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Bioetica

Verso la società della discriminazione genetica

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Lo scorso 8 maggio sono stata invitata da Francesca Quibla, Jean Toschi e altri amici dell’Associazione per un Mondo senza Guerre di Milano, a vedere e commentare insieme il film Gattaca – La porta dell’universo, inserito in un ciclo di cineforum a tema distopie. Li ringrazio di cuore per la loro accoglienza, per la bella serata che mi hanno regalata. Di seguito, alcuni degli spunti che ho proposto al pubblico presente, elaborati insieme al fondatore di Renovatio 21 Roberto Dal Bosco, con cui da anni – da prima che ci fosse Renovatio 21scriviamo, praticamente unici, su questi temi.

 

Elisabetta Frezza

 

 

Gattaca è una pellicola di Andrew Niccol, del 1997. Iconograficamente evoca i disegni di Tamara De Lempicka (1898-1980): l’Autoritratto sulla Bugatti verde dell’artista sembra l’Uma Thurman che vediamo nel film.

 

«Gattaca», parola ottenuta dalla combinazione delle lettere dell’alfabeto genomico che identificano le nucleobasi del DNA, è il nome dell’ente aerospaziale che nell’intreccio organizza missioni interplanetarie. Entrare a Gattaca per fare l’astronauta è da sempre il sogno di Vincent, che fin da piccolo studia e si allena per avverarlo.

 

In una società rigidamente divisa tra umanoidi prodotti in laboratorio e geneticamente programmati (i cosiddetti «validi», candidati a ricoprire ruoli di prestigio) e umani concepiti naturalmente («invalidi», o «fanciulli di Dio», destinati a svolgere le mansioni più umili), Vincent appartiene alla seconda specie e dunque, sulla carta, il suo sogno è destinato a rimanere tale, tanto più che alla nascita gli è diagnosticata una grave menomazione cardiaca.

 

I suoi genitori, per il loro secondogenito, scelgono la strada della riproduzione artificiale: Vincent avrà quindi un fratello «valido», Anton, il prediletto, la rivalità con il quale si manifesta in ricorrenti gare di resistenza a nuoto, in mare aperto. 

 

Diventato grande, Vincent se ne va di casa e si fa assumere a Gattaca come addetto alle pulizie. Per opera di uno strano intermediario, gli viene offerta l’occasione di fingersi «valido» tramite un complesso raggiro che mira a sfruttare l’identità genetica di un suo coetaneo nato perfetto (Jerome, che diventerà Eugene) e diventato paraplegico a seguito di un incidente.

 

Vincent allora, sotto le mentite spoglie di Jerome, sarà finalmente selezionato come ricercatore a Gattaca.

 

Subito si distingue per la sua bravura, acquisita grazie allo sforzo profuso in tanti anni di studio e di allenamento. Si innamora, ricambiato, di Irene, una compagna di corso, «valida» ma anche lei affetta da un problema cardiaco. Eccetera.

 

Bisogna dire subito che, come molte altre trame distopiche, compresi i grandi classici come Orwell e Huxley, Gattaca nella realtà è già retroguardia.

 

In esergo, nei primi fotogrammi, compare una citazione di Willard Gaylin: «Osserva l’opera di Dio. Chi può raddrizzare ciò ch’Egli ha fatto storto? (Ecclesiaste 7:13).  Non penso solamente che interferiremo con madre natura. Ma anche che lei lo voglia».

 

Gaylin è uno dei fondatori della bioetica moderna, che altro non è se non un ufficio permessi fatto per apporre il timbro di moralità sopra tutti i nuovi traguardi della tecnica. Questo, non altro, è il ruolo del CNB, Comitato Nazionale di Bioetica.

 

Il tema centrale intorno al quale ruota tutto il film è l’eugenetica. E l’effetto «naturale» delle pratiche e della cultura eugenetiche: la divaricazione tra i geneticamente superiori (prodotti in vitro, o validi) e i naturali (uterini, nati per fede, o non-validi).

 

Il film ammette tuttavia l’esistenza di una striscia di terra di mezzo: infatti, per chi è superiore geneticamente il successo è sì più facile, ma non è garantito. Dopotutto, «non esiste il gene del destino» (c’è chi resta invalido, come Jerome) e «non esiste il gene della perfezione» (la patologia di Irene). Vincent, dal canto suo, rientra nella categoria dei «pirati genetici» (come si chiama chi rifiuta di giocare con le carte che ha avuto in sorte), altrimenti detti «de-generati».

 

I fabbricati in vitro come Anton, Jerome, Irene, non hanno mai provato la discriminazione. Subiscono però il peso di un altro fardello, il fardello della perfezione. 

 

A questo proposito, ricordiamo un episodio salito agli onori delle cronache americane (nelle colonne del New York Times) nel 2016, sui cosiddetti «embrioni mosaico». Sono stati battezzati così quegli embrioni da fecondazione artificiale (circa il 20 per cento, si è scoperto, della totalità di quelli prodotti in laboratorio) formati da un misto di cellule (in apparenza) anormali insieme ad altre (in apparenza) normali in base agli esiti dello screening genetico preimpianto (PGS), che determina la scelta di chi passa o non passa le eliminatorie alla gara della vita: di chi, cioè, ha possibilità di essere impiantato in utero oppure no.

