Pensiero
Due parole sulla psiche di Zelens’kyj. E di chi gli sta intorno
Della presunta follia di Putin, giornali e politici di tutto il mondo ci hanno edotto in abbondanza.
Con buona pace della Goldwater Rule – la regola istituita tra gli psichiatri americani per non profilare patologicamente i candidati alla presidenza – sull’uomo del Cremlino hanno detto di tutto: è pazzo, ha il Long COVID, anzi no sono i segni dell’isolamento prolungato.
Come riportato da Renovatio 21, è entrato poi in gioco un Lord inglese, che ha parlato di steroidi. I giornali italiani, che hanno tradotto con Google, hanno quindi iniziato a parlare di «Rabbia di Roid», come se Roid fosse il dottor Roid e non il diminutivo inglese per, appunto, gli steroidi.
Nessuna di queste diagnosi a distanza ci pare convincente, ma è inevitabile: pensate alla quantità di profiling psicologico fatto sullo Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale, dove si annunciava che le nevrosi sessuali del Fuehrer, titillate nel modo giusto, avrebbero portato gli alleati alla vittoria – peraltro diamo una notizia, lo Hitlerro sì che si faceva di steroidi, e di una quantità di anfetamine e altre droghe da stendere un cavallo: lui e la Germania tutta, come ha dimostrato il libro Tossici. L’arma segreta del Reich. La droga nella Germania nazista.
Meno noto era il fatto che anche dalle parti dell’asse partivano psicoanalisi moleste del nemico: di Churchill, per esempio, stigmatizzavano la passione per i sigari…
La psichiatrizzazione del leader, nel momento della tensione è inevitabile.
Proprio per questo, è davvero misteriosa la mancanza totale di interesse psico-scientifico per una figura speciale come quella dello Zelens’kyj.
E sì che le discipline psicologiche ne avrebbero già di dire parecchie: un attore – un uomo, quindi, con un’architettura dell’io bella specifica – che diventa presidente, anzi, un attore che interpreta il presidente che realmente diventa il presidente-attore. Siamo molto al di là di Grillo, o di Ronald Reagan (il quale aveva comunque una lunghissima storia di politico in ambo i partiti USA, e una bella gavetta da governatore della California).
Invece, niente.
Eppure non crediamo sia solo una nostra impressione: il ragazzo non dà prova di equilibrio.
Certamente, chi lo segue dai giornali occidentali, o dai parlamenti, occidentali, si è fatto un’altra idea. Lo Zelensko è Batman. È il mio eroe, ha detto in una excusatio filoucraina di default qualche sera fa in qualche programma l’oramai mitico prof. Orsini, quello che hanno scelto per far vedere in TV come potreste essere linciati se osate pensarla diversamente. Di più: da pagliaccio comico che faceva sketch ignudo in cui suonava il pianforte con il pene (2016: l’altro ieri), il nostro stava per passare per direttissima alla notte degli Oscar, e l’abbiamo scampata per un soffio (in compenso, lo Sean Penna ora distruggerà le sue statuette).
Eppure se andiamo a prendere le sue dichiarazioni, qualcosa non torna. Sono contraddittorie. Sono bipolari. Con ogni evidenza.
Dice che vuole i negoziati, ma nella stessa dichiarazione parla di Terza Guerra Mondiale – che come noto è l’unica possibilità di salvezza che ha. Anche questo, fenomeno psicologico interessante: trascinare il mondo in una guerra annientatrice, per salvare la propria pelle. Come potremmo chiamare questo meccanismo di difesa, in termini psichiatrici?
Qualche giorno fa il Corriere ha riportato entusiasta un altro virgolettato, in cui si parlava, in una dissonanza cognitiva bella evidente, di pace ma anche di vittoria.
«Ci stiamo avvicinando alla pace, ci stiamo avvicinando alla vittoria». Eh?
Quindi, sembra far capire l’attore-presidente, sta andando verso il tavolo della pace da vincitore? La guerra la sta vincendo lui?
