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Storia

Le origini ucronaziste della vicepremier del Canada, alta dirigente del World Economic Forum

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Lo scandalo della standing ovation riservata dalla Camera dei Comuni canadese e dal governo Trudeau – ospite il presidente ucraino Zelens’kyj – al veterano delle SS Yaroslav Hunka non cessa di destare scandalo ed imbarazzo.

 

Tuttavia, nel clamore e nella vergogna, c’è un personaggio centrale di questa storia – è fotografata mentre si spella le mani applaudendo dietro al premier canadese e al suo ospite – che sta spiccando per il suo silenzio: parliamo, ovviamente diChrystia Freeland, vice primo ministro canadese.

 

La Freeland conosce la popolazione ucraino-canadese (molti ucraini sono riparati in Nordamerica alla fine della Seconda Guerra Mondiale) meglio di qualsiasi altro politico, ed è considerata più vicina a Zelens’kyj, con cui parla in ucraino, di chiunque altro a Ottawa.

 

Varie testate dicono che il nonno ucraino della Freeland lavorava per i nazisti. Era l’editore del giornale Krakivski Visti («Notizie su Cracovia») che nel 1943 pubblicò l’appello del Comitato Centrale Ucraino (UCC) affinché gli ucraini si unissero alla divisione Waffen-SS – e Hunka scrive di essersi unito sulla base delle istruzioni dell’UCC.

 

La Freeland da parlamentare canadese si era unita nel 2014 alla manifestazione di Piazza Maidan a Kiev che portarono al colpo di Stato.

 

Ora vicepremier, la Freeland dice che suo nonno Mykhailo Khomiak (che avrebbe anglicizzato il suo nome in Michael Chomiak una volta emigrato in Canada) sapeva che i russi sarebbero arrivati ​​nel 1939, quindi ha pensato di andarsene per poter lavorare per un’Ucraina democratica.

 

La vicepremier non menziona che il nonno era partito per il quartier generale nazista a Cracovia, dove fu assunto per dirigere il Krakivski Visti, la voce pubblica non ufficiale dell’UCC. Lavorò per il propagandista nazista Emil Gassner, che riferiva al famigerato governatore generale nazista in Polonia Hans Frank, poi giustiziato a Norimberga per i suoi crimini di guerra.

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L’accademico canadese professore di storia e geografia ucraina Lubomyr Luciuk, spiega che «il ministro Freeland è stato messo alla berlina per la cattiva condotta non dimostrata in tempo di guerra di suo nonno, un redattore di Krakivski Visti». «Anni fa, un altro giornalista mi disse che i redattori del giornale non avevano alcuna affinità con gli obiettivi nazisti ma usavano le loro posizioni per sostenere la resistenza ucraina» continua Luciuk.

 

Tuttavia, EIRN riporta come il 18 giugno 1941, quattro giorni prima dell’invasione nazista dell’Unione Sovietica, il giornale pubblicò l’articolo «Il problema ebraico in Ucraina», dove si apprende che gli ebrei trasformano gli ucraini in alcolizzati, «hanno benedetto gli abitanti degli altipiani di Verkhovina con la sifilide e li hanno resi schiavi».  Il pezzo «profetizzava» che «gli ebrei sarebbero stati schiacciati come un mucchio di vermi parassiti». Le liquidazioni di massa degli ebrei ucraini iniziarono 12 giorni dopo.

 

Il 22 giugno 1941, il giorno dell’invasione, pubblicò «In quest’ora significativa», di Volodymyr Kubijovych, capo del Comitato Centrale Ucraino:

 

«Il 22 giugno 1941 è un giorno di enorme importanza, in quanto segna una svolta tanto attesa nella nostra storia. Su ordine del Führer del grande popolo tedesco, le sue forze armate si sono avviate verso l’Est, dirette verso quel regno delle tenebre e della degenerazione ebraico-bolscevica».

 

15 luglio 1941: mentre le uccisioni di massa si diffondono in tutta l’Ucraina, l’articolo «All Juda» spiegava che «la depressione del dopoguerra [la prima guerra mondiale] fu il risultato dei piani e degli intrighi degli ebrei. Anche se la colpevolezza degli ebrei era stata dimostrata e resa chiara a tutti, nessuno riusciva a pensare a un modo radicale per rimuovere una volta per tutte quella causa intrinseca dei passati fiaschi catastrofici. Molto recentemente, il Cancelliere Adolf Hitler ha delineato un chiaro programma d’azione riguardo al problema ebraico… Questa guerra significherà una catastrofica caduta di Giuda come distruttore del sistema mondiale».

