Europa scrive proprio così: «La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio». Gulp: notiamo però anche come continua il passaggio, con un vero cortocircuito per i fan del ReArm Europe: «questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale».   «La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista»   Ma c’è di peggio: «nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente». Ri-gulp. «Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solito un torbido tumultuare di passioni».   Questa cosa della mancanza di consenso popolare tenetela a mente per dopo, ma il concetto – il comando di pochi sul popolo refrattario: cioè, in pratica, il primato assoluto delle élite – è sviluppato davvero lucidamente:   «Durante la crisi rivoluzionaria» scrive il Manifesto, il movimento «attinge la visione e la sicurezza di quel va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma dalla coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato ed attorno ad esso la nuova democrazia».   Potete riconoscere bene cosa è teorizzato qui: il popolo non conta nulla, comandiamo noi, gli esperti che conoscono davvero cosa vuole il mondo moderno. È un pensiero oscuro, aristocratico, dittatoriale – e sa di esserlo. Abbiamo imparato a vedere questo idea pienamente realizzata con il COVID – e di fatto immaginiamo gli estensori del Manifesto ventoteniano tutti mascherinati e penta, esa, epta, octavaccinati.   Giorgia, per una volta, ha fatto una cosa giusta, con tanto di esecuzione perfetta. Vedere Elly Schlein (che su tre passaporti, ne ha solo uno pienamente Schengen) che si strappa i capelli assieme ai compagni di partito con le lacrime agli occhi («oltraggio!») è bellissimo.   Bravo premier: leggere in Parlamento passi come questo era la cosa migliore da fare. Trump lo sta indicando con chiarezza: sgonfiare il pallone di menzogne e corruzione dello Stato-partito è possibile, oltre che doveroso.   Anche perché, sinceramente, non tutti capiscono da dove salta fuori questa cosa di Ventotene oramai assurto a culto di Stato.   Crediamo che sia un’operazione di ridefinizione della storia (con occultamento di verità lapalissiane) nello stile che conosciamo: la guerra in Italia non l’anno vinta americani e inglesi (e i loro bombardieri, che mi racconta ancora oggi lo zio sopravvissuto, erano tanti da oscurare il cielo sopra una piccola città di provincia), macché, la vittoria è stata dei partigiani.   Eccerto: e ce lo hanno ripetuto sino a che ciò non è divenuto dogma inscalfibile e fondamentale (la «Repubblica fondata dalla resistenza»), al contempo cancellando altri fattori del processo – e qui vorremo, al solito, fare il nome di James Jesus Angleton, la superspia americana cresciuta in Italia che fu «madre della CIA», poeta e stratega che fu con probabilità il vero padre dello Stato italiano del dopoguerra.   E quindi: l’Europa non nasce da interessi geopolitici immani, e probabilmente non Europei. Viene piantata a Bruxelles, dove sta la NATO, per caso. L’Europa non nasce nemmeno da macchinazioni massoniche che affondano nei secoli. No, ora ci dicono che l’Europa Unita parte da tre signori messi al confino da Mussolini. Ecco, qui sorge una domanda, scusate: ma perché i fascisti, che sono tremendi, mandavano su un isola i dissidenti invece di metterli in galera o peggio? Riconosciamo che per alcuni questa domanda suona come una bestemmia, ma non credo che ci possano dare una risposta. Il fascismo uccide Matteotti ma lascia vivere Spinelli? (È vero, tuttavia, che i fascisti uccisero Colorni: ci torneremo sotto)