 

Si è scoperto che questi embrioni imperfetti, normalmente soggetti alla rupe tarpea (sotto forma di congelamento sine die, sentenza di morte edulcorata), sono in grado, se impiantati in utero, di riparare da se medesimi le proprie anomalie iniziali, ed essere bimbi sani alla nascita: realtà che, alla fine, nega i presupposti su cui si fonda la Procreazione Medica Assistita stessa, visto che è stato verificato che l’embrione brutto viene fuori un bambino normale.

 

Gli scienziati sono rimasti stupiti, perché non avevano mai provato a dar seguito a una gravidanza con un embrione mosaico. In quel caso, la richiedente era ormai attempata al punto da non poter affrontare un ulteriore ciclo di stimolazione ovarica e aveva scelto di rischiare l’impianto di un embrione imperfetto, sapendo di potersi giocare, semmai, la carta dell’aborto. Il bimbo è nato sano.

 

Ciò ha dimostrato la demenza totale della comunità scientifica, che non ha capito nulla della vita e dunque non ha nessuna fiducia nella vita. Che si butta, bendata, nelle sperimentazioni di massa (e ne sappiamo qualcosa).

 

La visione meccanicistica della scienza medica pensa all’uomo come a una macchina. E le macchine rotte sono complicate da aggiustare, meglio buttare via un prodotto difettato. Invece la vita aggiusta tutto. La vita è in grado di ripararsi in modi sempre più sorprendenti, fa cose che gli scienziati non sono nemmeno lontanamente in grado di spiegare.

 

La scienza non ha capito la forza che ha la vita nei primi momenti della sua formazione (le staminali embrionali sono cellule che sanno fare tutto).

 

Lo scienziato che scarta un embrione mosaico non sa cosa potrebbe saltare fuori. In realtà nessuno di noi sa se era un embrione mosaico, oppure no.

 

Nell’articolo del NYT si riferiva anche come il dottor Norbert Gleicher, direttore del centro per la riproduzione umana di New York, si chiedesse se non fosse opportuno riflettere su questo: se cioè un campione casuale formato da una decina di cellule prelevate così precocemente per la biopsia preimpianto possa essere rappresentativo dell’intero embrione e parametro unico in base al quale decidere le sorti dello sviluppo fetale successivo.

 

Colpisce lo stupore diffuso di tutti questi signori, molto esperti, che in realtà nulla sanno di ciò che stanno facendo, e ce lo dimostrano in continuazione. 

 

Tornando al film. I genitori del protagonista sembrano inizialmente dei dissidenti rispetto alla forma mentis eugenetica: per scelta, infatti, concepiscono il primogenito nell’amore. Ma poi diventano anche loro facili vittime della pressione dei pari: il funzionario della clinica della riproduzione li blandisce, mostra loro il lato seducente della riprogenetica, e presto fa a convincerli a non affidare al caso il secondo figlio.

 

Stupisce come arrivino a interiorizzare talmente il nuovo paradigma da riprodurre essi stessi la dicotomia gerarchica all’interno della famiglia: un figlio superiore e l’altro inferiore. Se la società ti dice di emarginare Calimero, ci si persuade ad emarginare Calimero, lo fanno persino mamma e papà. 

 

«La discriminazione è reato, si chiama genosoìsmo – spiega la voce narrante nel film – ma tutti se ne infischiano della legge. Ora la discriminazione è elevata a sistema».

 

La discriminazione dunque, benché sia illegale, è eretta a sistema.

 

Ora, è innegabile che alle prove generali di questa precisa operazione noi abbiamo già assistito, e che la massa le abbia accettate.

 

Alla base della certificazione verde stava esattamente questa divisione della popolazione, che ricalca la biforcazione tra i geneticamente arricchiti e i naturali: solo quanti accettano un trattamento a base genica possono entrare al bar; senza quel marchio non solo non vai al bar, ma non lavori, e quindi fai la fame, e sei indegno di appartenere al consesso sociale in quanto disobbediente, sovversivo, civicamente ineducato, organoletticamente repellente.

 

Il Tinder dei non vaccinati è stato censurato ed escluso dall’Apple store, ma per il Tinder genetico in cantiere nessuno fiata. Sono segnali eloquenti di come la società sia già pronta, anche a livello di grande capitale, per creare due classi e far prevalere quella che accetterà il controllo genetico come suo principio ordinatore. La piattaformazione della vita dell’individuo farà sì che sarà lo stato a dirti se potrai fare un figlio con l’uno o con l’altro. La piattaforma con i tuoi dati diventerà un super don Rodrigo: questo matrimonio s’ha o non s’ha da fare.

 

Ma quello del GP è stato solo l’aspetto più appariscente di una deriva che viene da molto lontano e che ha mille facce più o meno appariscenti.

 

La società è eugenetica in senso più profondo: pratica l’aborto seriale dei bambini down (l’Islanda può vantarsi di essere down free, l’Emilia-Romagna sta introducendo i test non invasivi prenatali con cui si possono eliminare preventivamente i difettati); pratica la FIVET, che significa cinquant’anni di eugenetica attiva legalizzata e finanziata nei LEA. Eugenetica di Stato.