 

27 luglio 1941, articolo, «La macchia di sangue di tutti gli ebrei»: «Un colpo letale è stato inferto agli ebrei del mondo. I “cavalieri di Gerusalemme” con il naso adunco e le orecchie pendenti… ricevono oggi la loro giusta ricompensa. Il destino degli ebrei in Ucraina e in tutta Europa è stato rivisto una volta per tutte».

 

6 novembre 1941: dopo quattro mesi di uccisioni di massa: «oggi a Kiev non ne è rimasto nemmeno uno, mentre sotto i bolscevichi ce n’erano 350.000». Gli ebrei «hanno avuto la loro punizione».

 

Chomiak ha pubblicato anche alcuni brani della serie di Julian Tarnovych «Fuori dalle grinfie di Satana», in cui gli ebrei venivano regolarmente definiti «mafia yid» («ebraica, ndr), «bastardi», «feccia marcia», «bacilli», «marmaglia», «nido di ebrei striscianti» e «mucchio di vermi che si contorcono».

 

Non mancherebbe prove del ruolo di Chomiak nell’incitamento all’odio razziale cieco. Non è chiaro se Luciuk sappia cosa troverebbe o se si sia preso la briga di guardare. Nel 1944, con l’avvicinarsi dell’esercito sovietico, Gassner portò Chomiak a Vienna per continuare a pubblicare. Chomiak partì con l’esercito nazista in ritirata nel 1945, arrendendosi agli americani in Baviera.

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Fu collocato con la sua famiglia in una speciale struttura dell’Intelligence militare statunitense e nel maggio 1948 i Chomiak si trasferirono in Canada. Divenne l’editore del giornale cattolico di Edmonton. Sua figlia era la madre di Chrystia Freeland.

 

La Freeland, che ora è alto dirigente del World Economic Forum, quando viene menzionato il passato di suo nonno, urla pavlovianamente alla «disinformazione russa!» I peccati di suo nonno non devono ricadere su di lei, certo.

 

Tuttavia la storia è strana: guarda che coincidenza, sembra proprio lei ad applaudire questo 98enne veterano che, hanno detto, aveva combattuto la Russia nella Seconda Guerra Mondiale. Visto che Gran Bretagna e USA per la maggior parte della guerra sono state alleate dalla Russia, chi mai può essere un uomo che ha lottato contro l’armata rossa? Questa semplice, logica domanda, pare che i vertici di un Paese del G7 non se la siano posta…

 

Al contempo, tuttavia, c’è la storia, parallela, del nonnino…

 

La vicepremier  si era presentata ad una manifestazione filoucraina di piazza con una sciarpa rossonera tipica degli ucronazisti.

 

La Freeland, già fra gli architetti del congelamento dei conti correnti dei dissidenti durante la protesta dei camionisti anti-vaccino, è conosciuta per il suo coinvolgimento ravvicinato nel World Economic Forum, dove ha un ruolo diretto nel consiglio di fondazione.

 

Documenti canadesi emersi l’anno scorso rivelerebbero il piano di usare il COVID per portare avanti l’agenda del WEF.  Le strane entrature del WEF nella sanità canadese durante il COVID sono state denunciate dal neopremier dello Stato Canadese dell’Alberta Danielle Smith.

 

Come riportato da Renovatio 21, i legami del nazionalismo integralista ucraino con la CIA e con i servizi segreti inglesi sono noti da decenni.

 

All’ultima edizione del WEF a Davos, la Freeland in una tavola rotonda del World Economic Forum a Davos ha chiarito che guerra dell’Ucraina contro la Russia è necessaria per rilanciare l’economia globale.

 

«Non si tratta di fare un favore all’Ucraina. Ciò di cui stiamo parlando, fornendo armi all’Ucraina, come ha sottolineato in modo molto cruciale il presidente Zelens’kyj, fornendo all’Ucraina i soldi di cui ha bisogno per vincere la guerra, è in definitiva nel nostro stesso interesse».

