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Eutanasia

Harakiri di massa per gli anziani e altre storie del Giappone della Necrocultura

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È finita su tutti i giornali la sparata di Yusuke Narita, assistente professore di economia a Yale, il quale ha fatto la sua proposta per risolvere il problema dell’invecchiamento della popolazione giapponese: bassissimo tasso di nascite (come l’Italia) e il più alto debito pubblico nel mondo sviluppato portano il Paese alla prospettiva di non poter reggere il peso delle pensioni.

 

«Sento che l’unica soluzione è abbastanza chiara», aveva detto il professor Narita durante un programma di notizie online alla fine del 2021. «Alla fine, non può essere il suicidio di massa e il seppuku di massa degli anziani?» Seppuku è un atto di sventramento rituale che era un codice tra i samurai disonorati nel XIX secolo. Per qualche ragione, in occidente lo chiamiamo harakiri, parola che è scritta con gli stessi ideogrammi ma è di letta in altro modo: il significato è lo stesso, il taglio della pancia, l’autosbudellamento rituale, quello che un po’ in tutto il mondo si conosce come peculiarità del Giappone con i suoi infiniti sensi del dovere.

 

Secondo il New York Times, l’anno scorso, quando un ragazzo in età scolare gli aveva chiesto di elaborare le sue teorie sul seppuku di massa, il dottor Narita aveva descritto a un gruppo di studenti riuniti una scena di Midsommar, un film horror del 2019 in cui una setta della Svezia rurale invia uno dei suoi membri più anziani a suicidarsi gettandosi da un dirupo.

 

«Che sia una buona cosa o meno, è una domanda più difficile a cui rispondere», aveva detto il dottor Narita all’interrogante che prendeva assiduamente appunti. «Quindi, se pensi che sia un bene, allora forse puoi lavorare sodo per creare una società del genere».

 

Altre volte il Narita, 37 anni, aveva affrontato il tema dell’eutanasia. «La possibilità di renderla obbligatoria in futuro», aveva detto in un’intervista, «verrà messa in discussione».

 

Narita ritiene che le sue parole sono state riportate senza contesto. Tuttavia, il successo fra i giapponesi è arrivato subito: Narita si è ritrovato con centinaia di migliaia di follower sui social media in Giappone tra giovani frustrati che credono che il loro progresso economico sia stato frenato da una società gerontocratica. Appare in TV in t-shirt, dispensa opinioni e sentenza, pubblica libri, uno dei quali in traduzione per il mercato anglofono.

 

Il problema è che nel suo Paese quelle parole risuonano in modo inquietante.  Nel folklore giapponese, le famiglie portano i parenti più anziani in cima alle montagne o in angoli remoti delle foreste e li lasciano morire. Il linguaggio del Narita, in particolare quando ha menzionato il «suicidio di massa», suscita sensibilità storiche in un paese in cui i giovani uomini furono mandati a morire come piloti kamikaze durante la seconda guerra mondiale e i soldati giapponesi ordinarono a migliaia di famiglie di Okinawa di suicidarsi piuttosto che resa. I critici temono che i suoi commenti possano evocare il tipo di sentimenti che hanno portato il Giappone ad approvare una legge eugenetica nel 1948, in base alla quale i medici hanno sterilizzato con la forza migliaia di persone con disabilità intellettive, malattie mentali o disturbi genetici. Nel 2016, un uomo che credeva che le persone con disabilità dovessero essere soppresse ha ucciso 19 persone in una casa di cura fuori Tokyo.

 

Oggi, alcuni sondaggi in Giappone hanno indicato che la maggioranza del pubblico sostiene la legalizzazione dell’eutanasia volontaria.

 

Il Sol Levante, insomma, pare essere il luogo dove la Necrocultura è pronta a scatenarsi come da nessun’altra parte. È così. La storia recente lo conferma: soprattutto il caso mostruoso di Oni Sanba, la strega infanticida. Nel 1948, in un Giappone in macerie prostrato dalla guerra, il governo passò la Yusei Hogoho, la «legge di protezione eugenica», ossia la legislazione che consentiva il libero aborto nell’arcipelago.

 

Miyuki Ishikawa, una nativa della prefettura meridionale di Miyazaki, lavorava a Tokyo come direttrice della clinica ostetrica Kotobuki, a Tokyo. Trovatasi negli anni Quaranta ad affrontare il dilemma delle poche risorse ospedaliere per i tanti neonati che affollavano i reparti della sua clinica. Non vedendo possibili soluzioni, decise di privilegiare alcuni bambini a discapito di altri, che lasciava deperire senza acqua e senza cibo.

