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Ancora: Facebook censura Renovatio 21. E il Senato del Texas (!)

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Ebbene sì, Facebook ha censurato Renovatio 21 un’altra volta.

 

In realtà, dall’ultima volta che ve ne avevamo dato comunicazione, c’è stato un altro episodio ancora: al Moloch dello Zuckerbergo non era piaciuto l’articolo «Il Coronavirus è una bioarma», per cui sono stati inflitti 7 giorni di carcere telematico a colui che ha postato l’articolo.

 

Ebbene sì, Facebook ha censurato Renovatio 21 un’altra volta

Una settimana intera in cui non solo non era possibile al malcapitato iscritto da 16 anni all’albo dei giornalisti scrivere nemmeno un rigo sulla pagina Facebook di Renovatio 21, ma da nessuna parte: né nella sua bacheca, né in quella di altri, né nelle altre pagine che gestisce: una di queste, riguarda l’attività strettamente religiosa, e crediamo che la cosa vada propriamente contro l’articolo 19 della Costituzione Italiana, quello sulla libertà di culto, che include parole specifiche sul diritto «di farne propaganda e di esercitarne in privato in pubblico il culto».

 

Ma non andiamo per il sottile, su: Facebook, così come gli altri enti che governano le terre emerse, negli ultimi mesi hanno soppresso anche molti altri diritti costituzionali, o perfino pre-costituzionali: hanno soppresso la vita stessa, quindi di che scandalizzarsi.

Facebook, così come gli altri enti che governano le terre emerse, negli ultimi mesi hanno soppresso anche molti altri diritti costituzionali, o perfino pre-costituzionali: hanno soppresso la vita stessa, quindi di che scandalizzarsi

 

L’avvocato, comunque, siamo andati a sentirlo lo stesso.

 

A parte l’impossibilità di comunicare con gli altri utenti (il contratto di Facebook parla di questo), compresi anche solo i like alle foto dei nipoti, è baluginato all’occhio del carcerato digitale qualcosa di interessante: per una volta sola – una schermata che, giuriamo, mai più siam riusciti a ritrovare – ci è stato fatto vedere una sorta di elenco, lunghissimo, delle cose che non si possono dire su Facebook riguardo al COVID-19.

 

Erano decine e decine di voti: a suo modo, un documento straordinario, il sistema operativo dell’opinione mondiale visibile nel suo codice di programmazione.

 

Vi era scritto, a chiare lettere, che non si può dire che il COVID ha mortalità uguale o inferiore a quella dell’influenza.

 

Vi erano poi diverse voci riguardo le cure al COVID che non si possono discutere – e questo già lo sapevamo: ad un’amica arrivò la minaccia di esilio dopo che aveva pubblicato la foto di un articolo di giornale, neanche tanto entusiastico, sulle «cure domiciliari».

È baluginato all’occhio del carcerato digitale qualcosa di interessante: per una volta sola – una schermata che, giuriamo, mai più siam riusciti a ritrovare – ci è stato fatto vedere una sorta di elenco, lunghissimo, delle cose che non si possono dire su Facebook riguardo al COVID-19

Niente, ban assoluto. Traffico di Renovatio21.com in crollo, ma nemmeno in modo troppo preoccupante: contiamo oramai su diverse migliaia di fedelissimi che vanno direttamente sulla pagina ogni giorno senza passare da Facebook

Infine, una lunga serqua di pensieri proibiti riguardo l’origine artificiale del COVID. Non si può dire che può essere scappato dal laboratorio (quello che ora stanno dicendo tutti, perfino Burioni!).

 

Non si può dire che potrebbe essere stato, in origine, un progetto di arma biologica – come lo sono tutti, in potenza, gli studi su virus e vaccini: chi non capisce il concetto di dual use, può guardarsi il film Virus Letale e capire come funziona la cosa.

 

Niente, ban assoluto. Traffico di Renovatio21.com in crollo, ma nemmeno in modo troppo preoccupante: contiamo oramai su diverse migliaia di fedelissimi che vanno direttamente sulla pagina ogni giorno senza passare da Facebook.

