Pensiero
Dragonballe Z

Bisogna tentare di mantenere la calma, e ricostruire quello che è successo.
Il nostro premier si è scagliato contro il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.
Come noto, Lavrov ha parlato in una trasmissione TV di Mediaset. L’establishment è arrabbiato, sembra un colpaccio, un’esclusiva italiana che non dovremmo permetterci.
Tuttavia chi segue Renovatio 21, sa che in questi giorni il Lavrov – dei cui discorsi pubblici cerchiamo di tenere traccia, perché è importante sapere cosa dice la parte censurata del conflitto – ha rilasciato diverse interviste, dai media arabi a quelli cinesi, passando per una quantità di eventi pubblici nei quali ha offerto la sua analisi della situazione, spesso puntualissima.
Dagospia aveva anticipato che l’intervista aveva fatto saltare i nervi al governo antirusso. Chi è stato a mettere in moto la macchina che ha portato un ministro di Mosca a parlare sulla TV nazionale italiana?
È stato Valentino Valentini, l’ex poliglossico interprete di Berlusconi, testimone diretto degli anni della granitica amicizia italo-russa?
È stato un qualche potente della TV con entrature oltrecortina?
È stato Berlusconi stesso? Ma come, non era a cuccia dentro il governo? Ma come, non era arrabbiato con Putin perché Vladimir adesso gli butta giù il telefono come ad uno scocciatore? Mistero.
La rabbia nel Palazzo, a quel che si diceva, era tanta.
Quindi ecco che in un raro caso di apparizione pubblica, il Draghi post-COVID si spende contro l’apparizione catodica del ministro che insultò il suo amico Giggino, fidato capo della diplomazia italiana, il ministro forse più allineato col Mario premier.
Ecco quindi, che partono le balle del Drago. Le Dragonballe.
«Prima di tutto, parliamo di un Paese, l’Italia, dove c’è libertà di espressione» dice, con sorrisetto in volto il nostro premier per offendere Lavrov e la Russia.
«Questo Paese permette dunque di esprimere le proprio opinioni liberamente».
Eh? Machedaverodavero?
E noi dovremmo stare a sentire una cosa del genere? Il premier ha idea di cosa sia l’Italia – il mondo – nell’Anno Domini 2022?
Ban? Shadowban? Processi alle grandi piattaforme che ti zittiscono… Draghi ne ha mai sentito parlare? Draghi ha idea di come si sente attualmente una larga parte dei cittadini italiani?
Noi, che siamo censurati (e magari pure spiati) ovunque, dovremmo sentirci dire che abbiamo la libertà di esprimerci?
Ma Draghi si è accorto che non esiste una testata in Italia che anche solo mezza cosa fuori dalla narrazione? O meglio: Draghi si è accorto che se ne è accorta una vasta porzione della popolazione?
In Italia c’è la libertà di espressione?
Ci spiega allora perché i siti russi – Rt.com, Sputnik e talvolta pure il sito ufficiale del Cremlino – sono irraggiungibili?
Una balla del genere la deve proprio raccontare ad un popolo che, mentre si esprimeva liberamente in piazza, è stato fatto oggetto di forza ondulatoria fino a che non è stata spenta la protesta nella repressione più triste, tra manganelli, idranti, ondate di agenti in borghese ed in assetto antisommossa?
Le vagonate di celerini per far chiudere una pasticceria, qualcuno le rammenta? E piazza Duomo a Milano?
Ma di cosa stiamo parlando?
Ah, sì, la libertà di espressione.
Draghi, pur essendo un tecnocrate – termine anche troppo nobilitante per dire impiegato di Stato cooptato ad alti livelli – mai nella sua vita si si dovrebbe essere occupato del tema… tuttavia, in effetti di libertà di parola aveva parlato giusto qualche settimana fa.
Ricordate? Era per dire che gli articoli dove si discuteva dell’assassinio di Putin nel nostro Paese si possono scrivere tranquillamente… lui quindi stava dalla parte del giornale denunciato dall’ambasciatore russo. «In Russia non c’è libertà di stampa, solidarietà a Giannini e ai suoi giornalisti».
Fu una mossa geniale, degna di un grande leader lungimirante: il giorno dopo doveva chiamare Putin per parlare della mancanza di gas che sta facendo chiudere le nostre aziende.
Ci ribolle il sangue, lo vedete. Basterebbero le prime parole del suo discorso per voler chiudere tutto, per nausearci tra bugie e nonsensi.
Draghi dice che ciò che dice il ministro Lavrov è «aberrante». Tuttavia «aberrante», per noi, è avere un premier che non abbiamo votato, un primo ministro privo di partito, fatto piovere dal cielo da chissà chi.
