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«I nostri problemi dipendono dai non vaccinati». Quello di Draghi è hate speech? No, perché non siamo una minoranza

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«Gran parte dei problemi dipendono dal fatto che ci sono dei non vaccinati».

 

Il premier Draghi con queste parole potrebbe lasciarci pensare di non considerarsi il Presidente del Consiglio di tutta la popolazione, ma solo di quella vaccinata, quella che – secondo il suo discorso – non dà problemi, perché obbedisce bovinamente (l’etimologia è la stessa di vaccino: il bovino, la vacca) ai diktat del governo dello Stato-partito e dell’embrione di tecnocrazia biosecuritaria chiamato CTS.

 

«Gran parte dei problemi dipendono dal fatto che ci sono dei non vaccinati»

Nel discorso contro i non vaccinati uscito dalla sua conferenza stampa, ha notato il giornale La Verità, sarebbero stati comunicati numeri sbagliati sui ricoveri – avete presente, le terapie intensive piene, la chiave di volta dell’intero edificio emergenziale.

 

«Nella foga di dare la colpa ai vaccinati, anche il premier, però, si è confuso proprio con quei numeri che hanno portato il governo ad adottare l’ultimo decreto» scrive il quotidiano milanese. «”Le terapie intensive”, ha detto Draghi, sono occupate per due terzi dai non vaccinati e anche le ospedalizzazioni vedono le stesse percentuali come poi vi dirà il ministro Speranza».

 

Ci chiediamo dunque: il discorso di Draghi, le sue accuse condite di inesattezze, si può configurare come hate speech?

Il quale ministro Speranza «però poco dopo ha confermato le parole del “capo” solo in parte: (…) sono non vaccinati poco più del 10% over 12 che occupa i due terzi di posti in intensiva e il 50% in area medica”». «E quindi, non due terzi anche sui ricoveri come aveva detto qualche minuto prima il presidente del Consiglio.

 

Rimane il giudizio netto del premier: «non dobbiamo mai perdere di vista una constatazione, ovvero che gran parte dei problemi di oggi dipendono dal fatto che ci sono persone non vaccinate». Ricorderete che non è la prima volta che si scaglia contro i renitenti alla siringa mRNA: nel luglio di quest’anno disse «l’appello a non vaccinarsi è l’appello a morire. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire. Non ti vaccini, contagi, lui o lei muoiono». L’inesattezza di questa affermazione, ben prima della rivelazione di questa settimana con i vaccinati contagiati e contagianti e ammalati (e in terapia intensiva), era nota anche allora, e specificata ovunque dai medici e produttori di vaccini: se ti inoculi non hai la certezza di non contagiarti e contagiare gli altri.

 

Difficile quindi applicare qui la definizione di hate speech: anche perché i non vaccinati non sono una minoranza. O almeno, l’establishment si rifiuta di riconoscerli come tale.

Ma chi osa fermare il drago? Al netto delle fake news abbuonate dalla stampa ovina, l’importante è quello che resta del discorso: i non vaccinati come «problemi».

 

Ci chiediamo dunque: il discorso di Draghi, le sue accuse condite di inesattezze, si può configurare come hate speech?

 

La pacifica definizione di Wikipedia: «un discorso di incitamento all’odio o discorso d’odio (traduzione della dizione inglese hate speech) è una comunicazione con elementi verbali e non verbali mirati a esprimere e diffondere odio e intolleranza, o a incitare al pregiudizio e alla paura verso un individuo o un gruppo di individui accomunati da etnia, orientamento sessuale o religioso, disabilità, altra appartenenza sociale o culturale».

 

Di fatto, è naturale definire i non vaccinati come persone di «altra appartenenza sociale o culturale».

 

I non vaccinati  dissentono per scelta profonda, religiosa, personale, filosofica, medica, politica, umana una scelta con la copertura di diversi articoli della Costituzione – ma non sono una minoranza

Tuttavia non è facile dire se quindi si tratti di hate speech, perché non esiste una definizione univoca della materia, nonostante da anni ci ronzino intorno il Consiglio d’Europa, l’ONU, e miriadi di ONG immigrazioniste, LGBT, etc.

 

Difficile quindi applicare qui la definizione di hate speech: anche perché i non vaccinati non sono una minoranza. O almeno, l’establishment si rifiuta di riconoscerli come tale.