 

L’eugenetica non si è esaurita con Hitler, ma precede Hitler ed è continuata dopo di lui sottoforma di eugenetica borghese. Il modello hitleriano era operativo negli USA delle leggi eugenetiche – segregazione razziale; sterilizzazione legalizzata di alcune categorie di persone ritenute, per arbitrio della autorità, inadatte alla riproduzione.

 

Gli stessi poteri che l’hanno finanziata in America nei primi del Novecento hanno finanziato anche Hitler. Un nome tra tutti, sempre sulla cresta dell’onda eugenetica (tuttora): Rockfeller

 

I sostenitori e propalatori della ideologia hitleriana, di fatto, la guerra l’hanno vinta. La Seconda Guerra mondiale è stata una guerra geopolitica e non bioetica. Geopoliticamente ha avuto un certo esito, bioeticamente l’esito opposto.

 

«Lo stadio finale (della conquista della Natura da parte dell’uomo) giungerà quando l’Uomo, attraverso l’eugenetica, il condizionamento pre-natale, e una istruzione e una propaganda basate su una perfetta psicologia applicata, avrà raggiunto il pieno controllo su se stesso». 

 

«La natura umana sarà l’ultima parte della Natura ad arrendersi all’Uomo. […]. Avremo “preso il filo della vita dalle mani di Cloto” e saremo quindi liberi di fare della nostra specie qualsiasi cosa vogliamo». 

 

«…i plasmatori d’uomini della nuova epoca saranno armati dei poteri di uno stato onnicompetente e di una irresistibile tecnica scientifica: avremo una razza di Condizionatori che potranno davvero modellare la posterità nelle forme che vogliono».

 

Era il 1943 quando Lewis scriveva queste parole nel suo saggio intitolato L’abolizione dell’uomo.

 

Lo «stadio finale» del «pieno controllo su se stesso» da parte dell’uomo è quasi arrivato ottant’anni dopo. 

 

Sono menzionate due armi a disposizione dei cosiddetti plasmatori d’uomini: i «poteri di uno Stato onnicompetente» e una «irresistibile tecnica scientifica».

 

Fiutando il vento totalitario che soffiava forte nella sua epoca, studiando i flussi della turbolenza, Lewis era riuscito a intuirne il prevedibile sbocco: il dominio dell’uomo sull’uomo – dell’uomo più forte nei confronti del suo simile più debole e privo di difese – porta fino all’annientamento dell’uomo, o meglio alla sua sostituzione. Con qualcosa di apparentemente uguale, di antropomorfo, ma ontologicamente altro da sé. 

 

Dopo un paio di anni, nel 1945, Lewis torna sul punto, in un dialogo tra due protagonisti del romanzo Quell’orribile forza, dove si legge:

 

«…”Certi uomini devono farsi carico di tutti gli altri, il che è un ulteriore motivo per trarne tutto il vantaggio possibile, appena si può“. “Cose semplici e ovvie, tanto per cominciare…la sterilizzazione dei disabili, l’eliminazione delle razze arretrate (non vogliamo pesi morti), la riproduzione selettiva. Poi l’educazione vera, compresa l’educazione prenatale. Per vera educazione intendo un’educazione che non ammetta pressapochismi. La vera educazione infallibilmente trasforma chi la subisce in ciò che essa si prefigge, senza che il soggetto in questione o i suoi genitori possano farci nulla. Naturalmente si tratterà, all’inizio, di un influsso soprattutto psicologico. Ma alla fine arriveremo al condizionamento biochimico e alla diretta manipolazione del cervello“. “Ma è una cosa stupenda, Feverstone!“. “Quello che conta, finalmente. Un tipo nuovo di uomo; e sono le persone come lei e come me che devono cominciare a costruirlo“».

 

Un tipo nuovo di uomo. Da costruire dal nulla, oppure da de-costruire, manipolare e in qualche modo ricreare. Insomma, da re-settare. Un termine che va molto di moda. Si può dire anzi che il reset sia la cifra di questa fase storica. 

 

Fatto sta che oggi quell’«irresistibile tecnica scientifica» (al riparo dei poteri di quello «Stato onnicompetente») ha avuto accesso a ogni parte della natura umana, compreso il suo linguaggio più interiore. È arrivata fino a manomettere il suo codice fondamentale, la sua struttura più profonda: il genoma. Il salto quantico, letteralmente apocalittico, era già preparato da tempo, ma lo shock dell’emergenza ha contribuito, in modo decisivo, a tramutarlo in fenomeno massivo.

 

La FIVET – che poi, più prosaicamente, non è altro che il grande affare della provetta – ha potuto attecchire ed evolvere indisturbata perché presentata al pubblico dietro la sempre attraente maschera della vita. Consegnare a chi lo desideri il cosiddetto «bimbo in braccio» è unanimemente visto come una azione positiva in ogni senso possibile, perché da un lato buona e caritatevole verso il desiderante, dall’altro foriera di un evento tenero e gioioso quale è sempre la nascita di un bambino. 

 

Ma questa pratica è servita come un’autostrada per sdoganare e gradualmente normalizzare quelle pratiche biotecnologiche, tributate dalla zootecnia, che sono, per definizione, inscritte in un orizzonte eugenetico: è in questo orizzonte infatti che domanda e offerta si incontrano. Per una questione di logica invincibile.

