Pensiero
Ebrei, musulmani… ma chi davvero deve custodire la Terra Santa?
Oramai una diecina di anni fa fui, come tutti, sorpreso dall’ascesa inarrestabile dell’ISIS. I suoi miliziani neri si erano presi un pezzo enorme del territorio della regione, non badando ai confini imposti dagli accordi Sykes-Picot (cioè la progettazione del Medio Oriente spartito tra francesi e britannici) né a quelli dei nazionalismi successivi.
In nome della religione, l’ISIS si era presa tutto, e, se ricordate, minacciava perfino di marciare su Baghdad (che, a occhio, aveva pure qualche soldato americano ancora dentro). L’espansione del movimento terrorista pareva indisturbata, con uno zelo ed un entusiasmo che impressionavano il mondo, specialmente i ragazzi musulmani europei di seconda o terza generazione, che fioccarono in massa a combattere in Siria e Iraq.
Giovani dalla Francia, dal Gran Bretagna, dalla Germania, dall’Italia, perfino dagli USA migrarono in massa verso le schiere che stavano costruendo, al centro dell’Asia, uno Stato teocratico, un vero Stato Islamico, retto da un fondamentalismo non possibile nemmeno per il Regno Saudita, dove vige la monarchia e gli interessi di equilibrio globale dei petroli.
Assistevamo, in diretta, alla creazione di uno Stato basato sulla religione e nient’altro. Un’idea che sembrava stesse vincendo su ogni fronte. Il Califfato avanzava nel territorio così come nella mente del mondo.
La mappa rimandava le dimensioni di questa enorme nuova entità politica. Lo Stato Islamico era una massa nera pronta ad espandersi in tutta l’area.
Guardando la cartina, tuttavia, mi era sorto un pensiero. Lo Stato Islamico di fatto stava sorgendo accanto ad un altro Stato fondato, secondo la definizione, sulla religione: lo Stato Ebraico. Lo Stato Islamico e lo Stato ebraico stavano a pochi chilometri di distanza, anzi per alcune mappe, che assegnavano all’ISIS il controllo delle aree di Tasil e Jamlah a ridosso della zona del Lago di Tiberiade, erano Paesi confinanti.
Lo Stato Islamico confinava con lo Stato Ebraico – e non solo geograficamente. Due grandi monoteismi millenari avevano quindi la loro proiezione politica definitiva, uno Stato retto sulla religione.
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Nella mente di chi guardava la cartina, tuttavia, poteva emergere una domanda imprevista: Stato Islamico, Stato Ebraico… e lo Stato Cristiano?
Perché non c’è, nell’area, uno Stato Cristiano? In fondo, si tratta dei luoghi dove, secondo quanto credono i cristiani, Dio è sceso sulla Terra per 33 anni. Sono gli spazi in cui, in seguito all’incarnazione, i cristiani hanno cominciato ad operare, mettendo radici che sono resistite per millenni, nonostante le ondate islamiche, nonostante il deserto. Pensiamo alla comunità cristiana irachena: erano centinaia di migliaia di persone, ora nel Paese, dopo la guerra genocida dei neocon, forse ne è rimasto, se va bene, qualche migliaio.
Il territorio più sacro per quella che sarebbe la prima religione mondiale non ha visto nascere un’entità che ne protegga lo status di spazio sacrale.
Curioso: i potentati globali lo Stato Ebraico lo hanno lasciato fare, anzi, ne hanno promosso la formazione. Lo Stato Islamico, parimenti, hanno lasciato che lo edificassero rapidamente. Lo Stato Cristiano no, mai: non è neppure nel menu. È inconcepibile. È innominabile. O meglio, lo è oggi.
Vi è stato un tempo in cui, invece, i cristiani si mossero per creare Stati che proteggessero la Terra Santa: gli Stati Crociati, territori retti dai cristiani europei. Il Principato di Antiochia (1098-1268), la Contea di Edessa (1098-1149), la Contea di Tripoli (1104-1289), e poi, soprattutto, il Regno di Gerusalemme (1099-1291).
Il lettore avrà capito che ci stiamo inoltrati in una dimensione innominabile per il mondo moderno, quella delle Crociate. Ossia quell’enorme movimento della Cristianità per difendere materialmente le sue radici.
Potete immaginare la città Santa con le sue mura, dove però si parlava italiano, l’antico francese (la lingua franca) e altre lingue europee (più un po’ di greco ed arabo, per le classi più basse). Pensate all’Europa proiettata, sovrimpressa, in questa terra orientale: il sistema feudale, le chiese, pure una sorta di Parlamento (l’Alta Corte di Gerusalemme, costituita dalle famiglie nobili residenti in città).