 

Con questa tecnica, la Ishikawa, detta anche Oni Sanba, ostetrica-oni (gli oni sono caratteristici demoni cornuti del folclore nipponico: qualche lettore ha presente Lamù) uccise la cifra accertata di almeno 85 bambini, mentre la polizia – che aveva notato una strana anomalia statistica nelle morti infantili nella zona – la sospettò di 103 morti (almeno quaranta piccoli corpi erano sepolti sotto la casa di un becchino, altri trenta vicino ad un tempio), ma sono ancora poche considerando che le morti sospette in tutto sarebbero 169. L’aritmetica finale del massacro perpetrato da Oni Sanba è, insomma, non ancora conosciuta.

 

La Ishikawa coinvolse nel suo piano stragista il marito, che divenne poi aiutante anche nel riscuotere il pagamento del proprio operato: era arrivata a chiedere ai poveri che facevano nascere i figli nel suo ospedale una sorta di «pizzo» (dai 4.000 ai 5.000 yen) per uccidere  i loro figli, garantendo loro che le spese per crescerli, in quel paese devastato, sarebbero comunque state maggiori. All’abbietto traffico si aggiunse anche un medico, che falsificava i certificati di morte.

 

Nel gennaio 1948 la polizia rinvenne accidentalmente i cadaveri di cinque bambini. Pochi giorni dopo, i coniugi Ishikawa vennero arrestati.

 

Miyuki Ishikawa, detta Oni-Sanba

 

Al processo – che fu un evento mediatico – Oni Sanba si difese dicendo che i veri responsabili delle morti erano i genitori dei bambini, che li avevano abbandonati. La cosa, forse per tramite di imperscrutabili meccaniche spirituali orientali, parve convincere molti. Nonostante le proteste della scrittrice femminista Yuriko Miyamoto, l’abominio di Kotobuki non costò ai suoi perpetratori la pena di morte, norma che è tutt’ora in vigore in Giappone. La Corte Distrettuale di Tokyo condannò a 8 anni la Ishikawa, e a 4 anni il marito Takeshi e il dottore complice. I tre fecero appello all’Alta corte di Tokyo, che dimezzò le sentenze.

 

Tuttora, la Ishikawa è considerabile come il più grande assassino seriale della storia del Giappone.

 

A seguito di questo racconto d’orrore, il popolo giapponese, che nel 1948 aveva visto un inatteso boom di nascite, accettò la legge di protezione eugenica Yusei Hogoho, e il 2 giugno 1949 fu possibile richiedere di interrompere la gravidanza per motivi socioeconomici, così come richiesto dalla sinistra giapponese.

 

Come un serial killer possa influenzare il pubblico ad accettare una legge che estende sotto l’egida dello stato la strage degli innocenti, è un mistero che pertiene alla psiche giapponese e a quella umana più in generale.

 

L’aborto legale dal 1948 ha giocato un ruolo fondamentale nel controllo delle nascite nel Giappone del secondo Novecento. Prima del boom dei contraccettivi, esso ha rappresentato il primo fattore di calo demografico per l’intero Paese.

 

Dati del Population Policy Data bank dell’ONU, parlano dell’inarrivabile picco del 1955, quando ai 1.731.000 neonati giapponesi si affiancano 1.170.000 aborti: un bambino concepito su tre. Un terribile computo il Giappone sta cominciando a pagare. Ad ogni modo, questo numero orripilante è gradualmente sceso negli anni. Nel 1983, furono registrati 567.000 casi di aborto.

 

Uno studio del 1990 ha indicato in 22 su mille i casi di gravidanza adolescenziale: quasi tutti terminano con l’aborto.

 

Essendo che di Oni Sanba si conosce solo la data di nascita (1897) e sapendo quanto possa essere longeva la vita in Giappone, non stupirebbe pensare che questo mostro sia ancora in circolazione, in perfetta libertà e con i conti con la giustizia perfettamente saldati. Magari ha letto delle sparate del dottor Narita, e ha sorriso: sarebbe da inventarsi il business dell’harakiri dei vecchi, in fondo chissà quanti sarebbero disposti a divenire clienti.

 

Il Giappone quattro secoli fa rifiutò il cristianesimo con una delle persecuzioni più atroci conosciute dalla storia. Nella beffa finale, l’unica città che era rimasta cattolica, Nagasaki fu rasa al suolo dalla bomba atomica di Henry Truman, sganciata direttamente sopra la cattedrale di Urakami nell’ora in cui i fedeli si confessavano.

