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Bioetica

Verso la società della discriminazione genetica

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Lo scorso 8 maggio sono stata invitata da Francesca Quibla, Jean Toschi e altri amici dell’Associazione per un Mondo senza Guerre di Milano, a vedere e commentare insieme il film Gattaca – La porta dell’universo, inserito in un ciclo di cineforum a tema distopie. Li ringrazio di cuore per la loro accoglienza, per la bella serata che mi hanno regalata. Di seguito, alcuni degli spunti che ho proposto al pubblico presente, elaborati insieme al fondatore di Renovatio 21 Roberto Dal Bosco, con cui da anni – da prima che ci fosse Renovatio 21scriviamo, praticamente unici, su questi temi.

 

Elisabetta Frezza

 

 

Gattaca è una pellicola di Andrew Niccol, del 1997. Iconograficamente evoca i disegni di Tamara De Lempicka (1898-1980): l’Autoritratto sulla Bugatti verde dell’artista sembra l’Uma Thurman che vediamo nel film.

 

«Gattaca», parola ottenuta dalla combinazione delle lettere dell’alfabeto genomico che identificano le nucleobasi del DNA, è il nome dell’ente aerospaziale che nell’intreccio organizza missioni interplanetarie. Entrare a Gattaca per fare l’astronauta è da sempre il sogno di Vincent, che fin da piccolo studia e si allena per avverarlo.

 

In una società rigidamente divisa tra umanoidi prodotti in laboratorio e geneticamente programmati (i cosiddetti «validi», candidati a ricoprire ruoli di prestigio) e umani concepiti naturalmente («invalidi», o «fanciulli di Dio», destinati a svolgere le mansioni più umili), Vincent appartiene alla seconda specie e dunque, sulla carta, il suo sogno è destinato a rimanere tale, tanto più che alla nascita gli è diagnosticata una grave menomazione cardiaca.

 

I suoi genitori, per il loro secondogenito, scelgono la strada della riproduzione artificiale: Vincent avrà quindi un fratello «valido», Anton, il prediletto, la rivalità con il quale si manifesta in ricorrenti gare di resistenza a nuoto, in mare aperto. 

 

Diventato grande, Vincent se ne va di casa e si fa assumere a Gattaca come addetto alle pulizie. Per opera di uno strano intermediario, gli viene offerta l’occasione di fingersi «valido» tramite un complesso raggiro che mira a sfruttare l’identità genetica di un suo coetaneo nato perfetto (Jerome, che diventerà Eugene) e diventato paraplegico a seguito di un incidente.

 

Vincent allora, sotto le mentite spoglie di Jerome, sarà finalmente selezionato come ricercatore a Gattaca.

 

Subito si distingue per la sua bravura, acquisita grazie allo sforzo profuso in tanti anni di studio e di allenamento. Si innamora, ricambiato, di Irene, una compagna di corso, «valida» ma anche lei affetta da un problema cardiaco. Eccetera.

 

Bisogna dire subito che, come molte altre trame distopiche, compresi i grandi classici come Orwell e Huxley, Gattaca nella realtà è già retroguardia.

 

In esergo, nei primi fotogrammi, compare una citazione di Willard Gaylin: «Osserva l’opera di Dio. Chi può raddrizzare ciò ch’Egli ha fatto storto? (Ecclesiaste 7:13).  Non penso solamente che interferiremo con madre natura. Ma anche che lei lo voglia».

 

Gaylin è uno dei fondatori della bioetica moderna, che altro non è se non un ufficio permessi fatto per apporre il timbro di moralità sopra tutti i nuovi traguardi della tecnica. Questo, non altro, è il ruolo del CNB, Comitato Nazionale di Bioetica.

 

Il tema centrale intorno al quale ruota tutto il film è l’eugenetica. E l’effetto «naturale» delle pratiche e della cultura eugenetiche: la divaricazione tra i geneticamente superiori (prodotti in vitro, o validi) e i naturali (uterini, nati per fede, o non-validi).

 

Il film ammette tuttavia l’esistenza di una striscia di terra di mezzo: infatti, per chi è superiore geneticamente il successo è sì più facile, ma non è garantito. Dopotutto, «non esiste il gene del destino» (c’è chi resta invalido, come Jerome) e «non esiste il gene della perfezione» (la patologia di Irene). Vincent, dal canto suo, rientra nella categoria dei «pirati genetici» (come si chiama chi rifiuta di giocare con le carte che ha avuto in sorte), altrimenti detti «de-generati».