 

I non vaccinati  dissentono per scelta profonda, religiosa, personale, filosofica, medica, politica, umana una scelta con la copertura di diversi articoli della Costituzione – ma non sono una minoranza.

 

Nessuno pare aver capito davvero la disumanizzazione massiva in corso. Non siete una minoranza perché, forse, non siete pienamente esseri umani

Prendiamone atto: se i non vaccinati fossero una minoranza avrebbero l’obiezione di coscienza. Avrebbero le loro riserve indiane (i neri, in Sud Africa e nell’America profonda, avevano i loro autobus: i non vaccinati no). Avrebbero qualcuno che li difende: partitelli in cerca di voti, ONG, magari qualche sentenza del giudice. Invece no, non c’è niente di tutto questo.

 

Lo sappiamo: quanto stiamo scrivendo è immensamente drammatico. Enorme al punto che nessuno pare aver capito davvero la disumanizzazione massiva in corso. Non siete una minoranza perché, forse, non siete pienamente esseri umani.

 

Noi tuttavia lo ripetiamo da parecchio: la dissidenza è un segmento della popolazione di cui è stato da tempo deciso il sacrificio. La disintegrazione di questa porzione del popolo – a cui è stato tolto il lavoro, la rappresentazione politica, la libertà di parola, la sovranità sul proprio corpo, etc. – da qualche parte è stata accettata come soluzione auspicabile.

 

Chi ha deciso questo ha fatto un calcolo: non servono i voti della percentuale di coloro che non si piegano. Non servono nemmeno i loro soldi. I manovratori hanno calcolato che possono tranquillamente andare avanti con la maggioranza bovina

Chi ha deciso questo ha fatto un calcolo: non servono i voti della percentuale di coloro che non si piegano. Non servono nemmeno i loro soldi (pensate ai social media che bannano e espungono, depiattaformano i loro stessi clienti…). I manovratori hanno calcolato che possono tranquillamente andare avanti con la maggioranza bovina.

 

Tutto il resto, per usare l’espressione di Draghi, sono solo «problemi». E di solito, cosa si fa con i problemi?

 

Non siamo sorpresi del discorso di Draghi. Lo avevamo scritto in un articolo ieri. Con l’apocalisse dei tamponi, cioè con l’evidente fallimento del piano vaccinale dinanzi a centinaia di migliaia di contagiati che aumentano di ora in ora, avrebbero spinto con ancora più forza nella stessa direzione, cioè quella della meccanica del capro espiatorio.

 

«Cercheranno di forsennare la psicosi, spingere l’ipnosi verso il profondo più cupo, accusare il capro espiatorio di misfatti sempre più illogici, nell’attesa di un sacrificio di violenza spettacolare» scrivevamo ieri.

 

Possono prendersi la nostra vita, ma non avranno mai la nostra libertà. In questo semplice pensiero, c’è una verità infinita: gli esseri umani sono più della loro stessa vita, sono più della loro stessa morte

Ci vengono alla mente parole di Monica Smit, l’attivista australiana arrestata mesi fa e tenuta in carcere . In un’intervista aveva detto di considerare la situazione australiana una dittatura per un motivo molto semplice: «sai che è dittatura quando proponi un compromesso e come effetto hai un raddoppio della repressione». La Smit aveva cercato di parlare con la polizia tramite i suoi collegamenti, e chiedere almeno un giorno al mese per fare le proteste. La risposta dello Stato pandemico a Melbourne ce l’avete presente: sangue e devastazione.

 

«Siamo in una guerra psicologica», diceva la Smit. I tiranni medici stanno «cercando di frantumare la nostra volontà» per sottometterci.

 

Possono provarci, certo. Possono scagliarci contro i loro discorsi di odio. Possono toglierci il lavoro, il pane, i diritti la dignità di cittadini. Ma non potranno mai vincere.

 

Che importa essere considerati una minoranza protetta, se abbiamo la possibilità di testimoniare questa verità sacra?

Perché, diceva un famoso eroe scozzese, possono prendersi la nostra vita, ma non avranno mai la nostra libertà. In questo semplice pensiero, c’è una verità infinita: gli esseri umani sono più della loro stessa vita, sono più della loro stessa morte – perché, quando muoiono rimangono, miracolo metafisico, se stessi.

 

Che importa essere considerati una minoranza protetta, se abbiamo la possibilità di testimoniare questa verità sacra?

 

Che importa se il drago, i suoi soldati e i suoi servi non lo possono comprendere?