Per noi che crediamo che il nostro voto valga qualcosa, sì, avere un premier del genere è aberrante: nella storia repubblicana si contano pochissimi casi di tecnocrati installati al potere, e tutti in era recente (il primo probabilmente è stato il suo mentore, Ciampi), quando la sovranità italiana era già stata patentemente liquidata, come testimonia il caso del Britannia, panfilo sul quale, come sappiamo, il Draghi diede un discorso di benvenuto caloroso (includendo nei saluti tali «Invisibili Britannici»: invisibili britannici di altro tipo ci sa che operano anche ora in Ucraina e forse pure in Russia…)
Per noi, il Britannia è aberrante.
Per noi è aberrante la «distruzione creativa» dell’economia promossa apertamente dal gruppo dei Trenta capeggiato da Draghi.
Per noi sono aberranti le fake news ministeriali, le dragonballe sui vaccinati che non contagiano, con l’annuncio, un po’ adolfesco, secondo cui «i nostri problemi dipendono dai non vaccinati».
Invece, dobbiamo sentire che «oscena» sarebbe la storia di Hitler di origine ebraica raccontata da Lavrov.
Il Draghi ostenta sicumera: eccerto, lui sta storia non la ha mai sentita, nonostante fino a qualche anno fa degli studi genetici comprovanti svolti da ricercatori belgi ne parlava in tranquillità il Corriere e tutta la stampa possibile, sempre ghiotta di scandali e paradossi sul tema di svastica e stella di David.
Non vogliamo nemmeno entrare nella faccenda. Con evidenza, Lavrov come altri, non si prendono la briga di spiegare cosa sia il zhidobanderismo ucraino, di cui Renovatio 21 ha parlato, ma forse è il caso di fare un articolo a parte: in breve, l’azione di oligarchi ebrei come Igor Kolomojskij, che da una parte crea e lancia il presidente ebreo (russofono) Zelens’kyj e dall’altra imbastisce e finanzia battaglioni nazionalisti pieni di croci uncinate ucronaziste.
Ci limitiamo a ricordare che gli stessi nazisti sono quelli a cui l’Occidente – compresa l’Italia – stanno fornendo armi – armi che in un futuro prossimo sappiamo come possano andare in mano a terroristi. Questo è «osceno», questo è «aberrante», non le storielle sulle origini giudaiche dello Hitler.
Fornire armi significa dare la possibilità di uccidere. Fornire armi ai nazisti significa aiutare stragi naziste. Ce ne rendiamo conto?
Com’è possibile aprire la bocca su Hitler quando si stanno armando personaggi con svastiche e rune?
Infine, ecco che il nostro – incredibile, davvero – si scaglia contro la libertà di stampa, che aveva sostenuto una manciata di secondi prima.
«La televisione trasmette liberamente queste opinioni», cioè, quella di Lavrov, del ministro in carica del Paese con cui siamo materialmente in guerra.
Per Dragonball evidentemente non è accettabile.
«Lei ha parlato di intervista» dice seccato al giornalista che aveva fatto la domanda. «In realtà è stato un comizio».
Il problema, dice il tecnocrate che oltre che di vaccini ne sa anche di giornalismo, è che è stata fatta «senza nessun contraddittorio».
Certo, come no: vediamo il contraddittorio che esiste in Italia sui giornali nei confronti suoi e del suo governo. Stiamo vedendo una folla infinita di giornalista che stanno chiedendosi se è il caso che a capo delle migliaia di testate atomiche americane ci sia uno in demenza senile. Stiamo vedendo il fior fiore di contraddittori sulla guerra in Ucraina, sulle armi inviate verso il sangue e il caos, sulle fabbriche che chiudono, sul rischio nucleare…
«Non è un granché professionalmente… Fa venire in mente strane idee». Ah bello, adesso ci parla di professionalità, e poi lancia un messaggio subliminale a qualcuno (Berlusconi? Salvini? Chi?), magari sottintendendo una mezza accusa di potenziale intelligenza con il nemico.
Quindi, se il ministro Lavrov non deve parlare in TV, se ogni comunicazione di Mosca deve essere censurata, significa che siamo in guerra con la Russia?
La risposta ve l’abbiamo già data: di fatto, sì, e, a quanto ha scritto nero su bianco il Financial Times, dentro ci ha trascinato proprio Mario Draghi.
Andate a rivedervi l’articolo: Draghi è considerabile come uno degli attori principali di quella che potrebbe essere la prima vera mossa di guerra economica dichiarata della storia umana: il sequestro (cioè, il ladrocinio) di 300 miliardi di dollari dei russi depositati in Banche Centrali estere. Spariti, puf. Mai successo: nemmeno, durante la Seconda Guerra Mondiale, i danari tedeschi depositati alla Banca d’Inghilterra, con i V2 che si mangiavano il 25% di Londra.