Insomma: dove ore sorge lo Stato Ebraico, e dove Hamas vuole creare uno Stato musulmano basato sulla sharia, si ergeva lo Stato Cristiano, senza bisogno di chiedere scusa a chicchessia. E senza genocidi di sorta: i re cattolici non sterminarono i musulmani, e anzi li inclusero nel sistema feudale. Considerando la diversity dell’epoca – cattolici, ortodossi, ebrei, musulmani, drusi; europei e levantini, nordici e mediterranei – qualcuno potrebbe addirittura arrivare a pensare che gli Stati Crociati offrano un possibile esempio di coesistenza fra i popoli.
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Del resto, rispetto alle altre religioni abramitiche, i cristiani hanno un concetto totalmente diverso dell’essere umano e del suo spirito. L’ebraismo si trasmette, secondo quanto si dice, matrilinearmente: sei ebreo se è ebrea tua madre, tua nonna materna, la tua bisnonna, trisavola, etc. La conversione all’ebraismo di un goy, un non-ebreo, è ancora oggi per alcuni oggetto di dibattito. L’Islam prevede invece la conversione a fil di spada: la conquista militare è il presupposto della sottomissione delle popolazioni all’Islam, pena il divenire dhimmi, cittadini non islamici che hanno status diverso e pagano tasse supplementari.
Il cristianesimo non ha niente di tutto questo. La conversione a Cristo può avvenire solo nel cuore del singolo, non può essere imposta in alcun modo. Secondo alcuni, questo è l’aspetto che ha reso l’Occidente profondamente differente dall’Oriente: l’individuo, l’uomo e la sua interiorità, hanno preminenza sul foro esterno, hanno agenzia – l’uomo fa ciò che viene dal suo profondo, che è sacro ed inviolabile.
Chi accetta Cristo, quindi, accetta il suo ordine fin dentro se stesso, e di qui discende l’armonia sociale che in alcune parti del mondo si può ancora avvertire. Lo notarono, centinaia di anni fa, i messi imperiali cinesi mandati in Occidente a studiarne la società. Nella loro relazione rivelavano il loro infinito stupore davanti al fatto che ad Ovest gli uomini obbedivano ai re cattolici non perché ne avessero paura, né per l’inerzia della tradizione, ma perché avevano accolto nel cuore la religione cattolica.
Il cristianesimo non discrimina, nemmeno coloro che hanno altre fedi. Le Scritture sono piene di episodi di samaritani e centurioni che – uomini di buona volontà – operano il bene. La porta della conversione è sempre aperta, a chiunque nel profondo realizzi, e accetti, la Signoria di Cristo. E cioè, l’amore di Dio per l’uomo.
Lo Stato Cristiano, quindi, non può che essere benevolo. Non può che amare l’essere umano.
È proprio per questo, quindi, che esso è proibito. E proprio per questo che esso è stato reso un tabù, è stato infilato nella categoria dell’impensabile, dell’irricevibile.
Se il mondo moderno è sorretto da potenze di morte, che propalano una cultura che odia Dio e l’uomo sua immagine, come può mai tollerare l’esistenza di uno Stato Cristiano?
Gli ultimi secoli di storia, in realtà, sono stati la storia dell’attacco totale allo Stato Cristiano in ogni sua forma. La Rivoluzione Francese, che ci fanno studiare a scuola, è la sua prima vera decapitazione. Partita nell’anno della morte di un Santo Papa che aveva ricostituito il codice sorgente della Cristianità, la Prima Guerra Mondiale, lo abbiamo già scritto, può essere considerata lo strumento per distruggere ciò che rimaneva dell’Europa cristiana, ossia l’Austria asburgica, che formalmente costituiva ancora il Sacro Romano Impero.
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Il resto del Novecento, e gli anni che stiamo vivendo, altro non sono che la liquidazione in varie fasi di ogni cristianità politica. La Seconda Guerra Mondiale ha piazzato a capo di vari Paesi europei partiti cosiddetti di «democrazia cristiana»: una contradictio in adjecto, una manticora politologica (il cristianesimo compatibile con la democrazia liberale? Ma quando mai?) ingegnerizzata dagli angloamericani lavorandosi, nei loro avamposti massonici d’oltreoceano, Jacques Maritain e compagni.
Poi, il Concilio Vaticano II ha accelerato l’opera: è la chiesa stessa che ora parla di «laicità dello Stato», e quindi che accetta la disintegrazione dello Stato Cristiano sin nella sua idea fondativa, che è quella di un mondo retto dalla figura di Cristo, di una società in cui Cristo è re.
Non è rimasto nulla di cristiano, in nessuno Stato occidentale. Pensate alle monarchie europee, pensate ai re cattolici con le loro famiglie, quelli che ai funerali dei papa fanno sedere ancora davanti a presidenti: nel Regno di Spagna salvano i cani e discutono di uccidere i disabili, nel Regno del Belgio eutanatizzano i bambini. Questo è ciò che rimane dell’aristocrazia europea, che senza Cristo viene trasformata, come tutto il resto, in un orpello della macchina di morte.
