Pensiero
Il governo Meloni sarà il governo della repressione?
Leggiamo con estremo interesse quello che scrive l’ex ministro Rino Formica, uomo che è appartenuto all’ultimo gruppo di politici di intelligenza unita all’ambizione che il Paese possa ricordare: i socialisti di Craxi.
Citiamo spesso la definizione, lucida e abissale, che Formica dà dell’ora presente: l’ascesa dello Stato-partito – la condizione del Paese, con lo Stato stesso che si presenta come forza politica, che puoi votare o avversare in toto, perché la fusione tra cosa politica e cosa amministrativa è oramai assoluta.
Il 92enne uomo della Prima Repubblica qualche giorno ha vergato un editoriale in cui porta ancora più avanti questo tipo di pensiero. Formica dice che il discorso di Draghi a Rimini, al Meeting ciellino, è di enorme importanza.
«Draghi quel giorno, al Meeting di Comunione e liberazione, ha aperto e chiuso la campagna elettorale (…) Draghi ha liquidato il partito degli amici di Draghi. Al Terzo polo ha detto in pratica “siete irrilevanti” (…) Al PD ha detto di non sbracciarsi “tanto non governerete”».
Ma l’uomo BCE avrebbe in realtà parlato direttamente alle destre date per vincitrici, in particolare a Giorgia Meloni.
«Alle destre ha detto “otterrete la maggioranza ma non illudetevi che questa sia una condizione di stabilità politica, anche voi dovrete fare i conti non con l’agenda Draghi, ma con il metodo Draghi”, cioè la capacità di mettere insieme la maggioranza con l’opposizione, cioè creare condizioni di basso conflitto perché solo così è gestibile un paese che ha una politica economica e sociale condizionata dall’Europa. “Nessuno stato potrà fare da solo”, ha detto Draghi».
Seguendo l’intuizione di Formica, Draghi si sarebbe offerto alla Meloni come «nuova figura giuridica-istituzionale che supera l’assetto costituzionale del Paese»: il Lord protettore.
«Il lord protettore è chi usa la legge perché egli stesso è la legge, dispone della forza perché egli è la forza, manipola le istituzioni perché è egli stesso le istituzioni, gode della fiducia del potere esteri perché è punto di riferimenti del potere sovranazionale».
«Questo è il lord protettore moderno, non un dittatore ma uno che dà l’orientamento, il consiglio. Per il lord protettore il Paese deve essere sereno, unito, deve superare le difficoltà economiche e sociali perché restare nella cabina di regia dell’impero».
L’ex ministro sta analizzando nel profondo una situazione che già ci figuriamo, e di cui già abbiamo scritto su Renovatio 21: la continuità totale che la politica post-25 settembre avrà con Draghi, Conte e tutto il sistema di governo pandemico.
Come abbiamo detto, sono solo due i temi che la politica ha in questo momento: il rifiuto del sistema pandemico, con relativa riduzione ai diritti dei cittadini a accessi «premiali» consentiti dai database di sorveglianza bioinformatica; l’accettazione della realtà «russa», che è al contempo coscienza della devastazione energetica e finanziaria in arrivo e al contempo rifiuto di una pericolosa guerra annientatrice che bussa alle nostre porte.
Essendo questi due temi gli unici che rivestono importanza per l’ora presente, su di essi non vi fanno votare – conoscete l’adagio, se votare contasse qualcosa non ve lo lascerebbero fare.
Come sapete, nessun partito maggiore sui due temi si può discostare da quanto è loro ordinato dal metaverso NATO. Non vi è distinzione tra la Meloni che vuole proseguire l’armamento dell’Ucraina e non ritiene green pass e mRNA di Stato un abominio. Tra Fratelli d’Italia e il PD, quindi, che differenza sostanziale può esserci? Purtroppo questo non è un discorso qualunquista: è una amara realtà che vivremo sulla nostra pelle, geopoliticamente e biologicamente, con le nostre aziende e con le nostre famiglie.