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

 

Immagine di NG02 via Deviantart pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)

 

Politica

Mai così tanti deputati cattolici a Seoul: 80 su 300 nel nuovo Parlamento

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Il numero maggiore nel Partito Democratico uscito vincitore dal voto del 10 aprile. Nel Paese i cattolici sono l’11,3% della popolazione. I vescovi avevano esortato i laici a non trascurare le proprie responsabilità rispetto alla cura del bene comune. Un tema emerso anche nelle commemorazioni del decennale della strage del traghetto Sewol rimasta senza colpevoli.

 

La nuova Assemblea nazionale di Seoul – che si insedierà il prossimo 30 maggio – avrà ben 80 cattolici su un totale di 300 deputati. È il risultato del voto del 10 aprile che ha segnato l’affermazione del Partito Democratico, con la sconfitta del Partito del Potere Popolare del presidente Yoon Suk-yeol.

 

Si tratta della quota più alta di deputati cattolici mai registrata nel parlamento di Seoul, più del doppio rispetto all’11,3% che secondo i dati diffusi dall’ufficio statistico della Chiesa coreana è la percentuale dei cattolici oggi tra i 52,62 milioni di abitanti.

 

Va peraltro ricordato che la Corea del Sud ha già avuto nella sua storia anche due presidenti cattolici: Kim Dae-jung tra il 1998 e il 2003 e Moon Jae-in tra il 2017 e il 2022. Tra i cattolici che siederanno nel nuovo parlamento 16 sono stati eletti tra i conservatori del Partito del Potere Popolare, 53 nel Partito Democratico e 11 nel Nuovo Partito Riformista.

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Prima del voto la Conferenza Episcopale Cattolica della Corea aveva inviato a tutti partiti un questionario di 43 domande chiedendo loro di esprimersi sulle principali questioni dell’agenda politica del Paese. Diffondendo le risposte ricevute lo scorso 28 marzo i vescovi avevano ricordato che «la Chiesa cattolica ha sempre insegnato che i laici non dovrebbero mai rifiutarsi di partecipare alla politica, ma sono chiamati a promuovere in maniera organizzata e nelle istituzioni il bene comune in tenti settori: economico, sociale, legislativo, amministrativo, culturale e altro».

 

Un’occasione per ricordare che cosa questo significhi è stata anche la recente commemorazione delle vittime del disastro del traghetto Sewol che nel 2014 costò la vita ad oltre 300 persone. In questa occasione i vescovi sudcoreani hanno esortato il governo a porre la vita e la sicurezza dei cittadini coreani come «priorità assoluta», al fine di evitare tragedie come il disastro del traghetto Sewol del 2014, che ha ucciso oltre trecento persone.

 

«Questo ricordo non può e non deve finire finché non sarà attuata una riforma fondamentale» che affronti davvero le cause della tragedia, hanno dichiarato in una dichiarazione congiunta pubblicata durante una Messa commemorativa tenutasi nella cattedrale di Sanjeong-dong dell’arcidiocesi di Gwangju il 15 aprile.

 

Come ha ricordato infatti lo stesso governatore della provincia di Gyeonggi Kim Dong-yeon in un’altra commemorazione tenuta allo Hwarang Public Garden di Ansan, nessun funzionario di alto livello sia stato ritenuto responsabile del fallimento della risposta al disastro: «gli alti funzionari hanno preferito insabbiare la verità. Purtroppo la nostra realtà non è cambiata rispetto a 10 anni fa».

 

Alla commemorazione di Ansan del 16 aprile hanno partecipato anche alti funzionari del PPP al governo e del DP all’opposizione, tra cui il leader del partito al governo Yun Jae-ok e il leader dell’opposizione Hong Ihk-pyo, oltre a leader e funzionari dei partiti minori di opposizione in Corea del Sud.