Abbiamo anche noi un piccolo episodio del tabù da offrire: un comune italiano, retto dagli eredi del partito che voleva rivoltare il Paese con la dittatura del proletariato, paventò di non dare a Renovatio 21, una sala per una conferenza su un grande scandalo che riguardava quel territorio, anche se a chiederla era un consigliere dello stesso comune. Dissero che, leggendo nel sito, avevano visto che si parlava di «Stato Cristiano». Tale pensiero, a quanto sembra, non poteva essere accettato, era forse da ritenersi sovversivo.
Qualcuno può pensare che avessero ragione: cosa c’è di più sovversivo, odiernamente, di un sistema che vuole la prosperità dell’uomo e non la sua sottomissione, la sua umiliazione e la sua morte?
Cosa è più «rivoluzionario» di un ente che ama l’umanità invece che tentare di distruggerla? Cosa è più pericoloso per i signori del mondo?
L’ora presente lo dimostra: lo Stato Ebraico si può fare, lo Stato Islamico pure. Lo Stato Cristiano, no. Perché, e questo è il segreto dello Stato moderno, esso esiste solo in quanto anticristiano. Lo Stato anticristiano è l’unica opzione possibile che ci dà il mondo moderno. Tutto il resto è sfumatura.
Torniamo, infine, a guardare la Terra Santa, e ad interrogarci su questo massacro ebraico-musulmano nella Terra di Cristo.
Chiediamo al lettore, quindi: chi davvero dovrebbe regnare su Gerusalemme, e sul mondo intero?
Chi davvero ha a cuore la pace, e gli esseri umani?
Cosa stanno facendo mancare dalla mappa, e da troppo tempo?
Roberto Dal Bosco
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Immagine di scottgunn via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial 2.0 Generic
Pensiero
«Chiesa parallela e contraffatta»: Mel Gibson cita Viganò nel podcast più seguito della Terra. Poi parla di Pachamama, medicina e sacrifici umani
Oh boy… 👀
Mel Gibson says the Pope and the Vatican are Surrounded by Child Molesters — He Believes the Catholic Church is Now a Counterfeit Paralle Church that runs an Entirely Different Religion • On current Pope Francis, Mel believes he’s covering up or involved in… pic.twitter.com/XqPK1AOIB6 — MJTruthUltra (@MJTruthUltra) January 9, 2025
«Abbiamo un papa che ha portato un idolo sudamericano in chiesa per adorarlo» ha detto Gibson. «Davvero?» ha replicato Rogan apparentemente sbalordito, al che Gibson rispose: «Sì, la Pachamama». Rogan ha chiesto a Gibson di chiarire cosa fosse la Pachamama, dicendo di non averne mai sentito parlare, e Gibson ha spiegato che si tratta di una «divinità sudamericana». «Perché avrebbe dovuto farlo?» ha chiesto ancora uno sconcertato Rogan. «Bella domanda. Ma lo ha fatto» ha risposto gentilmente il Gibson.Wow. Mel talking to Rogan about Pachamama and Francis 😳 pic.twitter.com/W0d8MjXxMx
— Anthony (@Catholicizm1) January 9, 2025
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Il regista ha confessato di aver preso il Remdesivir – controverso farmaco anti-COVID approvato in USA – e di essere stato male per mesi. Ha quindi detto di aver letto il libro di Robert Kennedy jr. su Anthony Fauci, scatenando una conversazione, ripresa più volte, sull’incontrovertibile malvagità del personaggio, con riferimenti ai danni fatti da Fauci ai tempi dell’AIDS.GIBSON: “I have three friends. All three of them had stage four cancer. All three of them don’t have cancer right now at all.”
ROGAN: “What did they take?” GIBSON: “Ivermectin, Fenbendazole” pic.twitter.com/onLx5bvDcG — Chief Nerd (@TheChiefNerd) January 10, 2025
Il cineasta è sembrato, sia pure forse nervoso, molto cauto e dosato nella conversazione – come un uomo che sa molto di più di quello che dice, e fa la cortesia all’ospite di non essere troppo diretto e brutale, arrivando a dare suggerimenti di libri di storia, di cui ha dimostrato di essere un famelico lettore, e perfino di testi per smettere di fumare.🚨MEL GIBSON: “I don’t know why Fauci is still walking around? I listened to the RFK Jr book on Fauci driving up to San Francisco. It gave me road rage.”