Semmai, come abbiamo cercato di dire, la vera distinzione si potrebbe trovare all’interno della stessa coalizione di centrodestra, dove per diversi motivi, Forza Italia e Lega potrebbero risultare partiti in grado di riallacciare con la Russia e, nel caso della Lega, riportare in testa qualche parlamentare in grado di opporsi all’orrore della sottomissione bioelettronica di vaccino e certificato verde (ci rendiamo conto che molti non sono d’accordo con quest’ultima idea, hanno perso la speranza nei confronti anche di quelli che sembravano i più accesi cavalieri nella Lega, non siamo in grado di difendere questa posizione, né di difendere nessuno di questi parlamentari: se ringhiate e ci mordete, avete ragione).
Il Draghi lord-protettore si innesta in questa guerra interna al centrodestra. L’uomo che garantisce al mondo la continuità del governo Meloni (che, ricordiamolo, in teoria era all’opposizione), con il suo governo precedente. Parliamo del Draghi che è stato tra i responsabili, ha scritto il Financial Times, del primo vero episodio di guerra economica della storia umana, ossia il sequestro di 300 miliardi di valuta estera della Banca Centrale russa depositati nelle banche centrali straniere. Un’operazione che, diciamo pure, ha danneggiato Mosca più dei lanciamissili HIMARS regalati da Washington con cui Kiev in queste ore starebbe provando (e fallendo) la sbandierata controffensiva d’agosto.
Un governo Meloni che si pone in continuità con ciò che era prima – cioè ciò che ordina il potere costituito sovranazionale, di cui Draghi era portatore – quindi non sarà in grado di risolvere né il problema energetico, né la minaccia del contagio della guerra, né la sottomissione dei cittadini alla siringa e a sistemi di biosorveglianza oramai inevitabili come l’euro digitale.
Fin qui, tutti possono capirlo.
Vogliamo però qui ipotizzare qualcosa di più oscuro. E, se possibile, di più doloroso – almeno fisicamente.
Renovatio 21 ha spesso ripetuto come, dall’Austria alla Germania ad altri Paesi, governi e servizi interni europei si stiano attendendo un autunno freddo (per mancanza di gas) ma caldissimo per le rivolte popolari, che danno per certe.
Moti di popolo non vi saranno solo per la disoccupazione, con forse un centinaio di migliaia di aziende che chiuderanno in Italia nelle prossime settimane, perché incapaci di pagare bollette e tasse. Vi saranno perché le case al freddo produrranno un malcontento popolare mai esperito prima.
Come abbiamo scritto, in Germania, non è un mistero, lo Stato si sta preparando alla repressione.
Confisca di armi a persone con credenze politiche «sbagliate», definizione di «estremista» allargata a chiunque protesti: non è diverso, se ci pensiamo, a quanto sta accadendo negli USA, in cui il presidente ha additato una volta per tutte gli elettori che non hanno votato per lui (circa 73 milioni di persone, probabilmente la maggioranza) come estremisti nemici della democrazia. Anche oltreoceano, insomma, si preparano alla repressione, che laggiù potrebbe tingersi dei colori della guerra civile.
Ne consegue che anche il prossimo governo italiano, con tutta probabilità, sarà un governo della repressione. Il pensiero che si può fare è che, se non fosse così, i poteri sovranazionali non lascerebbero che si faccia un governo. Come l’adagio di prima: se il governo fosse libero di fare scelte che contano, mica te lo lascerebbero fare.
E quindi, se repressione deve essere in tutto il mondo, sarà repressione anche in Italia.
La cosa dovrebbe spaventare. Perché ricordiamo le repressioni dello scorso anno contro il popolo che ogni sabato protestava contro la follia delle restrizioni pandemiche, contro l’mRNA obbligatorio, contro il green pass. Su queste pagine ne abbiamo dato conto: è stato un crescendo tremendo, lancinante. Abbiamo visto, legge dopo legge, sabato dopo sabato, arresto dopo arresto, la repressione azzerare la protesta, fin nel suo ultimo rappresentante, la vecchietta, il vecchietto, il ragazzino, chiunque.