Nell’Euroregno dei Draghi, invece, si può.
«In Europa, è stato Draghi a spingere l’idea di sanzionare la Banca Centrale al vertice di emergenza dell’UE la notte dell’invasione. L’Italia, grande importatore di gas russo, in passato era stata spesso titubante riguardo alle sanzioni. Ma il leader italiano ha sostenuto che le scorte di riserve della Russia potrebbero essere utilizzate per attutire il colpo di altre sanzioni, secondo un funzionario dell’UE».
Così il Financial Times, che non ci risulta sia stato smentito.
In Senato, poche settimane prima, Draghi aveva dichiarato un qualcosa che ad oggi non capiamo bene cosa volesse dire – o non dire.
«Era stato tutto premeditato da tanto tempo» aveva dichiarato Draghi riguardo ad un presunto complotto russo che aveva programmato la situazione attuale.
«Le riserve della Banca centrale russa dalla guerra di Crimea ad oggi sono state aumentate sei volte, alcune sono state lasciate in deposito presso altre Banche centrali in giro per il mondo, altre presso banche normali. Non c’è quasi più nulla, è stato portato via tutto, queste cose non si fanno in giorno, in mesi, mesi e mesi. Non ho alcun dubbio che ci fosse molta premeditazione e preparazione».
Ci avete capito qualcosa? Stava già ammettendo il suo ruolo in questo attacco frontale a Mosca, che rende l’Italia bersaglio inevitabile? Oppure si tratta semplicemente di un’altra dragonballa nella guerra contro la Russia, una Dragonballa Z?
Non ci è dato saperlo, tuttavia di una cosa siamo certi: il disallineamento assoluto di Draghi e del suo governo rispetto all’interesse nazionale.
Industrie disintegrate, valanghe di disoccupazione, la fame che può incredibilmente tornare fra noi, la minaccia sempre più viva di uno scontro termonucleare in casa nostra: tutto questo avviene mentre il nostro governo di occupa di armare l’Ucraina e di lamentarsi se il ministro russo parla alla TV italiana.
Tutto questo, dopo aver rubato due anni della nostra vita, e una fetta definitiva della nostra prosperità, con il COVID, lasciando una scia di morti e di mRNA che gridano vendetta al cielo.
Questo sì è «osceno», e «aberrante», e «fa venire in mente strane idee».
In realtà, sappiamo esattamente che idee dobbiamo avere.
Roberto Dal Bosco
Immagine di Attili Filippo via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 3.0 Unported (CC BY 3.0); immagine modificata.
Pensiero
Oligarchia e aristocrazia eurodemocratica mondialista, da Ventotene a Kalergi e oltre

La sinistra italiana perde la testa di fronte alla semplice lettura di brani del Manifesto di Ventotene, che evidentemente nessuno aveva mai letto, soprattutto tra cui se ne riempie la bocca scendendo pure in piazza.
Capiamo che per i sinceri democratici capire che – incontrovertibilmente – il testo base dell’eurodemocrazia spinge per la dittatura è un evento che può portare ad una dissonanza cognitiva esplosiva.
“Non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia”.
Applausi, soltanto applausi per il Presidente Meloni che demolisce la propaganda europeista usando il Manifesto di Ventotene. pic.twitter.com/ai0DtPmAIP
— Francesco 🇮🇹 (@SaP011) March 19, 2025
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«La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno».
Il Manifesto che si vuole alla base dell’Europa scrive proprio così: «La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio». Gulp: notiamo però anche come continua il passaggio, con un vero cortocircuito per i fan del ReArm Europe: «questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale».
«La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista»
Ma c’è di peggio: «nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente». Ri-gulp. «Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solito un torbido tumultuare di passioni».
Questa cosa della mancanza di consenso popolare tenetela a mente per dopo, ma il concetto – il comando di pochi sul popolo refrattario: cioè, in pratica, il primato assoluto delle élite – è sviluppato davvero lucidamente:
«Durante la crisi rivoluzionaria» scrive il Manifesto, il movimento «attinge la visione e la sicurezza di quel va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma dalla coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato ed attorno ad esso la nuova democrazia».
Potete riconoscere bene cosa è teorizzato qui: il popolo non conta nulla, comandiamo noi, gli esperti che conoscono davvero cosa vuole il mondo moderno. È un pensiero oscuro, aristocratico, dittatoriale – e sa di esserlo. Abbiamo imparato a vedere questo idea pienamente realizzata con il COVID – e di fatto immaginiamo gli estensori del Manifesto ventoteniano tutti mascherinati e penta, esa, epta, octavaccinati.
