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Politica

Draghi dice che è libertà di stampa parlare dell’assassinio di Putin. Poi gli telefona per il gas

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Scusate, forse non abbiamo capito bene noi. Come sapete, siamo stati impegnati vari giorni a sedare un attacco hacker. Quindi chiediamo ai lettori se ci siamo persi qualcosa mentre mettiamo il fila un paio di cose successe la scorsa settimana.

 

Dunque, La Stampa manda in stampa un articolo intitolato «Se uccidere Putin è l’unica via d’uscita»

 

L’ambasciatore Sergeij Razov reagisce – e mica è la prima volta che i russi hanno qualcosa da ridire sugli articoli dello storico quotidiano della famiglia oligarchica degli Agnelli.

 

Parte la querela: «Questo articolo d’autore considerava la possibilità dell’uccisione del presidente della Russia. Non c’è bisogno di dire che questo è fuori dell’etica, dalla morale e dalle regole del giornalismo. Nel codice penale dell’Italia si prevede possibilità di istigazione a delinquere e apologia di reato. In precisa conformità alla legislazione italiana mi sono recato alla procura della Repubblica per registrare questa querela con la richiesta alle autorità italiane di esaminare questo caso. Confido nella giustizia italiana».

 

L’autore del pezzo, Domenico Quirico, fa sapere all’ambasciatore che dovrebbe cambiare traduttore, perché lui mica voleva dire quello «sottolineavo che l’idea ahimè abbastanza corrente che l’unico modo di risolvere il problema sia che qualche russo ammazzi Putin fosse priva di senso e immorale, e questo c’era scritto bene in evidenza».  Il Quirico è noto perché nel 2013 è stato sequestrato in Siria da brigate pseudo-islamiste, le stesse per la cui pulizia si è impegnato con successo poco dopo Vladimir Putin. Sul come sia stato liberato – cioè, sulla presenza o meno del solito riscatto italiano milionario – ci sono gli usuali punti di domanda, e qualche spiffero americano.

 

Ad ogni modo, il binomio oramai inscindibile giornali e politica se la sono presa assai con l’ambasciatore Razov.

 

Di tutti i commenti, tuttavia, è rilevante per noi sottolineare quello del Presidente del Consiglio Mario Draghi: «Forse non è una sorpresa che l’ambasciatore russo si sia così inquietato: lui è l’ambasciatore di un Paese in cui non c’è libertà di stampa, da noi c’è, è garantita dalla Costituzione» dice Draghi, incurante di due anni di distruzione della Carta sin dall’articolo uno e delle migliaia di persone a cui in Italia in questo momento è impedita la libertà di espressione in piazza così come pure su internet.

 

«Da noi si sta molto meglio» dice Draghi.

 

È ovvio che il sangue un po’ ci ribolle: parla colui della Costituzione, davvero? Parla lui con le cose che ha fatto il governo?

 

Tuttavia, dobbiamo concentrarci non sulla questione generica, ma sul caso specifico: l’articolo di Quirico deve essere andato bene. «Escluso l’intervento militare e amputata la soluzione diplomatica non resta che teorizzare l’omicidio dello Zar per mano di un fedelissimo» dice il sommario, ancora leggibile sul sito del giornalone agnellico. (Sulla questione della componente «russa» interna alla real casa di Villar Perosa, quella di Margherita Agnelli de Pahlen, che negli anni è stata un po’ emarginata, diciamo così, da quella israelo-franco-americana degli Elkann, magari parliamo un’altra volta)

 

L’incipit del pezzo:

 

«Ammettiamolo. In questa orgia di bugie, disinformazione, mezze verità, propaganda che marchia anche il conflitto ucraino almeno con noi stessi abbiamo l’obbligo della sincerità. Esclusa per fortuna l’ipotesi di entrare direttamente in guerra con uomini, aerei, bombe atomiche, amputata la possibilità di affidarsi alla diplomazia avendo definito Putin il nuovo Hitler con cui l’unico rapporto possibile è come per i nazisti, darsi appuntamento nell’aula di un tribunale apparecchiato per una seconda Norimberga, il piano numero uno di Biden, della Nato e anche degli europei è uno solo: che qualcuno a Mosca uccida Putin liberandoci dal fardello».

 

Magari ha ragione Quirico: egli voleva significare il contrario di quel che sembra qui e che è sembrato all’ambasciatore che deve cambiare traduttore.

 

Tuttavia, invece che tenersi lontano dalla polemica, invece che aspettare cosa dirà il giudice (potrebbe archiviare il caso immediatamente, certo) il Draghi entra a gamba tesa, e dice che si tratta di libertà di stampa.