Ancora di più, vogliamo ricordare quello che da un ventennio è un cavallo di battaglia della sinistra, e che qui ci tocca però di tenere a mente: i cosiddetti «fatti della Diaz». G8 di Genova 2001, la scuola Diaz viene adibita a centro stampa del cosiddetto Genoa Social Forum, una sigla che dava una parvenza di organizzazione alla protesta (inutile, fessa) contro il G8 ligure. La città fu messa a ferro e fuoco (nel gergo dell’anarchismo, «aperta») dai cosiddetti Black Block – mascherati, disciplinati, in molti casi con strane uniformi – tuttavia la notte del 21 luglio reparti della Polizia, con il supporto di alcuni battaglioni dei Carabinieri, irrompevano nella scuola.
Vi furono 93 arresti e 63 feriti portati in ospedali, tre in prognosi riservata , uno in coma. Il numero degli agenti è ancora sconosciuto, tuttavia, se ci basiamo sulle informazioni fornite durante il processo dal questore, potremmo parlare di «346 Poliziotti, oltre a 149 Carabinieri incaricati della cinturazione degli edifici».
Le immagini che ne uscirono furono definite dal vicequestore Fournier «macelleria messicana».
Abbiamo qualche ricordo delle immagini che uscirono dalla notte horror di quella scuola. In particolare, abbiamo questa memoria di una pozza di sangue che inzuppava un libro tascabile. Non siamo sicuri di averla vista: era il 2001, si è dissipata nell’etere, forse l’abbiamo sognata. Tuttavia di macchie di sangue filmate ve n’è un’abbondanza.
Ci teniamo a precisare, con le parole dell’enciclopedia online, che «i procedimenti penali aperti in merito alle responsabilità delle violenze, alle irregolarità e ai falsi dichiarati nelle ricostruzioni ufficiali sui fatti avvenuti alla Diaz e a Bolzaneto, si sono svolti nei successivi tredici anni, concludendosi nella maggior parte dei casi con assoluzioni, dovute all’impossibilità di individuare i diretti responsabili delle stesse o per l’intervenuta prescrizione dei reati».
Ci teniamo a dire che, se poi hanno trovato come dissero delle armi, le ragioni per l’irruzione le forze dell’ordine ce le avevano.
Ci teniamo a rammentare anche, en passant, che il ministro degli Interni, presente a Genova in quei giorni era Gianfranco Fini. «È necessario ricordare e ripetere che nei giorni di Genova Gianfranco Fini, presente in prefettura e per alcune ore nella caserma dei carabinieri di Forte San Giuliano, è stato costantemente informato degli avvenimenti» scrisse Giuseppe D’Avanzo su Repubblica il 9 agosto 2001.
Non sappiamo quanti poliziotti di fatto abbiano votato, negli anni MSI, AN, poi PDL e infine FdI.
Però sappiamo che un numero cospicuo di loro è pronto a reprimere le proteste di chi, a differenza dei goscisti del G8 di Genova, mai ha in cuore di attaccare poliziotti e carabinieri, anzi, ne cerca l’appoggio, li applaude quando questi, come è capitato, mostrano un segno di solidarietà verso il popolo in protesta contro la follia pandemica.
A Renovatio 21 sono arrivate alcune storie strazianti di membri delle Forze dell’Ordine che provavano a resistere all’obbligo vaccinale, magari su base di un’obiezione spirituale. La cronaca poi ha parlato di quei poliziotti umiliati a pranzo, costretti a mangiare fuori, magari sotto la pioggia, perché non dotati di green pass.
Poliziotti e carabinieri che hanno capito la mostruosa trasformazione dello Stato moderno in questi due anni – di cui ora si vuole la persistenza – ve ne sono.