Giorgia, per una volta, ha fatto una cosa giusta, con tanto di esecuzione perfetta. Vedere Elly Schlein (che su tre passaporti, ne ha solo uno pienamente Schengen) che si strappa i capelli assieme ai compagni di partito con le lacrime agli occhi («oltraggio!») è bellissimo.
92 minuto di applausi all’ On. #Fornaro.#Meloni dimettiti, sei la vergogna di chi ha un briciolo di cervello in testa e l’orgoglio di chi usa il cranio solo per dividere le orecchie. pic.twitter.com/5wRxDA66eM
— Antonio nbo15🇪🇺🇮🇹 (@AntonioNbo15) March 19, 2025
E niente, dopo aver chiesto alla Meloni di inginocchiarsi davanti al #ManifestodiVentotene, il deputato dem @Fornaro62 scoppia in lacrime. pic.twitter.com/n4pTImMll9
— Francesca Totolo (@fratotolo2) March 19, 2025
Elly Schlein su Ventotene “la Presidente Meloni ha deciso di oltraggiare la memoria europea e noi non accetteremo i vostri tentativi di riscrivere la storia…stiamo ancora aspettando che si dichiari antifascista!”#Schlein #Meloni #Ventotene#MELONI_CHE_SQUALLORE pic.twitter.com/co7uVyY3Qp
— Sirio 🏀 (@siriomerenda) March 19, 2025
Bravo premier: leggere in Parlamento passi come questo era la cosa migliore da fare. Trump lo sta indicando con chiarezza: sgonfiare il pallone di menzogne e corruzione dello Stato-partito è possibile, oltre che doveroso.
Anche perché, sinceramente, non tutti capiscono da dove salta fuori questa cosa di Ventotene oramai assurto a culto di Stato.
Crediamo che sia un’operazione di ridefinizione della storia (con occultamento di verità lapalissiane) nello stile che conosciamo: la guerra in Italia non l’anno vinta americani e inglesi (e i loro bombardieri, che mi racconta ancora oggi lo zio sopravvissuto, erano tanti da oscurare il cielo sopra una piccola città di provincia), macché, la vittoria è stata dei partigiani.
Eccerto: e ce lo hanno ripetuto sino a che ciò non è divenuto dogma inscalfibile e fondamentale (la «Repubblica fondata dalla resistenza»), al contempo cancellando altri fattori del processo – e qui vorremo, al solito, fare il nome di James Jesus Angleton, la superspia americana cresciuta in Italia che fu «madre della CIA», poeta e stratega che fu con probabilità il vero padre dello Stato italiano del dopoguerra.
E quindi: l’Europa non nasce da interessi geopolitici immani, e probabilmente non Europei. Viene piantata a Bruxelles, dove sta la NATO, per caso. L’Europa non nasce nemmeno da macchinazioni massoniche che affondano nei secoli. No, ora ci dicono che l’Europa Unita parte da tre signori messi al confino da Mussolini. Ecco, qui sorge una domanda, scusate: ma perché i fascisti, che sono tremendi, mandavano su un isola i dissidenti invece di metterli in galera o peggio? Riconosciamo che per alcuni questa domanda suona come una bestemmia, ma non credo che ci possano dare una risposta. Il fascismo uccide Matteotti ma lascia vivere Spinelli? (È vero, tuttavia, che i fascisti uccisero Colorni: ci torneremo sotto)
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Qui vengono pensieri balzani. Non è che questi avessero qualche coperture, di quelle alle quali nemmeno il fascismo poteva resistere? Ci sovviene il caso di Alberto Beneduce (1877-1944), già collaboratore del primo sindaco anticlericale e massone, oltre che ebreo, Ernesto Nathan (che voci sussurranno potrebbe essere figlio di Mazzini), tesserato del PSI e massone a sua volta, uomo dietro alla creazione dell’assicurazione INA e dell’IRI, tanto importante per l’Italia mussoliniana che per quella democristiana.
Le idee socialiste di Beneduce, che fu senatore e ministro del Lavoro, non è che fossero tanto nascoste: tre delle sue figlie si chiamavano Idea Nova, Vittoria Proletaria e Italia Libera. Un altro figlio lo ha chiamato Ernesto, immaginiamo in onore al Nathan. Essendo questo un articolo in cui parliamo di famiglie e aristocrazie democratiche (abietta contradictio in adjecto), vale la pena di ricordare che Idea Nova Beneduce nel 1939 divenne moglie di Enrico Cuccia, il mitico dominus, potentissimo e silentissimo, di Mediobanca.
Nel 1936, in pieno ventennio, Beneduce era al contempo presidente dell’IRI, delle banche pubbliche Crediop e ICIPU, dell’Istituto per il credito navale, nonché membro del Consiglio d’amministrazione dell’IMI e dell’Istituto nazionale dei cambi. Nel privato era presidente della Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali (la società chiamata Bastogi). Assieme al governatore della Banca d’Italia Donato Menichella fu ispiratore della legge bancaria del 1936.
