Pensiero
Bombardata la parrocchia cattolica di Gaza. Quando finirà il privilegio distruttore israeliano?
Alle 10 di questa mattina, ora italiana, bombe israeliane hanno colpito la chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza.
Fonti sanitarie dell’ospedale Al-Ahli di Gaza City riportano almeno due vittime: Saad Issa Kostandi Salameh, portinaio della parrocchia, e Foumia Issa Latif Ayyad, una fedele anziana. Nove persone sono rimaste ferite, alcune gravemente. La comunità dopo il 7 ottobre 2023 conta solo 500 persone: in pratica è stata dimezzata.
Il parroco, padre Gabriel Romanelli, ha subito una ferita a una gamba ed è stato curato in ospedale prima di rientrare in comunità.
GAZA
Parish priest Fr. Gabriel Romanelli IVE being treated today after Israel hit Holy Family Catholic Church
The church was damaged and parishioners were also injured pic.twitter.com/QMk2mAsR12
— Catholic Arena (@CatholicArena) July 17, 2025
I lettori di Renovatio 21 non sentono per la prima volta il suo nome: il parroco cattolico di Gaza in questi anni è stato al centro delle grida di angoscia che arrivano – contrariamente a quello che fa sembrare la propaganda goscista filoislamica – anche dai cristiani, stritolati dall’angoscia del bagno di sangue dietro l’angolo.
La chiesa, che ospita circa 500 sfollati a causa della guerra, ha riportato danni materiali.
GAZA
The view of Holy Family Catholic Church which was HIT by ISRAEL today
Parishioners and the Parish Priest Gabriel Romanelli IVE have all been injured pic.twitter.com/nAcISBDu2V
— Catholic Arena (@CatholicArena) July 17, 2025
At least two dead in Israeli destruction of Catholic Church in Gaza
“The Cross still stands, after an Israeli attack fulminates the Church of the Holy Family in Gaza.
“American Catholics must speak up. Enough is enough. Our tax dollars are behind this. Enough.”… pic.twitter.com/tDm7U10SZc
— Rorate Caeli (@RorateCaeli) July 17, 2025
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Vanno registrate le reazioni dal nostro Paese e dalla sfera cattolica.
La Conferenza Episcopale Italiana: «apprendiamo con sgomento dell’inaccettabile attacco alla chiesa della Sacra Famiglia di Gaza. Esprimiamo vicinanza alla comunità della parrocchia colpita, con un particolare pensiero a coloro che soffrono e ai feriti, tra i quali padre Gabriel Romanelli. Nel condannare fermamente le violenze che continuano a seminare distruzione e morte tra la popolazione della Striscia, duramente provata da mesi di guerra, rivolgiamo un appello alle parti coinvolte e alla comunità internazionale affinché tacciano le armi e si avvii un negoziato, unica strada possibile per giungere alla pace».
La premier Giorgia Meloni: «i raid israeliani su Gaza colpiscono anche la chiesa della Sacra Famiglia. Sono inaccettabili gli attacchi contro la popolazione civile che Israele sta dimostrando da mesi. Nessuna azione militare può giustificare un tale atteggiamento».
Il ministro della Difesa Guido Crosetto (che dovrebbe avere ancora il dente avvelenato per l’attacco israeliano di mesi fa ai nostri soldati dell’UNIFIL in Libano): «oggi, come ieri, come una settimana fa, come il mese scorso e tre mesi fa, sono morti altri palestinesi innocenti, uomini, donne, bambini, che non fanno parte di Hamas ma semmai ne sono prigionieri e ostaggi. La loro sola colpa è essere nati in una terra straziata dall’odio, in un tempo drammatico nel quale la ragione si è addormentata. Noi assistiamo ormai da mesi a qualcosa di disumano, straziante, orribile»
Trova, abbastanza ineditamente, parole di condanna netta pure il ministro degli Esteri di Forza Italia Antonio Tajani: «Gli attacchi dell’esercito israeliano contro la popolazione civile a Gaza non sono più ammissibili. Nel raid di questa mattina è stata colpita anche la Chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, un atto grave contro un luogo di culto cristiano. Tutta la mia vicinanza a Padre Romanelli, rimasto ferito durante il raid. È tempo di fermarsi e trovare la pace».