 

Ripetiamo: la Russia, che si esprime con il suo ambasciatore presso la Repubblica Italiana, ha un punto di vista preciso: l’articolo «considerava la possibilità dell’uccisione del presidente della Russia». Ne sono talmente convinti, i russi, che sono andati a sporgere querela.

 

Per Draghi invece, un uomo che dovrebbe avere a che fare con la Russia, l’idea che hanno i russi del pezzo è coperta dalla libertà di stampa. Lo dichiara pubblicamente. Lo urla in faccia ai moscoviti.

 

Diciamo, non il modo più diplomatico di procedere – del resto il capo della sua diplomazia è l’espertissimo Giggino di Maio (ask Lavrov).

 

Ma ecco il colpo di scena.

 

Subito dopo aver detto che un articolo che tratta in qualche modo dell’idea dell’omicidio di Putin, Draghi telefona a Putin per parlare del gas. La telefonata era programmata. Come riportato da Renovatio 21, poco dopo lo Zar ha sentito anche Scholz e altri tizi europei, come da ruolino di marcia. I giornali italiani avevano presentato la telefonata di Draghi come un evento salvifico, che solo il messianico premier con nome di rettile fantastico poteva creare

 

Ora, cercate di venirci incontro. Voi capite perfettamente che la questione del pagamento in rubli, del conto parallelo sulla banca Gazprom, del prestigio dell’ex sovrano dell’Eurotower francofortese, della pace nel mondo, della NATO, della guerra atomica, qualsiasi cosa va in secondo piano.

 

Putin, che cita per nome un graffitaro napoletano che ha dipinto su un muro Dostojevskij, secondo lui non sapeva nulla della querelle attorno all’idea del suo assassinio?

 

Dobbiamo tornare a Di Maio: Draghi non si ricorda quando il suo Giggino in parlamento se ne uscì parlando della Russia a operatsija russa appena iniziata? Arrivò da Mosca, alla velocità della luce, una leppa che lo segna per sempre. Rammentate? Quella nota del Ministero degli Esteri russo per cui la diplomazia non è «viaggi vuoti per assaggiare piatti esotici».

 

Diciamo che i russi, malgrado siano molti occupati, sono in genere piuttosto informati su quello che succede qui da noi – e a questo che serve un ambasciatore, che non solo i giornali e i politici vari, ma che anche Draghi stesso si è sentito di dover pungolare, sperando magari che non lo andasse a dire a Putin.

 

Comprendete la situazione. Draghi, quello bravo, dovrebbe trattare per noi. Dovrebbe vedere come risolvere il problema delle bollette aumentate del 200%, le fabbriche che chiudono, il rischio dell’inverno 2022 al freddo, con migliaia e migliaia di morti possibili. In più, lo spettro della mancanza del grano russo nel mondo: cioè la fame.

 

L’uomo con cui trattare è Vladimir Putin: tu, che devi rabbonirlo, pensi bene di nominare la libertà di stampa all’ambasciatore irato per l’articolo sul putinicidio.

 

Non una grinza.

 

Torniamo a porre la domanda. Draghi cosa ci fa lì? Ma chi è che aveva detto che era uno capace?

 

Lo abbiamo scritto per Di Majo: abbiamo lanciato un disperato appello per rimuoverlo.

 

Se vi ricordate, lo abbiamo fatto anche con il Draghi: un altro disperato appello affinché sia rimosso.

 

Nessuno purtroppo ci ha ascoltato. Ci ritroviamo in questa situazione: si deve andare nella tana dell’orso, per cui si inizia subito insultandolo e minacciandolo (oltre che regalando armi ai suoi avversari: vabbè, piccolo dettaglio).

 

Gli ingenui pensavano: ecco, Draghi, quello bravo, insegnerà tantissimo alla nostra disgraziata classe politica, che per osmosi diverrà draghiana, aristocratica e sottile come lui.

 

E invece ecco qua: Draghi sta diventando come Giggino Di Majo.

 

Sono cose belle.

 

 

 

Politica

Bergoglio dice di non sapere quale tra Trump e Harris sia il «male minore»

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Bergoglio è intervenuto sulla corsa alla presidenza degli Stati Uniti affermando di non sapere se Donald Trump o Kamala Harris sia il candidato peggiore, perché opporsi all’immigrazione e sostenere l’aborto sono entrambi «anti-vita»: «ambedue sono contro la vita, sia quello che butta via i migranti, sia quello che uccide i bambini».