 

Se io, aspirante genitore, ordino un bambino e affronto l’oneroso (non solo economicamente, ma anche fisicamente e psicologicamente) iter necessario per procurarmelo, e a un certo punto mi viene prospettata o consegnata una creatura portatrice di qualche difetto o priva degli optional richiesti, è un problema. Tendo a percepirla, come si dice in materia di contratti, un aliud pro alio, qualcosa di diverso da quanto convenuto, e dunque tendo a rifiutarla, magari a volerla rispedire al mittente, fare un reso insomma.

 

E infatti spesso nella pratica accade che – per paradosso rispetto all’amorevole slancio iniziale – queste procedure sfocino o in un aborto volontario o nell’abbandono del neonato nel caso si manifesti in itinere un qualche tipo di imprevisto.

 

Commissionando un figlio alla tecnica – perché il progresso me ne dà facoltà e lo Stato me ne riconosce il «diritto» – non contemplo vizi o errori di fabbricazione, maturo persino inconsciamente la pretesa (non solo la speranza) del figlio perfetto. Mi immetto nel mercato e, volente o nolente, entro nell’ordine delle idee mercatista. 

 

La scienza mi illude cioè di poter azzerare l’alea connessa con la roulette russa della natura. 

 

Robert Edwards – che fu il pioniere della fecondazione artificiale, vincitore del Nobel per la medicina nel 2010 in qualità di «padre» di Louise Brown la prima figlia della provetta, nata nel 1978 – sosteneva senza reticenze questa pulsione eugenista, e apertamente la cavalcava nel pubblicizzare le proprie invenzioni faustiane:

 

«Quando la gente dice che la diagnosi preimpianto è costosa, rispondo sempre: qual è il prezzo di un bambino disabile che nasce? Qual è il costo che ognuno deve sopportare? È un prezzo terribile per tutti, e il costo economico è immenso. Per una diagnosi preimpianto, a confronto, servono davvero pochi soldi».  

 

Ma abbiamo visto cosa si è scoperto, per puro caso, con gli embrioni mosaico. Il fatto è che l’agenda stabilisce di far slittare la procreazione da fatto naturale a fatto sintetico e tra gli embrioni prodotti artificialmente bisogna procedere a una selezione, con criteri per forza di cose del tutto arbitrari.

 

In altre parole, la procreazione deve de-sessualizzarsi – il sesso viene relegato a funzione meramente ricreativa, ma sterile – e spostarsi verso il paradigma della «fertilizzazione», proprio come nella zootecnia. Con relative selezioni e manipolazioni pre e post impianto. 

 

Ma cosa significa, di fatto, questo cambio di paradigma? Significa una cosa enorme, ma che quasi nessuno è disposto a vedere: significa che il rubinetto della vita – e anche la cassetta degli attrezzi per aggiustarla, ripararla, sistemarla – passa nelle mani del potere farmaceutico. Che vuol dire, poi, dei filantropi che lo governano e che, in questo modo, divengono detentori del potere di vita o di morte, e di sperimentazione infinita, su una fetta sempre più ampia del genere umano. 

 

E la vita, per dirsi degna di essere vissuta, deve rispondere a determinati standard di qualità (senza porsi il quesito di chi stabilisca il metro di misura della sua qualità). 

 

Per questa via l’uomo viene gradualmente sostituito dal prodotto fabbricato in laboratorio e, mano a mano che la riprogenetica evolve, il modello diventa sempre più avanzato. 

 

L’ultimo progresso della bioingegneria si chiama CRISPR (cioè l’editing genetico, il taglia e cuci molecolare con cui vengono sostituiti dei geni, i cosiddetti geni bersaglio, e poi viene ricucita la catena del DNA) e serve a programmare i connotati dell’essere umano nella fase che precede l’impianto dell’embrione, oppure a correggerli poi. Ancora una volta, su modello zootecnico.

 

Li abbiamo già, i bambini geneticamente modificati, tipo le famose gemelline cinesi, nate nel 2019 AIDS-free (immuni all’HIV) con la tecnica CRISPR, promossa da Bill Gates con investimenti ultramilionari. L’esistenza delle super gemelle cinesi inattaccabili all’HIV prefigura un mondo dove il bambino verrà migliorato sia dal punto di vista immunitario sia dal punto di vista fisico e intellettuale. 

 

Un genetista di Harvard lo ha detto a chiare lettere che «fare il bambino con la bioingegneria sarà come vaccinarlo». Del resto, l’università era solo per i vaccinati. Un giorno diventerà solo per i geneticamente modificati, come in Gattaca

 

La provetta – questo cantiere prenatale della vita – diventa come una sorta di vaccino preventivo incorporato nel procedimento di fabbricazione del manufatto umano, in modo che il prodotto sotto forma di bambino possa essere consegnato all’aspirante genitore insieme al relativo certificato di garanzia: immune all’HIV tanto per cominciare, ma un domani immune al morbillo, o anche, per esempio, dotato di ossa indistruttibili, o di orecchio assoluto, o di intelligenza matematica. 