 

I fabbricati in vitro come Anton, Jerome, Irene, non hanno mai provato la discriminazione. Subiscono però il peso di un altro fardello, il fardello della perfezione. 

 

A questo proposito, ricordiamo un episodio salito agli onori delle cronache americane (nelle colonne del New York Times) nel 2016, sui cosiddetti «embrioni mosaico». Sono stati battezzati così quegli embrioni da fecondazione artificiale (circa il 20 per cento, si è scoperto, della totalità di quelli prodotti in laboratorio) formati da un misto di cellule (in apparenza) anormali insieme ad altre (in apparenza) normali in base agli esiti dello screening genetico preimpianto (PGS), che determina la scelta di chi passa o non passa le eliminatorie alla gara della vita: di chi, cioè, ha possibilità di essere impiantato in utero oppure no.

 

Si è scoperto che questi embrioni imperfetti, normalmente soggetti alla rupe tarpea (sotto forma di congelamento sine die, sentenza di morte edulcorata), sono in grado, se impiantati in utero, di riparare da se medesimi le proprie anomalie iniziali, ed essere bimbi sani alla nascita: realtà che, alla fine, nega i presupposti su cui si fonda la Procreazione Medica Assistita stessa, visto che è stato verificato che l’embrione brutto viene fuori un bambino normale.

 

Gli scienziati sono rimasti stupiti, perché non avevano mai provato a dar seguito a una gravidanza con un embrione mosaico. In quel caso, la richiedente era ormai attempata al punto da non poter affrontare un ulteriore ciclo di stimolazione ovarica e aveva scelto di rischiare l’impianto di un embrione imperfetto, sapendo di potersi giocare, semmai, la carta dell’aborto. Il bimbo è nato sano.

 

Ciò ha dimostrato la demenza totale della comunità scientifica, che non ha capito nulla della vita e dunque non ha nessuna fiducia nella vita. Che si butta, bendata, nelle sperimentazioni di massa (e ne sappiamo qualcosa).

 

La visione meccanicistica della scienza medica pensa all’uomo come a una macchina. E le macchine rotte sono complicate da aggiustare, meglio buttare via un prodotto difettato. Invece la vita aggiusta tutto. La vita è in grado di ripararsi in modi sempre più sorprendenti, fa cose che gli scienziati non sono nemmeno lontanamente in grado di spiegare.

 

La scienza non ha capito la forza che ha la vita nei primi momenti della sua formazione (le staminali embrionali sono cellule che sanno fare tutto).

 

Lo scienziato che scarta un embrione mosaico non sa cosa potrebbe saltare fuori. In realtà nessuno di noi sa se era un embrione mosaico, oppure no.

 

Nell’articolo del NYT si riferiva anche come il dottor Norbert Gleicher, direttore del centro per la riproduzione umana di New York, si chiedesse se non fosse opportuno riflettere su questo: se cioè un campione casuale formato da una decina di cellule prelevate così precocemente per la biopsia preimpianto possa essere rappresentativo dell’intero embrione e parametro unico in base al quale decidere le sorti dello sviluppo fetale successivo.

 

Colpisce lo stupore diffuso di tutti questi signori, molto esperti, che in realtà nulla sanno di ciò che stanno facendo, e ce lo dimostrano in continuazione. 

 

Tornando al film. I genitori del protagonista sembrano inizialmente dei dissidenti rispetto alla forma mentis eugenetica: per scelta, infatti, concepiscono il primogenito nell’amore. Ma poi diventano anche loro facili vittime della pressione dei pari: il funzionario della clinica della riproduzione li blandisce, mostra loro il lato seducente della riprogenetica, e presto fa a convincerli a non affidare al caso il secondo figlio.

 

Stupisce come arrivino a interiorizzare talmente il nuovo paradigma da riprodurre essi stessi la dicotomia gerarchica all’interno della famiglia: un figlio superiore e l’altro inferiore. Se la società ti dice di emarginare Calimero, ci si persuade ad emarginare Calimero, lo fanno persino mamma e papà. 

 

«La discriminazione è reato, si chiama genosoìsmo – spiega la voce narrante nel film – ma tutti se ne infischiano della legge. Ora la discriminazione è elevata a sistema».

 

La discriminazione dunque, benché sia illegale, è eretta a sistema.