Tuttavia, i loro colleghi invece non hanno dimostrato nessuna pietà nella repressione della protesta. Lo abbiamo visto, con estremo nitore in Germania, o in Olanda, Paese in cui in più occasioni si è sparato sui manifestanti, li si è investiti con i furgoni e pure fatti sbranare dai cani-poliziotto. Ma anche l’Italia ha avuto i suoi momenti magici di «movimento ondulatorio».
Bisogna quindi capire che i giovinastri pseudocomunisti del G8 non avevano contro di loro giornali, politici, leggi, il sentire popolare tutto. I gìottini non erano un capro espiatorio nazionale; né possiamo dire che erano un problema per la NATO (anzi, a fare certi pensieri, uno potrebbe dire che i black blocchi hanno fatto un ottimo lavoro nello screditare ogni possibile opposizione razionale alla globalizzazione).
I no-vax, ora filo-Putin, sì. Sono il capro espiatorio. Sono nemici del sistema atlantico. Sono, perfino, schedati, inseriti in blacklist di cui stiamo prendendo coscienza.
Per loro la repressione, nel caso della protesta autunnale, sarà inevitabile.
Se il governo sarà quello della Meloni, accadrà così? Molti hanno fiducia in lei, alcuni, ho sentito, vogliono votarla anche se nessuna posizione coincide con quelle di chi ha sentito la propria vita fracassata dall’impero della menzogna slatentizzatosi definitivamente dal 2020.
Giorgia è brava, Giorgia è buona. Non lo mettiamo in dubbio: guardate come ieri ha rispedito via il ragazzo con la bandiera LGBT salito sul palco ad interromperla, chiedendo per il tizio applausi dal pubblico. Maestria, sicurezza. «Pronti», dice lo slogan della campagna. Vero.
Tuttavia noi abbiamo in mente anche un altro palco, che fu davvero uno spartiacque molto significativo, soprattutto ora.
Il 25 settembre 2021 Giorgia Meloni era in Piazza Duomo a Milano per un grande comizio. Palco imponente, cornice da centro del mondo. La rimonta di Fratelli d’Italia, che si apprestava a disintegrare nei sondaggi la Lega, c’era tutta.
Solo un piccolo particolare: l’evento della Meloni era programmato di sabato, il giorno della settimana in cui, imperterrito, il popolo anti-green pass si ritrovava per manifestare il dissenso contro il governo.
Come abbiamo ripetuto qui varie volte, per consistenza, vastità e qualità (e assenza di leader visibili), bisognava riconoscere a Milano il titolo di capitale della protesta nazionale. Erano tanti, tantissimi: di tutte le età, di tutte le classi sociali. Erano determinati, erano inarrestabili. Ci vengono in mente i cori: «libertà, libertà…». Una protesta così non si era mai vista.
Il luogo di concentrazione delle manifestazioni del sabato a Milano era Piazza Fontana: cioè, a pochi metri da Piazza Duomo, dove la Meloni teneva il suo comizione.
Qui si sarebbe potuto pensare che il capo della cosiddetta opposizione al governo, avrebbe quantomeno provato a fare mezzo occhiolino ai no-vax: il nemico, del resto, è lo stesso, è il governo attuale. I no-green pass poi, sono tanti, tantissimi, e sono arrabbiati. Se non si è ciechi, dovrebbe essere chiaro che quelli sono in larga parte voti vagolanti, liberati finalmente dal M5S ma anche dalla Lega e dal PD, che attendono solo di essere catturati con il retino – o meglio un occhiolino, un sorrisino, un ammiccamento di qualsiasi tipo.
Uno potrebbe pensare che l’unico motivo per indire un comizio del partito d’opposizione parlamentare proprio nelle medesime coordinate spazio temporali della protesta no-vax, sia quello: sedurli, irretirli.