 

Sir Richard Dawkins, altro genetista di grido, nel 2006 diceva che è lecito chiedersi, essendo ormai passati sessant’anni dalla morte di Hitler, quale sia la differenza morale tra il generare esseri con abilità musicali, e il costringere un bambino a prendere lezioni di musica. O tra l’allenare corridori veloci o saltatori in alto, e riprodurli. Insomma, si fa prima a fabbricarli direttamente così, con attitudine incorporata, si evita una faticaccia. 

 

Poiché il CRISPR si candida a diventare la porta attraverso cui, prima o dopo la nascita, più o meno tutti devono passare, chi per riprodursi rifiuterà gli alambicchi del laboratorio e preferirà i soliti vecchi metodi naturali, diventerà non solo un retrogrado da compatire, uno che ripudia la scienza, ma anche un egoista da contrastare, visto che oggi il progresso offre la possibilità di procurarsi designer babies da catalogo, chiavi in mano e in garanzia. 

 

Il solito Edwards lo preconizzava compiaciuto, che «presto sarà colpa dei genitori avere un bambino portatore di disordini genetici». Vale a dire che, nella sua testa, la normalizzazione della provetta doveva portare verso la demonizzazione della generazione naturale. 

 

Ha fatto proseliti costui, perché il nostro ministero della salute qualche anno fa, in occasione del lancio del cosiddetto Fertility Day (una trovata della Lorenzin applaudita dall’episcopato e dalle sue propaggini associative, movimenti vari «per la vita»), diceva che la FIVET, «nata come risposta terapeutica a condizioni di patologia specifiche e molto selezionate, sta forse assumendo il significato di un’alternativa fisiologica». Da eccezione a norma. Poi è un attimo passare dall’alternativa fisiologica alla scelta obbligata, Overton è sempre con noi.

 

Sta di fatto che stiamo allegramente consegnando ai signori di Big Pharma il controllo di qualità e di quantità sulle nostre vite. 

 

L’obiettivo vero, ben nascosto dietro gli slogan accattivanti e i fiocchi rosa e azzurri, è appunto la desessualizzazione della procreazione e la sua artificializzazione, connessa con la selezione eugenetica della specie.

 

In sostanza, siamo di fronte all’apoteosi della reificazione e mercificazione dell’uomo, diventato un prodotto come un altro, col suo codice a barre, da comprare negli scaffali del supermercato, da consumare e, nel caso, da buttare via. 

 

Ora, credo sbaglieremmo a pensare che lo sviluppo e la diffusione massiva della fabbrica della vita non abbiano nulla a che fare con lo sviluppo e la diffusione massiva della nuova generazione di farmaci a mRNA. Questi, alla fine, si basano su una formula bioinformatica capace di interferire col materiale genetico della cellula, ricondizionando il suo DNA e intaccando quindi la linea germinale umana. 

 

CRISPR e mRNA sono le due direttrici attraverso le quali si realizza la transizione verso una nuova concezione della medicina, da chimica a genica. Il COVID ha fatto da acceleratore in questa transizione, rendendo eugenismo e transumanesimo fenomeni di massa. Il che implica lo sconvolgimento dell’assetto biologico, dotato di un equilibrio insondabile ed esclusivo, che la natura consegna a ciascun individuo. 

 

Big Pharma, in altre parole, intraprende la scalata per acquisire il controllo del nostro corpo, visto come ultima interfaccia computazionale, col risultato che esso perde la capacità di autogestire le proprie funzioni vitali, e anche di autoripararsi, per dipendere da un azionista alieno. D’altra parte, era il 1996 quando Bill Gates diceva che «il gene è il software più sofisticato che ci sia», dimostrando con ciò di avere ben presente la meta: un «modestissimo» programma di controllo del mondo attraverso l’informatica della vita. 

 

E così come domani sarà demonizzata la procreazione naturale a vantaggio di quella sintetica, lo stesso è già avvenuto con i farmaci a mRNA: chi, in omaggio a un elementarissimo principio di precauzione, non voglia cedere il proprio corpo alla sperimentazione, è istericamente additato come nemico della scienza, attentatore della salute della collettività, nemico dell’umanità (ma, a questo punto, è lecito chiedersi: quale umanità?).

 

Ma l’uomo non è padrone della vita, la convinzione di esserlo è un’idea satanica. Prima o poi, tutti gli esperimenti eugenetici fanno una brutta fine perché la natura, prima o poi, presenta il conto.

 

L’eugenetica è un processo perverso destinato a divorare se stesso.

 

Elisabetta Frezza

 

 

 

Bioetica

La Svezia potrebbe legalizzare gli aborti chimici fai da te e parla del «diritto» all’aborto per le donne trans

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La Svezia sta valutando importanti revisioni alle sue leggi sull’aborto a seguito di un’indagine presentata al governo la scorsa settimana. Lo riporta LifeSiteNews.

 

Le modifiche proposte includono l’autorizzazione degli aborti domestici fai da te, l’eliminazione del requisito che gli aborti siano eseguiti solo in strutture mediche e l’adozione di un linguaggio «gender-neutral». Sebbene queste misure siano inquadrate come una risposta ai progressi della medicina e alle norme sociali in evoluzione, sollevano notevoli preoccupazioni sulla salute e la sicurezza delle donne.