Parrebbe, da quello che dice.
«Se la Russia avesse saputo cosa li attendeva, sarebbe stata terrorizzata dal venire qui». Parole bellicose. DI uno che ha davvero la pace in tasca, perché ha effettivamente vinto.
È vero? Neanche per sogno.
Anche se non steste vedendo che Mariupol sta cadendo, che Odessa sta per cadere, che ci sono file infinite di carri fuori da Kiev, che depositi di armi e di petrolio sono stati distrutti da missili Kalibr, che praticamente tutti i foreign fighter accorsi da tutto il mondo sono stati disintegrati a Yavarov, che Karkhov è circondata che con la tenaglia dal Donbass stanno per catturare tutto l’esercito ucraino che era lì installato per attaccare il Lugansk e Donetsk a inizio marzo, ebbene, anche non vedeste nulla di tutto questo e sceglieste di credere ciecamente solo alla propaganda di TV e giornali occidentali, vi chiesiamo: se sta vincendo, perché continua a chiedere armi?
Se l’Ucraina sta vincendo, perché Zelens’kyj continua a chiedere la no-fly zone, che costerebbe, come detto dal Cremlino, l’immediata dichiarazione di guerra di Mosca a chiunque oserebbe?
Se l’Ucraina sta vincendo, perché continua a chiedere di avere armamenti, i MiG polacchi, etc.?
Perché chiede danari?
Il titolo del Corriere del 28 marzo, a 9 colonne: «Zelensky scuote l’Occidente». «Vi manca coraggio, dateci armi».
L’atteggiamento pare regressivo, infantile. Quattro giorni fa: «Ucraina, Zelensky alla NATO: “Da voi ancora nessuna risposta chiara”».
Due giorni fa il capo di gabinetto della presidenza ucraina ha fatto sapere che sono «delusi dalla NATO e dalla UE».
Sono tante le sindromi che verrebbero in mente all’esperto di scienza della psiche. Per esempio, qualcuno potrebbe citare il Barone di Munchausen, quello che si inventava storie pazzesche, viaggi sulla luna, e quella volta che riuscì ad uscire dalle sabbie mobili tirandosi per i piedi. Chiuso in un bunker, non è un’ipotesi remota: pensate allo Hitler che negli ultimi giorni credeva ancora di comandare immensi battaglioni.
Qualcuno potrebbe parlare di regressione freudiana, meccanismo di difesa che porta il soggetto ad uno stato precedente dello sviluppo dell’io: datemi gli aerei, chiudete il cielo, datemi fucili, bombe, soldi… mamma, papà, attaccate voi la Russia per conto mio!
Qualcuno potrebbe tirar fuori anche qualche trauma psicologico da isolamento, tipo hikikomori. Del resto il presidente sta in un bunker, comunica solo attraverso video girati su green back per fingere che sia ancora in grado di stare a Kiev all’aperto.
Qualcuno potrebbe osservare una sindrome maniaco-depressiva, a cui a momenti di tristezza («ammettiamolo, non entreremo mai nella NATO») si alternano esplosioni di vitalità creativa: la vittoria è vicina, ora tirerò dentro tutti in questa guerra, etc.
In Russia vi è tuttavia un’altra idea per spiegare il comportamento di Zelens’kyj: la cocaina.
A metà marzo alla TV russa Pervij Kanal il deputato ucraino filorusso Ilya Kyva ha lanciato una serie di accuse oltraggiose al governo del suo Paese d’origine, riporta il quotidiano britannico Mirror.
Durante una discussione sul canale di Stato, il Kyva ha quindi parlato dello «stato psichiatrico e fisico» del Presidente.« Non è un segreto che sia salito al potere perché è facilmente controllabile. È un tossicodipendente. Cocaina».