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Qui vengono pensieri balzani. Non è che questi avessero qualche coperture, di quelle alle quali nemmeno il fascismo poteva resistere? Ci sovviene il caso di Alberto Beneduce (1877-1944), già collaboratore del primo sindaco anticlericale e massone, oltre che ebreo, Ernesto Nathan (che voci sussurranno potrebbe essere figlio di Mazzini), tesserato del PSI e massone a sua volta, uomo dietro alla creazione dell’assicurazione INA e dell’IRI, tanto importante per l’Italia mussoliniana che per quella democristiana.   Le idee socialiste di Beneduce, che fu senatore e ministro del Lavoro, non è che fossero tanto nascoste: tre delle sue figlie si chiamavano Idea Nova, Vittoria Proletaria e Italia Libera. Un altro figlio lo ha chiamato Ernesto, immaginiamo in onore al Nathan. Essendo questo un articolo in cui parliamo di famiglie e aristocrazie democratiche (abietta contradictio in adjecto), vale la pena di ricordare che Idea Nova Beneduce nel 1939 divenne moglie di Enrico Cuccia, il mitico dominus, potentissimo e silentissimo, di Mediobanca.   Nel 1936, in pieno ventennio, Beneduce era al contempo  presidente dell’IRI, delle banche pubbliche Crediop e ICIPU, dell’Istituto per il credito navale, nonché membro del Consiglio d’amministrazione dell’IMI e dell’Istituto nazionale dei cambi. Nel privato era presidente della Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali (la società chiamata Bastogi). Assieme al governatore della Banca d’Italia Donato Menichella fu ispiratore della legge bancaria del 1936.   Insomma, il socialista Beneduce era fuso pienamente con il deep state dell’Italia fascista. Intoccabile ed indisturbato. Che cosa permetteva a chi veniva da mondi politici distanti e non aderiva all’ideologia del totalitarismo italiano di rimanere in circolazione? Non sappiamo dire.   Qualcuno può pensare che, anche allora, vi fosse un piano più grande all’opera, che non riguardava solo l’Italia – del resto, la Giovine Europa era proprio un’idea, ci fanno studiare a scuola, del Mazzini, proprio quello che alcuni dicono fosse padre del Nathan, morto da terrorista latitante come un Bin Laden qualsiasi.   Ecco che ci viene in aiuto il libro della scomparsa antropologa Ida Magli, il cui titolo è più che mai d’attualità, La dittatura europea: «(…) ad Altiero Spinelli è stato indispensabile delle potenti società semisegrete di cui abbiamo parlato, e della grande finanza nelle vesti di Gianni Agnelli. Spinelli era infatti membro del Bilderberg e fondatore assieme ad Agnelli dell’Istituto per gli Affari Internazionali Italiano».   Lo Spinelli nel Bilderberg: sì, pare se lo siano dimenticati tutti nella costruzione dell’eurosantino – non che la cosa, tuttavia, disturbi le sensibilità piddine. Al contempo, la Magli non aveva paura di fare nome e cognome dell’ingrediente ulteriore che con l’oscura aristocrazia eurodemocratica ha voluto riformulare i Paesi del continente: l’oligarchia.   «Non sappiamo se fosse la sua condivisione degli interessi di Agnelli alla mondializzazione del mercato, o il suo odio per la Nazione Italia a spingerlo su posizioni europeiste assolute» accusa la Magli. «Fatto sta che non è mai riuscito, pur avendo ottenuto grandi vantaggi dall’europeismo, quali un seggio parlamentare e il posto di Commissario europeo, a far conoscere e apprezzare il suo movimento all’opinione pubblica italiana».

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Proprio quello che sembra: l’europeismo, anche in Italia, è un movimento inflitto, in nessun modo organico alla popolazione, che di suo lo respinge. Gli europeisti convinti che si vedono in giro – con tanto di foto lombrosiane – esistono solo all’interno di piazza artificiali, come quella vista negli scorsi giorni, dove ad organizzare vi è un sedicente giornalista di satira, con doppio cognome, scrivente per qualche ragione da sempre sul giornale dei casati aristo-capitalisti dei Caracciolo e degli Agnelli, ora confluiti nella dinastia rabbinica degli Elkann.   Parliamo ovviamente di Repubblica, creata dal «laico» (sapete, in Italia, questo aggettivo a cosa è equivalente…) Eugenio Scalfari, che più di ogni altro riuscì negli ultimi decenni ad agglutinare un consenso popolare all’ascesa della sinistra di governo, vezzeggiando e rimestando il «ceto medio riflessivo» (professori, impiegati del para-Stato, e altre demografie con la pancia riempita automaticamente e tanto tempo libero), in modo da far percolare certi ideali – come l’amore incondizionato per l’Europa, non condiviso, per esempio, dal PSI – ed essere dirimente nella politica di era prodiana.   Eppure, nemmeno con i cannoni di Repubblica si è riusciti a rendere Spinelli una figura popolare (che è quello che, un po’ in ritardo, stanno cercando di fare ora).   «(…) È probabile che questa mancanza di riscontro popolare sia stata dovuta anche all’arroganza e dittatorialità del suo comportamento, un comportamento che appare, sotto questo aspetto, perfino perggiore di quello di Coudenove-Kalergi» tuona la Magli.   Qui spunta ancora, inevitabile, la figura del conte austriaco di famiglia greco-veneziana e di madre giapponese (cosa che, crediamo, gli ha creato qualche scompenso: leggetevi le sue conclusioni su razze e genere nei suoi libri per capire lo squilibrio): di Kalergi – di fatto progettatore del piano di invasione immigrazionista che stiamo vivendo – non si deve parlare, e perfino i ministri che vengono dall’ex MSI dicono di non conoscerlo. Non se ne deve parlare soprattutto vicino a Ventotene: anche se la Pan-Europa kalergiana è riconosciuta essere prodromo del Manifesto di Spinelli e compagni.   Dicevamo: quello che propongono qui, sotto la vernice democratica, è non solo una dittatura (appunto: la Dittatura europea) ma una vera aristocrazia, in cui comandano i pochi che sono nel giusto. E magari, trasmettono un po’ di potere anche ai figli.