 

La legge svedese sull’aborto, introdotta nel 1974, ha legalizzato l’aborto su richiesta fino a 18 settimane ed è rimasta sostanzialmente invariata. A giugno 2023, il governo ha avviato un’indagine guidata da Inga-Maj Andersson, infermiera diplomata, ostetrica e dottoressa in medicina, per valutare potenziali aggiornamenti, tra cui la crescente prevalenza di aborti a domicilio.

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«La legge sull’aborto ha quasi cinquant’anni e deve essere modernizzata», ha affermato il ministro della Salute Acko Ankarberg Johansson in un comunicato stampa.

 

«Non da ultimo, la legge deve essere adattata agli sviluppi medici che si sono verificati, come il fatto che oggi vengono eseguiti un numero maggiore di aborti farmacologici che non richiedono cure ospedaliere. La proposta del rapporto è un gradito passo avanti verso una legislazione aggiornata».

 

Una raccomandazione centrale dell’inchiesta è di consentire alle donne di assumere la pillola abortiva a casa. Attualmente, il regime di pillola abortiva, costituito da mifepristone, che blocca l’ormone della gravidanza progesterone, e misoprostolo, che induce contrazioni ed espelle il corpo del bambino, viene somministrato sotto supervisione medica.

 

Nonostante le affermazioni secondo cui l’aborto a casa è sicuro, la ricerca dimostra che gli aborti chimici sono quattro volte più pericolosi degli aborti chirurgici nel primo trimestre. Una ricerca condotta da Gynuity, un istituto di ricerca americano pro-aborto, ha scoperto che il sei percento (6%) delle donne che prendono la pillola abortiva richiederà cure presso un pronto soccorso o una struttura di cure urgenti, e si ritiene che questa sia una stima bassa a causa della sottostima.

 

Senza un’adeguata supervisione medica, complicazioni come gravi emorragie, infezioni e aborto incompleto diventano più probabili. L’assenza di ecografie o esami del sangue pre-aborto aumenta anche il rischio di gravidanze ectopiche non diagnosticate, che possono essere fatali.

 

Inoltre, molte donne non sono preparate al dolore estremo e alle forti emorragie associate all’aborto chimico, lasciandole angosciate e vulnerabili senza un’assistenza medica immediata. L’ampliamento dell’accesso alle pillole abortive senza supervisione medica potrebbe mettere più donne a rischio di gravi complicazioni di salute.

 

L’inchiesta propone inoltre di aggiornare il testo della legge svedese sull’aborto per renderlo «neutrale rispetto al genere», sostituendo termini come «donna» con «la persona incinta».

 

«Oggigiorno, è possibile per qualcuno che è legalmente maschio rimanere incinta, e dovrebbe anche avere il diritto all’aborto», ha affermato Andersson, secondo la testata The Local. Ha insistito, «Questo non influisce negativamente sul diritto all’aborto per le donne, è comunque una questione di diritti delle donne».

 

Oltre a queste misure, l’inchiesta suggerisce di chiarire il diritto legale all’aborto e di garantire che gli operatori sanitari offrano un accesso tempestivo ai servizi di aborto. Il governo esaminerà ora il rapporto prima di decidere se procedere con queste modifiche.

 

L’aborto in Svezia è stato regolamentato per la prima volta da una legge del 1938, che stabiliva che un aborto poteva essere legalmente eseguito in Svezia per motivi medici, umanitari (che includono lo stupro) o eugenetici.

 

L’eugenetica, sterilizzazioni incluse, è stata una componente presente nella società svedese fino a pochi anni fa. Come riportato da Renovatio 21, il programma eugenetico di sterilizzazione forzata svedese ha colpito 30 mila persone fino al 1976.

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Come riportato da Renovatio 21, il fatto che in Isvezia il feticidio fosse legale ha portato a risalenti traffici di tessuti da utilizzare per la creazione di linee cellulari immortalizzate da feto abortito, alcune delle quali utilizzate nella produzione dei vaccini. È il caso della linea cellulare diploide umana WI-38, ottenuta a partire dall’«esemplare 38, 32° aborto», ottenuto in Svezia espedito al dottor Leonard Hayflick, Istituto Wistar, Filadelfia, Utilizzato per la coltura di RA273 per i vaccini contro la rosolia e MMR e studiare la vita delle linee cellulari in vitro.

 

Vi è inoltre la linea cellulare WI-44, «campione n.44, 38° aborto» sempre spedita al dottor Hayflickr all’Istituto Wistar di Filadelfia. La WI-44 è usata insieme a WI-26 e 38 per studiare la vita delle linee cellule in vitro.

 

Il Wistar Institute è un istituto scientifico situato nel campus dell’Università della Pennsylvania a Filadelfia, specializzato nei campi dell’immunologia e della biologia cellulare.

 

Lavorando per l’Istituto nel 1961, il dottor Leonard Hayflick pubblicò per la prima volta un documento che descriveva venticinque HDCS: da WI-1 a WI-25 (campioni fetali del Wistar Institute n. 1–25). Queste linee cellulari sono state prelevate da polmoni, pelle, muscoli, rene, cuore, tiroide, timo e fegato di diciannove feti separati, abortiti volontariamente. Lo scopo della scelta di organi diversi era testare la differenza nelle caratteristiche dei tessuti. La sua ricerca ha incluso anche il test della suscettibilità di queste linee cellulari per diversi virus.