Kiva ha quindi dichiarato che Zelen’skyj non era più in Ucraina, informazione che sarebbe poi stata, in teoria, smentita. I pubblici ministeri di Kiev hanno annunciato che Kyva è accusato in contumacia di alto tradimento e violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina, oltre che di aver preso parte alla propaganda di guerra russa e di possesso illegale di armi.
Le vili accuse del deputato fuggito in Russia non sono verificabili, e possono attaccare solo perché, come noto, la polvere bianca, che sembra talco ma non è, e serve a darti l’allegria, è quasi considerabile come uno strumento del mestiere dell’attore, dove il professionista è costantemente sotto la pressione della performance, e del giudizio altrui, da cui la sostanza dà tregua, accordando alla psiche una potente euforica carica elazionale che smolla i freni inibitori.
Tuttavia, le accuse potrebbero aver avuto una eco piuttosto importante: Vladimir Putin, che rifiutò l’incontro con i vertici di Kiev parlando di una banda di drogati e neonazisti.
Vladimir Vladimirovic non fece nomi. Qualcuno ha pensato addirittura si riferisse a Hunter Biden, il figlio corrotto e depravato di Joe Biden.
In verità, in molti nelle Russie hanno inteso il riferimento come piuttosto diretto.
Gonzalo Lira, eccezionale YouTuber cileno-statunitense che semina perle di saggezza dalla Kharkov sotto le bombe (e sui cui i banderisti hanno messo una taglia), in un suo stream parlava schiettamente del «cokehead of Kiev», il cocainomane di Kiev.
Lira, che fino a pochi giorni fa a Kiev ci stava fisicamente, prima di essere cacciato dal direttore del suo albergo 5 stelle dopo che una sua clip di accuse al regime Zelens’kyj era finita sulla TV nazionale russa, racconta di raccogliere varie voci di strada in ucraina.
La sua tesi è che di fatto l’oligarcato, cioè in particolare Igor Kolomojskij, a questo punto lo abbiano abbandonato: e noi crediamo di sapere perché – per quanto scaltro possa essere Kolomojskij, il notoriamente controverso miliardario ebreo finanziatore di armate neonazi che ha inventato il fenomeno Zelens’kij sia in TV che in politica, sa che qui si è passato il segno – s’è incazzato lo Zar. Con quello non si scherza, anche se vivi in Svizzera e in tasca hai il passaporto israeliano e cipriota. Quello, se vuole, ti trova, ovunque, chiunque tu stia pagando per proteggerti.
Se Zelens’kyj è stato abbandonato dal suo puparo, chi rimane? Semplice: i neonazi. E, sempre nel nostro pensiero, è facile capire perché: la mentalità del Götterdämmerung, il crepuscolo degli dei, l’autodistruzione come parte ineludibile del proprio destino di sangue: vi basta guardare Mariupol’, sapendo chi ci stava prima, per capire.
Gli ucronazi non hanno nulla da perdere: si giocano il tutto per tutto, in una splendida avventura nibelungica di bombe e tatuaggi. Dal vertice del potere.
Lira dice che, «word on the street», Zelens’kyj sia completamente in mano loro ora, e che questi lo tengano «coked up», cocainato ben bene, così da controllarlo. Del resto è un lasciapassare mica da poco, lo Zelensko. Non sarà stato agli Oscar, ma è stato al Congresso USA, al Parlamento italiano, a quello britannico, perfino a quello israeliano – dove però qualcuna delle dissonanze cognitive che ingenera (davvero ha voluto fare il parallelo con l’olocausto, con tutti quei collaborazionisti che hanno dato una mano ai tedeschi?) non hanno trovato troppi applausi.
In effetti circolava la voce, qualche settimana fa, che a difenderlo non ci sarebbe stato l’esercito regolare ma formazioni neonazi – che peraltro ora, come noto, sono inquadrate ufficialmente nell’esercito… Una voce che non siamo in grado di verificare.