JOE ROGAN: “They kept that book off of bestseller lists. It was censored. Why was RFK Jr never sued for that book? That’s… pic.twitter.com/KF4MNcf5rs — Autism Capital 🧩 (@AutismCapital) January 10, 2025
Degno di nota il riferimento al film capolavoro di Gibson Apocalypto, che Rogan ha detto di essere grandioso e di averlo rivisto di recente. Gibson ha spiegato la genesi del film, per poi entrare in un discorso articolato sul collasso della civiltà, e dichiarare che i sacrifici umani visti nella pellicola sono presenti ancora nella nostra società non differentemente da quella dei maya. «Il sacrificio umano è vivo e vegeto» ha scandito Gibson, con Rogan che ha detto, che sì, ha solo cambiato forma, alludendo alle morti indotte dalla medicina. Qualcuno può aver avvertito che il non detto, che vibrava giocoforza dentro il cattolico Gibson, era l’aborto, che epperò non è stato spalmato in faccia al già liberal, sedicente abortista Rogan. I due hanno quindi convenuto in un’idea della guerra come sacrificio umano della gioventù. Si esce dalle due ore di ascolto del podcast grati sino ad essere un po’ frastornati: la comprensione della catastrofe della chiesa conciliare, la comprensione del disastro della medicina moderna, la comprensione della Necrocultura, la comprensione del ritorno del sacrificio umano non solo solo temi che potete trovare su Renovatio 21: sono questioni che sono ad un passo dal divenire mainstream. Se non è questo un momento per essere speranzosi, quale lo sarà? Roberto Dal BoscoGIBSON: “I have three friends. All three of them had stage four cancer. All three of them don’t have cancer right now at all.”
ROGAN: “What did they take?” GIBSON: “Ivermectin, Fenbendazole” pic.twitter.com/onLx5bvDcG — Chief Nerd (@TheChiefNerd) January 10, 2025
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Pensiero
Storia delle bandiere rosse e nere nei movimenti di liberazione dell’America Latina
Renovatio 21 pubblica questo saggio sulla storia dei colori nero e rosso nel contesto politico latinoamericano. Il cromatismo rosso e nero, come noto, è espresso ancora oggi in tutto il mondo: nere e rosse sono le bandiere dell‘insieme di casseur goscistidettiAntifa, così come, teoricamente all’opposto nello spettro ideologico, sono rossonere le bandiere dei cosiddetti «nazionalisti integralisti» ucraini (o banderisti, o ucronazisti) più vivi che mai grazie alla spinta occidentale in senso antirusso. Ricordiamo pure che, en passant, i colori rosso e nero, che già per Stendhal avevano significato storico e metastorico, sono pure quelli di Renovatio 21, sia pure scelti con altri significati ancora.
Il divario tra la nascita di nuove idee e la loro effettiva realizzazione è in crescita e direttamente proporzionale al passare del tempo e allo stabilirsi di distanze geografiche sempre maggiori. La disparità tra la società in cui un’idea è stata concepita e la società in cui viene applicata può portare a un’interpretazione completamente diversa rispetto al suo significato originale. Date queste premesse, è quindi di fondamentale importanza sforzarsi di comprendere il significato originale all’interno del panorama in continua evoluzione delle comunicazioni globali che ci lascia con meno opportunità di approfondire il nostro mondo.
Un buon esempio può essere trovato nella storia e nel significato della bandiera rossa e nera nella lotta di liberazione in America Latina.
In Occidente i tre colori maggiormente utilizzati sono sempre stati il rosso, il bianco e il nero. L’introduzione al testo di Michel Pastoureau Rosso. Storia di un colore (2016) descrive come non solo nelle immagini ma anche nei vocabolari, la loro presenza dall’antichità ad oggi è sempre stata predominante, con una fortissima preminenza del rosso.
Stefano Zuffi ne I colori nell’arte (2013) spiega come durante il medioevo questi tre colori divennero i tre poli intorno ai quali ruotavano tutti i sistemi simbolici. Nell’immaginario cristiano, in particolar modo, i colori rosso e nero vennero usati assieme per evocare le suggestioni dell’inferno e il rosso in particolare si conquistò il ruolo di riconosciuto contrario del bianco grazie al suo simboleggiare la forza, l’energia, la vittoria e il potere.
In epoca moderna durante la Rivoluzione francese il bianco dell’aristocrazia venne affiancato dai colori blu e rosso, i colori della città di Parigi, nell’atto di simboleggiare la sottomissione della nobiltà alla città borghese. In seguito, quei colori divennero rispettivamente il simbolo della Repubblica e della lotta contro le ingiustizie ma anche della libertà, uguaglianza e fraternità.
Il colore rosso diverrà successivamente il simbolo delle lotte parigine del ’48, della Comune parigina del ‘78 e quando verrà utilizzato anche per la rivoluzione bolscevica nel 1917 si approprierà del significato diventando simbolo principe della lotta comunista al capitalismo.
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La bandiera nera invece può essere ricondotta a Bakunin e al suo proselitismo a favore delle sue idee tendenti al caos e al nichilismo. Nella sua visione del mondo immaginava una rivolta contro lo stato costituito paragonata, a sua volta, alla rivolta di satana verso la supremazia del potere del paradiso. Attraverso le internazionali socialiste di metà 1800 si inizierà a vedere sventolare la bandiera nera inneggiante il movimento anarchico.
Il primo esempio verificato di utilizzo della bandiera rossonera simboleggiante l’unione dell’ideologia anarchica con la lotta socialista, fu quello di Malatesta assieme a Cafiero che la esposero in seguito all’assalto di Letino.