 

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Immagine di Dmthoth via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

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I servizi segreti USA si preparano a proteggere Trump in prigione

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I servizi segreti americani, che hanno il compito di proteggere i presidenti attuali ed ex presidenti degli Stati Uniti, stanno valutando come procedere se Donald Trump finisse dietro le sbarre, hanno riferito fonti al New York Times.   Martedì scorso il giudice Juan Merchan ha rinviato la decisione se ritenere Trump in oltraggio alla corte per presunte violazioni dell’ordinanza di silenzio durante il suo processo. Le udienze riguardano l’accusa di falsificazione di documenti aziendali per nascondere il rimborso di un pagamento in denaro nascosto alla pornoattrice Stormy Daniels prima delle elezioni presidenziali del 2016.   Non è immediatamente chiaro quando Merchan annuncerà una sentenza. Il NYT ha sottolineato in un articolo di martedì che il giudice probabilmente emetterà un avvertimento o imporrà una multa prima di fare il «passo estremo» di incarcerare il presunto candidato repubblicano alla presidenza per un mese in una cella di detenzione nel tribunale.   I pubblici ministeri, che sostengono che Trump abbia attaccato testimoni e altre persone associate al suo caso almeno dieci volte sui social media questo mese in violazione di un ordine di silenzio, stanno attualmente chiedendo una multa per il 77enne.   Tuttavia, la settimana scorsa funzionari dei servizi segreti e di altre forze dell’ordine hanno tenuto un incontro, incentrato su come spostare e proteggere Trump se il giudice alla fine gli ordinasse di essere rinchiuso nella cella di detenzione del tribunale, hanno detto al giornale due persone a conoscenza della questione.

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La questione di come incarcerare in sicurezza l’ex presidente se la giuria lo ritiene colpevole e viene mandato in una vera prigione «deve ancora essere affrontata direttamente», secondo dozzine di funzionari di vari livelli, che hanno parlato con il NYT. Il documento sottolinea che, se ciò dovesse accadere, diventerà una «sfida scoraggiante» e un «incubo logistico» per tutte le agenzie coinvolte.   Trump, che è il primo presidente in carica o ex presidente degli Stati Uniti ad essere processato, potrebbe rischiare fino a 136 anni di carcere a seguito di quattro procedimenti penali contro di lui.   Secondo i funzionari, se l’ex capo di Stato fosse effettivamente imprigionato, dovrebbe essere tenuto separato dagli altri detenuti, e tutto il suo cibo e altri oggetti personali sarebbero sottoposti a controlli. Per raggiungere questo obiettivo, un gruppo di agenti dovrebbe lavorare 24 ore su 24, 7 giorni su 7, entrando e uscendo dalla struttura, hanno affermato. Le armi da fuoco sono severamente vietate nelle carceri statunitensi, ma questi agenti «sarebbero comunque armati», secondo le fonti.   Un portavoce dei servizi segreti ha confermato al NYT che l’agenzia sorveglia gli ex presidenti, ma ha rifiutato di discutere eventuali «operazioni di protezione» specifiche.   Immagine di pubblico dominio CCo via Flickr  
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Uomo si dà fuoco fuori dal processo Trump

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Un uomo si è dato fuoco fuori da un processo contro l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump a Nuova York. Alla fine le fiamme sono state domate, ma al momento non è chiaro se l’uomo sia morto a causa delle ferite riportate.

 

L’episodio di estrema protesta per autocombustione è avvenuto venerdì pomeriggio, poco dopo la selezione finale della giuria e l’insediamento della giuria.

 

Le riprese video hanno mostrato un uomo avvolto dalle fiamme, inginocchiato in posizione verticale con le mani dietro la testa. Dopo aver bruciato per circa un minuto, l’uomo visibilmente carbonizzato si è accasciato a terra e i resti in fiamme sono stati spenti dagli agenti di polizia.

 

 

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L’incidente è stato trasmesso in diretta da diverse reti di notizie statunitensi, tra cui Fox e CNN. Quando i giornalisti della Fox si sono resi conto di cosa stava succedendo, si è sentito uno dire ai colleghi di perquisire il loro camion alla ricerca di un estintore.

 

Dopo aver spento l’incendio, gli agenti di polizia hanno coperto il corpo dell’uomo con coperte ignifughe prima che fosse caricato su un’ambulanza. Non è chiaro se sia sopravvissuto alla sua dura prova.

 

Testimoni hanno detto alla CNN che aveva sparso degli opuscoli prima di bagnarsi di benzina e accendere un fiammifero. Il dipartimento di polizia di Nuova York ha detto ai giornalisti che gli agenti stanno «ancora raccogliendo informazioni» su quanto accaduto.

 

Gli opuscoli includevano un collegamento a un account Substack, in cui l’uomo si identificava come Max Azzarello, «un ricercatore investigativo che si è dato fuoco fuori dal processo Trump a Manhattan». In una sorta manifesto, Azzarello ha affermato che questo «atto estremo di protesta» aveva lo scopo di attirare l’attenzione su un «colpo di Stato mondiale fascista apocalittico».