 

Ora, è innegabile che alle prove generali di questa precisa operazione noi abbiamo già assistito, e che la massa le abbia accettate.

 

Alla base della certificazione verde stava esattamente questa divisione della popolazione, che ricalca la biforcazione tra i geneticamente arricchiti e i naturali: solo quanti accettano un trattamento a base genica possono entrare al bar; senza quel marchio non solo non vai al bar, ma non lavori, e quindi fai la fame, e sei indegno di appartenere al consesso sociale in quanto disobbediente, sovversivo, civicamente ineducato, organoletticamente repellente.

 

Il Tinder dei non vaccinati è stato censurato ed escluso dall’Apple store, ma per il Tinder genetico in cantiere nessuno fiata. Sono segnali eloquenti di come la società sia già pronta, anche a livello di grande capitale, per creare due classi e far prevalere quella che accetterà il controllo genetico come suo principio ordinatore. La piattaformazione della vita dell’individuo farà sì che sarà lo stato a dirti se potrai fare un figlio con l’uno o con l’altro. La piattaforma con i tuoi dati diventerà un super don Rodrigo: questo matrimonio s’ha o non s’ha da fare.

 

Ma quello del GP è stato solo l’aspetto più appariscente di una deriva che viene da molto lontano e che ha mille facce più o meno appariscenti.

 

La società è eugenetica in senso più profondo: pratica l’aborto seriale dei bambini down (l’Islanda può vantarsi di essere down free, l’Emilia-Romagna sta introducendo i test non invasivi prenatali con cui si possono eliminare preventivamente i difettati); pratica la FIVET, che significa cinquant’anni di eugenetica attiva legalizzata e finanziata nei LEA. Eugenetica di Stato.

 

L’eugenetica non si è esaurita con Hitler, ma precede Hitler ed è continuata dopo di lui sottoforma di eugenetica borghese. Il modello hitleriano era operativo negli USA delle leggi eugenetiche – segregazione razziale; sterilizzazione legalizzata di alcune categorie di persone ritenute, per arbitrio della autorità, inadatte alla riproduzione.

 

Gli stessi poteri che l’hanno finanziata in America nei primi del Novecento hanno finanziato anche Hitler. Un nome tra tutti, sempre sulla cresta dell’onda eugenetica (tuttora): Rockfeller

 

I sostenitori e propalatori della ideologia hitleriana, di fatto, la guerra l’hanno vinta. La Seconda Guerra mondiale è stata una guerra geopolitica e non bioetica. Geopoliticamente ha avuto un certo esito, bioeticamente l’esito opposto.

 

«Lo stadio finale (della conquista della Natura da parte dell’uomo) giungerà quando l’Uomo, attraverso l’eugenetica, il condizionamento pre-natale, e una istruzione e una propaganda basate su una perfetta psicologia applicata, avrà raggiunto il pieno controllo su se stesso». 

 

«La natura umana sarà l’ultima parte della Natura ad arrendersi all’Uomo. […]. Avremo “preso il filo della vita dalle mani di Cloto” e saremo quindi liberi di fare della nostra specie qualsiasi cosa vogliamo». 

 

«…i plasmatori d’uomini della nuova epoca saranno armati dei poteri di uno stato onnicompetente e di una irresistibile tecnica scientifica: avremo una razza di Condizionatori che potranno davvero modellare la posterità nelle forme che vogliono».

 

Era il 1943 quando Lewis scriveva queste parole nel suo saggio intitolato L’abolizione dell’uomo.

 

Lo «stadio finale» del «pieno controllo su se stesso» da parte dell’uomo è quasi arrivato ottant’anni dopo. 

 

Sono menzionate due armi a disposizione dei cosiddetti plasmatori d’uomini: i «poteri di uno Stato onnicompetente» e una «irresistibile tecnica scientifica».

 

Fiutando il vento totalitario che soffiava forte nella sua epoca, studiando i flussi della turbolenza, Lewis era riuscito a intuirne il prevedibile sbocco: il dominio dell’uomo sull’uomo – dell’uomo più forte nei confronti del suo simile più debole e privo di difese – porta fino all’annientamento dell’uomo, o meglio alla sua sostituzione. Con qualcosa di apparentemente uguale, di antropomorfo, ma ontologicamente altro da sé. 