 

Di più. Ricordiamo bene, nelle comunicazioni di Facebook, una questione precisa: ci veniva detto che la distribuzione dei nostri contenuti, se avremmo continuato, sarebbe stata ridotta, e – ci comunicavano – ridotta in verità lo è già. Praticamente, l’ammissione dello shadow ban.

 

Ricordiamo bene, nelle comunicazioni di Facebook, una questione precisa: ci veniva detto che la distribuzione dei nostri contenuti, se avremmo continuato, sarebbe stata ridotta, e – ci comunicavano – ridotta in verità lo è già. Praticamente, l’ammissione dello shadow ban

 

Una settimana senza Facebook può passare in fretta. Dobbiamo dirlo: in quei giorni abbiamo maturato l’idea di mai più piegare la nostra libertà di parola – i nostri scritti, i nostri argomenti, le nostre opinioni, le nostre emozioni – alla follia del Moloch zuckerbergo, che una politica nazionale dissenata lascia molestare i suoi cittadini.

 

«Le persone potranno anche vedere se una Pagina in passato ha condiviso informazioni false»: i vostri peccati sono imperdonabili, il marchio dell’infamia sarà tatuato per sempre sulla pelle della vostra pagina (e sulla vostra). Alla facciazza delle simpatiche trovate UE tipo il «diritto all’oblio». Come si diceva: Internet is Forever

Poi, d’improvviso, ecco che ci capita una nuova segnalazione.

 

Ma cosa è successo? Stavolta sembra diverso, ma non riusciamo capire se sia più grave o no.

 

Zuckerbergo stavolta ci dice «parzialmente falso».

 

«Renovatio 21 ha condiviso contenuti che è stato controllato da fact-checker indipendenti» (sic). Gli errori sono nel testo originale, potete vederlo nell’immagine qui sotto: credo che ci disprezzino al punto da risparmiare perfino sull’ortografia quando si tratta di emanare sentenze che ci cacciano».

 

Poi un richiamo, credo a questi Fact-checker, ovviamente mai sentiti prima, ma che a quanto sembra hanno il potere di accusarci di dire il falso (parzialmente falso, in realtà ) e dire a Facebook di chiudermi la bocca.

Dobbiamo dire che ci abbiamo messo un po’ a capire per cosa ci stavano punendo: del resto capita così nei regimi totalitari – e Facebook lo è, e sempre più assimilabile a quella Cina che tanto piace al suo fondatore – e anche nel Processo di Kafka.

 

 

Stavolta, come vedete, abbiamo screenshottato.

 

Eccola lì, un’altra minaccia – in realtà già ben attuata, come vi dicevamo – di «diminuzione della distribuzione complessiva», a cui si aggiunge l’esclusione dalla monetizzazione e alla pubblicità (non ci riguardano) e alla registrazione come Pagina di Notizie (non sappiamo cosa sia).

 

«Le persone potranno anche vedere se una Pagina in passato ha condiviso informazioni false»: i vostri peccati sono imperdonabili, il marchio dell’infamia sarà tatuato per sempre sulla pelle della vostra pagina (e sulla vostra). Alla facciazza delle simpatiche trovate UE tipo il «diritto all’oblio». Come si diceva: Internet is Forever.

 

Facebook censura Renovatio 21, ma anche il Senato dello Stato del Texas.

Poi la ciliegina eccezionale: «l’eliminazione di post che contengono le informazioni false non avrà alcun impatto su queste restrizioni». Bellissimo. Per rispetto del loro cliente, cui vogliono davvero bene, usano l’artificio retorico di chiudere con una nota di speranza: anzi no, aspetta che gli ricordiamo che oramai il danno è fatto, è anche se volesse divenire un faccia-Quisling, un collaborazionista dello zuckerbergismo, a noi non importa nulla – non perdoniamo nulla, perché in realtà tu, utente, non ci interessi, ne abbiamo miliardi di come te, e vogliamo andare avanti con loro, quelli calmi e tranquilli che al massimo condividono le foto della Ferragna e Fedezzo.