Una foto che circola mostra che, se allarghi l’inquadratura del podio da cui parla, è circondato da uomini col Kalashnikov…
Zelensky’s speech, another angle pic.twitter.com/6WoPWAtGsg
— Spriter (@spriter99880) March 4, 2022
Vedete a terra dei fogli. Sono i discorsi con cui sta incantando il mondo – cioè, il mondo pagato per farsi incantare, cioè ripetere la sbobba ai Paesi NATO. Una coraggiosa giornalista italiana ha ricordato che quei discorsi sono scritti dai suoi sceneggiatori, e che giù questo è un segnale inquietante.
«È molto inquietante sapere che dietro i discorsi di Volodymyr Zelens’kyj, già applauditi dai tre parlamenti – come ipnotizzati – di Stati Uniti, Regno Unito e Germania, ci sono gli sceneggiatori della serie TV satirica che lo ha reso famoso. Una squadra affiatata che organizza le giornate di Zelens’kyj e che sa come usare i social per raccogliere consenso, motivare e rimescolare gli equilibri geopolitici. Una squadra bravissima che è riuscita a trasformare un attore in un presidente e in un eroe» ha scritto Tiziana Ferrario.
«Volete diventare anche voi attori di questo reality? Io no. Spero neanche il mio parlamento, perché non pare esserci lieto fine in questa storia».
No. Al momento pare non esserci. Non con questi personaggi. Ci verrebbe da dire che solo drogandoci potremmo crederlo. E non abbiamo intenzione di farlo.
Tenetevi la vostra propaganda tossica. Tanta parte del mondo occidentale, rimasta sana, non si intossicherà.
Stateci voi dietro a Zelens’kyj, alla sua mente, a quella dei suoi pupari.
Pensiero
«Chiesa parallela e contraffatta»: Mel Gibson cita Viganò nel podcast più seguito della Terra. Poi parla di Pachamama, medicina e sacrifici umani
Joe Rogan, il podcaster più seguito del pianeta, ha avuto come ospite ieri l’attore e regista cattolico Mel Gibson. La conversazione, della durata di più di due ore, è stata ricchissima di spunti altissimi e talvolta piuttosto sorprendenti, impressionanti.
L’intera intervista è segnata da un continuo ritorno alle questioni spirituali, non solo per l’annuncio di Gibson della preparazione di un film chiamato La Resurrezione di Cristo che abbraccia un racconto che va dalla caduta degli angeli ribelli sino a Nostro Signore risorto – un seguito ideale della sua Passione di Cristo, con il quale, ha detto il cineasta, vuole ambiziosamente rispondere alla domanda sul perché il regno del Bene e il regno delle Tenebre si contendano l’anima dell’umanità, umanità che è imperfetta.
Gibson, che mentre partecipava al podcast sapeva che la sua casa di Los Angeles stava andando in cenere nel grande incendio in corso, ha parlato della sua spiritualità cristiana non risparmiando dettagli, e confessando il suo essere «imperfetto», al punto di dichiararsi, «come risaputo, alcolizzato dalla nascita» e di essere stato aiutato da Dio a uscire dai suoi momenti bui.
Oh boy… 👀
Mel Gibson says the Pope and the Vatican are Surrounded by Child Molesters — He Believes the Catholic Church is Now a Counterfeit Paralle Church that runs an Entirely Different Religion
• On current Pope Francis, Mel believes he’s covering up or involved in… pic.twitter.com/XqPK1AOIB6
— MJTruthUltra (@MJTruthUltra) January 9, 2025
Va subito sottolineata la citazione che Gibson ha fatto di monsignor Carlo Maria Viganò e del discorso sulla chiesa attuale «parallela» e «contraffatta».
«Non aderisco alla chiesa postconciliare» ha detto Gibson, ottenendo dal Rogan una richiesta di spiegazioni. Mel, noto sedevacantista come lo era il padre Hutton Gibson, ha con molta cautela cominciato a spiegare dinanzi a milioni e milioni di utenti il problema di quello che ha chiamato «l’evento», cioè il Concilio Vaticano II, e ancora prima quello dell’elezione di Giovanni XXIII.