Anche il vertice del mondo cattolico sarebbe turbato. Telegramma del segretario di Stato vaticano Pietro Parolin: «Sua Santità Papa Leone XIV è profondamente addolorato nell’apprendere la perdita di vite e di feriti causati dall’attacco militare alla chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza e assicura al parroco, don Gabriel Romanelli e a tutta la comunità parrocchiale la sua vicinanza spirituale affidando le anime dei defunti all’amorevole misericordia di Dio. Il papa rinnova il suo appello per un immediato cessate il fuoco ed esprime la sua profonda speranza di dialogo, riconciliazione e pace durevole nella regione».
Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, sino a poco fa custode della Terra Santa nonché porporato papabile, che ha partecipato con gli altri patriarchi l’altro giorno ad una manifestazione pubblica contro le violenze dei coloni israeliani: «Noi cerchiamo sempre di raggiungere Gaza in tutti i modi possibili, direttamente e indirettamente. Adesso è presto per parlare di tutto questo, bisogna capire cosa sia accaduto, cosa si deve fare, soprattutto per proteggere la nostra gente, naturalmente cercare di verificare che queste cose non accadono più e poi si vedrà come proseguire, ma certamente non li lasceremo mai soli».
Tutti, apparentemente sconvolti. Nessuno però che riesce ad andare oltre alle parole di condanna circostanziata. Nessuno fa la domanda: da dove arriva questa strage?
Israele ha attribuito l’attacco a un «errore di tiro». Il solito. Perfino alcuni giornali della stampa mainstream hanno cominciato, finalmente, a definire ridicole affermazioni come questa. Israele riesce a centrare, come il mese scorso, un appartamento con dentro i massimi generali israeliani, beccando esattamente la stanza in cui si trovano. Poi fa errori di tiro e colpisce le chiese. Non è, il lettore di Renovatio 21 lo sa, la prima chiesa ad essere colpita: distrussero, con la gente dentro, San Porfirio, la chiesa più antica di Gaza, ora degli ortodossi.
Ora, ci vogliono dire che Hamas si nascondeva in parrocchia? E ricordiamo anche le due signore cattoliche trucidate da cecchini israeliani mentre camminavano per strada ad inizio conflitto: anche quelli, errori? Oppure nella borsa della spesa si nascondeva anche lì un virgulto di Hamas, cresciuto a pane, jihadismo e finanziamenti israeliani?
La realtà è che Israele ha il privilegio (lo abbiamo chiamato così in un precedente articolo) di dire e fare quel che vuole – e di uccidere chi vuole. Nessuno, la storia lo insegna, ha mai davvero reagito. Rapiscono Eichmann in una periferia argentina in barba ad ogni legge, lo portano in Israele dove lo processano con le loro leggi (di uno Stato che nemmeno esisteva ai tempi del reato) e poi lo uccidono. Uccidono un cameriere a Lillehammer, in Norvegia convinti che fosse il terrorista palestinese Salameh, ma è solo un uomo innocente. A Roma rapiscono lo scienziato atomico Mordechai Vanunu, che voleva dire al mondo del programma atomico israeliano, e lo mettono al gabbio per decenni.
Le bombe nucleari di Sion sono in effetti l’esempio definitivo di quello che stiamo dicendo: tutti lo sanno, ma il protocollo prevede che si faccia spallucce – perfino quando ciclicamente riemerge che forse è quello il motivo per cui hanno ucciso John Kennedy, e quindi indovinate da chi. Lo Stato Ebraico tira dritto, anzi, proietta l’accusa sugli altri: no, l’Iraq, la Libia, l’Iran non possono avere l’atomica.
Sappiamo che c’è una parola ebraica per questo tipo di tracotanza: chuzpah. La stiamo vedendo in questi mesi nel suo massimo splendore. Lo Stato creato con la giustificazione morale fondante del genocidio subito, è ora accusato, in tribunale, di praticare un genocidio – anzi, qualcuno ha detto «genocidio robotico di massa». I suoi soldati uccidono a casa, torturano e stuprano, mettono i video sui canali Telegram e vengono pure difesi dai loro parlamentari (arrivati a dire pubblicamente della legittimità di sodomizzare con un bastone un prigioniero palestinese). I loro droni, quando non uccidono, emettono versi di bambini che piangono per far uscire le persone e poi sparare loro. Hanno armi ad Intelligenza Artificiale (definita come «fabbrica di assassinii di massa»), lanciano cadaveri dai palazzi, usano bulldozer automatici che spianano tutto, e cantano canzoni sul destino della Striscia di venire spianata per fare un bel parcheggio che arriva fino al mare.