 

Dobbiamo dire che ci abbiamo messo un po’ a capire per cosa ci stavano punendo: del resto capita così nei regimi totalitari – e Facebook lo è, e sempre più assimilabile a quella Cina che tanto piace al suo fondatore – e anche nel Processo di Kafka.

 

Poi abbiamo capito: si tratta di un video caricato la notte prima, ci era arrivato via Whatsapp, ci sembrava interessante, lo abbiamo uppato senza tanti pensieri, tanto più che veniva da materiale del governo USA, quindi scevro da diritti di sorta – certo, ci va qui il nostro ringraziamento a chi ha subbato, tale KasperCarlo, un grande.

 

Se non avete visto il video, guardatelo qui sotto: salvato sulla nostra pagina web a futura memoria, lontano dalle grinfie della dittatura facebookara.

 

In pratica, un privato si permette di spegnere un contenuto che viene da un corpo eletto, dalla struttura visibile dello Stato democratico

Vedete: si tratta di un’audizione al senato dello Stato del Texas. Un senatore invita a parlare una pediatra locale, la dottoressa Angelina Farella. La quale premette di essere pro-vaccini, e di aver vaccinato tanti bambini – quindi non una no-vax, ci rassicura.

 

Poi però la dottoressa prende a mettere in discussioni i vaccini COVID: non la convince, in particolare, la mancanza di una sperimentazione completa. Gli effetti sulla popolazione, dice, sono sconosciuti, quindi la cosa dovrebbe fare un po’ paura.

 

 

Facebook decide che perfino i discorsi che avvengono in un tempio della democrazia – un Senato – possono essere censurati come fake news, rimossi, modificati.

Abbiamo avuto un tono scherzoso nel modo in cui vi abbiamo raccontato questo episodio, tuttavia c’è qualcosa di estremamente grave in quello che è accaduto.

 

Facebook censura Renovatio 21, ma anche il Senato dello Stato del Texas.

 

In pratica, un privato si permette di spegnere un contenuto che viene da un corpo eletto, dalla struttura visibile dello Stato democratico.

 

Facebook decide che perfino i discorsi che avvengono in un tempio della democrazia – un Senato – possono essere censurati come fake news, rimossi, modificati.

 

Facebook, in breve, ha il potere di iniettarsi nell’esistenza stessa dello Stato moderno, e dettarvi legge

Facebook, in breve, ha il potere di iniettarsi nell’esistenza stessa dello Stato moderno, e dettarvi legge. La cosa è spaventosa, spaventa tantissimo noi, ma in Italia non abbiamo visto tanti politici con la stessa paura, pur sapendo che molti di loro probabilmente sono stati bannati o shadowbannati. Molti, siamo sicuri, non dicono nulla perché temono le ritorsioni del Moloch, che gli farebbe perdere follower e quindi voti e quindi stipendione.

 

Si diceva, negli ultimi decenni, del primato della politica eclissata dall’economia. Ora sappiamo che il primato sulla politica di certo lo ha l’elettronica, che agisce come una psicopolizia così forsennata da non risparmiare nemmeno i discorsi in Senato.

 

Immaginate se TIM o Vodafone facessero cadere la linea se al telefono con vostra madre cominciate a parlare di un determinato argomento. Sì: i totalitarismi del Novecento erano delle mammole a confronto, e avevano strumenti da pivelli.

Si diceva, negli ultimi decenni, del primato della politica eclissata dall’economia. Ora sappiamo che il primato sulla politica di certo lo ha l’elettronica, che agisce come una psicopolizia così forsennata da non risparmiare nemmeno i discorsi in Senato

 

Ora la domanda che ci facciamo è: quanto ancora riusciremo davvero a tollerare tutto questo?

 

Quanto tempo prima che anche i social, l’ultimo schizofrenico collante rimasto alla società polverizzata del XXI secolo, implodano generando chissà quale altro mostro?

 

Non abbiamo risposte. Tuttavia oramai lo sapete: se non ci vedete più su Facebook è perché il ban (che secondo alcuni calcoli potrebbe aver tolto ai nostri post e al nostro sito il 90% del pubblico via social) sta facendo il suo corso, magari sta pure peggiorando.