 

«Non andrò a votare lì, ma non si può decidere. Mandare via i migranti, non dare loro la capacità di lavorare, non dare ai migranti accoglienza è un peccato, è grave», ha detto Francesco durante una conferenza stampa di quasi 45 minuti a bordo dell’aereo papale di ritorno da una visita di 12 giorni in Indonesia e in altri Paesi asiatici oggi, dopo essere stato interrogato sulla questione da un giornalista della CBS.

 

Il viaggio è stato rovinato da polemiche perché Francesco non solo non è riuscito a fare il segno della croce per una benedizione che ha detto essere «valida per tutte le religioni», ma ha anche detto ai giovani di Singapore che «ogni religione è una via per arrivare a Dio», il che è un’affermazione eretica che contraddice le parole di Cristo nel Vangelo di Giovanni e millenni di dottrina cattolica.

 


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I commenti di Francesco sull’immigrazione sono un attacco a Donald Trump, che ha ripetutamente attirato l’attenzione sui crimini perpetrati da persone che si trovano illegalmente negli Stati Uniti e ha promesso di deportarne fino a 20 milioni se verrà rieletto, per garantire la sicurezza dei cittadini americani.

 

Allo stesso tempo, ha detto Francesco, «allontanare un bambino dal seno della madre è un omicidio, perché lì c’è la vita». La Chiesa «non consente l’aborto perché è un omicidio», ha aggiunto, un probabile riferimento al sostegno esplicito di Harris alla pratica barbara.

 

Nel suo dibattito contro Trump di questa settimana, Harris non ha detto se è a favore di restrizioni all’aborto durante qualsiasi mese di gravidanza, un fatto notato da Trump, che ha insistito con lei e i moderatori di parte per chiederle di chiarire se avrebbe sostenuto l’aborto al settimo, ottavo o nono mese.

 

Bergoglio ha concluso che, «sia colui che butta fuori i migranti sia colui che uccide i bambini. Entrambi sono contro la vita». L’argentino inoltre espresso incertezza sul fatto che gli elettori debbano sostenere Trump o Harris.

 


«In genere, si dice che non votare è brutto, non è buono. Si deve votare. E si deve scegliere il male minore. Chi è il male minore, quella signora o quel signore? Non so, ognuno in coscienza pensi e faccia questo».

 

Francesco ha parlato anche dei rapporti con la Cina, della necessità della pace a Gaza, del suo desiderio che la pena di morte venga abolita e del fatto che non visiterà la cattedrale di Notre Dame a Parigi per la sua riapertura a dicembre.

 

Come riportato da Renovatio 21, l’idea di Trump come candidato «non pro-life» era stata tracciata con decisione da monsignor Joseph Strickland, il vescovo di Tyler, Texas, noto per la sua posizione contro vaccini fatti con feti abortiti e a favore della Messa tradizionale, rimosso imperiosamente dal Bergoglio mesi fa. Lo Strickland ha dichiarato che le posizioni di Trump su riproduzione in provetta e aborto lo rendono un candidato non etichettabile come a favore della vita.

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C’è da dire che la delusione dei cattolici americani per Trump viene dalle sue parole sulla provetta libera, che è un tema che invece non sembra in realtà tangere Francesco, anzi: la sua Pontificia Accademia per la Vita piano piano apre ai bambini fatti in laboratorio, mentre lui si è fatto fotografare attorniato dai figli di Elon Musk, tutti creati artificialmente.

 

Non si tratta della prima volta che Bergoglio entra a gamba tesa nelle elezioni USA.

 

Nel 2016, sempre in una conferenza stampa «aeronautica», il gesuita attaccò Trump definendo il suo progetto di erigere un muro contro l’immigrazione clandestina dal confine meridionale americano come «non cristiano». All’epoca sembrò che il papa volesse tirare la volata a Hillary Clinton, poi si vide come andò a finire.

 

Le realtà è che la gerarchia cattolica – incluso il papa – non ha più alcun peso nelle indicazioni di voto, né in America, né in Italia, né in qualsiasi altra nazione. Lo abbiamo visto otto anni fa, lo vedremo sempre fino a che il Vaticano continuerà il suo processo con la politica e le élite mondialiste, senza più alcun elemento trascendente che chiama l’obbedienza delle persone che cercano qualcosa di diverso degli ordini della società mondana.