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Immagine di World Economic Forum via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)

 

 

 

 

 

 

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Storia

Documenti CIA rivelano la ricerca segreta di Hitler negli anni ’50

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Secondo i documenti recentemente desecretati, la CIA ha condotto una ricerca segreta di Adolf Hitler in Sud America per un decennio dopo la sua presunta morte. Lo riporta il Washington Post.   I documenti, risalenti al periodo compreso tra il 1945 e il 1955 e pubblicati dalla CIA negli ultimi anni, sono stati analizzati dal WaPo questa settimana, e dimostrano che gli agenti sul campo sospettavano che lo Hitler potesse essere fuggito in Sud America sotto falso nome, nonostante l’agenzia disponesse di un rapporto autoptico che ne confermava la morte.   Secondo i documenti dell’MI5, Hitler e la sua compagna Eva Braun, che aveva sposato il giorno prima, si suicidarono il 30 aprile 1945 nel suo bunker di Berlino per evitare la cattura. I loro corpi, parzialmente carbonizzati, furono poi ritrovati dai soldati sovietici fuori dalla Cancelleria del Reich. Eppure, gli agenti della CIA hanno continuato a seguire piste fino alla metà degli anni Cinquanta.

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Un dossier del 1945 affermava che agenti del Dipartimento della Guerra statunitense avevano riferito all’FBI che un hotel termale a La Falda, in Argentina, era stato allestito come potenziale nascondiglio. I proprietari dell’hotel, che avevano donato fondi al capo della propaganda Joseph Goebbels, avevano stretti legami con Hitler.   L’Intelligence statunitense riteneva che avessero predisposto «tutti i preparativi necessari» per dare rifugio allo Hitler dopo la sconfitta della Germania nella Seconda Guerra Mondiale.   Un altro documento dell’ottobre 1955 includeva la foto di un uomo, presumibilmente Hitler, seduto con un amico in Colombia. L’immagine è riprodotta in testa all’articolo. L’uomo, che si faceva chiamare Adolf Schüttelmayor (o Schüttelmayer), avrebbe lasciato la Colombia per l’Argentina nel gennaio 1955.   La CIA autorizzò brevemente un’indagine sui trascorsi dello Schüttelmayor, ma in seguito la abbandonò, osservando che «si sarebbero potuti compiere enormi sforzi su questa questione, con remote possibilità di stabilire qualcosa di concreto».   Secondo quanto riportato dal giornale di Washington, nessun altro documento della CIA reso pubblico lascia intendere che gli agenti abbiano continuato a cercare lo Hitler dopo il 1955.  
    Le rivelazioni giungono mentre l’Argentina, ben nota nel dopoguerra come nascondiglio dei fuggitivi nazisti, si prepara a declassificare i documenti governativi relativi a coloro che vi trovarono rifugio dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il clamore intorno alla manovra del presidente argentino Milei – prossimo alla conversione all’ebraismo – ha creato varie fake news sulla materia, ripropagate da improvvisati canali social distributori di sensazionalismo.   Si ritiene che ben 10.000 criminali di guerra abbiano utilizzato le cosiddette «ratline» per fuggire dall’Europa. Circa la metà si sarebbe stabilita in Argentina, paese noto per la sua riluttanza ad accogliere le richieste di estradizione.   Tra loro c’erano Adolf Eichmann, uno dei principali artefici dell’Olocausto, e Josef Mengele, il famigerato medico di Auschwitz. Eichmann fu catturato dagli agenti israeliani nel 1960 e portato in Israele per essere processato e giustiziato nello Stato degli ebrei.   Il dottor Mengele sfuggì alla cattura e secondo quanto riferito morì in Brasile nel 1979, dopo aver subito un infarto mentre nuotava.   Complice la pratica della reductio ad Hitlerum, ossia la possibilità di squalificare l’avversario demonizzandolo come nazista, la figura del già pittore austriaco è ancora tremendamente presente nelle cronache attuali, con curiosi cortocircuiti.   È il caso di Amazon che ha dovuto ridisegnare il logo perché gli utenti vi avevano veduto il baffetto adolfista, mentre abbondano gli scandali per le dichiarazioni hitleriste del rapper afroamericano Kanye West. L’anno scorso vi fu scandalo quando un’immagine dello Hitlerro fu trasmessa dal megaschermo di uno stadio di Football americano in Michigan.