 

Non preoccupatevi: non ci faremo intubare, e non fatevi intubare neanche voi. Vediamoci qui, su renovatio21.com. Questo, lo avete capito, è un sito sano.

 

 

 

 

 

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Internet

Brasile, la legge anti fake news divide i cattolici

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Spingere le grandi aziende e i media del Paese all’autocensura su Internet in nome della lotta alle fake news, ovvero alla falsa informazione: è questo il nuovo cavallo di battaglia del capo di Stato brasiliano. Cattolici ed evangelici denunciano l’ascesa di un totalitarismo che cela il suo volto.

 

Il Brasile è il terzo più grande utilizzatore di social media al mondo, dopo India e Indonesia. Tuttavia, negli ultimi tre anni, un disegno di legge controverso – chiamato Fake News Bill – si sta facendo strada a poco a poco nei meandri del Congresso.

 

L’obiettivo? Regolamentare – censurare dicono gli oppositori – piattaforme di social media, simili a televisione e radio. Secondo il buon vecchio principio che padroneggiare le informazioni significa esercitare un potere maggiore.

 

Introdotto per la prima volta nel 2020, il disegno di legge sulle fake news è sostenuto all’unanimità dagli alleati politici dell’attuale presidente, Luiz Inacio Lula Da Silva…

 

E ferocemente denunciato, come è giusto che sia, dai sostenitori dell’ex presidente conservatore, Jair Bolsonaro.

 

All’inizio di maggio 2023, diversi milioni di brasiliani hanno ricevuto un SMS dall’applicazione di messaggistica Telegram, in cui si affermava che il Brasile stava per approvare una legge che «poneva fine alla libertà di espressione».

 

Il giudice della Corte Suprema Alexandre de Moraes ha immediatamente minacciato di mettere offline Telegram per 72 ore se la messaggistica crittografata non avesse cancellato il messaggio: la piattaforma alla fine si è piegata. Segno dell’appassionato dibattito che ormai ha preso piede in Brasile.

 

Un dibattito che rivela anche le fratture esistenti all’interno della Chiesa cattolica, vera e propria istituzione del Paese. Diverse associazioni poco sospette di tradizionalismo hanno pubblicato una lettera per sostenere il potere socialista nella sua lotta contro le fake news. Lettera cofirmata da una commissione dipendente dalla Conferenza Episcopale del Brasile.

 

Al contrario, i cattolici più conservatori e i protestanti evangelici si preoccupano: «In nome della lotta alla disinformazione, molte opinioni che difendono i valori conservatori sono state etichettate come “fake news”», avvertono.

 

Secondo loro, la futura legge potrebbe funzionare come «uno strumento di censura», se la nozione di «incitamento all’odio» dovesse estendersi a fatti di moralità condannati dal cristianesimo «come l’aborto o altri peccati contro natura».

 

Già rinviato più volte, il Fake News Bill stenta ad avere successo, ma i suoi promotori intendono imporlo prima dell’inizio dell’inverno australe.

 

 

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

 

 

 

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Cina

App per la fertilità condivide i dati sensibili delle utenti con aziende cinesi

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Una popolare app per il monitoraggio della fertilità chiamata «Premom» (di proprietà di Easy Healthcare) è sotto accusa per aver condiviso le informazioni sulla salute degli utenti con inserzionisti di terze parti, secondo una nuova denuncia della Federal Trade Commission, l’agenzia indipendente del governo degli Stati Uniti atta a promuovere la tutela dei consumatori e l’eliminazione e la prevenzione di pratiche commerciali anticoncorrenziali.

 

L’applicazione per smartphone, che agisce come tracker dell’ovulazione, calendario mestruale e strumento per la fertilità avrebbe condiviso i dati sensibili dell’utente con terze parti tramite kit di sviluppo software integrati nell’app. Lo riporta il sito di tecnologica Tech Crunch.

 

Nell’agosto 2020, l’International Digital Accountability Council ha scoperto che Premom condivideva i dati sulla posizione dell’utente e gli identificatori del dispositivo con due società cinesi senza il consenso dell’utente.