Gibson ha quindi parlato della fumata bianca che si era avuta durante quel conclave, subito seguita da una fumata nera: una probabile allusione ai discorsi sulla «Tesi Siri», secondo la quale a quel conclave (e forse non solo a quello), sarebbe stato eletto papa il cardinale arcivescovo di Genova, il tradizionalista Giuseppe Siri, che non sarebbe però arrivato al Soglio per minacce indicibili.
Gibson ha quindi proseguito spiegando ad un scandalizzato Rogan – che, nato in ambiente cattolico italo-irlandese, si è sempre dichiarato ateo e non si è mai tirato indietro rispetto a colpire la chiesa – la questione della Pachamama, mostrando immagini di un evento con la Pachamama del 2019.
Wow. Mel talking to Rogan about Pachamama and Francis 😳 pic.twitter.com/W0d8MjXxMx
— Anthony (@Catholicizm1) January 9, 2025
«Abbiamo un papa che ha portato un idolo sudamericano in chiesa per adorarlo» ha detto Gibson.
«Davvero?» ha replicato Rogan apparentemente sbalordito, al che Gibson rispose: «Sì, la Pachamama».
Rogan ha chiesto a Gibson di chiarire cosa fosse la Pachamama, dicendo di non averne mai sentito parlare, e Gibson ha spiegato che si tratta di una «divinità sudamericana».
«Perché avrebbe dovuto farlo?» ha chiesto ancora uno sconcertato Rogan. «Bella domanda. Ma lo ha fatto» ha risposto gentilmente il Gibson.
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Alla domanda dell’intervistatore se Bergoglio avesse spiegato perché ha permesso che si verificasse l’evento Pachamama, Gibson ha menzionato la storia di indifferentismo religioso di Francesco, promuovendo il concetto che «tutte le religioni sono buone l’una quanto l’altra».
«Se questa è la sua tesi» ha detto Gibson prima che Rogan lo interrompesse, «allora non dovrebbe essere il papa».
«Come puoi essere il papa se dici “tutte le religioni sono ugualmente buone?”», si è chiesto l’ateo Rogan ad alta voce.
Il divo ha quindi usato apertamente e ripetutamente il termine «apostasia», che l’intervistatore pare aver capito, sottolineando che di mezzo ci sarebbe il Primo Comandamento che proibisce di adorare falsi dei.
«Sì, è il numero uno nella hit-list mosaica , ha risposto Gibson, riferendosi ai Dieci Comandamenti dati a Mosè.
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Gibson e Rogan anno parlato degli scandali di pedofilia nella Chiesa, con il podcaster corretto dal divo quando ha detto che questo papa, che gli sembra «progressista», non aveva coperto gli abusi come Ratzinger.
Gibson ha poi parlato di medicina, raccontando di tanti suoi malanni, della frequentazione di un medico guaritore cinese (approvato da un suo consulente spirituale, un gesuita «tradizionalista») e di altri rimedi farmacologici – ha usato il termina «allopatico» – e della censura che si abbatte su di essi.
Gibson era già stato da Rogan anni addietro assieme ad un dottore esperto per parlare dei benefici delle cellule staminali – non fetali, ovviamente – alle quali aveva sottoposto il padre Hutton negli ultimi anni prima che morisse, con esiti molto positivi, come, ha rivelato nel caso della sua spalla. La figura del padre è tornata spesso nell’intervista: Gibson ha ricordato le sue numerose vittorie a Jeopardy! il Lascia o raddoppia della TV americana di una volta. «Aveva una memoria quasi-fotografica» ha detto l’attore del padre, «mentre io ho una memoria pornografica».
Mel ha raccontato che il padre era stato in guerra nel Pacifico e aveva preso la malaria, guarendo poi con l’idrossiclorochina. Il discorso ha aperto la stura ad una serie di discorsi sui farmaci, posti con delicatezza, sull’ivermectina e pure su altre sostanze ora usate totalmente off label contro il cancro a stadio avanzato.