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Certo è che le famiglie dei ventoteniani sono interessanti.   Ernesto Rossi (1897-1967) si sposò nel 1931 in reclusorio con rito civile: era un anticlericale sfegatato. La sposa, Ada Rossi, è definita «partigiana» e «antifascista», oltre che fondatrice con il marito e i ventoteniani del Movimento Federalista Europeo. Si ricordano i suoi legami con Gaetano Salvemini, che gli disse «avessi mai potuto fabbricarmi un figlio su misura  me lo sarei fabbricato pari pari come te» e più tardi con il giovane Marco Pannella: finito il Partito d’Azione, Rossi era entrato nel Partito Radicale ai suoi albori, accettando di presiedere, poche ore prima di morire, la manifestazione dell’«apertura dell’Anno anticlericale».   Eugenio Colorni (1909-1944), l’unico a non morire nel suo letto effettivamente assassinato dai fascisti della banda Koch a pochi giorni dalla liberazione, proveniva da una famiglia ebraica di commercianti lombardi. La madre era una Pontecorvo, ulteriore famiglia ebraica pisana che conta nella sua discendenza il fisico nucleare Bruno Pontecorvo (allievo di Fermi, con cittadinanza britannica, poi fuggito in URSS) e il regista Gillo (autore di film anti-colonialisti ammaniti al pubblico cinefilo mondiale come il tremendo La battaglia di Algeri o Queimada!).   Sposò una correligionaria ebrea, Ursula (anche lei) Hirschmann (1913-1991), che proveniva da  un’agiata famiglia dell’ebraismo tedesco. Il fratello, Albert Otto Hirschmann, era un economista che fu poi candidato al premio Nobel. Conobbe Colorni a Berlino, lo frequentò a Parigi per poi seguirlo a Trieste e Venezia. Come ribadito da Elly Schlein in Parlamento, la Hirschmann è riconosciuta tra i fondatori del mito di Ventotene.   Con Colorni ebbe tre figlie, tra cui Renata – traduttrice dei capolavori della letteratura tedesca, con molti anni spesi a collaborare con l’editore Adelphi – e Eva, che nel 1973 fu presa in moglie da un’altra figura centrale del mondialismo, l’economista e filosofo indiano premio Nobel Amartya Sen. Più tardi, sempre per parlare di «aristocrazie» e casati giudaici, il Sen avrebbe sposato Emma Georgina Rothschild, della nota famiglia di banchieri.   Dopo la morte di Colorni, la moglie Ursula – in un caso di endogamia tra europionieri – si risposò proprio con Altiero Spinelli. Nel 1975 aveva formato a Bruxelles il movimento Femmes pour l’Europe («donne per l’Europa»). Morta nel 1991 dopo anni in cui perse la parola a seguito di un aneurisma, è sepolta a Roma al cimitero acattolico. Il matrimonio con Spinelli portò nel 1946 la nascita della giornalista (zona Repubblica, ça va sans dire) ed europarlamentare (con il partito biodegradabile «L’Altra Europa con Tsipras») Barbara Spinelli, di cui si ricorda l’attivismo per impedire l’eligibilità di Silvio Berlusconi al Senato.   Barbara Spinelli è stata la compagna del grand commis superfunzionario italico Tommaso Padoa Schioppa (1940-2010), già ministro dell’economia del governo Prodi II (quello de «le tasse sono una cosa bellissima e civilissima»), vicedirettore generale della Banca d’Italia, presidente della CONSOB, dirigente del Fondo Monetario Internazionale, nonché Membro del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, considerato da alcuni come uno dei fondatori della moneta unica, l’euro. Una mela non cade molto dall’albero…