Insomma, il socialista Beneduce era fuso pienamente con il deep state dell’Italia fascista. Intoccabile ed indisturbato. Che cosa permetteva a chi veniva da mondi politici distanti e non aderiva all’ideologia del totalitarismo italiano di rimanere in circolazione? Non sappiamo dire.
Qualcuno può pensare che, anche allora, vi fosse un piano più grande all’opera, che non riguardava solo l’Italia – del resto, la Giovine Europa era proprio un’idea, ci fanno studiare a scuola, del Mazzini, proprio quello che alcuni dicono fosse padre del Nathan, morto da terrorista latitante come un Bin Laden qualsiasi.
Ecco che ci viene in aiuto il libro della scomparsa antropologa Ida Magli, il cui titolo è più che mai d’attualità, La dittatura europea: «(…) ad Altiero Spinelli è stato indispensabile delle potenti società semisegrete di cui abbiamo parlato, e della grande finanza nelle vesti di Gianni Agnelli. Spinelli era infatti membro del Bilderberg e fondatore assieme ad Agnelli dell’Istituto per gli Affari Internazionali Italiano».
Lo Spinelli nel Bilderberg: sì, pare se lo siano dimenticati tutti nella costruzione dell’eurosantino – non che la cosa, tuttavia, disturbi le sensibilità piddine. Al contempo, la Magli non aveva paura di fare nome e cognome dell’ingrediente ulteriore che con l’oscura aristocrazia eurodemocratica ha voluto riformulare i Paesi del continente: l’oligarchia.
«Non sappiamo se fosse la sua condivisione degli interessi di Agnelli alla mondializzazione del mercato, o il suo odio per la Nazione Italia a spingerlo su posizioni europeiste assolute» accusa la Magli. «Fatto sta che non è mai riuscito, pur avendo ottenuto grandi vantaggi dall’europeismo, quali un seggio parlamentare e il posto di Commissario europeo, a far conoscere e apprezzare il suo movimento all’opinione pubblica italiana».
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Proprio quello che sembra: l’europeismo, anche in Italia, è un movimento inflitto, in nessun modo organico alla popolazione, che di suo lo respinge. Gli europeisti convinti che si vedono in giro – con tanto di foto lombrosiane – esistono solo all’interno di piazza artificiali, come quella vista negli scorsi giorni, dove ad organizzare vi è un sedicente giornalista di satira, con doppio cognome, scrivente per qualche ragione da sempre sul giornale dei casati aristo-capitalisti dei Caracciolo e degli Agnelli, ora confluiti nella dinastia rabbinica degli Elkann.
Parliamo ovviamente di Repubblica, creata dal «laico» (sapete, in Italia, questo aggettivo a cosa è equivalente…) Eugenio Scalfari, che più di ogni altro riuscì negli ultimi decenni ad agglutinare un consenso popolare all’ascesa della sinistra di governo, vezzeggiando e rimestando il «ceto medio riflessivo» (professori, impiegati del para-Stato, e altre demografie con la pancia riempita automaticamente e tanto tempo libero), in modo da far percolare certi ideali – come l’amore incondizionato per l’Europa, non condiviso, per esempio, dal PSI – ed essere dirimente nella politica di era prodiana.
Eppure, nemmeno con i cannoni di Repubblica si è riusciti a rendere Spinelli una figura popolare (che è quello che, un po’ in ritardo, stanno cercando di fare ora).
«(…) È probabile che questa mancanza di riscontro popolare sia stata dovuta anche all’arroganza e dittatorialità del suo comportamento, un comportamento che appare, sotto questo aspetto, perfino perggiore di quello di Coudenove-Kalergi» tuona la Magli.
Qui spunta ancora, inevitabile, la figura del conte austriaco di famiglia greco-veneziana e di madre giapponese (cosa che, crediamo, gli ha creato qualche scompenso: leggetevi le sue conclusioni su razze e genere nei suoi libri per capire lo squilibrio): di Kalergi – di fatto progettatore del piano di invasione immigrazionista che stiamo vivendo – non si deve parlare, e perfino i ministri che vengono dall’ex MSI dicono di non conoscerlo. Non se ne deve parlare soprattutto vicino a Ventotene: anche se la Pan-Europa kalergiana è riconosciuta essere prodromo del Manifesto di Spinelli e compagni.
Dicevamo: quello che propongono qui, sotto la vernice democratica, è non solo una dittatura (appunto: la Dittatura europea) ma una vera aristocrazia, in cui comandano i pochi che sono nel giusto. E magari, trasmettono un po’ di potere anche ai figli.
Certo è che le famiglie dei ventoteniani sono interessanti.