È la chuzpah di Binyamin Netanyahu, il cui vero nome di famiglia potrebbe essere Mileikowsky (Polonia, Ucraina), già noto in USA negli anni Settanta e Ottanta come Ben Nitay – ora capite il motivo per cui Renovatio 21 si permette di chiamarlo Beniamino: anche noi ci prendiamo un po’ di libertà con i nomi – il quale è andato in visita da Trump e, invece che dargli un cercapersone assassino come la volta precedente (allucinante) lo ha vellicato dicendo che gli avrebbe fatto vincere il premio Nobel per la pace.
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Fateci capire: l’uomo accusato all’Aia di crimini di guerra e genocidio può parlare degli esiti della Commissione del premio Nobel per la Pace? Vengono certi pensieri sui legami tra ebrei e massoni (che controllano il premio nordico da sempre, chiedete a Carducci), ma andiamo oltre.
La scenetta di Bibi che promette il Nobel a Trump è avvenuta durante il recente incontro tra i due a Washington. Fateci caso: lo stesso giorno che vede Netanyahu Trump getta sotto il tram tutta la base MAGA cominciando a sproloquiare dicendo che il caso Esptein è chiuso e non vedremo più niente. Cosa sia successo, non lo sappiamo. È lecito pensare, a questo punto, qualsiasi cosa.
Specie se si pensa che accanto ad Epstein c’era Ghislaine Maxwell, figlia del controverso miliardario britannico Robert Maxwell (vero nome Jan Ludvik Hyman Binyamin Hoch, ebreo boemo) che fu, secondo quanto ritenuto da tanti, una potentissima atomica israeliana, con tutti i vertici del Mossad e dello Stato Giudaico a presenziare alla cerimonia di interramento in Israele del suo cadavere. Come dire: intrighi, bombe atomiche, ricatti – gli ingredienti sono sempre gli stessi. Ora la Maxwell, unica in carcere, sembra che abbia sempre avuto voglia di vuotare il sacco parlando in audizione a Washington, ma nessuno (strano) l’ha mai invitata…
Il privilegio della chuzpah distruttrice potrebbe, però, essere arrivato al capolinea. Non è più possibile reggere l’evidenza. Ci hanno infilato intesta la crudeltà nazista della legge del taglione alla fine della guerra: da ammazzare per ogni soldato tedesco ucciso. La logica, il senso comune saltano fuori: di fronte alle forse 50.000 vittime di Gaza, che proporzione fare con il migliaio di morti dell’attacco del 7 ottobre? Una legge per il taglione 1:50? Cinque volte la barbarie hitlerista?
Gaza verrà spianata totalmente, forse ne faranno davvero un resort, come vuole Trump forse inzigato dal vermilinguo genero, figlio di un palazzinaro criminale ricattatore ebreo ortodosso eterno sostenitore di Netanyahu. Quella, tuttavia, diverrà dinanzi al mondo la prova definitiva ed incontrovertibile della violenza annientatrice sionista, e quindi l’erosione del privilegio olocaustico, quello per cui tutti i nostri politici, e neanche solo loro, hanno dovuto per anni sottomettersi alla gita in sinagoga e allo Yad Vashem con la kippah e baciare la pantofola della ragione morale per l’esistenza dello Stato di Israele: lo sterminio, di cui però ora gli ebrei sono chiaramente accusati.
Ci sono altri timori tuttavia, specie tra i giudei. C’è, per esempio, la storia della «maledizione dell’ottava decade».
Il primo Stato ebraico, istituito dal re Davide, raggiunse traguardi notevoli e mantenne l’unità per 80 anni. Nell’81º anno, divisioni interne causarono la frammentazione del regno della Casa di Davide nei regni di Yehuda e Yisrael, avviando il suo declino. Durante questo processo, milioni di membri delle Dieci Tribù andarono perduti, e Rabbi Akiva affermò che non sarebbero mai tornati.
Il secondo Stato ebraico, il regno asmoneo dell’epoca del Secondo Tempio, durò 77 anni come entità unita e indipendente. Nella sua ottava decade, però, conflitti interni lo divisero, spingendo i leader delle fazioni rivali per il trono a chiedere l’intervento di Pompeo in Siria, offrendosi come vassalli di Roma. Di conseguenza, il regno asmoneo perse la sua sovranità, diventando un protettorato romano privo dell’orgogliosa indipendenza ebraica.