 

Dopo un paio di anni, nel 1945, Lewis torna sul punto, in un dialogo tra due protagonisti del romanzo Quell’orribile forza, dove si legge:

 

«…”Certi uomini devono farsi carico di tutti gli altri, il che è un ulteriore motivo per trarne tutto il vantaggio possibile, appena si può“. “Cose semplici e ovvie, tanto per cominciare…la sterilizzazione dei disabili, l’eliminazione delle razze arretrate (non vogliamo pesi morti), la riproduzione selettiva. Poi l’educazione vera, compresa l’educazione prenatale. Per vera educazione intendo un’educazione che non ammetta pressapochismi. La vera educazione infallibilmente trasforma chi la subisce in ciò che essa si prefigge, senza che il soggetto in questione o i suoi genitori possano farci nulla. Naturalmente si tratterà, all’inizio, di un influsso soprattutto psicologico. Ma alla fine arriveremo al condizionamento biochimico e alla diretta manipolazione del cervello“. “Ma è una cosa stupenda, Feverstone!“. “Quello che conta, finalmente. Un tipo nuovo di uomo; e sono le persone come lei e come me che devono cominciare a costruirlo“».

 

Un tipo nuovo di uomo. Da costruire dal nulla, oppure da de-costruire, manipolare e in qualche modo ricreare. Insomma, da re-settare. Un termine che va molto di moda. Si può dire anzi che il reset sia la cifra di questa fase storica. 

 

Fatto sta che oggi quell’«irresistibile tecnica scientifica» (al riparo dei poteri di quello «Stato onnicompetente») ha avuto accesso a ogni parte della natura umana, compreso il suo linguaggio più interiore. È arrivata fino a manomettere il suo codice fondamentale, la sua struttura più profonda: il genoma. Il salto quantico, letteralmente apocalittico, era già preparato da tempo, ma lo shock dell’emergenza ha contribuito, in modo decisivo, a tramutarlo in fenomeno massivo.

 

La FIVET – che poi, più prosaicamente, non è altro che il grande affare della provetta – ha potuto attecchire ed evolvere indisturbata perché presentata al pubblico dietro la sempre attraente maschera della vita. Consegnare a chi lo desideri il cosiddetto «bimbo in braccio» è unanimemente visto come una azione positiva in ogni senso possibile, perché da un lato buona e caritatevole verso il desiderante, dall’altro foriera di un evento tenero e gioioso quale è sempre la nascita di un bambino. 

 

Ma questa pratica è servita come un’autostrada per sdoganare e gradualmente normalizzare quelle pratiche biotecnologiche, tributate dalla zootecnia, che sono, per definizione, inscritte in un orizzonte eugenetico: è in questo orizzonte infatti che domanda e offerta si incontrano. Per una questione di logica invincibile.

 

Se io, aspirante genitore, ordino un bambino e affronto l’oneroso (non solo economicamente, ma anche fisicamente e psicologicamente) iter necessario per procurarmelo, e a un certo punto mi viene prospettata o consegnata una creatura portatrice di qualche difetto o priva degli optional richiesti, è un problema. Tendo a percepirla, come si dice in materia di contratti, un aliud pro alio, qualcosa di diverso da quanto convenuto, e dunque tendo a rifiutarla, magari a volerla rispedire al mittente, fare un reso insomma.

 

E infatti spesso nella pratica accade che – per paradosso rispetto all’amorevole slancio iniziale – queste procedure sfocino o in un aborto volontario o nell’abbandono del neonato nel caso si manifesti in itinere un qualche tipo di imprevisto.

 

Commissionando un figlio alla tecnica – perché il progresso me ne dà facoltà e lo Stato me ne riconosce il «diritto» – non contemplo vizi o errori di fabbricazione, maturo persino inconsciamente la pretesa (non solo la speranza) del figlio perfetto. Mi immetto nel mercato e, volente o nolente, entro nell’ordine delle idee mercatista. 

 

La scienza mi illude cioè di poter azzerare l’alea connessa con la roulette russa della natura. 

 

Robert Edwards – che fu il pioniere della fecondazione artificiale, vincitore del Nobel per la medicina nel 2010 in qualità di «padre» di Louise Brown la prima figlia della provetta, nata nel 1978 – sosteneva senza reticenze questa pulsione eugenista, e apertamente la cavalcava nel pubblicizzare le proprie invenzioni faustiane:

 

«Quando la gente dice che la diagnosi preimpianto è costosa, rispondo sempre: qual è il prezzo di un bambino disabile che nasce? Qual è il costo che ognuno deve sopportare? È un prezzo terribile per tutti, e il costo economico è immenso. Per una diagnosi preimpianto, a confronto, servono davvero pochi soldi».  