E invece, ci siamo trovati davanti uno spettacolo allucinante: transenne e celerini in assetto antisommossa per separare i no-green pass dal comizio di Fratelli d’Italia. Sostenitori del partito (smilzetti e pelati senza nemmeno essere skinhead: ma dove sono finiti i ragazzotti di destra di un tempo?) che vanno ad attaccar briga, mascherina sopra il naso, con i no-green pass, che hanno fatto il giro e vogliono entrare in piazza. Poliziotti con elmi, scudi e manganelli fanno da barriera.
Il comizio partitico meloniano, con i megaschermi e il logo grande, ha qualche centinaio di spettatori. I no-green pass sono migliaia.
La Meloni poi se ne va via veloce su sull’auto blu di ordinanza.
Non è che si possa chiedere un quadro più chiaro della situazione.
In nulla un governo Meloni si vorrà porre davvero contro il potere mondialista e i suoi segni visibili, la NATO e la UE, Washington e Big Pharma, Francoforte e Kiev.
E quindi, cosa dobbiamo aspettarci?
Dobbiamo aspettarci sul serio un governo chiamato alla repressione? Un governo a cui sarà permesso di esistere – proprio per reprimere le proteste residue di un popolo oramai stremato?
Che vinca la Meloni o Letta, Calenda, Speranza, Renzi, Conte o chiunque altro, sarà il governo della palude, quella che voluto il presidente bis e soprattutto Draghi, quella palude di mostri che ci ha venduti ad un potere che vuole sottometterci tutti ai suoi database o sacrificarci a milioni in una guerra con una superpotenza termonucleare.
Qualsiasi sarà il governo, dovrà essere il governo della repressione. La determinazione, l’intensità con cui ciò avverrà forse, da destra a sinistra, non cambieranno nemmeno poi tanto.
Perché l’impero della Cultura della Morte non permetterà altro.
Roberto Dal Bosco
Immagine screenshot da YouTube; modificata
Pensiero
«Chiesa parallela e contraffatta»: Mel Gibson cita Viganò nel podcast più seguito della Terra. Poi parla di Pachamama, medicina e sacrifici umani
Joe Rogan, il podcaster più seguito del pianeta, ha avuto come ospite ieri l’attore e regista cattolico Mel Gibson. La conversazione, della durata di più di due ore, è stata ricchissima di spunti altissimi e talvolta piuttosto sorprendenti, impressionanti.
L’intera intervista è segnata da un continuo ritorno alle questioni spirituali, non solo per l’annuncio di Gibson della preparazione di un film chiamato La Resurrezione di Cristo che abbraccia un racconto che va dalla caduta degli angeli ribelli sino a Nostro Signore risorto – un seguito ideale della sua Passione di Cristo, con il quale, ha detto il cineasta, vuole ambiziosamente rispondere alla domanda sul perché il regno del Bene e il regno delle Tenebre si contendano l’anima dell’umanità, umanità che è imperfetta.
Gibson, che mentre partecipava al podcast sapeva che la sua casa di Los Angeles stava andando in cenere nel grande incendio in corso, ha parlato della sua spiritualità cristiana non risparmiando dettagli, e confessando il suo essere «imperfetto», al punto di dichiararsi, «come risaputo, alcolizzato dalla nascita» e di essere stato aiutato da Dio a uscire dai suoi momenti bui.
Oh boy… 👀
Mel Gibson says the Pope and the Vatican are Surrounded by Child Molesters — He Believes the Catholic Church is Now a Counterfeit Paralle Church that runs an Entirely Different Religion
• On current Pope Francis, Mel believes he’s covering up or involved in… pic.twitter.com/XqPK1AOIB6
— MJTruthUltra (@MJTruthUltra) January 9, 2025
Va subito sottolineata la citazione che Gibson ha fatto di monsignor Carlo Maria Viganò e del discorso sulla chiesa attuale «parallela» e «contraffatta».
«Non aderisco alla chiesa postconciliare» ha detto Gibson, ottenendo dal Rogan una richiesta di spiegazioni. Mel, noto sedevacantista come lo era il padre Hutton Gibson, ha con molta cautela cominciato a spiegare dinanzi a milioni e milioni di utenti il problema di quello che ha chiamato «l’evento», cioè il Concilio Vaticano II, e ancora prima quello dell’elezione di Giovanni XXIII.