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Come riportato da Renovatio 21, un politico di nome Hitler è stato eletto in Namibia 4 anni fa. Un politico turco ha invece elogiato senza mezzi termini il cancelliere della Germania nazionalsocialista un anno fa, all’altezza delle continue reductiones ad Hitlerum praticate nei confronti del premier israeliano Beniamino Netanyahu dal presidente della Turchia Erdogan.   Il colmo vero tuttavia è arrivato quando un’agenzia di stampa internazionale è arrivata ad intervistare un combattente per l’Ucraina democratica (ai cui soldati è spesso richiesto di nascondere le simbologie di mostrine, stendardi e tatuaggi) che si è presentato con il nome di battaglia «Adolf».   Come riportato da Renovatio 21, al momento di lancio dei green pass durante l’Europa pandemica spuntò fuori uno intestato ad Adolf Hitler. Il quale, con tutto l’impegno assassino profuso, non era epperò riuscito a sottomettere l’Europa come ha fatto invece il COVID.   La sopravvivenza di Hitler in Amazzonia è al centro di una famosa barzelletta in cui il governo della Germania attuale, incapace di risolvere i problemi del presente, va a chiedergli di tornare per aiutare; Adolfo accetta però ponendo una condizione: «cattivi, stavolta!».  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia    
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Storia

Politica e storia in una domenica di fioritura del ciliegio in Giappone

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Domenica scorsa marzo a Kanazawa, i giardini Kenrokuen offrivano la vista degli ultimi fiori di pruno e dei primi fiori di ciliegio contemporaneamente, per la gioia dei molti visitatori giapponesi e stranieri.

 

L’atmosfera, piacevolissima nonostante il tempo uggioso, veniva però guastata da un grosso ingorgo nell’incrocio antistante la stazione, snodo nevralgico della piccola città del Giappone occidentale.

 

Lo stesso autista del bus su cui viaggiavo sembrava stupito, dalla radio di bordo echeggiavano le voci dei suoi colleghi che cercavano informazioni su quanto stesse accadendo.

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Nemmeno una rapida ricerca su internet forniva informazioni riguardo alla situazione, per cui, assieme agli altri viaggiatori, sono sceso dal bus di fronte al mercato di Omicho per raggiungere la stazione a piedi.

 

Giardini Kenrokuen, Kanazawa. Foto dell’autore

 

Il notevole schieramento di polizia e il frastuono di altoparlanti distanti mi ha subito chiarito la situazione: uyoku.

 

Questo è il nome (右翼、letteralmente «ala destra») con cui si definiscono i gruppi dell’estrema destra extraparlamentare giapponese, fautori di un nazionalismo filo-imperiale e ferocemente anticomunista.

 

Queste formazioni fanno ormai quasi parte del folklore locale giapponese: i loro furgoni neri o bianchi, su cui in genere è issata la bandiera imperiale, appaiono in genere in giro per le città in occasione delle festività nazionali. Dai loro assordanti altoparlanti escono perlopiù canti del periodo tra le due guerre (immaginate Faccetta nera in versione nipponica) e arringhe nazionaliste non troppo fluenti.

 

 

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Il giapponese medio li ignora a causa dell’aura di violenza che li circonda, alcuni dei gruppi sono notoriamente legati alla yakuza, ma la loro effettiva pericolosità è insignificante.

 

Una manifestazione che arriva a paralizzare un centro urbano é tutt’altro che comune, quindi mi sono chiesto quale fosse stata la causa scatenante e ho fatto una piccola ricerca sulle notizie locali: a mettersi in rotta di collisione con gli uyoku sono stati gli zainichi kankokujin (coreani residenti in Giappone dal periodo dell’annessione nipponica della penisola coreana), forse il principale problema irrisolto della società giapponese.

 

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale circa dei circa due milioni di coreani che si trovavano sul territorio giapponese (immigrati volontariamente o deportati come forza lavoro, a seconda dei casi e delle opinioni) non tutti rientrarono in Corea: circa 600.000 rimasero nell’arcipelago. La guerra di Corea e la conseguente divisione del Paese ha fatto sì che coloro rimasti in Giappone si trovassero in una sorta di limbo burocratico: privi di cittadinanza giapponese e senza un paese in cui ritornare.

 

 

Ci sono state indubbiamente discriminazioni nei confronti dei Coreani residenti in Giappone (i linciaggi di massa in occasione del grande terremoto del Kanto nel 1923 sono forse la pagina più nera di questa vicenda) ma molti di loro sono riusciti a integrarsi pur mantenendo la propria identità – un esempio su tutti: il visionario miliardario Masayoshi Son.

 

Non si può negare come la presenza coreana sia significativa anche nel crimine organizzato giapponese e nelle aree grigie che vi gravitano attorno, su tutte l’industria del Pachinko, incrocio tra flipper e slot-machine che riempi le sale giochi nipponiche.