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Le ridondanze e le ramificazioni, in questa storia (possiamo dire, anche per ischerzo, euro-pluto-giudaico-massonica?) di piccole dinastie, aristocrazie, oligarchie, sono tantissime.   Ora con il culto di Ventotente pare che dobbiamo riverire questo demi-monde eurodemocratico come si trattasse di famiglie di una monarchia: in realtà lo sono, perché l’accentramento del potere, pure a dispetto del popolo, è da essi teorizzato apertis verbis. Non dovete quindi stupirvi delle elezioni romene, né di altro.   Il problema più grande è che ora, l’Europa di questi qui vuole armarsi per poi – con ogni probabilità – scontrarsi con la Russia. Cioè, mette in pericolo tutti noi.   Quanto potremmo ancora tollerare di essere dominati da chi ci pone in un simile pericolo?   Roberto Dal Bosco  

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Mons. Viganò: la UE concepita per distruggere la sovranità nazionale

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L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha scritto su X alcune considerazioni riguardo l’Unione Europea, tema più che mai attuale nel momento in cui questa chiede un riarmo del continente.

 

«L’Unione Europea è un’entità concepita per sottrarre sovranità alle Nazioni, assorbendole in un superstato tecnocratico totalmente asservito agli interessi di una ristrettissima oligarchia finanziaria, eversiva e criminale» accusa monsignore. «I principi che la ispirano, gli scopi che si prefigge e i mezzi che intende usare sono antitetici rispetto alla nostra identità, alla nostra civiltà, alla nostra Religione».

 

Viganò lancia quindi un accorato appello alle superpotenze planetarie.

 

«Il Presidente Putin e il Presidente Trump devono aver ben chiara la minaccia costituita dal globalismo guerrafondaio dell’Unione Europea, nella quale emergono sempre più evidenti i tratti di una dittatura contro i propri stessi cittadini. Ed anche se la questione ucraina sembra prossima ad una soluzione grazie ai colloqui tra Mosca e Washington, è indispensabile estromettere dalla scena politica internazionale quanti – come Macron, Starmer e Carney, ma anche von der Lyen e Draghi – si credono investiti di un ruolo che nessuno riconosce loro».

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«Quanto più emergeranno gli scandali e i conflitti di interesse di questi cortigiani dell’élite globalista – che la censura di regime non riesce più a insabbiare – tanto più la loro azione diverrà marginale e la loro presenza imbarazzante» dice l’arcivescovo lombardo.

 

Quindi un auspicio per il futuro, dove giudizio e castigo siano possibili per quanti hanno portato il continente sull’orlo del baratro.

 

«Un futuro di pace e di concordia tra i popoli è possibile solo dove gli eversori che da decenni tramano contro i loro popoli siano portati a rispondere dinanzi all’opinione pubblica dei propri tradimenti, dei propri crimini, delle proprie menzogne».

 

Come riportato da Renovatio 21, un mese fa in merito alla UE contraria l’accordo per la pace in Ucraina monsignor Viganò aveva dichiarato che «è a dir poco sconcertante vedere con quale cinismo l’Unione Europea e la NATO stiano cercando di impedire la fine di un conflitto provocato dall’élite globalista che manovra entrambi».

 

Quindi, «di fronte a questa ostinata determinazione a creare morte e distruzione, e ai vergognosi tentativi di ostacolare il processo di pace, dobbiamo esprimere il nostro sostegno a coloro che agiscono nell’interesse della pace e condannare apertamente le azioni dei guerrafondai asserviti al globalismo massonico».

 

In un discorso su governo mondiale e sinarchia del gennaio 2024, Viganò aveva detto che «in un certo senso, l’élite è riuscita a estromettere lo Stato dal suo ruolo naturale per favorire un super-Stato che agisce non nell’interesse della collettività, ma dell’élite stessa. Questo in definitiva è il ruolo dell’Unione Europea e del governo federale americano in mano al deep state».

 

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Immagine di Thijs ter Haar via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

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Economia

Draghi della distruzione: reloaded

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La verità è che vi eravate dimenticati di lui. Pensavate di averla fatta franca: del resto, gli italiani hanno votato la Meloni proprio in reazione ai due anni di suo governo. E poi ce lo siamo evitato come presidente della Repubblica con il bis a Mattarella, con nasi tappatissimi un po’ dappertutto. No?   Mario Draghi, invece, riappare. Intonso, pontificante: il suo potere, che non è facile capire bene da dove derivi, pare non essere scalfito in nessuna parte. Draghi invincibili. Draghi intrombabili. E dove trovarli.   E quindi, eccolo che dà, in italiano nel testo, il suo contributo per lanciare l’Italia nel suo futuro di guerra ipersonica e termonucleare.