 

Ma abbiamo visto cosa si è scoperto, per puro caso, con gli embrioni mosaico. Il fatto è che l’agenda stabilisce di far slittare la procreazione da fatto naturale a fatto sintetico e tra gli embrioni prodotti artificialmente bisogna procedere a una selezione, con criteri per forza di cose del tutto arbitrari.

 

In altre parole, la procreazione deve de-sessualizzarsi – il sesso viene relegato a funzione meramente ricreativa, ma sterile – e spostarsi verso il paradigma della «fertilizzazione», proprio come nella zootecnia. Con relative selezioni e manipolazioni pre e post impianto. 

 

Ma cosa significa, di fatto, questo cambio di paradigma? Significa una cosa enorme, ma che quasi nessuno è disposto a vedere: significa che il rubinetto della vita – e anche la cassetta degli attrezzi per aggiustarla, ripararla, sistemarla – passa nelle mani del potere farmaceutico. Che vuol dire, poi, dei filantropi che lo governano e che, in questo modo, divengono detentori del potere di vita o di morte, e di sperimentazione infinita, su una fetta sempre più ampia del genere umano. 

 

E la vita, per dirsi degna di essere vissuta, deve rispondere a determinati standard di qualità (senza porsi il quesito di chi stabilisca il metro di misura della sua qualità). 

 

Per questa via l’uomo viene gradualmente sostituito dal prodotto fabbricato in laboratorio e, mano a mano che la riprogenetica evolve, il modello diventa sempre più avanzato. 

 

L’ultimo progresso della bioingegneria si chiama CRISPR (cioè l’editing genetico, il taglia e cuci molecolare con cui vengono sostituiti dei geni, i cosiddetti geni bersaglio, e poi viene ricucita la catena del DNA) e serve a programmare i connotati dell’essere umano nella fase che precede l’impianto dell’embrione, oppure a correggerli poi. Ancora una volta, su modello zootecnico.

 

Li abbiamo già, i bambini geneticamente modificati, tipo le famose gemelline cinesi, nate nel 2019 AIDS-free (immuni all’HIV) con la tecnica CRISPR, promossa da Bill Gates con investimenti ultramilionari. L’esistenza delle super gemelle cinesi inattaccabili all’HIV prefigura un mondo dove il bambino verrà migliorato sia dal punto di vista immunitario sia dal punto di vista fisico e intellettuale. 

 

Un genetista di Harvard lo ha detto a chiare lettere che «fare il bambino con la bioingegneria sarà come vaccinarlo». Del resto, l’università era solo per i vaccinati. Un giorno diventerà solo per i geneticamente modificati, come in Gattaca

 

La provetta – questo cantiere prenatale della vita – diventa come una sorta di vaccino preventivo incorporato nel procedimento di fabbricazione del manufatto umano, in modo che il prodotto sotto forma di bambino possa essere consegnato all’aspirante genitore insieme al relativo certificato di garanzia: immune all’HIV tanto per cominciare, ma un domani immune al morbillo, o anche, per esempio, dotato di ossa indistruttibili, o di orecchio assoluto, o di intelligenza matematica. 

 

Sir Richard Dawkins, altro genetista di grido, nel 2006 diceva che è lecito chiedersi, essendo ormai passati sessant’anni dalla morte di Hitler, quale sia la differenza morale tra il generare esseri con abilità musicali, e il costringere un bambino a prendere lezioni di musica. O tra l’allenare corridori veloci o saltatori in alto, e riprodurli. Insomma, si fa prima a fabbricarli direttamente così, con attitudine incorporata, si evita una faticaccia. 

 

Poiché il CRISPR si candida a diventare la porta attraverso cui, prima o dopo la nascita, più o meno tutti devono passare, chi per riprodursi rifiuterà gli alambicchi del laboratorio e preferirà i soliti vecchi metodi naturali, diventerà non solo un retrogrado da compatire, uno che ripudia la scienza, ma anche un egoista da contrastare, visto che oggi il progresso offre la possibilità di procurarsi designer babies da catalogo, chiavi in mano e in garanzia. 

 

Il solito Edwards lo preconizzava compiaciuto, che «presto sarà colpa dei genitori avere un bambino portatore di disordini genetici». Vale a dire che, nella sua testa, la normalizzazione della provetta doveva portare verso la demonizzazione della generazione naturale. 