 

Le associazioni di zainichi kankokujin hanno fatto molto perché le discriminazioni cessassero, ma alcune di esse, manovrate politicamente da ambo le Coree, scelgono un atteggiamento apertamente antagonistico e a volte provocatorio nei confronti della nazione in cui vivono.

 

E arriviamo al caso di Kanazawa: l’unione dei Coreani residenti in Giappone (在日本大韓民国民団 , Mindan) ha deciso di installare nella città una lapide in memoria di Yun Bong Gil, un attivista coreano che nel 1932 a Shanghai uccise due ufficiali dell’esercito giapponese in un attentato esplosivo. Dopo l’arresto venne traslato in Giappone e fucilato a Kanazawa.

 

 


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Dopo l’annuncio del progetto da parte del Mindan, lo scorso 4 marzo un cinquantenne affiliato ad un’organizzazione uyoku ha schiantato la sua auto contro la sede dell’associazione coreana, senza che ci siano state vittime.

 

Da allora si susseguono le proteste, ed è facile immaginare che proseguiranno ancora a lungo.

 

Spiace che strumentalizzazioni politiche di questo tipo avvengano proprio in un momento storico in cui sembrerebbe che la pacificazione tra giapponesi e coreani del Sud stia avvenendo spontaneamente, dal basso. I turisti coreani sono infatti i più numerosi anche nel bel mezzo dell’attuale affluenza record di viaggiatori da tutto il mondo, mentre la popolarità di musica, cibo e serie televisive coreane in Giappone è ai massimi di sempre.

 

Auspicabilmente il buon senso popolare l’avrà vinta su chi semina discordia per i propri fini.

 

Taro Negishi

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Storia

Storia del Darien Gap, fulcro tra le Americhe tra guerriglia, droga e immigrazione

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Il 4 aprile 1928 Daniel McLeod senatore del Michigan aveva presentato alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti d’America un progetto rivoluzionario.   L’idea era quella di costruire una enorme strada che avrebbe messo finalmente in comunicazione le capitali delle tre Americhe. All’unanimità era stato votato favorevolmente uno studio di fattibilità per la costruzione di una highway che avrebbe inizialmente unito gli Stati Uniti d’America al Messico e dai paesi del Centro America fino all’America del Sud.   In aggiunta a questo al prossimo Pan American Congress di Rio de Janeiro nel luglio del 1929 i delegati statunitensi avrebbero sostenuto l’ampliamento dal Canada fino all’Argentina in modo da connettere l’intero continente americano.