Gibson ha quindi parlato della fumata bianca che si era avuta durante quel conclave, subito seguita da una fumata nera: una probabile allusione ai discorsi sulla «Tesi Siri», secondo la quale a quel conclave (e forse non solo a quello), sarebbe stato eletto papa il cardinale arcivescovo di Genova, il tradizionalista Giuseppe Siri, che non sarebbe però arrivato al Soglio per minacce indicibili.
Gibson ha quindi proseguito spiegando ad un scandalizzato Rogan – che, nato in ambiente cattolico italo-irlandese, si è sempre dichiarato ateo e non si è mai tirato indietro rispetto a colpire la chiesa – la questione della Pachamama, mostrando immagini di un evento con la Pachamama del 2019.
Wow. Mel talking to Rogan about Pachamama and Francis 😳 pic.twitter.com/W0d8MjXxMx
— Anthony (@Catholicizm1) January 9, 2025
«Abbiamo un papa che ha portato un idolo sudamericano in chiesa per adorarlo» ha detto Gibson.
«Davvero?» ha replicato Rogan apparentemente sbalordito, al che Gibson rispose: «Sì, la Pachamama».
Rogan ha chiesto a Gibson di chiarire cosa fosse la Pachamama, dicendo di non averne mai sentito parlare, e Gibson ha spiegato che si tratta di una «divinità sudamericana».
«Perché avrebbe dovuto farlo?» ha chiesto ancora uno sconcertato Rogan. «Bella domanda. Ma lo ha fatto» ha risposto gentilmente il Gibson.
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Alla domanda dell’intervistatore se Bergoglio avesse spiegato perché ha permesso che si verificasse l’evento Pachamama, Gibson ha menzionato la storia di indifferentismo religioso di Francesco, promuovendo il concetto che «tutte le religioni sono buone l’una quanto l’altra».
«Se questa è la sua tesi» ha detto Gibson prima che Rogan lo interrompesse, «allora non dovrebbe essere il papa».
«Come puoi essere il papa se dici “tutte le religioni sono ugualmente buone?”», si è chiesto l’ateo Rogan ad alta voce.
Il divo ha quindi usato apertamente e ripetutamente il termine «apostasia», che l’intervistatore pare aver capito, sottolineando che di mezzo ci sarebbe il Primo Comandamento che proibisce di adorare falsi dei.
«Sì, è il numero uno nella hit-list mosaica , ha risposto Gibson, riferendosi ai Dieci Comandamenti dati a Mosè.
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Gibson e Rogan anno parlato degli scandali di pedofilia nella Chiesa, con il podcaster corretto dal divo quando ha detto che questo papa, che gli sembra «progressista», non aveva coperto gli abusi come Ratzinger.
Gibson ha poi parlato di medicina, raccontando di tanti suoi malanni, della frequentazione di un medico guaritore cinese (approvato da un suo consulente spirituale, un gesuita «tradizionalista») e di altri rimedi farmacologici – ha usato il termina «allopatico» – e della censura che si abbatte su di essi.
Gibson era già stato da Rogan anni addietro assieme ad un dottore esperto per parlare dei benefici delle cellule staminali – non fetali, ovviamente – alle quali aveva sottoposto il padre Hutton negli ultimi anni prima che morisse, con esiti molto positivi, come, ha rivelato nel caso della sua spalla. La figura del padre è tornata spesso nell’intervista: Gibson ha ricordato le sue numerose vittorie a Jeopardy! il Lascia o raddoppia della TV americana di una volta. «Aveva una memoria quasi-fotografica» ha detto l’attore del padre, «mentre io ho una memoria pornografica».
Mel ha raccontato che il padre era stato in guerra nel Pacifico e aveva preso la malaria, guarendo poi con l’idrossiclorochina. Il discorso ha aperto la stura ad una serie di discorsi sui farmaci, posti con delicatezza, sull’ivermectina e pure su altre sostanze ora usate totalmente off label contro il cancro a stadio avanzato.