Secondo l’opera Occhiacci di legno (1998) dello storico italiano Carlo Ginzburg, nel corso della storia movimenti e personaggi politici si sono appropriati di simboli e miti per i propri scopi. Ginzburg, ad esempio, ha discusso del riutilizzo politico dei miti, evidenziando la combinazione di propaganda e manipolazione nascosta come strumenti per plasmare l’opinione pubblica: «Bakunin e i gesuiti, sebbene ideologicamente diversi, adottarono entrambi strutture gerarchiche e obbedienza assoluta nelle loro organizzazioni. Questi esempi dimostrano come gli attori politici, guidati dai propri programmi, manipolino simboli e narrazioni per portare avanti i propri obiettivi».
Sulla base del lavoro di Donald Hodges Intellectual Foundations of the Nicaraguan Revolution (2014), dopo il Congresso anarchico tenutosi a Londra nel 1881, l’anarco-comunismo emerse come l’ideologia dominante all’interno del movimento anarchico internazionale. L’anarco-sindacalismo, una fusione di anarchismo e sindacalismo che ebbe origine in Francia durante gli anni Novanta dell’Ottocento, si diffuse rapidamente in Spagna e alla fine attraversò l’oceano.
Gli ideologi spagnoli d’avanguardia associati ad organizzazioni come CNT (Confederazione Nazionale del Lavoro), IAT (Associazione Internazionale dei Lavoratori) e FAI (Federazione Anarchica Iberica) hanno svolto un ruolo cruciale nell’adattare l’anarco-comunismo al mondo industrializzato e hanno sottolineato l’importanza dei sindacati come punto focale della lotta di classe e nucleo per stabilire un nuovo ordine sociale. Giunto nelle Americhe, trovò terreno fertile nelle maggiori città industriali degli Stati Uniti e soprattutto nel Messico rivoluzionario, grazie soprattutto all’opera di Ricardo Flores Magon.
La Confederazione Nazionale del Lavoro (CNT), il primo esempio istituzionalizzato di anarcosindacalismo, fu fondata nel 1910 e arrivò successivamente nel Messico rivoluzionario, dove nel 1912 fu fondata la Casa del Obrero Mundial (COM).
Secondo l’INEHRM, Istituto Nazionale di Studi Storici delle Rivoluzioni del Messico, le fonti indicano che la bandiera rossa e nera era sconosciuta in Messico fino al 1° maggio 1913, quando la Casa del Obrero Mundial (Casa del Lavoratore del Mondo) venne esposta una bandiera rossa con una striscia nera. L’attivista Jacinto Huitrón sostiene addirittura di aver introdotto lui stesso il simbolo al proletariato internazionale.
Nel 1921, una bandiera rossa e nera fu posta nella Cattedrale Metropolitana in occasione della commemorazione del 1° maggio. In risposta, il governo di Álvaro Obregón proibì l’esposizione di stemmi e simboli che contraddicessero «l’insegnamento nazionale» negli edifici pubblici.
Anche se l’intervento del governo non è riuscito a sradicare la bandiera rossa e nera, ha portato all’incorporazione della bandiera messicana nelle espressioni pubbliche del movimento operaio, senza causare un conflitto tra nazionalismo e internazionalismo. Nel simbolismo della Casa del Obrero Mundial messicana, la fascia rossa rappresentava la lotta economica della classe operaia contro le classi dominanti, mentre la fascia nera simboleggiava la loro lotta insurrezionale per la liberazione.
L’opera di Neill MacAulay The Sandino Affair (1998) racconta come la bandiera rossonera incontrò Augusto Cesar Sandino nel Messico post-rivoluzione a Tampico.
Figlio di un proprietario terriero fervente liberale, fuggì dal Nicaragua dopo aver manifestato le sue idee politiche antimperialiste. Dopo un lungo girovagare trovò un lavoro stabile nella zona di Tampico, importante centro petrolifero molto vicino geograficamente e culturalmente agli Stati Uniti. Lavorò in un centro di estrazione petrolifero per alcuni anni e prese parte ai grandi movimenti sindacalisti della città. Cominciò a frequentare diversi circoli culturali e sperimentò idee anche molto eterogenee tra loro: dall’anarchismo magonista alla massoneria, dalla teosofia allo yoga.
Al suo ritorno in Nicaragua, dopo aver fomentato una rivolta di minatori in una miniera dove aveva trovato impiego, iniziò ad aggregarsi alla lotta dei liberali contro i conservatori appoggiati dagli Stati Uniti. Non aderì al compromesso tra le fazioni in guerra e cominciò una guerriglia nelle montagne utilizzando la bandiera rossonera dei lavoratori anarchici come suo vessillo. In un secondo viaggio in Messico, in cerca di fondi per la sua causa, incontrò le idee spiritiste di Joaquin Trincado e divenne un adepto della sua Escuela Magnetico-Espiritual de la Comuna Universal.