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«Occorre definire una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti, e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema di difesa continentale» ha detto in un’audizione al Senato l’ex premier.   Perché, le azioni di Trump – cioè dell’uomo che lavora per la pace mondiale – «hanno drammaticamente ridotto il tempo disponibile»: Washington ha votato con Mosca all’ONU sulla risoluzione a difesa dell’Ucraina, lasciando Bruxelles sola (e con il cerino in mano). I «valori costituenti» dell’Europa sono quindi «posti in discussione».   «La nostra sicurezza è oggi messa in dubbio dal cambiamento nella politica estera del nostro maggior alleato rispetto alla Russia che, con l’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l’Unione Europea».   «Il ricorso al debito comune è l’unica strada. Per attuare molte delle proposte presenti nel rapporto, L’Europa dovrà dunque agire come un solo Stato».   Il contorno di filosofia politica è gustosissimo, con tanto di aneddoti messi a ciliegina. «Diversi di voi mi hanno chiesto: questo significa cedere sovranità?» dice il Super Mario, rispondendo: «ebbehcerto!». Quindi parte la storiella: «guardate, vi racconto una cosa che riguarda il presidente Ciampi… molti anni fa eravamo insieme in uno degli ultimi negoziati sulla costruzione dell’euro. Lui mi diceva: “tutti mi dicono: ma perché vuoi fare l’euro, tu ora sei sovrano della tua politica monetaria… ma che sovrano, io non conto niente, oggi devo fare quello che fa la Bundesbank [la Banca Centrale tedesca, ndr]… domani sto intorno ad un tavolo ed avrò una fettina di sovranità… e questa è la storia, la politica monetaria italiana è stata fondamentalmente non una politica monetaria sovrana».  

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Mario, qua la mano: e grazie della sincerità. Il re è nudo – e nemmeno è sovrano di nulla.   Queste affermazioni, tuttavia, non sono state fatte ad un evento incentrato sul ReArm UE dell’ex bundesministro della Difesa Von der Leyen, ora Commissario Supremo dell’Europa Unita. No: il contesto è quello dell’Audizione presso le Commissioni riunite Bilancio, Attività produttive e Politiche Ue di Camera e Senato in merito al Rapporto sul futuro della competitività europea».   Cioè: in teoria, si parlava di economia, e nel suo discorso Draghi lo ha fatto, pure soffermandosi a lungo sulla questione della guerra, includendo «anche l’intelligenza artificiale, i dati, la guerra elettronica, lo spazio e i satelliti, la silenziosa cyberguerra».   Insomma si parlava di crescita economica, che ora, senza tanti infingimenti, finisce per identificarsi con l’industria delle armi. È evidente a tutti: la Germania – contro la cui rimilitarizzazione sono state create la NATO e forsanche la stessa UE – ora gode perché la Volkswagen, messa in ginocchio dai diktat green, ora può felicemente riconvertirsi alla costruzione di veicoli da guerra come faceva ai tempi di Adolfo – che in un contesto di guerra di droni, robot e missili ipersonici non sappiamo bene a cosa serviranno.   La crescita insomma passa per strumenti di offesa. La nuova creazione del valore passa per la distruzione. Non è che avevamo già sentito questa musica?   Sì. Renovatio 21 ne aveva parlato tre anni fa, quando Draghi, ancora a Palazzo Chigi, parlava di «ricostruzione» del «dopo-emergenza». L’articolo si chiamava «“Ricostruire l’Italia” con i draghi della distruzione», di cui ora bisogna fare il reload.   «La “ricostruzione” che abbiamo davanti non pare in nulla simile a quella del dopoguerra. Soprattutto, perché non è una vera ricostruzione. Essa è, innanzitutto, e sempre più dichiaratamente, distruzione» scrivevamo. Perché non si tratta mica di un’opinione nostra, ma di un concetto economico-filosofico abbracciato alla luce del sole. Eccoci ripiombati nell’idea della «distruzione creatrice».   Possiamo dire che Draghi la distruzione la conosce: anzi, possiamo dire che persino la teorizza e la invoca. Lo si capisce leggendo un testo fatto uscire dal cosiddetto Gruppo dei Trenta, un consorzio elitista transnazionale di finanzieri ed accademici creato decenni fa dalla Rockefeller Foundation a Bellagio – un organismo, anche abbreviato in G30, di cui Draghi ha fatto parte come «membro senior».   A fine 2020 il Gruppo pubblicò saggio di analisi che riguardava i cambiamenti economici del mondo post-COVID chiamato Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-COVID. Nel testo il nome di Mario Draghi compare co-presidente del comitato direttivo. Nelle prime pagine del libro Draghi scrive, con tanto di firma autografa, anche alcuni ringraziamenti «per conto del Gruppo dei Trenta».