 

L’aborto era illegale negli Stati Uniti a quel tempo, quindi il tessuto fetale venne fornito dal dottor Sven Gard della Karolinska Institute Medical School di Stoccolma, in Svezia

 

Hayflick e i suoi collaboratori (incluso Anthony Girardi del Merck Institute for Therapeutic Research) iniziarono a lavorare con queste linee cellulari per sviluppare vaccini virali: nel 1962 fu sviluppato un vaccino contro il poliovirus nel ceppo cellulare WI-1. A questo punto erano stati realizzati cinquanta HDCS. Infine, dopo questi miglioramenti nella tecnica, Hayflick pubblicò i suoi rapporti sullo sviluppo di WI-38.

 

Come riportato da Renovatio 21 il WI-38 era stato ottenuto da un feto femmina di tre mesi: «questo feto fu scelto dal dottor Sven Gard, appositamente per questo scopo» scrive un saggio sul virus della rosolia del 1969. «Entrambi i genitori sono noti e, sfortunatamente per la storia, sono sposati, ancora vivi e vegeti, e presumibilmente vivono a Stoccolma. L’aborto è stato fatto perché sentivano di avere troppi figli. Non c’erano malattie familiari nelle famiglie dei due genitori, e nessun caso di cancro nelle famiglie».

 

Hayflick divenne uno sviluppatore di un vaccino contro la poliomielite e ha combattuto e vinto il diritto legale di detenere un brevetto e trarre profitto da WI-38. Il ricercatore è stato uno dei co-firmatari di una lettera inviata al presidente Bush nel 2001 per sostenere la distruzione di embrioni umani che avviene nella ricerca sulle cellule staminali embrionali.

 

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Bioetica

La Corte internazionale latinoamericana respinge fermamente l’aborto come «diritto umano»

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Il 23 gennaio, tuttavia, la Corte interamericana dei diritti umani, una corte internazionale con sede a San José, in Costa Rica, ha respinto il tentativo della lobby dell’aborto di stabilire un «diritto all’aborto» in America Latina. Lo riporta LifeSite.   Questa sentenza crea un precedente legale che aiuterà il PRI e altri gruppi pro-life a difendere la vita innocente non ancora nata dal concepimento nei 25 Paesi membri, inclusa la regione in generale» ha scritto Carlos Polo, il capo dell’ufficio latinoamericano del Population Research Institute (PRI).   Al centro del caso della lobby dell’aborto, scrive Polo, c’era una falsità fondamentale, una che gli attivisti dell’aborto hanno usato più e più volte in un Paese dopo l’altro, con grande successo. Questa tattica è stata usata con successo in Irlanda, dove la tragica morte di Savita Halappanavar è stata usata per legalizzare l’aborto; è fallita di recente a Malta, dopo che una colossale spinta pro-life è riuscita a mantenere il divieto di aborto in quel paese.

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Gli attivisti per l’aborto «hanno sostenuto che un “aborto terapeutico” avrebbe salvato la vita di una giovane donna salvadoregna, Beatriz, in una gravidanza ad alto rischio. Hanno sostenuto che le leggi di El Salvador, che riconoscono il diritto alla vita del nascituro e proibiscono l’aborto, hanno impedito ai dottori di salvarle la vita. La verità è che, proprio come Jane Roe non è mai stata violentata, Beatriz non è morta per complicazioni legate alla sua gravidanza o alla presunta mancanza di un aborto. Piuttosto, Beatriz è morta più di quattro anni dopo la nascita del suo bambino in un incidente motociclistico non correlato».   Il caso Beatriz è iniziato nel 2013, quando la ventiduenne affetta da lupus era incinta per la seconda volta. I dottori «le hanno suggerito la sterilizzazione» dopo la nascita del bambino, ma Beatriz ha rifiutato, sperando di avere altri figli. Diversi anni dopo, ha scoperto di essere di nuovo incinta, ancora una volta una gravidanza voluta. Le è stato detto, tuttavia, che il suo bambino era affetto da anencefalia, una «malformazione congenita che impedisce lo sviluppo del cervello». Il suo bambino non sarebbe sopravvissuto a lungo, le è stato detto. La lobby dell’aborto è prontamente intervenuta, dicendo a Beatriz che «sarebbe morta se avesse continuato la gravidanza».   «Il loro vero obiettivo era usare la sua situazione come pretesto per promuovere la legalizzazione dell’aborto, prima in El Salvador e poi presso la Corte interamericana» scrive Polo.   La Corte Suprema di El Salvador ha concluso che la vita di Beatriz non era in pericolo e che quindi un aborto non era necessario. Il perinatologo Rafael Varaona, medico di Beatriz durante la sua seconda gravidanza, ha detto alla corte che «il suo lupus eritematoso sistemico era completamente sotto controllo durante la gravidanza e che la sua vita non era mai stata a rischio».   Un fattore complicato è stato che l’intervento cesareo a cui era stata sottoposta per far nascere il suo secondo bambino non era guarito correttamente e quindi il suo terzo figlio è nato tramite taglio cesareo a sei mesi. «Sua figlia è nata e si è chiamata Leylani. È nata viva, ha ricevuto molto amore da sua madre ed è morta naturalmente poche ore dopo a causa della sua anencefalia”. Beatriz si è ripresa completamente» continua Polo.   Quattro anni dopo la morte della figlia, Beatriz morì in un incidente motociclistico, e la lobby dell’aborto vide la sua occasione. Sostennero che era morta perché non era riuscita a procurarsi un aborto mentre era incinta di Leylani, e che la sua morte era la prova che il «diritto umano all’aborto» era fondamentale. Nonostante l’inganno clamoroso, riuscirono a portare il caso, che era già stato deciso dalla Corte Suprema di El Salvador, alla Corte interamericana.   Il consenso prevalente era che le opinioni pro-aborto di diversi membri della Corte interamericana avrebbero portato a una vittoria per la lobby dell’aborto. Ma come a Malta, il movimento pro-life ha reagito. «Un coro di organizzazioni pro-life in tutta la regione ha alzato la voce per mesi, esponendo il modo in cui la lobby dell’aborto stava distorcendo i fatti del caso, per non parlare del coinvolgimento in vere e proprie falsità», scrive Polo.   La sentenza della Corte interamericana è una sconfitta definitiva per la lobby dell’aborto, scrive LifeSite. Non solo hanno concluso che le leggi pro-life di El Salvador non hanno portato alla morte di Beatriz né violato i suoi diritti umani, ma sono andati oltre.