Ora, all’ottantesimo compleanno dello Stato di Israele mancano pochi mesi. Si tratta di un’idea piuttosto apocalittica. Stiamo assistendo alle ultime ore di questa edizione del Regno di Giudea? E perché gli israeliani lo temono davvero che stiamo vedendo tale feroce annientatrice?
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E poi, la domanda abissale, che nessuno, nemmeno quando piovono le bombe sulle chiese, osa fare: chi deve custodire davvero la Terra Santa? Chi può farlo? Chi può, deve, portare la pace nei luoghi dove nacque, visse e morì nostro Signore?
Tra uno Stato Ebraico e una miriade limitrofa di versioni di Stato Islamico, ci sarà mai uno Stato Cristiano – uno Stato Crociato – in grado di riportare il logos nell’inferno che dal Medio Oriente arriva a bruciare anche noi?
La risposta a questa domanda, riteniamo, è fondamentale: non solo per i cristiani sopravvissuti allo Stato moderno, ma per la Civiltà stessa. Al punto da arrivare alla vertigine ultima: senza una Gerusalemme pacificata nel nome di Cristo nessuno Stato Cristiano è possibile.
Non sappiamo se il concetto, mentre i nostri sacerdoti vengono bombardati, è chiaro abbastanza.
«Gli orecchi per udire li avete, ma non volete capire, avete gli occhi per vedere, ma non volete intendere» (Is 6,9).
Roberto Dal Bosco
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Immagine da Twitter; modificata
Pensiero
Di tabarri e boomerri. Pochissimi i tabarri
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Pensiero
Trump e la potenza del tacchino espiatorio
Il presidente americano ha ancora una volta dimostrato la sua capacità di creare scherzi che tuttavia celano significati concreti – e talvolta enormi.
L’ultima trovata è stata la cerimonia della «grazia al tacchino», un frusto rito della Casa Bianca introdotto nel 1989 ai tempi in cui vi risiedeva Bush senior. Il tacchino, come noto, è l’alimento principe del giorno del Ringraziamento, probabilmente la più sentita ricorrenza civile degli americani, che celebra il momento in cui i Padri Pellegrini, utopisti protestanti, furono salvati dai pellerossa che indicarono ai migranti luterani come a quelli latitudini fosse meglio coltivare il granturco ed allevare i tacchini. Al ringraziamento degli indiani indigeni seguì poco dopo il massacro, però questa è un’altra storia.
Fatto sta che il tacchino, creatura visivamente ripugnante per i suoi modi sgraziati e le sue incomprensibili protuberanze carnose, diventa un simbolo nazionale americano, forse persino più importante dell’aquila della testa bianca, perché il rapace non raccoglie tutte le famiglie a cena in una magica notte d’inverno, il tacchino sì. Tant’è che ai due fortunati uccelli di quest’anno, Gobble e Waddle (nomi scelti online dal popolo statunitense, è stata fatta trascorrere una notte nel lussuosissimo albergo di Washington Willard InterContinental.
🦃 America’s annual tradition of the Presidential Turkey Pardon is ALMOST HERE!
THROWBACK to some of the most legendary presidential turkeys in POTUS & @FLOTUS history before the big moment this year. 🎬🔥 pic.twitter.com/QT2Oal12ax
— The White House (@WhiteHouse) November 24, 2025
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Da più di un quarto di secolo, quindi, eccoti che qualcuno vicino alla stanza dei bottoni si inventa che il commander in chief appaia nel giardino delle rose antistante la residenza e, a favore di fotografi, impartista una grazia al tacchino, salvandolo teoricamente dal finire sulla tavola – in realtà ci finisce comunque suo fratello, o lui stesso, ma tanto basta. Non sono mancati i momenti grotteschi, come quando il bipede piumato, dinanzi a schiere di alti funzionari dello stato e giornalisti, ha scagazzato ex abrupto e ad abundantiam lasciando puteolenti strisce bianche alla Casa Bianca.
Non si capisce cosa esattamente questo rituale rappresenti, se non la ridicolizzazione del potere del presidente di comminare grazie per i reati federali, tema, come sappiamo quanto mai importante in quest’ultimo anno alla Casa Bianca, visti le inedite «grazie preventive» date al figlio corrotto di Biden Hunter, al plenipotenziario pandemico Anthony Fauci, al generale (da alcuni ritenuto golpista de facto) Mark Milley. Sull’autenticità delle firme presidenziali bideniane non solo c’è dibattito, ma l’ipostatizzazione del problema nella galleria dei ritratti dei presidenti americani, dove la foto di Biden, considerato in istato di amenza da anni, è sostituita da un’immagine dell’auto-pen, uno strumento per automatizzare le firme forse a insaputa dello stesso presidente demente.