Al ritorno nelle montagne del Nicaragua cominciò a mettere in pratica la sua particolare interpretazione del mondo attraverso una disciplinatissima visione patriottica fondata sull’identità culturale indigeno-spagnola e votata alla lotta antimperialista. Quando divenne condottiero di uomini nelle giungle delle montagne nicaraguensi non si separò più dalla bandiera che per lui rappresentava la difesa dei lavoratori della classe subalterna.
La propensione ad un comunismo utopico di Sandino derivava probabilmente dall’eredità culturale familiare liberale di piccoli proprietari terrieri e dall’idea di una società fondata sulla fraternizzazione e sulla comunizzazione proposta da Trincado ne Los cinco amores (1963) e vicina a Pëtr Alekseevič Kropotkin in Il mutuo appoggio: un fattore dell’evoluzione (1902).
Alla morte di Sandino i reduci del suo esercito confluirono nella Legione Caraibica dove l’istruttore Alberto Bayo, militare della Repubblica spagnola sconfitta da Franco, ne raccolse le testimonianze orali e successivamente scrisse un manuale sulla guerriglia dedicato al nicaraguense.
Attraverso le sue interazioni con i sopravvissuti dell’esercito di Sandino, che erano riusciti a fuggire in Costa Rica, Bayo diventò il custode delle loro storie ed esperienze. Tra i suoi contributi degni di nota ci fu la pubblicazione di un manuale sulla guerriglia intitolato 150 preguntas a un guerrillero (1955) tradotto in Italia come Teoria e pratica della guerra di guerriglia. 150 consigli ai guerriglieri.
Questa guida completa divenne ampiamente riconosciuta e venerata come una risorsa preziosa, fungendo da riferimento pratico per coloro che erano impegnati in attività rivoluzionarie. Il manuale di Bayo, permeato dello spirito dell’indomabile resistenza di Sandino, occupò un posto speciale nel cuore di coloro che furono coinvolti nella lotta per la liberazione. Era dedicato ai gloriosi guerriglieri emersi dalla scuola immortale di Sandino, riconoscendo a Sandino lo status di eroe venerato su scala globale.
Attraverso i suoi meticolosi sforzi per documentare e diffondere l’eredità della resistenza del leader nicaraguense, Bayo ha svolto un ruolo cruciale nel preservarne la memoria e i principi. Il suo lavoro non solo ha dotato i rivoluzionari di conoscenze tattiche, ma ha anche perpetuato lo spirito di Sandino, ispirando le generazioni future a lottare per la giustizia e la liberazione nonostante le avversità.
Fu Bayo nel ’56 in Messico ad esercitare gli esuli cubani di Castro e a trasmettere le tattiche militari e il mito del sacrificio patriottico di Sandino. Castro diventò presidente di Cuba ed incarnò il mito della rivoluzione vittoriosa del ventunesimo secolo. L’enorme esposizione mediatica che ne ricevette, in un periodo di grande contrasto globale per la guerra fredda in atto, trasformò l’esempio di Cuba in un nuovo paradigma che tenterà di venire replicato in un notevole numero di occasioni.
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La bandiera rossonera del sindacalismo anarchico diventerà attraverso il Movimiento 26 de Julio di Castro uno dei simboli dei movimenti rivoluzionari marxisti in America Latina.
In rapida successione dall’arrivo di Castro all’Avana, dal ’59 in poi, si avranno movimenti replicati in serie lungo tutto l’arco andino: Venezuela (1960), Nicaragua (1961), Perù (1962), Bolivia, (1963), Colombia, (1964), Cile (1965), Panama (1970) e nell’Angola sovvenzionato da Cuba (1975).
La rivoluzione cubana ebbe un debito fortissimo con l’operato di Sandino ma gli ideali che vennero realmente trasmessi furono l’esempio di lotta patriottica contro l’imperialismo statunitense e la ricostruzione a partire dalla dignità di razza indigeno-spagnola, una base riutilizzata in chiave marxista dai futuri movimenti rivoluzionari latino-americani. Non rimase traccia invece del pensiero spirituale di Sandino, suo vero motore ideologico. I movimenti rivoluzionari seguirono uno schema molto simile a quello proposto da Castro a Cuba, ma nessuno ebbe però altrettanta fortuna tranne, fatalità, quello dei Sandinisti in Nicaragua.
Nel 1959 Il pupillo di Bayo, Ernesto «Che» Guevara, aveva organizzato un’invasione del Nicaragua dando vita al Movimiento 21 de Setembro. L’invasione fallì ma uno dei partecipanti, il nicaraguense Daniel Fonseca, portò avanti la lotta cominciando a recuperare gli scritti di Sandino.
Ignorò, anche lui, la parte più spiritista, mantenne l’ideale politico più vicino all’esperienza rivoluzionaria cubana e fondò nel 1961 un nuovo movimento di liberazione nazionale ispirato a Sandino, il Frente Sandinista de Liberacion Nacional (FSNL). Che Guevara era diventato il tramite tra l’eredità orale di Bayo e il lavoro testuale di Fonseca, la stessa bandiera rossonera divenne di nuovo simbolo di un movimento di liberazione nazionale ma anche in questo caso il significato aveva mutato inquadramento ideologico.