 

Ha fatto proseliti costui, perché il nostro ministero della salute qualche anno fa, in occasione del lancio del cosiddetto Fertility Day (una trovata della Lorenzin applaudita dall’episcopato e dalle sue propaggini associative, movimenti vari «per la vita»), diceva che la FIVET, «nata come risposta terapeutica a condizioni di patologia specifiche e molto selezionate, sta forse assumendo il significato di un’alternativa fisiologica». Da eccezione a norma. Poi è un attimo passare dall’alternativa fisiologica alla scelta obbligata, Overton è sempre con noi.

 

Sta di fatto che stiamo allegramente consegnando ai signori di Big Pharma il controllo di qualità e di quantità sulle nostre vite. 

 

L’obiettivo vero, ben nascosto dietro gli slogan accattivanti e i fiocchi rosa e azzurri, è appunto la desessualizzazione della procreazione e la sua artificializzazione, connessa con la selezione eugenetica della specie.

 

In sostanza, siamo di fronte all’apoteosi della reificazione e mercificazione dell’uomo, diventato un prodotto come un altro, col suo codice a barre, da comprare negli scaffali del supermercato, da consumare e, nel caso, da buttare via. 

 

Ora, credo sbaglieremmo a pensare che lo sviluppo e la diffusione massiva della fabbrica della vita non abbiano nulla a che fare con lo sviluppo e la diffusione massiva della nuova generazione di farmaci a mRNA. Questi, alla fine, si basano su una formula bioinformatica capace di interferire col materiale genetico della cellula, ricondizionando il suo DNA e intaccando quindi la linea germinale umana. 

 

CRISPR e mRNA sono le due direttrici attraverso le quali si realizza la transizione verso una nuova concezione della medicina, da chimica a genica. Il COVID ha fatto da acceleratore in questa transizione, rendendo eugenismo e transumanesimo fenomeni di massa. Il che implica lo sconvolgimento dell’assetto biologico, dotato di un equilibrio insondabile ed esclusivo, che la natura consegna a ciascun individuo. 

 

Big Pharma, in altre parole, intraprende la scalata per acquisire il controllo del nostro corpo, visto come ultima interfaccia computazionale, col risultato che esso perde la capacità di autogestire le proprie funzioni vitali, e anche di autoripararsi, per dipendere da un azionista alieno. D’altra parte, era il 1996 quando Bill Gates diceva che «il gene è il software più sofisticato che ci sia», dimostrando con ciò di avere ben presente la meta: un «modestissimo» programma di controllo del mondo attraverso l’informatica della vita. 

 

E così come domani sarà demonizzata la procreazione naturale a vantaggio di quella sintetica, lo stesso è già avvenuto con i farmaci a mRNA: chi, in omaggio a un elementarissimo principio di precauzione, non voglia cedere il proprio corpo alla sperimentazione, è istericamente additato come nemico della scienza, attentatore della salute della collettività, nemico dell’umanità (ma, a questo punto, è lecito chiedersi: quale umanità?).

 

Ma l’uomo non è padrone della vita, la convinzione di esserlo è un’idea satanica. Prima o poi, tutti gli esperimenti eugenetici fanno una brutta fine perché la natura, prima o poi, presenta il conto.

 

L’eugenetica è un processo perverso destinato a divorare se stesso.

 

Elisabetta Frezza

 

 

 

Bioetica

Polonia, l’aborto avanza in Parlamento

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Il 12 aprile 2024, i parlamentari polacchi hanno votato a favore di quattro progetti di legge volti a generalizzare l’accesso delle donne all’aborto nel paese. Fatto senza precedenti in quasi trent’anni, ma che non dovrebbe cambiare radicalmente la situazione a breve termine, perché una modifica della legge in questa direzione si scontrerebbe con il veto presidenziale del conservatore Andrzej Duda.

 

«Lo Stato deve fare tutto affinché l’aborto sia accessibile, legale, praticato in condizioni adeguate, senza pericoli». I commenti espressi l’11 aprile 2024 da Katarzyna Kotula non hanno mancato di offendere più di un cattolico polacco, poiché erano inimmaginabili anche un anno fa.

 

Tuttavia, è dalla piattaforma della Dieta – la camera bassa del parlamento polacco – che il ministro dell’Uguaglianza presenta il disegno di legge portato avanti dalla Coalizione Civica del primo ministro Donald Tusk, volto a liberalizzare l’accesso all’aborto fino a dodici settimane di gravidanza.