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Melania Trump chiede la verità sull’attentato al marito

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L’ex First Lady Melania Trump ha chiesto risposte per «scoprire la verità» dietro il tentato assassinio di suo marito, l’ex presidente Donald Trump, avvenuto circa due mesi fa.   Trump è scampato per pochi millimetri alla morte quando Thomas Matthew Crooks, 20 anni, ha aperto il fuoco su di lui durante un comizio a Butler, Pennsylvania, il 13 luglio. L’incidente è stata un’esperienza «orribile e angosciante» per la famiglia, ha detto Melania in un video pubblicato su X lo scorso martedì.   «Ora, il silenzio che lo circonda è pesante. Non posso fare a meno di chiedermi: perché le forze dell’ordine non hanno arrestato l’assassino prima del discorso?»  

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Il potenziale assassino si è posizionato su un tetto vicino che forniva una visuale libera del candidato repubblicano. Un proiettile ha sfiorato l’orecchio destro dell’ex presidente, causando la morte di un partecipante e il ferimento di altri due. Il tiratore è stato successivamente ucciso dagli agenti dei servizi segreti.   La Camera dei rappresentanti ha votato all’unanimità per creare una task force bipartisan per indagare sul tentato assassinio. Composta da sette repubblicani e sei democratici, la task force mira a esaminare potenziali falle nella sicurezza a livello federale, statale e locale delle forze dell’ordine che hanno preceduto l’incidente.   In un’intervista del mese scorso, Trump ha accusato il presidente Joe Biden e la sua rivale democratica, Kamala Harris, di essere in parte responsabili del tentato assassinio.   «Penso che in una certa misura sia colpa di Biden e di Harris», ha detto, sostenendo che «stavano rendendo molto difficile avere personale adeguato in termini di Secret Service» e «non erano troppo interessati alla mia salute e sicurezza», mentre promuovevano una retorica che avrebbe potuto incoraggiare l’attentatore.   «C’è sicuramente molto di più in questa storia e dobbiamo scoprire la verità», ha detto Melania nel video, che è una promozione della sua prossima autobiografia.   Melania Trump, al secolo Melania Knavs (nome per qualche ragione germanizzato in Knauss), è nata nel 1970 a Novo Mesto, nella Slovenia sud-orientale, a 80 chilometri dalla capitale slovena Lubiana e ottanta da quella croata Zagabria. A 18 anni andò a vivere a Milano per fare la modella, per poi trasferirsi a Parigi e quindi a Nuova York, dove conobbe il suo futuro marito.   Si tratta della terza moglie di Donald Trump. Al matrimonio, nel 2005, furono invitati anche Bill e Hillary Clinton, allora amici del Donald. In seguito Trump avrebbe detto che avendo fatto una grossa donazione alle loro fondazioni non potevano esimersi dal presentarsi alle nozze.   Ritenuta la più bella ed elegante First Lady americana della storia, Melania si dice parli lo sloveno, il serbo-croato, il francese, il tedesco e l’italiano, oltre ovviamente all’inglese.   Come riportato da Renovatio 21, i rapporti con l’adorata figlia di Donald, Ivanka, non sarebbero idilliaci.   Dopo l’attentato, Melania aveva emanato una rara dichiarazione in cui diceva che «i venti del cambiamento sono arrivati».

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Immagine di Chairman of the Joint Chief of Staff via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0  
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Trump non farà più dibattiti TV con la Harris. Virale il remix di Trump sugli immigrati che mangiano cani e gatti

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L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha escluso un altro dibattito con Kamala Harris, paragonando la vicepresidente a un pugile che ha perso un incontro e vuole una rivincita. Harris, che ha rifiutato due precedenti offerte di dibattito da parte di Trump, ha detto che i due candidati «devono agli elettori» di affrontarsi di nuovo.

 

Harris era ampiamente considerata la vincitrice del dibattito di martedì sera su ABC News contro Trump, sebbene i sondaggi successivi abbiano mostrato pochi cambiamenti negli atteggiamenti degli elettori e diversi sondaggi informali abbiano rilevato elettori indecisi che sostenevano Trump dopo la resa dei conti in prima serata. La campagna del vicepresidente ha immediatamente chiesto un secondo dibattito e Trump è sembrato aperto all’idea, dicendo a Fox News mercoledì che avrebbe preso parte, ma solo se il dibattito fosse stato ospitato da «una rete imparziale».

 

Tuttavia, in un post pubblicato giovedì sulla sua piattaforma Truth Social, il repubblicano ha annunciato che non avrebbe più dibattuto con il suo rivale democratico.

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«Quando un pugile perde un incontro, le prime parole che gli escono dalla bocca sono: “VOGLIO UNA RIVINCITA”», ha scritto Trump. «I sondaggi mostrano chiaramente che ho vinto il dibattito contro la compagna Kamala Harris, la candidata radicale di sinistra dei Democratici, martedì sera, e lei ha immediatamente chiesto un secondo dibattito».