Ernesto Rossi (1897-1967) si sposò nel 1931 in reclusorio con rito civile: era un anticlericale sfegatato. La sposa, Ada Rossi, è definita «partigiana» e «antifascista», oltre che fondatrice con il marito e i ventoteniani del Movimento Federalista Europeo. Si ricordano i suoi legami con Gaetano Salvemini, che gli disse «avessi mai potuto fabbricarmi un figlio su misura me lo sarei fabbricato pari pari come te» e più tardi con il giovane Marco Pannella: finito il Partito d’Azione, Rossi era entrato nel Partito Radicale ai suoi albori, accettando di presiedere, poche ore prima di morire, la manifestazione dell’«apertura dell’Anno anticlericale».
Eugenio Colorni (1909-1944), l’unico a non morire nel suo letto effettivamente assassinato dai fascisti della banda Koch a pochi giorni dalla liberazione, proveniva da una famiglia ebraica di commercianti lombardi. La madre era una Pontecorvo, ulteriore famiglia ebraica pisana che conta nella sua discendenza il fisico nucleare Bruno Pontecorvo (allievo di Fermi, con cittadinanza britannica, poi fuggito in URSS) e il regista Gillo (autore di film anti-colonialisti ammaniti al pubblico cinefilo mondiale come il tremendo La battaglia di Algeri o Queimada!).
Sposò una correligionaria ebrea, Ursula (anche lei) Hirschmann (1913-1991), che proveniva da un’agiata famiglia dell’ebraismo tedesco. Il fratello, Albert Otto Hirschmann, era un economista che fu poi candidato al premio Nobel. Conobbe Colorni a Berlino, lo frequentò a Parigi per poi seguirlo a Trieste e Venezia. Come ribadito da Elly Schlein in Parlamento, la Hirschmann è riconosciuta tra i fondatori del mito di Ventotene.
Con Colorni ebbe tre figlie, tra cui Renata – traduttrice dei capolavori della letteratura tedesca, con molti anni spesi a collaborare con l’editore Adelphi – e Eva, che nel 1973 fu presa in moglie da un’altra figura centrale del mondialismo, l’economista e filosofo indiano premio Nobel Amartya Sen. Più tardi, sempre per parlare di «aristocrazie» e casati giudaici, il Sen avrebbe sposato Emma Georgina Rothschild, della nota famiglia di banchieri.
Dopo la morte di Colorni, la moglie Ursula – in un caso di endogamia tra europionieri – si risposò proprio con Altiero Spinelli. Nel 1975 aveva formato a Bruxelles il movimento Femmes pour l’Europe («donne per l’Europa»). Morta nel 1991 dopo anni in cui perse la parola a seguito di un aneurisma, è sepolta a Roma al cimitero acattolico. Il matrimonio con Spinelli portò nel 1946 la nascita della giornalista (zona Repubblica, ça va sans dire) ed europarlamentare (con il partito biodegradabile «L’Altra Europa con Tsipras») Barbara Spinelli, di cui si ricorda l’attivismo per impedire l’eligibilità di Silvio Berlusconi al Senato.
Barbara Spinelli è stata la compagna del grand commis superfunzionario italico Tommaso Padoa Schioppa (1940-2010), già ministro dell’economia del governo Prodi II (quello de «le tasse sono una cosa bellissima e civilissima»), vicedirettore generale della Banca d’Italia, presidente della CONSOB, dirigente del Fondo Monetario Internazionale, nonché Membro del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, considerato da alcuni come uno dei fondatori della moneta unica, l’euro. Una mela non cade molto dall’albero…
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Le ridondanze e le ramificazioni, in questa storia (possiamo dire, anche per ischerzo, euro-pluto-giudaico-massonica?) di piccole dinastie, aristocrazie, oligarchie, sono tantissime.
Ora con il culto di Ventotente pare che dobbiamo riverire questo demi-monde eurodemocratico come si trattasse di famiglie di una monarchia: in realtà lo sono, perché l’accentramento del potere, pure a dispetto del popolo, è da essi teorizzato apertis verbis. Non dovete quindi stupirvi delle elezioni romene, né di altro.
Il problema più grande è che ora, l’Europa di questi qui vuole armarsi per poi – con ogni probabilità – scontrarsi con la Russia. Cioè, mette in pericolo tutti noi.
Quanto potremmo ancora tollerare di essere dominati da chi ci pone in un simile pericolo?
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
Mons. Viganò: la UE concepita per distruggere la sovranità nazionale


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Economia
Draghi della distruzione: reloaded

La verità è che vi eravate dimenticati di lui. Pensavate di averla fatta franca: del resto, gli italiani hanno votato la Meloni proprio in reazione ai due anni di suo governo. E poi ce lo siamo evitato come presidente della Repubblica con il bis a Mattarella, con nasi tappatissimi un po’ dappertutto. No?