L’estrema destra messicana e il complotto giudeo-massonico emergono nelle opere di Traian Romanescu, come La Gran Conspiración Judía pubblicata a Città del Messico nel 1961, e Traición a Occidente. Entrambe le copertine del libro, Traición a Occidente e un’altra opera intitolata Amos y esclavos del siglo XX, presentano un disegno grafico distinto: una divisione dei colori rosso e nero in due fasce, con il titolo del libro in bianco al centro.
Questa scelta grafica deliberata non può essere liquidata come casuale, poiché racchiude in sé il concetto di lotta di liberazione nazionale, unendo uno spirito combattivo che trascende le affiliazioni politiche che possono essere percepite come contrastanti con quelle viste finora. Si ritiene che Traian Romanescu, una figura spesso menzionata nei resoconti storici, non sia mai esistito e fosse semplicemente uno pseudonimo.
Scavando più a fondo in questa intrigante narrazione, ci imbattiamo nel nome Carlos Cuesta Gallardo, che non solo ha svolto un ruolo significativo come uno dei fondatori dell’Università Autonoma di Guadalajara, ma aveva anche legami con un’organizzazione clandestina di estrema destra nota come Tecos.
Tuttavia, non è solo il suo coinvolgimento in queste imprese a suscitare curiosità, ma piuttosto un fatto storico che fa luce sulle sue attività in quel periodo. È noto che Carlos Cuesta Gallardo intraprese un viaggio nella Germania nazista, dove cercò di stabilire legami con il movimento nazionalsocialista tedesco. Questa mossa solleva domande e speculazioni sulla natura della sua visita e sull’accoglienza che ha ricevuto. È ragionevole supporre che gli siano state riservate attenzioni e considerazioni particolari, vista l’importanza che Adolf Hitler attribuiva al Messico per la sua immediata vicinanza agli Stati Uniti d’America.
L’intreccio tra la presenza di Carlos Cuesta Gallardo nella fondazione dell’università, il suo coinvolgimento con la società segreta Tecos e le sue interazioni con il regime nazionalsocialista in Germania aggiungono strati alla storia enigmatica che circonda la presunta inesistenza di Traian Romanescu. Questi collegamenti storici e le loro implicazioni alimentano il dibattito e gli intrighi in corso che circondano questo argomento a Guadalajara.
La corrente cristiana di sinistra chiamata teologia della Liberazione, sviluppatasi in seguito al Concilio Vaticano II, si schierò a favore della rivoluzione. La vittoria finale si ottenne solamente con la popolazione cristiana che aderì in massa all’organizzazione rivoluzionaria allo scopo di mettere fine alla dittatura della famiglia Somoza. Ma Sandino, quando era ancora in vita, voleva diventare, invece, il riassunto del pensiero proposto da Trincado: «l’uomo completo […] il comunista-spiritista».
L’immagine che verrà riproposta di Sandino durante la Rivoluzione sandinista non terrà mai conto di questo aspetto che invece fu sempre una delle variabili scatenanti della sua volontà di azione. A maggior ragione non venne mai diffuso il feroce anticlericalismo che aveva assorbito e fatto suo dalla lettura dei testi di Trincado. La trasmissione della storia di Sandino divenne, per omissione, una menzogna politica orchestrata con l’obiettivo di creare un mito fondatore che potesse legittimare l’operato dei rivoluzionari.
Tomás Borge, fondatore dell’FSLN, poeta e guerrigliero, scrive in uno dei suoi libri: «i cristiani autentici credono che l’uscita dalla tomba non si riduca al semplice ritorno alla vita, ma comprenda un processo di rinascita e trasformazione. Ed è per questo motivo che si realizza l’integrazione del cristianesimo liberazionista con la rivoluzione all’interno della nostra rivoluzione nazionale: «Per lottare per la pace, Compagni cristiani, dobbiamo essere pronti a impegnare la nostra stessa vita. Dobbiamo essere pronti a dichiarare senza esitazione: Patria libera o morte».
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Borge, un appassionato comunista e devoto seguace di Castro, abbracciò con tutto il cuore la crescente ondata di fervore religioso, rendendosi conto del ruolo fondamentale che le masse cristiane giocavano nella realizzazione degli obiettivi della rivoluzione. Nella sua astuta comprensione, riconobbe che la fusione della rivoluzione comunista e della teologia della liberazione non solo era compatibile ma si rafforzava anche a vicenda.