 

«In definitiva, ciò potrebbe consentire a queste terze parti di associare questi eventi app personalizzati di fertilità e gravidanza a un individuo specifico», afferma la denuncia FTC.

 

«Easy Healthcare avrebbe anche condiviso i dati sensibili identificabili degli utenti con due società di analisi mobile con sede in Cina note per “pratiche sospette sulla privacy“, secondo una dichiarazione del procuratore generale del Connecticut William Tong» scrive Tech Crunch. «I dati, inclusi i numeri IMEI – stringhe di numeri legati ai singoli dispositivi – e precisi dati di geolocalizzazione sono stati trasferiti alle società di analisi Jiguang e Umeng tra il 2018 e il 2020, secondo la FTC».

 

«La FTC sostiene che la società lo abbia fatto sapendo che Jiguang e Umeng potrebbero utilizzare questi dati per i propri scopi commerciali o potrebbero trasferire i dati a terze parti aggiuntive, e afferma che Easy Healthcare ha smesso di condividere questi dati solo quando Google ha notificato al produttore dell’app nel 2020 che il trasferimento di dati a Umeng ha violato le norme del Google Play Store» continua il sito della Silicon Valley.

 

Samuel Levine, direttore del Bureau of Consumer Protection della FTC, ha affermato che l’app per la salute «ha infranto le sue promesse e ha compromesso la privacy dei consumatori».

 

Il Dipartimento di Giustizia USA si è accordato con Easy Healthcare per 100.000 dollari per aver violato la regola di notifica delle violazioni sanitarie della FTC. E la società di app si è accordata anche con il Connecticut, l’Oregon e il Distretto di Columbia per 100.000 dollari.

 

Il problema vero, nella questione delle app che condividono i dati con Pechino, rimane TikTok, la app-social media molto popolare tra i giovani. E non solo per le autorità americane: la Commissione Europea ha ordinato ai propri dipendenti di disinstallare l’app dai telefonini aziendali, nonostante la società si sia offerta di combattere la «disinformazione» nella UE.

 

TikTok era già stata messa al bando in India tre anni fa in seguito alle tensioni himalayane tra Pechino e Nuova Dehli.

 

«Pechino accede a tutti i dati» ha dichiarato un ex ingegnere delle società che possiede TikTok.

 

TikTok in USA è stata altresì accusata di perseguire una sorta di piano di ingegneria sociale sulla gioventù americana, con video volgari ed inutili distribuiti in America e, al contrario, video patriottici che promuovono la responsabilità e l’impegno diffusi nella Repubblica Popolare Cinese.

 

Un gruppo bipartisan di legislatori americani guidati dal senatore della Florida Marco Rubio sta introducendo una legislazione per colpire l’app di condivisione video cinese, definita come «fentanil digitale» per la popolazione statunitense.

 

Tuttavia, il progetto di legge colpirebbe in generale ogni realtà di internet, portando un controllo ulteriore del governo americano sui contenuti in rete.

 

È emerso che anche nel ramo americano di TikTok sono attivi tanti ex dipendenti delle agenzie di Stato, e di Intelligence, USA.

 

 

 

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Internet

YouTube censura l’omelia di Pasqua di monsignor Viganò

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YouTube ha rimosso il video dell’omelia pasquale di monsignor Carlo Maria Viganò e sanzionato con uno «strike» (un «avvertimento») il canale di Renovatio 21 per averlo pubblicato.

 

Proprio nelle ore in cui si stava risolvendo il problema tecnico che ha tenuto spento il sito di Renovatio 21 tra domenica e lunedì, ci arrivava una comunicazione dalla grande piattaforma di video di proprietà di Alphabet-Google: «YouTube ha rimosso i tuoi contenuti» scrive l’oggetto della missiva elettronica.

 

«Il nostro team ha esaminato i tuoi contenuti e, purtroppo, riteniamo che violino le nostre norme sulla disinformazione medica. Abbiamo rimosso i seguenti contenuti da YouTube: Omelia di Monsignor Viganò per la Pasqua 2023»

 

Il motivo, ci viene detto, è una violazione della policy di YouTube. «YouTube non ammette affermazioni sulle vaccinazioni contro il COVID-19 che contraddicono il consenso degli esperti delle autorità sanitarie locali o dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)».