Mario Draghi, invece, riappare. Intonso, pontificante: il suo potere, che non è facile capire bene da dove derivi, pare non essere scalfito in nessuna parte. Draghi invincibili. Draghi intrombabili. E dove trovarli.
E quindi, eccolo che dà, in italiano nel testo, il suo contributo per lanciare l’Italia nel suo futuro di guerra ipersonica e termonucleare.
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«Occorre definire una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti, e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema di difesa continentale» ha detto in un’audizione al Senato l’ex premier.
Perché, le azioni di Trump – cioè dell’uomo che lavora per la pace mondiale – «hanno drammaticamente ridotto il tempo disponibile»: Washington ha votato con Mosca all’ONU sulla risoluzione a difesa dell’Ucraina, lasciando Bruxelles sola (e con il cerino in mano). I «valori costituenti» dell’Europa sono quindi «posti in discussione».
«La nostra sicurezza è oggi messa in dubbio dal cambiamento nella politica estera del nostro maggior alleato rispetto alla Russia che, con l’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l’Unione Europea».
«Il ricorso al debito comune è l’unica strada. Per attuare molte delle proposte presenti nel rapporto, L’Europa dovrà dunque agire come un solo Stato».
Il contorno di filosofia politica è gustosissimo, con tanto di aneddoti messi a ciliegina. «Diversi di voi mi hanno chiesto: questo significa cedere sovranità?» dice il Super Mario, rispondendo: «ebbehcerto!». Quindi parte la storiella: «guardate, vi racconto una cosa che riguarda il presidente Ciampi… molti anni fa eravamo insieme in uno degli ultimi negoziati sulla costruzione dell’euro. Lui mi diceva: “tutti mi dicono: ma perché vuoi fare l’euro, tu ora sei sovrano della tua politica monetaria… ma che sovrano, io non conto niente, oggi devo fare quello che fa la Bundesbank [la Banca Centrale tedesca, ndr]… domani sto intorno ad un tavolo ed avrò una fettina di sovranità… e questa è la storia, la politica monetaria italiana è stata fondamentalmente non una politica monetaria sovrana».
🚨⚠️ Draghi parla di cessione di sovranità come se fosse una banale chiacchiera da bar, minimizzando un tema cruciale con una leggerezza pericolosa, come se non fosse un tradimento delle fondamenta stesse della nostra nazione. 🇮🇹#eversione pic.twitter.com/HsoXSHvwbS
— Sabrina®️🇮🇹 (@SabrySocial) March 18, 2025
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Mario, qua la mano: e grazie della sincerità. Il re è nudo – e nemmeno è sovrano di nulla.
Queste affermazioni, tuttavia, non sono state fatte ad un evento incentrato sul ReArm UE dell’ex bundesministro della Difesa Von der Leyen, ora Commissario Supremo dell’Europa Unita. No: il contesto è quello dell’Audizione presso le Commissioni riunite Bilancio, Attività produttive e Politiche Ue di Camera e Senato in merito al Rapporto sul futuro della competitività europea».
Cioè: in teoria, si parlava di economia, e nel suo discorso Draghi lo ha fatto, pure soffermandosi a lungo sulla questione della guerra, includendo «anche l’intelligenza artificiale, i dati, la guerra elettronica, lo spazio e i satelliti, la silenziosa cyberguerra».
Insomma si parlava di crescita economica, che ora, senza tanti infingimenti, finisce per identificarsi con l’industria delle armi. È evidente a tutti: la Germania – contro la cui rimilitarizzazione sono state create la NATO e forsanche la stessa UE – ora gode perché la Volkswagen, messa in ginocchio dai diktat green, ora può felicemente riconvertirsi alla costruzione di veicoli da guerra come faceva ai tempi di Adolfo – che in un contesto di guerra di droni, robot e missili ipersonici non sappiamo bene a cosa serviranno.
La crescita insomma passa per strumenti di offesa. La nuova creazione del valore passa per la distruzione. Non è che avevamo già sentito questa musica?
Sì. Renovatio 21 ne aveva parlato tre anni fa, quando Draghi, ancora a Palazzo Chigi, parlava di «ricostruzione» del «dopo-emergenza». L’articolo si chiamava «“Ricostruire l’Italia” con i draghi della distruzione», di cui ora bisogna fare il reload.
«La “ricostruzione” che abbiamo davanti non pare in nulla simile a quella del dopoguerra. Soprattutto, perché non è una vera ricostruzione. Essa è, innanzitutto, e sempre più dichiaratamente, distruzione» scrivevamo. Perché non si tratta mica di un’opinione nostra, ma di un concetto economico-filosofico abbracciato alla luce del sole. Eccoci ripiombati nell’idea della «distruzione creatrice».