GIBSON: “I have three friends. All three of them had stage four cancer. All three of them don’t have cancer right now at all.”
ROGAN: “What did they take?”
GIBSON: “Ivermectin, Fenbendazole” pic.twitter.com/onLx5bvDcG
— Chief Nerd (@TheChiefNerd) January 10, 2025
Il regista ha confessato di aver preso il Remdesivir – controverso farmaco anti-COVID approvato in USA – e di essere stato male per mesi. Ha quindi detto di aver letto il libro di Robert Kennedy jr. su Anthony Fauci, scatenando una conversazione, ripresa più volte, sull’incontrovertibile malvagità del personaggio, con riferimenti ai danni fatti da Fauci ai tempi dell’AIDS.
🚨MEL GIBSON: “I don’t know why Fauci is still walking around? I listened to the RFK Jr book on Fauci driving up to San Francisco. It gave me road rage.”
JOE ROGAN: “They kept that book off of bestseller lists. It was censored. Why was RFK Jr never sued for that book? That’s… pic.twitter.com/KF4MNcf5rs
— Autism Capital 🧩 (@AutismCapital) January 10, 2025
Il cineasta è sembrato, sia pure forse nervoso, molto cauto e dosato nella conversazione – come un uomo che sa molto di più di quello che dice, e fa la cortesia all’ospite di non essere troppo diretto e brutale, arrivando a dare suggerimenti di libri di storia, di cui ha dimostrato di essere un famelico lettore, e perfino di testi per smettere di fumare.
Tutta l’intervista, in realtà è sembrata una danza del cattolico Gibson attorno all’ateo Joe Rogan, che è sembrato a tratti capire il gioco e lasciarsi trasportare senza fare resistenza, persino quando Gibson ha rifiutato fermamente l’idea dell’evoluzione di Darwin, e soprattutto quando gli ha mostrato il mistero della Sacra Sindone di Torino.
GIBSON: “I have three friends. All three of them had stage four cancer. All three of them don’t have cancer right now at all.”
ROGAN: “What did they take?”
GIBSON: “Ivermectin, Fenbendazole” pic.twitter.com/onLx5bvDcG
— Chief Nerd (@TheChiefNerd) January 10, 2025
Degno di nota il riferimento al film capolavoro di Gibson Apocalypto, che Rogan ha detto di essere grandioso e di averlo rivisto di recente. Gibson ha spiegato la genesi del film, per poi entrare in un discorso articolato sul collasso della civiltà, e dichiarare che i sacrifici umani visti nella pellicola sono presenti ancora nella nostra società non differentemente da quella dei maya.
«Il sacrificio umano è vivo e vegeto» ha scandito Gibson, con Rogan che ha detto, che sì, ha solo cambiato forma, alludendo alle morti indotte dalla medicina. Qualcuno può aver avvertito che il non detto, che vibrava giocoforza dentro il cattolico Gibson, era l’aborto, che epperò non è stato spalmato in faccia al già liberal, sedicente abortista Rogan. I due hanno quindi convenuto in un’idea della guerra come sacrificio umano della gioventù.
Si esce dalle due ore di ascolto del podcast grati sino ad essere un po’ frastornati: la comprensione della catastrofe della chiesa conciliare, la comprensione del disastro della medicina moderna, la comprensione della Necrocultura, la comprensione del ritorno del sacrificio umano non solo solo temi che potete trovare su Renovatio 21: sono questioni che sono ad un passo dal divenire mainstream.
Se non è questo un momento per essere speranzosi, quale lo sarà?
Roberto Dal Bosco
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Pensiero
Storia delle bandiere rosse e nere nei movimenti di liberazione dell’America Latina
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Pensiero
Dugin parla di rivoluzione nella destra americana
Il filosofo e politologo russo Aleksandr Dugin spera che le sanzioni statunitensi vengano presto revocate, così da poter visitare il Paese e sperimentare quello che ritiene sarà un cambiamento politico storico sotto la guida del presidente eletto Donald Trump.