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La Camera USA approva la legge per proteggere i bambini nati vivi dopo aborti falliti

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Il 23 gennaio la Camera ha approvato, seguendo le linee del partito, un disegno di legge che stabilisce gli standard di cura per i bambini nati vivi dopo un aborto fallito. Lo riporta Epoch Times.

 

La votazione, con 217 voti favorevoli e 204 contrari, è avvenuta al termine di un acceso dibattito in aula, durante il quale i repubblicani hanno sottolineato che il disegno di legge non riguardava l’aborto, ma i bambini che sopravvivono alla procedura.

 

«Come medico, va oltre la mia comprensione che qualcuno non intervenga per salvare una vita umana innocente e indifesa», ha affermato il deputato repubblicano Gregory Murphy, difendendo il disegno di legge alla Camera. «La negligenza è dannosa. La negligenza è immorale. L’aborto non è il problema».

 

Il Born-Alive Abortion Survivors Protection Act impone ai professionisti medici presenti alla nascita di un neonato sopravvissuto a un aborto di fornire al neonato lo stesso livello di assistenza salvavita che verrebbe offerto a qualsiasi altro neonato prematuro della stessa età gestazionale.

 

Il disegno di legge impone il trasferimento di questi neonati in un ospedale per ulteriori cure e stabilisce anche requisiti di segnalazione per le violazioni. Le sanzioni per la violazione della legge potrebbero includere multe e fino a cinque anni di prigione, sebbene la madre del bambino sarebbe protetta dall’azione penale.

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I democratici, tuttavia, hanno sostenuto che l’infanticidio è già illegale e che il disegno di legge è quindi inutile. «Questo disegno di legge non risolve un problema», ha affermato il rappresentante Kelly Morrison, un ostetrico, prima di votare contro la misura alla Camera.

 

«I dottori sono già onorati e obbligati a fornire cure appropriate ai loro pazienti. È illegale uccidere un neonato in tutti i 50 Stati».

 

Dal 2019 al 2021 nello stato d’origine di Morrison, il Minnesota, ci sono stati almeno otto casi segnalati in cui i neonati sopravvissuti all’aborto sono morti dopo la nascita, secondo il Dipartimento della Salute del Minnesota. In cinque di quei casi, non è stata segnalata alcuna misura presa per salvare la vita dei bambini. Negli altri tre casi, è stata fornita «assistenza di conforto».

 

Altri democratici hanno sostenuto che il disegno di legge avrebbe consentito al governo di interferire nelle decisioni relative alla salute riproduttiva delle donne e avrebbe privato i genitori della possibilità di confortare i loro bambini morenti.

 

L’approvazione del disegno di legge alla Camera arriva un giorno dopo che i democratici si sono opposti all’unanimità al suo avanzamento al Senato. Con una maggioranza di 60 voti necessaria per invocare la chiusura, o limitare il dibattito, su un disegno di legge, il voto procedurale è fallito 52-47.

 

Se i democratici riconoscessero l’umanità di un bambino vivo, nato in una clinica per l’aborto dopo un aborto fallito, potrebbero essere costretti a riconoscere l’umanità del bambino non ancora nato nella stessa clinica, ha affermato il leader della maggioranza del Senato John Thune.

 

I repubblicani americani hanno tentato numerose volte negli ultimi anni di approvare una legge che protegga la vita dei neonati sopravvissuti all’aborto. Tali sforzi sono stati bloccati dai democratici.

 

Come riportato da Renovatio 21, alla vigilia della Marcia per la Vita di Washington del 24 gennaio Trump ha graziato 23 attivisti pro-life imprigionati dall’amministrazione Biden.

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Ron Cogswell via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0

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