 

 

Dobbiamo far notare che nella sua omelia, monsignor Viganò accennava appena alle vaccinazioni, per dedicarsi alla questione spirituale della Santa Pasqua.

 

Per questa infrazione, viene quindi non solo censurata la predica pasquale del prelato già nunzio apostolico negli USA, ma anche sanzionato il canale YouTube.

 

«Il tuo canale ha ora 1 strike [avvertimento, ndr]. Non sarai in grado di eseguire operazioni come caricare, pubblicare o trasmettere in live streaming per 1 settimana. Un secondo strike ti impedirà di pubblicare contenuti per 2 settimane. Tre strike nello stesso periodo di 90 giorni comporteranno la rimozione definitiva del tuo canale da YouTube».

 

 

Colpisce, anche qui, la retroattività della sanzione: dal momento della pubblicazione, e cioè la scorsa Pasqua, è passato più di un mese. Del resto sappiamo che accade spesso: a Renovatio 21 è arrivato poche settimane fa un  piccolo ban temporaneo da Facebook per un post dove si descriveva semplicemente la crisi internazionale che si poteva ingenerare con la morte del generale Suleimani, assassinato da un’operazione americana il 3 gennaio 2020. Come si possa infliggere a qualcuno una pena per qualcosa di scritto tre anni prima (qualcosa che non solo era perfettamente rispondente alla libertà di espressione prevista in Costituzione, ma che era reso giornalisticamente in linguaggio neutro, di sola preoccupazione per le tensioni internazionali) resta un mistero.

 

Il lettore calcoli pure che la piattaforma di Mark Zuckerberg aveva nel settembre 2021 cancellato l’intera pagina Facebook di Renovatio 21 e tutti gli account personali collegati, e pure altre pagine legate ai profili estromessi per sempre: pagine e account sono tornate solo dopo l’ordinanza del tribunale, ma ci pare proprio vi sia uno shadowban piuttosto consistente: i nostri post su Facebook, piattaforma che in pratica non usiamo più, raccolgono magari due-tre like (letteralmente due o tre), invece delle centinaia e migliaia di un tempo.

 

Ciò detto, è davvero rilevante che ora anche le omelie pasquali possano essere censurate. Non è più solo una questione di libertà di espressione  – art. 21 della Costituzione: «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria».

 

Né ci pare solo una questione di diritto commerciale – secondo alcuni esperti di giurisprudenza non è possibile cambiare i termini di un contratto senza l’assenso di ambo le parti.

 

Si potrebbe pensare che possa trattarsi di una questione di libertà religiosa, un diritto che in Italia ha pure copertura costituzionale.

 

Art. 19: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto».

 

Perché, di fatto, quella di Viganò era un’omelia religiosa, spirituale. E qui si consuma il tema su cui Renovatio 21 si è spesa da anni (molto prima della pandemia), praticamente dall’atto stesso della sua creazione: la vaccinazione come questione religiosa.

 

Renovatio 21 ha tentato, sin dal 2017, di organizzare i materiali per far entrare la questione vaccinale nell’ambito della sfera religiosa, per cui è prevista in Italia l’obiezione di coscienza. Il fatto che la produzione dei vaccini si serva di linee cellulari da feti abortiti aiuta a comprendere che, di fatto, per un cristiano e non solo, la vaccinazione può essere intesa come qualcosa che ferisce l’intimità spirituale del cittadino.

 

Venne approntata, a questo fine, il più grande convegno internazionale mai realizzato sulle linee cellulari di feto abortito, al quale parteciparono ricercatori e attivisti americani e italiani nonché il cardinale Raymond Leo Burke. L’idea era quella di spingere il mondo cattolico verso la validità di un’obiezione di coscienza verso le vaccinazioni obbligatorie.