GIBSON: “I have three friends. All three of them had stage four cancer. All three of them don’t have cancer right now at all.”
ROGAN: “What did they take?”
GIBSON: “Ivermectin, Fenbendazole” pic.twitter.com/onLx5bvDcG
— Chief Nerd (@TheChiefNerd) January 10, 2025
Il regista ha confessato di aver preso il Remdesivir – controverso farmaco anti-COVID approvato in USA – e di essere stato male per mesi. Ha quindi detto di aver letto il libro di Robert Kennedy jr. su Anthony Fauci, scatenando una conversazione, ripresa più volte, sull’incontrovertibile malvagità del personaggio, con riferimenti ai danni fatti da Fauci ai tempi dell’AIDS.
🚨MEL GIBSON: “I don’t know why Fauci is still walking around? I listened to the RFK Jr book on Fauci driving up to San Francisco. It gave me road rage.”
JOE ROGAN: “They kept that book off of bestseller lists. It was censored. Why was RFK Jr never sued for that book? That’s… pic.twitter.com/KF4MNcf5rs
— Autism Capital 🧩 (@AutismCapital) January 10, 2025
Il cineasta è sembrato, sia pure forse nervoso, molto cauto e dosato nella conversazione – come un uomo che sa molto di più di quello che dice, e fa la cortesia all’ospite di non essere troppo diretto e brutale, arrivando a dare suggerimenti di libri di storia, di cui ha dimostrato di essere un famelico lettore, e perfino di testi per smettere di fumare.
Tutta l’intervista, in realtà è sembrata una danza del cattolico Gibson attorno all’ateo Joe Rogan, che è sembrato a tratti capire il gioco e lasciarsi trasportare senza fare resistenza, persino quando Gibson ha rifiutato fermamente l’idea dell’evoluzione di Darwin, e soprattutto quando gli ha mostrato il mistero della Sacra Sindone di Torino.
GIBSON: “I have three friends. All three of them had stage four cancer. All three of them don’t have cancer right now at all.”
ROGAN: “What did they take?”
GIBSON: “Ivermectin, Fenbendazole” pic.twitter.com/onLx5bvDcG
— Chief Nerd (@TheChiefNerd) January 10, 2025
Degno di nota il riferimento al film capolavoro di Gibson Apocalypto, che Rogan ha detto di essere grandioso e di averlo rivisto di recente. Gibson ha spiegato la genesi del film, per poi entrare in un discorso articolato sul collasso della civiltà, e dichiarare che i sacrifici umani visti nella pellicola sono presenti ancora nella nostra società non differentemente da quella dei maya.
«Il sacrificio umano è vivo e vegeto» ha scandito Gibson, con Rogan che ha detto, che sì, ha solo cambiato forma, alludendo alle morti indotte dalla medicina. Qualcuno può aver avvertito che il non detto, che vibrava giocoforza dentro il cattolico Gibson, era l’aborto, che epperò non è stato spalmato in faccia al già liberal, sedicente abortista Rogan. I due hanno quindi convenuto in un’idea della guerra come sacrificio umano della gioventù.
Si esce dalle due ore di ascolto del podcast grati sino ad essere un po’ frastornati: la comprensione della catastrofe della chiesa conciliare, la comprensione del disastro della medicina moderna, la comprensione della Necrocultura, la comprensione del ritorno del sacrificio umano non solo solo temi che potete trovare su Renovatio 21: sono questioni che sono ad un passo dal divenire mainstream.
Se non è questo un momento per essere speranzosi, quale lo sarà?
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
Storia delle bandiere rosse e nere nei movimenti di liberazione dell’America Latina
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Pensiero
Dugin parla di rivoluzione nella destra americana
Il filosofo e politologo russo Aleksandr Dugin spera che le sanzioni statunitensi vengano presto revocate, così da poter visitare il Paese e sperimentare quello che ritiene sarà un cambiamento politico storico sotto la guida del presidente eletto Donald Trump.