Ecco che Donaldo approffitta della cerimonia del pardon al tacchino per lanciare un messaggio preciso: appartentemente per ischerzo, ma con drammatico valore neanche tanto recondito.
Trump si mette a parlare di un’indagine approfondita condotta da Bondi e da una serie di dipartimenti su di « una situazione terribile causata da un uomo di nome Sleepy Joe Biden. L’anno scorso ha usato un’autopsia per concedere la grazia al tacchino».
«Ho il dovere ufficiale di stabilire, e ho stabilito, che le grazie ai tacchini dell’anno scorso sono totalmente invalide» ha proclamato il presidente. «I tacchini conosciuti come Peach and Blossom l’anno scorso sono stati localizzati e stavano per essere macellati, in altre parole, macellati. Ma ho interrotto quel viaggio e li ho ufficialmente graziati, e non saranno serviti per la cena del Ringraziamento. Li abbiamo salvati al momento giusto».
La gente ha iniziato a ridere. Testato il meccanismo, Trump ha continuato quindi ad usare i tacchini come veicoli di attacco politico.
«Quando ho visto le loro foto per la prima volta, ho pensato che avremmo dovuto mandargliele – beh, non dovrei dirlo – volevo chiamarli Chuck e Nancy», ha detto il presidente riguardo ai tacchini, facendo riferimento ai politici democratici Chuck Schumer e Nancy Pelosi. «Ma poi ho capito che non li avrei perdonati, non avrei mai perdonato quelle due persone. Non li avrei perdonati. Non mi importerebbe cosa mi dicesse Melania: ‘Tesoro, penso che sarebbe una cosa carina da fare’. Non lo farò, tesoro».
Dopo che il presidente ha annunciato che si tratta del primo tacchino MAHA (con tanto di certificazione del segretario alla Salute Robert Kennedy jr.), l’uso politico del pennuto è andato molto oltre, nell’ambito dell’immigrazione e del terrorismo: «invece di dar loro la grazia, alcuni dei miei collaboratori più entusiasti stavano già preparando le carte per spedire Gobble e Waddle direttamente al centro di detenzione per terroristi in El Salvador. E persino quegli uccelli non vogliono stare lì. Sapete cosa intendo».
Tutto bellissimo, come sempre con Trump. Il quale certamente non sa che l’uso del tacchino espiatorio non solo non è nuovo, ma ha persino una sua festa, in Alta Italia.
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Parliamo dell’antica Giostra del Pitu (vocabolo piementose per il pennuto) presso Tonco, in provincia di Asti. La ricorrenza deriverebbe da usanze apotropaiche contadine, dove, per assicurarsi il favore celeste al raccolto, il popolo scaricava tutte le colpe dei mali che affligevano la società su un tacchino, che rappresentava tacitamente il feudatario locale. Secondo la leggenda, questi era perfettamente a conoscenza della neanche tanto segreta identificazione del tacchino con il potere, e lasciava fare, consapevole dello strumento catartico che andava caricandosi.
Tale mirabile festa piemontese va vanti ancora oggi, anticipata da un corteo storico che riproduce la visita dei nobili a Gerardo da Tonco, figura reale del luogo e fondatore dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni in Gerusalemme, poi divenuto Sovrano Militare Ordine di Malta.
Subito dopo il gruppo che accompagna Gerardo avanza il carro su cui troneggia il tacchino vivo, autentico protagonista della celebrazione. Seguono quindi i giudici e i carri delle varie contrade del paese, che mettono in scena, con grande realismo, momenti di vita contadina tradizionale. Il passaggio del tacchino è tra ali di folla che non esitano ad insultare duramente il pennuto sacrificale.
Il clou dell’evento è il cosiddetto processo al Pitu, arricchito da un vivace botta-e-risposta in dialetto piemontese tra l’accusa pubblica e lo stesso Pitu, il quale tenta inutilmente di difendersi. Dopo la inevitabile condanna, il Pitu chiede come ultima volontà di fare testamento in pubblico, dando vita a un nuovo momento di ilarità.