La scorsa settimana il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato sanzioni contro il Center for Geopolitical Expertise (CGE) con sede a Mosca, un think tank fondato da Dugin, accusandolo di «alimentare tensioni socio-politiche e influenzare l’elettorato statunitense durante le elezioni statunitensi del 2024», affermando che il CGE ha utilizzato deepfake e strumenti di intelligenza artificiale per diffondere falsità, agendo su richiesta dell’agenzia di intelligence militare russa (GRU). Mosca ha costantemente negato di essersi intromessa nelle elezioni statunitensi.
Reagendo alle ultime restrizioni, il filosofo ha detto sabato: «Spero che nel 2025 mi tolgano le sanzioni. Voglio visitare gli Stati Uniti. Ci sono molti buoni amici lì».
I hope they lift sanctions in 2025 on me. I want to visit US. There are many good friends there. I enjoy bro-revolution and right woke turn. Very curious about new saeculum and First Turn.
— Alexander Dugin (@AGDugin) January 4, 2025
Lo stesso Dugin è stato sottoposto a sanzioni dagli Stati Uniti dal 2015 per quello che Washington vede come il suo ruolo in azioni che «minacciano l’integrità territoriale dell’Ucraina». La designazione è arrivata dopo il colpo di Stato sostenuto dall’Occidente a Kiev nel 2014, che ha scatenato una potente rivolta nel Donbass, ora parte della Russia, che Dugin ha sostenuto.
Dugin ha continuato dicendo che «gli piace la bro-revolution e la svolta woke di destra», definendo così l’arrivo di una certa aria da «fraternità» scolastica che spira nella destra, divenuta al contempo intransigente come il neogoscismo detto woke. «Sono molto curioso del nuovo saeculum e della First Turn». Il filosofo si riferiva apparentemente all’idea che dopo la rielezione di Trump, l’America è entrata in un nuovo ciclo storico, del genere che capita una volta ogni diverse generazioni, una teoria elaborata dai politologi Neil Howe e William Strauss nel libro del 1997 The Fourth Turning e portata avanti in particolare da Steve Bannon – il quale è apertamente nemico di Elon Musk (il bro per eccellenza del nuovo trumpismo).
Dugin ha descritto la vittoria di Trump sulla democratica Kamala Harris come una «vera rivoluzione ideologica» che alla fine aprirà la strada all’America per liberarsi dall’iper-individualismo, dalla cultura della cancellazione e dall’odio per il proprio retaggio.
Dugin è noto come fervente difensore dei valori tradizionali, falco della politica estera e ideologo dell’«Eurasiatismo», l’idea di un blocco geopolitico che unisca Europa e Asia per respingere il progressismo occidentale. I media occidentali spesso si riferiscono a lui come al «cervello di Putin», a causa della sua presunta influenza sul presidente russo. Tuttavia, classifica sui maggiori pensatori geopolitici ascoltati dal Cremlino non lo vedono ai primi posti: secondo alcuni, l’idea di Dugin vicino a Putin serve dunque, soprattuto, alla propaganda antirussa.
Come riportato da Renovatio 21, due anni fa i libri di Dugin sparirono improvvisamente da Amazon. Se ne accorse, mesi dopo, anche il giornalista televisivo americano Tucker Carlson.
Il filosofo l’anno scorso diede una lunga, densissima intervista allo stesso Carlson, mostrando la profondità del suo pensiero storico-filosofico nell’analisi della situazione dell’ora presente riguardo all’imperio del liberalismo omotransumanista.
Dugin ha pagato il prezzo più alto possibile per le sue idee, un prezzo persino superiore alla morte: come noto, la figlia Darja Dugina è stata uccisa da un’autobomba a Mosca due anni fa. Secondo i servizi segreti americani la giovane è stata uccisa dagli ucraini.
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Immagine di Fars Media Corporation via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International; immagine tagliata
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