 

Per essere più precisi, quattro testi sono stati presentati da componenti della coalizione filoeuropea arrivata al potere in seguito alle elezioni del 15 ottobre 2023, dopo otto anni di governo del partito nazionalista Diritto e Giustizia (PiS).

 

La Sinistra Unita ha presentato i primi due progetti che prevedono, da un lato, la depenalizzazione dell’aborto assistito, e dall’altro la legalizzazione completa dell’aborto, senza ostacoli, fino alla dodicesima settimana di gravidanza.

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Il terzo progetto viene dal partito politico del primo ministro Donald Tusk, e chiede anch’esso la legalizzazione fino alla dodicesima settimana, con diverse riserve rispetto al testo della Sinistra Unita.

 

Il quarto testo, presentato dalla Terza Via, un’alleanza del partito contadino conservatore PSL e del movimento cristiano-democratico Polonia 2050 del presidente della Dieta, Szymon Holownia, chiede il ritorno allo status quo in vigore tra il 1993 e il 2020. L’IVG era possibile in tre casi: malformazione del feto, pericolo per la vita o la salute della madre, stupro o incesto.

 

Il partito della Terza Via è anche favorevole all’indizione di un referendum su un’eventuale legalizzazione più ampia dell’aborto, un ricorso al voto popolare sorprendentemente criticato dalle organizzazioni femministe – che però hanno sulle labbra solo le parole di «democrazia» e «libertà» – e per una buona ragione.

 

Secondo un sondaggio effettuato poco prima del voto in Parlamento da IPSOS, la società polacca appare divisa sulla questione. Il 35% delle intervistate vuole avere accesso all’aborto fino alla dodicesima settimana di gravidanza; Il 21% è favorevole al ripristino di questo diritto in caso di malformazione fetale; Il 23% vuole un referendum e il 14% si ritiene soddisfatto dell’attuale stato della legislazione nel Paese. Una prova, se fosse necessaria, che la secolarizzazione avanza a passi da gigante sulle rive della Vistola.

 

Tuttavia, il campo progressista non rivendica la vittoria: «abbiamo motivi di soddisfazione, tuttavia molto moderati e cauti», ha dichiarato Donald Tusk dopo il voto alla Dieta del 12 aprile. Perché la liberalizzazione dell’aborto in Polonia non è per domani: resta da convocare la Commissione parlamentare speciale che dovrà essere incaricata di adottare un disegno di legge da sottoporre in seconda lettura.

 

Probabilmente il futuro testo dovrà essere corretto in senso meno liberale per conquistare la maggioranza del parlamento polacco e, se così fosse, il capo dello Stato potrebbe porre il veto. Andrzej Duda – affiliato al PiS – dovrebbe normalmente rimanere al potere fino al 2025: abbastanza per dare ai conservatori polacchi qualche mese di tregua per organizzare la difesa del diritto alla vita.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

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Bioetica

Bioeticiste contro la genitorialità genetica: «usare liberamente gli embrioni congelati»

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.   Alcuni bioeticisti mettono in dubbio l’importanza di una relazione genetica tra genitori e figli. Ciò che conta, sostengono, è un ambiente familiare favorevole, non i geni.    Nel Journal of Medical Ethics, una bioeticista svedese, Daniela Cutas, e una collega norvegese, Anna Smajdor, affermano che la riproduzione assistita apre le porte a nuove relazioni tra generazioni. Ma, purtroppo, l’aspettativa è che le persone imitino una famiglia nucleare convenzionale e una struttura genitore-figlio. C’è pochissima varietà o creatività.   Ad esempio, dopo la donazione di sperma postumo, una madre o una nonna portano in grembo il bambino in modo da mantenere una relazione genetica. Ma perché la genitorialità genetica e quella sociale dovrebbero coincidere?   Cutas e Smajdor sono realiste. Nel mondo di oggi, è improbabile che le persone abbandonino il loro attaccamento alle relazioni genetiche. Nel frattempo, ciò che propongono è una maggiore creatività nell’uso degli embrioni fecondati in eccedenza.    «Considerando la crescente prevalenza di infertilità in combinazione con una scarsità di gameti donati, qualcuno potrebbe, ad esempio, scegliere di utilizzare gli embrioni di propri zii. Oppure potrebbero desiderare di avere gli embrioni rimanenti dei loro fratelli. Se la preferenza delle persone ad avere una prole geneticamente imparentata è importante nei servizi di fertilità, allora ha importanza quale sia l’esatta relazione genetica?»   Esaminano più in dettaglio il caso di una donna i cui genitori hanno creato embrioni IVF. Se sono ancora disponibili, perché non dovrebbe dare alla luce i suoi fratelli? In un certo senso, questo potrebbe essere migliore di una relazione eterosessuale convenzionale:   «Innanzitutto perché gli embrioni sono già creati: non è necessario sottoporsi alla stimolazione ovarica per raccogliere e fecondare gli ovociti. In secondo luogo, le relazioni genitore-figlio sono piene di tensioni, alcune delle quali derivano da una lunga tradizione di non riconoscimento completo dello status morale dei bambini e di vederli come parte dei loro genitori in modo quasi proprietario».   Sembra un peccato sprecare tutti quegli embrioni congelati. Concludono con questo pensiero:   «In un mondo in cui i tassi di infertilità sono in aumento e i costi sociali, medici e sanitari dei trattamenti per la fertilità sono elevati, suggeriamo che ci siano motivi per ampliare le nostre prospettive su chi dovrebbe avere accesso ai materiali riproduttivi conservati».   Michael Cook   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.    
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Bioetica