 

Dove non c’è Cristo, trionfa la Cultura della Morte. E si celebrano impudicamente i suoi osceni sacerdoti.

 

 

 

 

 

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Eutanasia

Perché la California è in ritardo rispetto al Canada nella morte assistita?

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.

 

 

Nel 2016 sia il Canada che la California hanno legalizzato la morte assistita. Ma da allora al 2021, 31.664 canadesi – il 3,3% di tutti i decessi – sono morti ai sensi del disegno di legge C-14, rispetto ai 3.344 californiani ai sensi dell’End of Life Option Act. Cosa spiega la differenza?

 

Questo è l’argomento di un affascinante (e ad accesso aperto) articolo sull’American Journal of Bioethics del bioeticista canadese Daryl Pullman.

 

Identifica diversi possibili fattori.

 

I criteri per l’accesso alla morte assistita sono diversi. Tutte le giurisdizioni statunitensi in cui è legale richiedono che il paziente abbia «una condizione terminale incurabile con un’aspettativa di vita di sei mesi o meno». In Canada, tutto ciò che serviva era una «morte naturale ragionevolmente prevedibile», sebbene questo criterio si sia costantemente ampliato e non sia più applicabile. Tutto ciò che serve ora è «una condizione medica grave e irrimediabile», che non deve essere terminale. «Ora è chiaro che la legislazione canadese non riguarda principalmente l’accelerazione della morte per i malati terminali», commenta Pullman, «ma in modo più ampio la fine della sofferenza indipendentemente dalla vicinanza di tale sofferenza alla morte naturale di un paziente».

 

In queste circostanze, l’assistenza medica al morente «diventa una soluzione efficace a una varietà di problemi complessi, medici, sociali o altro».

 

La modalità della morte e il ruolo dei professionisti medici. In California, i medici possono prescrivere una dose letale di farmaci, ma è loro vietato partecipare attivamente all’interruzione della vita di un paziente. Il paziente deve ingoiarlo da solo.

 

Circa il 30-35% delle persone non ha mai compilato la prescrizione o, dopo averla compilata, ha deciso di non usarla ed è morto per cause naturali. In Canada, solo l’1,9% dei pazienti approvati per l’eutanasia ha ritirato la richiesta.

 

«Il fatto che una percentuale significativa di malati terminali negli Stati Uniti che avviano il processo non lo porti mai a termine, suggerisce che il processo stesso funge da salvaguardia per garantire che solo coloro che si impegnano pienamente e costantemente a porre fine alla propria vita sperimentino una morte assistita dal medico. In altre parole, il protocollo della California mira a garantire che questa decisione così importante e definitiva sia davvero autonoma» commenta Pullman.

 

In California, quindi, i medici sono a debita distanza dal processo di morte. Ma in Canada sono i principali agenti. Ciò non significa che i medici canadesi siano coercitivi. Ma i loro atteggiamenti contano di più:

 

«Ma quando un paziente si avvicina a un professionista medico intento a esplorare l’opzione di una morte assistita, il modo in cui quel professionista interagisce con il paziente può fare molto per influenzare la decisione del paziente, indipendentemente dall’intenzione di non essere direttivo. In effetti, lo stesso sforzo di non essere direttivi al di fuori di una visione ristretta di cosa significhi rispettare l'”autonomia del paziente” potrebbe essere percepito come un avallo di tale opzione».

 

Pullman ritiene che il sistema canadese stia effettivamente medicalizzando il suicidio. «Il Canada sta scendendo rapidamente su [un] pendio scivoloso, e finora la slitta sembra solo guadagnare velocità».

 

E conclude che «gli Stati Uniti dovrebbero tenere d’occhio il Canada in modo da evitare il precipitoso scivolamento che sta accadendo lì».

 

 

Michael Cook

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

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Eutanasia

Influencer canadese celebra in rete l’eutanasia della nonna: «non sei eccitata all’idea di morire?»

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Un’influencer canadese ha pubblicato un video in cui celebra l’eutanasia di sua nonna.

 

Nel video, divenuto ora virale in rete, la giovane, bella chioma e vestiti eleganti, dentro a quella che sembra essere una bella casa, chiede alla nonna (elegante pure lei): «Quali sono i tuoi pensieri mentre ti avvicini al giorno?». La nonna, scopriamo, ha appena avuto una diagnosi di malattia terminale.

 

«È come la luce alla fine del tunnel», risponde la nonna, aggiungendo che gli operatori sanitari le hanno assicurato che può ancora cambiare idea. La nipote, intanto, continua a guardare la telecamera passandosi la mano per sistemarsi i capelli.