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Nel saggio compare apertis verbis la «distruzione creativa», un concetto coniato dall’economista austriaco Joseph Schumpeter (1883-1950), nominato nel 1919 a pochi mesi dalla fine dell’Impero degli Asburgo ministro delle finanze per la prima Repubblica d’Austria. Non seppe tenere il posto, andando quindi a dirigere una banca, per poi tornare all’accademia ed emigrare oltreoceano nel 1932 approdando alla prestigiosa università di Harvard – cuore intellettuale pulsante del patriziato transatlantico – dove fece il professore fino alla morte.   Qui compose il trattato economico Capitalismo, socialismo e democrazia (1942), dove lo Schumpeter lancia l’idea della distruzione creatrice (schöpferische Zerstörung) come «processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall’interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova».   La distruzione di interi comparti professionali è per l’economista austriaco la condizione ideale per l’economia e la sua necessaria evoluzione. Ora tornate a leggere la data di pubblicazione di questo inno alla distruzione: uscì in America quando la distruzione concreta della guerra si abbatteva sulla guerra, e gli USA di Roosevelt si armavano per entrare in Guerra su due fronti, riconvertendo la propria industria e, di fatto, uscendo così del tutto dalla Grande Depressione.   A questo punto vi viene in mente qualcosa, se guardate dalla finestra?   Schumpeter, nel documento 2020 del Gruppo dei 30 del dicembre 2020, è menzionato una sol volta, tuttavia l’intero testo sembra girare intorno al suo concetto di distruzione creatrice.   «I governi dovrebbero incoraggiare le trasformazioni e gli adeguamenti aziendali necessari o desiderabili nell’occupazione.» scrive il testo del Gruppo di Draghi. «Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creativa” poiché alcune aziende si restringono o chiudono e ne aprono di nuove e poiché alcuni lavoratori devono spostarsi tra aziende e settori, con un’adeguata riqualificazione e assistenza transitoria».   Insomma, il piano è noto. È noto anche ciò che lo anima: non la creazione – un concetto, se vogliamo, cristiano – ma la distruzione, che più che al Dio creatore e salvatore che ha informato l’Europa e legata a concetti oscuri dello shivaismo e del tantrismo, sistemi di pensiero gnostici trapelati nel codice sorgente dell’Occidente moderno.   Il sanscritista britannico Monier-Monier Williams (1819-1899) aveva per questo pensiero delle parole lucidissime: «la perfezione buddista è distruzione». Così: per le filosofie orientali, la scomparsa dell’io (in sanscrito, anatman) o l’estinzione del ciclo cosmico stesso (nirvana) sono i segni dell’illuminazione raggiunta. Illuminazione è distruzione.   Possiamo dire ciò è vero anche per gli arconti che ci governano: gli illuminati sono distruttori. I sapienti esperti ed intoccabili, saliti sulle loro torri ed eurotorri senza che si comprenda davvero perché, ci indicano la via della distruzione come l’unica da seguire.   Vedete come il quadro diviene perfettamente comprensibile: distruggere per procedere, procedere per distruggere. Solo così, comprendendo che la Cultura della Morte è un fondamento del mondo moderno e dei suoi padroni, è possibile spiegare la follia di questi anni, dai sieri genici allo scontro sempre più diretto con la maggiore superpotenza atomica mondiale.   Solo con la Necrocultura della distruzione è possibile spiegarsi la persistenza dei draghi.   Là fuori c’è chi vuole distruggervi – e ve lo dice in faccia, ed è pure pagato da voi. Non è una questione economica, ma materiale, metafisica: perché in gioco c’è la vostra stessa esistenza e quella dei vostri figli. Che sono minacciati di essere disintegrati in quindici minuti dalle scelte dei draghi distruttori.   Roberto Dal Bosco

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