Approvato il progetto di inclusione dell’aborto nella Carta europea

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Mercoledì 11 aprile 2024 gli eurodeputati hanno adottato, con 336 voti favorevoli, 163 contrari e 39 astensioni, una risoluzione che chiede l’inclusione dell’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che stabilisce “diritti, libertà e principi riconosciuti” negli Stati membri.

 

La risoluzione, promossa dai liberaldemocratici (Renew), dai socialdemocratici (S&D) e dalla sinistra, afferma che «controllare la propria vita riproduttiva e decidere se, quando e come avere figli è essenziale per la piena realizzazione dei diritti umani per le donne, le ragazze e tutte coloro che possono rimanere incinte».

 

I promotori hanno motivato la loro posizione con documenti delle Nazioni Unite che invitano a mantenere la «decisione individuale di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza».

 

La mozione cita anche la decisione della Francia di includere l’aborto nella Costituzione come esempio da seguire, sostenendo la «necessità di una risposta europea al declino dell’uguaglianza tra uomini e donne».

 

Minaccia ai gruppi pro-vita

I deputati sono preoccupati anche per «l’aumento dei finanziamenti ai gruppi contrari all’uguaglianza di genere e all’aborto» in tutto il mondo e nell’UE. Chiedono alla Commissione di garantire che le organizzazioni che «lavorano contro l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne» non ricevano finanziamenti dall’UE.

 

Il testo insiste affinché gli Stati membri e le amministrazioni aumentino la spesa per programmi e servizi sanitari e di pianificazione familiare.

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Contro gli «agenti religiosi ultraconservatori»

La mozione adottata parla ancora di «forze regressive e attori religiosi ultraconservatori e di estrema destra» che «stanno cercando di annullare decenni di progressi nel campo dei diritti umani e di imporre una visione del mondo dannosa sui ruoli degli uomini e delle donne nelle famiglie e nella vita pubblica».

 

Il testo adottato dal Parlamento europeo critica alcuni Stati membri: Polonia, Malta, Slovacchia e Ungheria, le cui politiche sull’aborto sono più conservatrici della maggior parte degli altri. Esorta i governi europei a «rendere obbligatori i metodi e le procedure di aborto nel curriculum dei medici e degli studenti di medicina».

 

Nel 2022, il Parlamento Europeo aveva già adottato una risoluzione a favore dell’aborto, che condannava la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di abolire Roe vs Wade.

 

Una risoluzione che, si spera, non dovrebbe essere adottata

Questa risoluzione chiede solo una modifica alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, senza avere il potere di apportare tale modifica. La risoluzione adottata propone che l’articolo 3.2a sia modificato come segue:

 

«Tutte le persone hanno diritto all’autonomia corporea, all’accesso libero, informato, pieno e universale alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi e a tutti i servizi sanitari correlati senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale».

 

Per apportare una modifica alla Carta dei diritti fondamentali sarebbe necessaria l’approvazione unanime dei 27 Stati membri. Alcuni Paesi in cui la vita dei bambini non ancora nati è meglio tutelata – Malta, Ungheria e Polonia – non dovrebbero, al momento, dare il loro consenso.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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