La scorsa settimana il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato sanzioni contro il Center for Geopolitical Expertise (CGE) con sede a Mosca, un think tank fondato da Dugin, accusandolo di «alimentare tensioni socio-politiche e influenzare l’elettorato statunitense durante le elezioni statunitensi del 2024», affermando che il CGE ha utilizzato deepfake e strumenti di intelligenza artificiale per diffondere falsità, agendo su richiesta dell’agenzia di intelligence militare russa (GRU). Mosca ha costantemente negato di essersi intromessa nelle elezioni statunitensi.
Reagendo alle ultime restrizioni, il filosofo ha detto sabato: «Spero che nel 2025 mi tolgano le sanzioni. Voglio visitare gli Stati Uniti. Ci sono molti buoni amici lì».
I hope they lift sanctions in 2025 on me. I want to visit US. There are many good friends there. I enjoy bro-revolution and right woke turn. Very curious about new saeculum and First Turn.
— Alexander Dugin (@AGDugin) January 4, 2025
Lo stesso Dugin è stato sottoposto a sanzioni dagli Stati Uniti dal 2015 per quello che Washington vede come il suo ruolo in azioni che «minacciano l’integrità territoriale dell’Ucraina». La designazione è arrivata dopo il colpo di Stato sostenuto dall’Occidente a Kiev nel 2014, che ha scatenato una potente rivolta nel Donbass, ora parte della Russia, che Dugin ha sostenuto.
Dugin ha continuato dicendo che «gli piace la bro-revolution e la svolta woke di destra», definendo così l’arrivo di una certa aria da «fraternità» scolastica che spira nella destra, divenuta al contempo intransigente come il neogoscismo detto woke. «Sono molto curioso del nuovo saeculum e della First Turn». Il filosofo si riferiva apparentemente all’idea che dopo la rielezione di Trump, l’America è entrata in un nuovo ciclo storico, del genere che capita una volta ogni diverse generazioni, una teoria elaborata dai politologi Neil Howe e William Strauss nel libro del 1997 The Fourth Turning e portata avanti in particolare da Steve Bannon – il quale è apertamente nemico di Elon Musk (il bro per eccellenza del nuovo trumpismo).
Dugin ha descritto la vittoria di Trump sulla democratica Kamala Harris come una «vera rivoluzione ideologica» che alla fine aprirà la strada all’America per liberarsi dall’iper-individualismo, dalla cultura della cancellazione e dall’odio per il proprio retaggio.
Dugin è noto come fervente difensore dei valori tradizionali, falco della politica estera e ideologo dell’«Eurasiatismo», l’idea di un blocco geopolitico che unisca Europa e Asia per respingere il progressismo occidentale. I media occidentali spesso si riferiscono a lui come al «cervello di Putin», a causa della sua presunta influenza sul presidente russo. Tuttavia, classifica sui maggiori pensatori geopolitici ascoltati dal Cremlino non lo vedono ai primi posti: secondo alcuni, l’idea di Dugin vicino a Putin serve dunque, soprattuto, alla propaganda antirussa.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa i libri di Dugin sparirono improvvisamente da Amazon. Se ne accorse, mesi dopo, anche il giornalista televisivo americano Tucker Carlson.
Il filosofo l’anno scorso diede una lunga, densissima intervista allo stesso Carlson, mostrando la profondità del suo pensiero storico-filosofico nell’analisi della situazione dell’ora presente riguardo all’imperio del liberalismo omotransumanista.
Dugin ha pagato il prezzo più alto possibile per le sue idee, un prezzo persino superiore alla morte: come noto, la figlia Darja Dugina è stata uccisa da un’autobomba a Mosca due anni fa. Secondo i servizi segreti americani la giovane è stata uccisa dagli ucraini.
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Immagine di Fars Media Corporation via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International; immagine tagliata
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