 

Il tutto è condito da una musichetta di chitarra acustica: si tratta proprio di quella specie di video che chiamano talvolta «ispirazionali».

 

 

L’anziana signora spiega quindi come funzionano le iniezioni letali e che ha scelto di sottoporsi all’eutanasia in ospedale piuttosto che a casa sua. «Sono entrata in silenzio, vorrei uscire in silenzio», ha detto.

 

La nipote, sempre senza mai guardarla, ma guardando la telecamera e il suo pubblico, domanda: «sei nervosa? Sei eccitata? Come ti senti?»

 

La nonna risponde solerte: «non vedo l’ora. Basta porre fine alla dipendenza, nessun controllo».

 

Non si tratta ad ogni modo della prima volta che l’eutanasia fa capolino nei video delle star della rete.

 

Una vedette dei social media francese, l’influencer Olympe quattro mesi fa aveva annunciato che avrebbe optato per il suicidio assistito.

 

Come ha notato Ross Douthat in un articolo sul Paese pilota del fondamentalismo eutanatico – il Canada – il suicidio assistito sta diventando una sorta di sacramento per il mondo moderno.

 

In Canada si moltiplicano i casi di richieste di eutanasia per povertà, depressione etc., e vi sono pure casi di «suggerimenti» da parte di personale statale nei confronti di disabili e spot pubblicitari che potrebbero pure contenere riferimenti alla Blue Whale. L’eutanasia dei bambini è in arrivo anche a Ottawa. Come conseguenza, il Paese è divenuto leader mondiale nella «donazione» (cioè, nella predazione) degli organi.

 

Un altro Paese di fondamentalismo eutanatico è vicino a noi: la Catalogna, dove una guardia giurata che aveva assaltato a pistolate i colleghi ha chiesto di essere ucciso, per il suo dolore di disabile (è stato ferito dal successivo scontro con la polizia), prima del processo che lo avrebbe visto imputato per il brutale attacco ai colleghi. È stato, ovviamente, accontentato.

 

L’eutanasia è legale in altri Paesi come Belgio (Regno-baluardo), Colombia (dove si è registrato uno spaventoso aumento dei casi), Lussemburgo (che numericamente è numero uno mondiale), Paesi Bassi (dove è iniziata l’eutanasia dei bambini), Nuova Zelanda (che ha approvato per via referendaria e dove si era ipotizzato di eutanatizzare anche i pazienti COVID) e Spagna (dove la chiesa crea «zone franche» a prova di eutanasia), Austria oltre a diversi Stati in Australia.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Parlamento portoghese ha recentemente approvato in modo forzoso la legge eutanasica, ignorando il veto posto dal presidente Marcelo Rebelo de Sousa.

 

 

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Eutanasia

Eutanasia per i disabili in discussione in Spagna

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.

 

Il Canada non è l’unico paese coinvolto in un dibattito sull’eutanasia per le persone con disabilità.

 

In Spagna, la Comunidad de Madrid, il governo locale della capitale nazionale, ha creato un’agenzia per la cura dei disabili, AMAPAD, all’inizio di quest’anno.

 

Una caratteristica della nuova agenzia sono alcuni ostacoli per i disabili affidati alle cure del governo locale che vogliono porre fine alla propria vita. È richiesta l’approvazione giudiziaria prima dell’eutanasia, anche se la persona ha lasciato una direttiva anticipata.

 

La Comunidad è controllata da Partido Popular (PP) e Vox, due partiti conservatori, e il governo centrale dai partiti di sinistra che hanno promosso la legislazione sull’eutanasia.

 

Il governo centrale è furioso.

 

«Il governo di Madrid non può creare nuovi requisiti per l’accesso agli aiuti in morte oltre a quelli già previsti dalla legge sull’eutanasia. Il PP e Vox stanno cercando di imporsi dalla porta di servizio», ha affermato un funzionario del governo.

 

Il governo centrale prevede di appellarsi alla Corte costituzionale spagnola per la creazione di AMAPAD.

 

La Comunidad risponde che ciò è «inopportuno» e che non intende frustrare il desiderio di morte di nessuno.

 

«Queste persone non hanno bisogno del consenso né dell’AMAPAD né dell’autorità giudiziaria per esercitare il loro diritto a morire, né della partecipazione dell’Agenzia in alcun modo perché esiste una legge», hanno detto ai media fonti di Comunidad.

 

 

Michael Cook

 

 

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

Immagine di Luis García via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons  3.0 Unported2.5 Generic2.0 Generic1.0 Generic

 

 

 

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