Durante la lettura del testamento, infatti, egli si vendica della sentenza rivelando, sempre in stretto dialetto, vizi grandi e piccoli dei notabili e dei personaggi più in vista della comunità. Fino al 2009, al termine del testamento, un secondo tacchino (già macellato e acquistato regolarmente in macelleria, quindi comunque destinato alla tavola) veniva appeso a testa in giù al centro della piazza. Dal 2015, purtroppo, il tacchino è stato sostituito da un pupazzo di stoffa, così gli animalisti sono felici, ma il tacchino in zona probabilmente lo si mangia lo stesso.
Ci sarebbe qui da lanciarsi in riflessioni abissali sulla meccanica del capro espiatorio di Réné Girard, ma con evidenza siamo già oltre, siamo appunto al tacchino espiatorio.
Il tacchino espiatorio diviene il dispositivo con cui è possibile, se non purificare, esorcizzare, quantomeno dire dei mali del mondo.
Ci risulta a questo punto impossibile resistere. Renovatio 21, sperando in una qualche abreazione collettiva, procede ad accusare l’infame, idegno, malefico tacchino, che gravemente nuoce a noi, al nostro corpo, alla nostra anima, al futuro dei nostri figli.
Noi accusiamo il tacchino di rapire, o lasciare che si rapiscano, i bambini che stanno felici nelle loro famiglie.
Noi accusiamo il tacchino di aver messo il popolo a rischio di una guerra termonucleare globale.
Noi accusiamo il tacchino di praticare una fiscalità che pura rapina, che costituisce uno sfruttamento, dicevano una volta i papi, grida vendetta al cielo.
Noi accusiamo il tacchino di essere incompetente e corrotto, di favorire i potenti e schiacciare i deboli. Noi accusiamo il tacchino di essere mediocre, e per questo di non meritare alcun potere.
Noi accusiamo il tacchino di aver accettato, se non programmato, l’invasione sistematica della Nazione da parte di masse barbare e criminali, fatte entrare con il chiaro risultato della dissoluzione del tessuto sociale.
Noi accusiamo il tacchino di favorire gli invasori e perseguitare gli onesti cittadini contribuenti.
Noi accusiamo il tacchino di aver degradato la religione divina, di aver permesso la bestemmia, la dissoluzione della fede. Noi accusiamo il tacchino di essere, che esso lo sappia o meno, alleato di Satana.
Noi accusiamo il tacchino di operare per la rovina dei costumi.
Noi accusiamo il tacchino per la distruzione dell’arte e della bellezza, e la sua sostituzione con bruttezza e degrado, con la disperazione estetica come via per la disperazione interiore.
Noi accusiamo il tacchino di essere un effetto superficiale, ed inevitabilmente tossico, di un plurisecolare progetto massonico di dominio dell’umanità.
Noi accusiamo per la strage dei bambini nel grembo materno, la strage dei vecchi da eutanatizzare, la strage di chi ha avuto un incidente e si ritrova squartato vivo dal sistema dei predatori di organi.
Noi accusiamo il tacchino del programa di produzione di umanoidi in provetta, con l’eugenetica neohitlerista annessa.
Noi accusiamo il tacchino di voler alterare la biologia umana per via della siringa obbligatoria.
Noi accusiamo il tacchino di spacciare psicodroghe nelle farmacie, che non solo non colmano il vuoto creato dallo stesso tacchino nelle persone, ma pure le rendono violente e financo assassine.
Noi accusiamo il tacchino per l’introduzione della pornografia nelle scuole dei nostri bambini piccoli. Noi accusiamo il tacchino per la diffusione della pornografia tout court.
Noi accusiamo il tacchino per l’omotransessualizzazione, culto gnostico oramai annegato nello Stato, con i suoi riti mostruosi di mutilazione, castrazione, con le sue droghe steroidee sintetiche, con le sue follie onomastiche e istituzionali.
Noi accusiamo il tacchino di voler istituire un regime di biosorveglianza assoluta, rafforzato dalla follia totalitaria dell’euro digitale.
Noi accusiamo il tacchino, agente inarrestabile della Necrocultura, della devastazione inflitta al mondo che stiamo consegnando ai nostri figli.
Tacchino maledetto, i tuoi giorni sono contati. Sappi che ogni giorno della nostra vita è passato a costruire il momento in cui, tu, tacchino immondo, verrai punito.
Roberto Dal Bosco
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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