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La proposta venne votata favorevolmente con entusiasmo e all’unanimità dalla Camera. Il rapporto rimasto agli archivi da quella giornata a Washington rimarcava anche come l’infrastruttura sarebbe stata talmente d’eccezione che avrebbe permesso, vista la larghezza prevista, l’atterraggio di aeroplani.   Questa particolare capacità avrebbe aperto la strada ai piloti che avrebbero potuto autonomamente percorrere il continente in tutta sua lunghezza utilizzando la strada come supporto sicuro per l’atterraggio Il documento spiega molto bene lo spirito dell’epoca dove l’economia era più forte che mai e che a breve avrebbe sofferto di un enorme contraccolpo con la crisi del ’29.   Durante i successivi vent’anni vennero cominciati i lavori in tutto il continente. La parte dove si ottennero maggiori successi fu il collegamento tra gli States e il Messico dove i tempi di realizzazione vennero mantenuti e i lavori portati a termine.   Negli Stati del centro America si procedeva a rilento ma nonostante alcuni pezzi ritardarono la fine dei lavori il collegamento venne sempre garantito. Già in un articolo del 1953 venivano documentati tutti i miglioramenti e i relativi buchi da riempire per voler rendere praticabile il viaggio da Fairbanks in Alaska alla regione dei laghi in Cile. I tratti da completare erano ancora moltissimi.   Uno di questi in particolar modo al contrario degli altri non venne mai completato. Il tratto di strada che avrebbe dovuto unire Panama alla Colombia, e quindi congiungere l’America centrale con l’America del Sud.   Quel tratto di strada ancora oggi non è mai stato completato. Da Panama City la Panamericana prosegue per qualche centinaio di chilometri fino al villaggio di Yaviza, ultimo centro abitato raggiungibile da una all-weather road prima della giungla primaria.  
  L’ultimo tratto rimasto da completare, la regione del Darién, o Darién Gap, è un territorio estremamente selvaggio, montagnoso e solcato da innumerevoli tratti d’acqua. La conformazione geografica da sola rende estremamente difficoltoso il progetto e la realizzazione del tratto finale della strada americana. Ma la sua posizione geopolitica, storica, culturale sicuramente apporta un peso ancora maggiore sulla bilancia.   In seguito alla creazione coatta dello stato di Panama da parte degli Stati Uniti d’America ai danni della Colombia, il territorio che ha avuto nel suo grembo il canale più importante del mondo venne sempre mantenuto in costante osservazione da Washington.   La grande paura statunitense che la color line venutasi a creare dopo la conquista del Messico nel 1848 ponendo i confini sul Rio Grande, cedesse e creasse un’esondazione di profughi, rimaneva sempre viva e centrale nei pensieri politici della classe politica americana   Se l’America Centrale, per forza di cose, dovette sempre essere considerata una America più prossima agli States per questioni geografiche e culturali, quella del sud rimaneva più distante. Lo scoglio del Darién per tutte le popolazioni che cercavano rifugio nella federazione a stelle e strisce, rimaneva uno muro naturale molto difficile da superare.   Dagli anni in cui Panama, in seguito al trattato Carter-Torrijos firmato nel 1977, riacquisì una forma di indipendenza sul canale e quindi anche sul suo territorio, il centro America venne scosso da diversi terremoti politici.   Di lì a poco, nel 1981, Omar Torrijos dittatore di Panama, morì in un incidente aereo sulle montagne di Panama. Il potere venne preso dal generale Noriega, proxy della CIA, diplomato nella famosa Scuola delle Americhe che condusse il potere tra scandali di corruzione fino alla sua deposizione forzata da un commando statunitense. I Sandinisti presero il potere in Nicaragua scacciando Somoza dopo un quarantennio di onorato servizio al soldo di Washington.   Roberto D’Aubuisson, collega di Noriega alla Scuola delle Americhe, venne spinto al potere in Salvador con lo scopo di contenere il Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale (FMLN). Compito che svolse con zelante dedizione alla causa e violentissima applicazione concreta alla realtà.   Per controllare i Sandinisti, Bill Casey, direttore della CIA dal 1981 al 1987, organizzò un esercito paramilitare irregolare in Honduras con il nome di contrarrevolucionarios, conosciuti con il nome più famoso di Contras.   Il governo costaricense in seguito alla rivoluzione vittoriosa dei Sandinisti diede appoggio alla creazione di un fronte Sud per arginare la rivoluzione nicaraguense. Il celeberrimo comandante cero, il siciliano di sangue Eden Pastora, ribellatosi ai sandinisti poco dopo la presa del potere, creò in Costarica l’ARDE con l’obiettivo di opporsi politicamente e militarmente. Su tutti loro la il sempre presente pensiero di Cuba dava materiale a Langley per costruire cattedrali di supposizioni.

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Dai primi anni Ottanta in avanti, parallelamente a tutti questi sommovimenti della crosta geopolitica del continente americano, il consumo di cocaina prima e di crack successivamente nel mercato statunitense crebbe a livelli esponenziali. Con esso aumentarono in maniera direttamente proporzionale i voli aerei dalle Ande agli Stati Uniti d’America.   La tratta, dagli air strip andini alle coste meridionali degli States, non era percorribile con un solo viaggio. Da qualche parte, in mezzo tra il punto di partenza e quello di arrivo, qualcuno avrebbe dovuto organizzare forzatamente una sosta per fare rifornimento.   Oggi, il Darién Gap, rappresenta lo snodo principale dell’immigrazione massiva negli USA, aumentata esponenzialmente nell’era Biden. Pur essendo un sito di grande pericolo, a partire dal 2010 il Darién Gap si è trasformato in una delle vie migratorie più frequentate a livello globale, con un flusso di centinaia di migliaia di persone, per lo più provenienti da Haiti e dal Venezuela, dirette verso nord fino al confine tra Messico e Stati Uniti.   Nel 2022, gli attraversamenti registrati sarebbero stati 250.000, un numero nettamente superiore ai 24.000 del 2019. Nel 2023, il dato è più che raddoppiato rispetto all’anno precedente, superando i 520.000 migranti che hanno attraversato Darien.   Marco Dolcetta Capuzzo

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