Possiamo dire che Draghi la distruzione la conosce: anzi, possiamo dire che persino la teorizza e la invoca. Lo si capisce leggendo un testo fatto uscire dal cosiddetto Gruppo dei Trenta, un consorzio elitista transnazionale di finanzieri ed accademici creato decenni fa dalla Rockefeller Foundation a Bellagio – un organismo, anche abbreviato in G30, di cui Draghi ha fatto parte come «membro senior».
A fine 2020 il Gruppo pubblicò saggio di analisi che riguardava i cambiamenti economici del mondo post-COVID chiamato Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-COVID. Nel testo il nome di Mario Draghi compare co-presidente del comitato direttivo. Nelle prime pagine del libro Draghi scrive, con tanto di firma autografa, anche alcuni ringraziamenti «per conto del Gruppo dei Trenta».
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Nel saggio compare apertis verbis la «distruzione creativa», un concetto coniato dall’economista austriaco Joseph Schumpeter (1883-1950), nominato nel 1919 a pochi mesi dalla fine dell’Impero degli Asburgo ministro delle finanze per la prima Repubblica d’Austria. Non seppe tenere il posto, andando quindi a dirigere una banca, per poi tornare all’accademia ed emigrare oltreoceano nel 1932 approdando alla prestigiosa università di Harvard – cuore intellettuale pulsante del patriziato transatlantico – dove fece il professore fino alla morte.
Qui compose il trattato economico Capitalismo, socialismo e democrazia (1942), dove lo Schumpeter lancia l’idea della distruzione creatrice (schöpferische Zerstörung) come «processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall’interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova».
La distruzione di interi comparti professionali è per l’economista austriaco la condizione ideale per l’economia e la sua necessaria evoluzione. Ora tornate a leggere la data di pubblicazione di questo inno alla distruzione: uscì in America quando la distruzione concreta della guerra si abbatteva sulla guerra, e gli USA di Roosevelt si armavano per entrare in Guerra su due fronti, riconvertendo la propria industria e, di fatto, uscendo così del tutto dalla Grande Depressione.
A questo punto vi viene in mente qualcosa, se guardate dalla finestra?
Schumpeter, nel documento 2020 del Gruppo dei 30 del dicembre 2020, è menzionato una sol volta, tuttavia l’intero testo sembra girare intorno al suo concetto di distruzione creatrice.
«I governi dovrebbero incoraggiare le trasformazioni e gli adeguamenti aziendali necessari o desiderabili nell’occupazione.» scrive il testo del Gruppo di Draghi. «Ciò potrebbe richiedere una certa quantità di “distruzione creativa” poiché alcune aziende si restringono o chiudono e ne aprono di nuove e poiché alcuni lavoratori devono spostarsi tra aziende e settori, con un’adeguata riqualificazione e assistenza transitoria».
Insomma, il piano è noto. È noto anche ciò che lo anima: non la creazione – un concetto, se vogliamo, cristiano – ma la distruzione, che più che al Dio creatore e salvatore che ha informato l’Europa e legata a concetti oscuri dello shivaismo e del tantrismo, sistemi di pensiero gnostici trapelati nel codice sorgente dell’Occidente moderno.
Il sanscritista britannico Monier-Monier Williams (1819-1899) aveva per questo pensiero delle parole lucidissime: «la perfezione buddista è distruzione». Così: per le filosofie orientali, la scomparsa dell’io (in sanscrito, anatman) o l’estinzione del ciclo cosmico stesso (nirvana) sono i segni dell’illuminazione raggiunta. Illuminazione è distruzione.
Possiamo dire ciò è vero anche per gli arconti che ci governano: gli illuminati sono distruttori. I sapienti esperti ed intoccabili, saliti sulle loro torri ed eurotorri senza che si comprenda davvero perché, ci indicano la via della distruzione come l’unica da seguire.
Vedete come il quadro diviene perfettamente comprensibile: distruggere per procedere, procedere per distruggere. Solo così, comprendendo che la Cultura della Morte è un fondamento del mondo moderno e dei suoi padroni, è possibile spiegare la follia di questi anni, dai sieri genici allo scontro sempre più diretto con la maggiore superpotenza atomica mondiale.
Solo con la Necrocultura della distruzione è possibile spiegarsi la persistenza dei draghi.
Là fuori c’è chi vuole distruggervi – e ve lo dice in faccia, ed è pure pagato da voi. Non è una questione economica, ma materiale, metafisica: perché in gioco c’è la vostra stessa esistenza e quella dei vostri figli. Che sono minacciati di essere disintegrati in quindici minuti dalle scelte dei draghi distruttori.
Roberto Dal Bosco
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