 

Trump inizialmente ha chiesto a Harris di accettare tre dibattiti: uno ospitato da Fox News il 4 settembre, un altro ospitato da ABC il 10 settembre e un terzo ospitato da NBC News in una data non confermata. La campagna di Harris accettò solo il dibattito ABC, sebbene Trump esitasse a impegnarsi in questa resa dei conti, accusando la rete di una copertura «ridicola e di parte» nei suoi confronti.

 

«Non si è presentata al dibattito sulla Fox e si è rifiutata di partecipare alla NBC e alla CBS», ha continuato Trump, concludendo: «KAMALA DOVREBBE CONCENTRARSI SU CIÒ CHE AVREBBE DOVUTO FARE DURANTE GLI ULTIMI QUATTRO ANNI. NON CI SARÀ NESSUN TERZO DIBATTITO!»

 

“Dobbiamo agli elettori un altro dibattito”, ha scritto giovedì la campagna di Harris su X.

 

Durante il dibattito, Trump è stato ripetutamente interrotto e sottoposto a verifica dei fatti dai conduttori della ABC David Muir e Linsey Davis, quest’ultima membro della confraternita di Harris alla Howard University di Washington. Harris non è stata sottoposta allo stesso fact-checking, nonostante entrambi i candidati abbiano fatto affermazioni fuorvianti.

 

«Molte cose che ho detto sono state smentite, del tutto smentite», ha detto Trump a Fox News mercoledì. «Ma lei poteva dire tutto quello che voleva. Le mie cose erano giuste, ma loro ti avrebbero corretto», ha continuato, definendo il dibattito «totalmente truccato» è l’definito ò’ABC «l’organizzazione giornalistica più disonesta».

 

«Molte cose che ho detto sono state smentite, del tutto smentite», ha detto a Fox. «Ma lei poteva dire tutto quello che voleva. Le mie cose erano giuste, ma loro ti avrebbero corretto».

 

Harris non è stata sottoposta a fact-checking quando ha ripetutamente associato Trump al «Progetto 2025», un manifesto conservatore esplicitamente sconfessato dall’ex presidente. Né è stata corretta quando ha affermato che Trump una volta si era riferito ai neonazisti come «brave persone». In realtà, Trump ha detto che c’erano «brave persone da entrambe le parti» di un raduno della destra statunitense a Charlottesville, Virginia, nel 2017, ma che «non stava parlando dei neonazisti e dei nazionalisti bianchi, perché dovrebbero essere condannati totalmente».

 

Trump, al contrario della Harris, è stato ripetutamente interrotto e verificato dai conduttori Muir e Davis durante il dibattito, ad esempio quando ha affermato che i migranti haitiani stanno «mangiando gli animali domestici» delle persone in Ohio. Mentre diversi abitanti del posto hanno testimoniato che gatti domestici e uccelli selvatici vengono mangiati dai migranti, la polizia locale afferma di non aver ricevuto segnalazioni di tali incidenti. Vi sono, ad ogni modo, molte indagini di giornalisti ed attivisti in corso a riguardo.

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Come riportato da Renovatio 21, la storia degli haitiani che mangiano gatti, cani domestici e anatre dei parchi ha prodotto, anche grazie ai nuovi strumenti di generazione di immagini via Intelligenza Artificiale, meme memorabili.

 

Tuttavia, ora un altro fenomeno virale sembra aver preso la rete: un remix delle parole di Trump al dibattito che dice «they eat the dogs / the eat the cats» («mangiano i gatti / mangiano i cani»).

 

 

 

 

 

 

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Secondo quanto pare di capire, la musichetta – che ora spopola tra i giovani di TikToK – è stata create come sbeffeggiamento del Trump ma si è trasformata immediatamente in un inno al biondo 45° presidente USA.

 

Si tratta di un fenomeno non dissimile da quello visto con «Io sono Giorgia», remix che era stato fatto per prendere in giro un discorso della Meloni (allora ancora capo dell’opposizione): al contrario fu abbracciato immediatamente – e rilanciato – dalle forze meloniane.

 

Si tratta di una question evidente nel nostro tempo: la sinistra non sa più fare satira, né fare comunicazione – perché ha perso la capacità di fare cultura.

 

Tale evidente inferiorità, rispetto all’ondata attivisti creativi di facitori di meme della destra occidentale, è alla base anche della censura sui social media, dove, come appena ammesso da Mark Zuckerberg, il governo USA chiedeva di far sparire perfino post di evidente satira.

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