 

Come noto, il Vaticano nel 2017 e più tardi, in pandemia, avrebbe emesso noto in cui assicurava la liceità morale della vaccinazione con sieri derivati da cellule di aborto, di fatto promuovendo globalmente l’obbligo vaccinale – che peraltro, come documentato da Renovatio 21, fu imposto draconianamente alla popolazione della Santa Sede.

 

Ci è chiaro che se fossimo riusciti nel nostro intento, milioni di persone avrebbero potuto evitare la vaccinazione sventolando all’autorità la bontà della propria obiezione legale, visto che il vaccino alla fine riguardava anche aspetti di carattere religioso. Dall’altra parte, tuttavia, c’era il papa del Battesimo di Satana, che non avevamo ancora visto scatenarsi con il COVID.

 

Ecco perché anche questa nuova censura di YouTube non ci sorprende: vaccino e religione, siringa e spirito, sono stati tenuti separati dal discorso pubblico, con ettolitri di inchiostro della stampa versato con benedizione vaticana.

 

Dunque, si può censurare anche un’omelia di un successore degli Apostoli?

 

Chi scrive, ricorda, anni fa, di aver conferito telefonicamente con Claudio Messora, il titolare del sito video Byoblu, al momento della sua estromissione da YouTube. Giorgia Meloni, allora allora all’opposizione, lo aveva difeso in Parlamento contro il colosso dei video condivisi. Era un buon punto da cui iniziare, dicevo – bisognava creare una consapevolezza politica, con vera proiezione parlamentare, del tema della censura sui social.

 

È chiaro che non avrei il medesimo suggerimento oggi: non crediamo vi sia nessuno, nemmeno tra i politici sedicenti «cattolici», che abbia il coraggio (più che la voglia) protestare lo scandalo di un’autorità religiosa censurata, per soprammercato, da gruppi stranieri. Nessuno ha mosso un dito per le migliaia e migliaia di persone cancellate dai social per le loro opinioni durante la stretta pandemica, figurarsi se adesso, in questo Parlamento dimezzato e post-cristiano, qualcuno si muove per il diritto di un vescovo di fare un’omelia. Costituzione, decoro, pudore: abbiamo capito, infine, quanto valgano davvero.

 

E per quanto riguarda i «cattolici», specie quelli tiepidi che fingono di essere caldi per intortare il dissenso e carpirne le donazioni (più, magari, qualche mancia dall’8 per mille), ci torna in mente la prospettiva che sembrava stagliarsi all’orizzonte qualche anno fa con la storia della legge anti-omofobia.

 

I cattolici-attivisti, quelli controllati dall’episcopato traditore (lo stesso che ci ha venduto alla siringa del Male), all’epoca cercavano neanche tanto nascostamente, un compromesso – del resto, sono democristiani, e i compromessi suicidi sono l’unica cosa che sanno fare. C’era chi già diceva, all’epoca, che sì, la legge anti-omofobia si poteva in fondo fare, purché si facesse passare un emendamento-San Paolo, con cui cioè si potessero leggere nelle chiese quei passaggi della Bibbia che sarebbero stati illegalizzati.

 

I democristiani catto-familisti e catto-abortisti, che ancora continuano a far perdere tempo alla gente, volevano portarci al compromesso osceno di poter parlare di Cristo, cioè della Verità, solo nella riserva indiana degli edifici religiosi.

 

Come tutti i tiepidi, dice l’Apocalisse (3, 14-20), essi saranno vomitati: di fatto, i loro sciocchi paletti liberticidi sono già superati dalla realtà, dove si punta oramai a eliminare ogni discorso non allineato, religioso o no che sia. È disintegrata ogni pensiero, più la sua possibilità di locuzione, per una parola ritenuta sbagliata.

 

Questo è il mondo cui siamo capitati: la censura impera, il vero discorso religioso è perseguitato, come lo è la Verità – cioè, come lo è stato Dio.

 

Che possiamo dire: ricaricheremo l’omelia di Monsignor Viganò su Rumble, senza tuttavia avere aspettative di essere al sicuro.

 

Tuttavia, di una cosa siamo certi: questo momento osceno prima o poi, in un modo o nell’altro, dovrà finire.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

 

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