Durante gli anni del Sandinismo al potere, Daniel Ortega fu prima rappresentante nella Junta de Gobierno de Reconstrucción Nacional, organo di governo transitorio, e in seguito vinse le elezioni del 1984 diventando Presidente del Nicaragua. Nel 1990 vennero indette nuovamente le elezioni e ne uscì sconfitto dalla coalizione UNO, capitanata da Violeta Chamorro, sostenuta dagli ambienti favorevoli al ritorno di una politica vicina al mondo statunitense. Dopo la sconfitta, Ortega rimase all’opposizione fino al 2006 quando riuscì ad ottenere una importante vittoria elettorale e a riportare la sua bandiera rosso nera al governo.
La visione politica di Ortega si dimostrò decisamente differente rispetto a quella del suo primo mandato negli anni rivoluzionari. Assieme alla sua compagna Rosario Murillo, avversaria politica del prete e poeta Ernesto Cardenal, Ministro della cultura all’epoca della rivoluzione e principale esponente della teologia della liberazione in Nicaragaua, cominciò un avvicinamento ai rappresentanti della destra cristiana e agli interessi della classe imprenditoriale nicaraguense. Il cardinale Miguel Obando y Bravo, uno dei maggiori avversari dei Sandinisti all’epoca della rivoluzione, officiò il loro matrimonio nel 2005, l’anno delle elezioni vinte. Da molti osservatori quell’occasione venne vista come l’accordo di Ortega con i poteri filostatunitensi.
Nel giorno 22 dicembre 2014, Ortega aprì la cerimonia dell’inizio del cantiere che avrebbe portato alla costruzione di un canale interoceanico grazie alla concessione dell’appalto ad un fondo di investimenti cinese. Questa operazione diede il via a una enorme ondata di proteste antigovernative indirizzate, paradossalmente, a liberare il Nicaragua dal Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale.
Il nuovo canale interoceanico non vide mai l’inizio dei lavori e il miliardario cinese Wang Jing, a capo del Hong Kong Nicaragua Development Corporation (HKNDC) finì per chiudere la compagnia per bancarotta.
Come descritto nell’opera di Russell White Nicaragua Grand Canal (2015), la famiglia Ortega è stata accusata di utilizzare il progetto del Canale come mezzo per consolidare il proprio potere politico. Similmente alla dinastia Somoza, la famiglia Ortega ha acquisito un controllo significativo sulle infrastrutture commerciali del Nicaragua e ha ricevuto aiuti dal Venezuela per acquistare aziende locali.
L’approfondimento della parabola della bandiera rosso nera vuole mostrare come il significato, insito nel simbolo utilizzato come schema aggregante nelle diverse situazioni descritte, cambi ad ogni passaggio. L’appropriazione di Sandino della bandiera del sindacalismo anarchico come suo vessillo porterà alla trasmissione della stessa con significati sempre differenti.
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La morte di Sandino nel ’34 creò un martire e in seguito i suoi reduci riunitesi nelle Legione caraibica consentirono a Bayo di apprendere le storie di Sandino direttamente dai loro racconti orali. La distanza venutasi a creare con la morte di Sandino venne in aiuto a Castro nel costruire il mito fondativo della bandiera rosso nera inneggiante al M 26 7, il movimento dal quale la Rivoluzione cubana ebbe inizio. Il ritorno della figura di Sandino in Nicaragua avvenne soprattutto attraverso l’influenza culturale del movimento cubano.
Il lavoro sui testi fatto da Fonseca, infine, lo cristallizzò spogliato della sua profondità più spirituale ma in una forma più utile politicamente a coagulare al suo interno le correnti presenti nella popolazione. L’ulteriore sconvolgimento del significato della bandiera è in atto ancora oggi con il governo di Ortega che dimostra di aver riportato il Nicaragua vicino al punto contro il quale aveva combattuto da giovane.
Il mito fondativo di Sandino campeggia presente ovunque in Nicaragua anche se ormai il suo significato è stravolto.
Scriveva Tacito: «Fingunt, simul creduntque». Fingono, «hanno immaginato o hanno costruito?», ma al tempo stesso ci credono. L’importanza del saper mantenere il controllo sul popolo dopo aver vinto una rivoluzione passa attraverso anche i simboli aggregatori che lo fanno diventare il più possibile coeso verso un obiettivo comune.
Maggiore sarà la distanza dall’origine del significato utilizzato come mito, più difficile sarà riuscire a verificarne la veridicità. In questo modo il racconto politico che ne deriverà potrà sempre utilizzare il mito fondatore, la bandiera rosso nera o Sandino stesso, nel modo che si dimostrerà più utile e adatto alla situazione.
Coloro che guidano il popolo e che hanno la responsabilità di traghettare un’intera nazione, come in questo particolare esempio centramericano, hanno per primi l’obbligo di credere alla costruzione della loro stessa menzogna per poterla trasmettere con sicurezza.
Marco Dolcetta Capuzzo
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Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia.
Pensiero
Dugin parla di rivoluzione nella destra americana
I hope they lift sanctions in 2025 on me. I want to visit US. There are many good friends there. I enjoy bro-revolution and right woke turn. Very curious about new saeculum and First Turn.
— Alexander Dugin (@AGDugin) January 4, 2025
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