 

«Mi chiamo Max Azzarello e sono un ricercatore investigativo che si è dato fuoco fuori dal processo Trump a Manhattan», inizia il post di quasi 2.700 parole.

 

«Questo atto estremo di protesta vuole attirare l’attenzione su una scoperta urgente e importante: siamo vittime di una truffa totalitaria e il nostro stesso governo (insieme a molti dei suoi alleati) sta per colpirci con un colpo di Stato mondiale fascista apocalittico».

 

Nel testo l’Azzarello menzionato anche i Simpson, i fallimenti bancari nel 2023 e uomini d’affari di alto profilo tra cui Mark Zuckerberg ed Elon Musk, affermando che sia i repubblicani che i democratici hanno bombardato il pubblico con diverse crisi esistenziali per presentare uno scenario apocalittico.

 

 

Azzarello scrive che le «élite» hanno spacciato la paura nel tentativo di «divorare tutta la ricchezza che potevano e poi strapparci il terreno sotto i piedi in modo da poter passare a un’infernale distopia fascista».

 

La polizia ha detto che ha fatto un viaggio nella Grande Mela all’inizio di questa settimana e la sua famiglia non era a conoscenza del suo viaggio in città.

 

È stato fotografato fuori dal tribunale di Lower Manhattan, al 100 Center St., proprio giovedì, mentre reggeva un cartello che diceva: «Trump è con Biden e stanno per farci un colpo di Stato fascista».

 

«Il più grande scoop della tua vita o ti rimborsiamo!» gridava a un gruppo di giornalisti riuniti lì, dicendo al New York Times che era venuto da Washington Square Park perché pensava che più persone sarebbero state fuori dal tribunale a causa del freddo.

 

«Trump è d’accordo», aveva detto all’Azzarello al quotidiano neoeboraceno lo scorso giovedì, sostenendo che le sue convinzioni sono state influenzate dalle sue ricerche su Peter Thiel, venture capitalist e grande donatore politico. «È una cleptocrazia segreta e può solo portare a un colpo di stato fascista apocalittico».

 

La foto del suo profilo LinkedIn lo mostra in posa con Bill Clinton, che ha citato in giudizio l’anno scorso insieme ad altri 100 influenti imputati in un caso con sfumature di teoria della cospirazione che è stato respinto lo scorso ottobre quando non ha dato seguito ai documenti giudiziari richiesti.

 

 

Altri imputati nominati nella causa del 2023 presso la corte federale di Manhattan includevano Mark Cuban, Richard Branson, il paese dell’Arabia Saudita, e il miliardario del Texas e candidato presidenziale indipendente del 1992 Ross Perot, morto nel 2019.

 

Il caso – archiviato, con Azzarello senza un avvocato – presupponeva «un’elaborata rete di schemi Ponzi» risalente agli anni ’90 e che continua fino al 2023.

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L’incidente è avvenuto il quarto giorno del processo penale di Trump. L’ex presidente è accusato di aver dichiarato erroneamente i cosiddetti pagamenti «silenziati» alla pornoattrice Stormy Daniels, anche se insiste che il processo è una «persecuzione politica» orchestrata dal presidente Joe Biden per metterlo fuori dai giochi prima delle elezioni presidenziali di novembre.

 

A presiedere il caso è il giudice Juan Merchan, che ha rifiutato di ricusarsi nonostante sua figlia lavori per una società di marketing che rappresenta diversi importanti democratici. Merchan ha emesso un ordine di silenzio contro Trump il mese scorso, vietando all’ex presidente di criticare l’accusa.

 

L’incidente avviene meno di due mesi dopo che un membro dell’aeronautica americana in servizio attivo è morto autoimmolato davanti all’ambasciata israeliana a Washington, per protestare contro il sostegno militare degli Stati Uniti a Israele. L’uomo, l’aviatore 25enne Aaron Bushnell, ha gridato «Palestina libera!» mentre bruciava vivo.

 

L’immolazione per via ignea era stata praticata dai monaci buddisti durante la guerra del Vietnam, per protestare contro il troppo spazio garantito nel Paese ai cattolici.

 

La scintilla che fece esplodere la cosiddetta Primavera Araba fu proprio l’immolazione con il fuoco di un venditore di datteri a Tunisi.

 

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Immagine screenshot da Twitter

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