Pensiero
Conversione e terrorismo. La jihad come frutto del Concilio Vaticano II
È il caso di riportare alla memoria, in questi giorni di polemiche fiammeggianti, il caso di quella che i giornali italiani chiamavano Lady Jihad. Perché la chiamassero così non lo ho mai capito, perché nonostante l’universo di sangue in cui si era infilata mi sembrava sempre, in tutto e per tutto, una ragazzina.
Forse la vicenda non l’avete dimenticata: la definirono «la prima Foreign Fighter italiana». Emigrò nello Stato Islamico per combattere con le truppe ISIS. La sua storia famigliare, dove tutti si erano convertiti all’Islam radicale, era impressionante. I genitori, che lei aveva convertito, sono morti entrambi qui in Italia, il viaggio verso il Levante gli fu impedito dai nostri servizi di sicurezza. La sorella è ancora in carcere. Lei, dicono, potrebbe essere morta nel 2017. Quello che è certo è che di Maria Giulia – Fatima – si sono perse le tracce.
Era giovane. Era una convertita all’Islam – quello radicale, quello wahabita
Era giovane. Era una convertita all’Islam – quello radicale, quello wahabita.
Ricordo ancora video in cui umiliava via Skype l’intervistatrice del Corriere: la giornalista sincero-democratica travolta dalla fede assoluta di questa ragazzina di provincia non può che vendicarsi scrivendo che «la follia si respira in ogni sua sillaba».
Al contrario, a me Maria Giulia Sergio – l’oggetto del sensazionalismo della stampa borghese che l’apostrofava come «la prima foreign fighter italiana» – sembrava lucidissima. Di più: oso dire che era impossibile non vedere come si sentisse una donna realizzata. Una vita dedicata integralmente per seguire il suo Dio e suo uomo – la sua famiglia – nella piena libertà del proprio cuore: anche se questo può costare la morte violenta, o la galera, o la vergogna. Non importa.
Maria Giulia – che ora vorrebbe la chiamassero Fatima Az Zahra – parlava in tranquillità anche quando sapeva di essere intercettata.
Senza dover nascondere nulla, Maria Giulia si esprime e agisce secondo il suo animo perfino dopo che hanno arrestato – l’accusa non mi è chiara – tutta la sua famiglia in Italia: padre, madre, sorella, zia del marito, parentado vario. Tutti in carcere preventivo, per la gioia dello Stato democratico.
No. La storia di Maria Giulia è diversa. A suo modo, è perfetta: è pura
Una donna realizzata
Siamo davanti ad un esemplare unico e perfettamente riuscito, pure su una scala di comparazione globale. Le varie Jihad Jane sparse per il mondo non sono degne di allacciarle i calzari, qualora calzati sotto il niqab.
Nulla vale, in paragone, l’infermiera fermata all’aeroporto di Denver mentre espatriava per unirsi ai barbuti dell’ISIS. Niente valgono le sciaquette austriache che sono andate in Siria e poi hanno piagnucolato per tornare. Ritengo che la sua fibra sia perfino superiore a quella della «Vedova Bianca», ossia Samatha Lewthwaite, stragista in hijab legata ai massacri londinesi e africani, data per morta varie volte e riemersa.
No. La storia di Maria Giulia è diversa. A suo modo, è perfetta: è pura.
C’è il bene e c’è il male. C’è Allah e chi vi si oppone. C’è il dar-al-Islam, «il luogo dell’Islam» e c’è dar-al-harb, «la dimora della guerra», la casa degli infedeli da combattere
Ad ascoltare tutte le intercettazioni non ci si convince di trovarsi di fronte ad una conversazione particolarmente intelligente.
Lei segue un piano semplice. Glielo fornisce, incredibile dictu, ciò che proprio a questo dovrebbe essere preposto: la religione. Segue dei precetti, una visione di insieme che non conosce complessità o profondità di sorta.
C’è il bene e c’è il male. C’è Allah e chi vi si oppone. C’è il dar-al-Islam, «il luogo dell’Islam» – come dice nell’intervista al giornale democratico – e c’è dar-al-harb, «la dimora della guerra», la casa degli infedeli da combattere.
Lei, semplicemente, ha fatto hijira, è migrata verso la terra dell’Islam. Cosa perfettamente logica: i genitori arrestati si apprestavano a fare lo stesso, tanto da chiederle al computer se era il caso di comperare delle valigie trolley e portare in Siria anche Adriano, il gatto di casa. «No mamma, non si può, ascoltami mamma, il viaggio è troppo lungo, in aereo, in macchina…». «Hai ragione, già quando l’abbiamo portato a Napoli miagolava sempre». «Anche questa è una prova grande cui ci sottoponiamo. Adriano starà bene, inshallah».
«Un uomo sposato è andato con un altra donna, Said [il marito, ndr] come mujaheddin, come soldato per Allah, va con altri fratelli per lapidarlo» racconta ridendo alla sorella Marianna
È inquietante quando promette a Mamma e Papà che in Siria avranno finalmente una casa con l’orto, anzi possono avere tutta la terra che vogliono, «perché la Siria è vuota».
«Un uomo sposato è andato con un altra donna, Said [il marito, ndr] come mujaheddin, come soldato per Allah, va con altri fratelli per lapidarlo» racconta ridendo alla sorella Marianna. Credo che nessuna femminista possa godere di una simile fantasia realizzata: il maschio traditore che viene giustiziato. Per Maria Giulia è la realtà.
I video di lei che si addestra con gli AK-47 pare che non circolino perché il marito, l’albanese jihadista Aldo detto Said, glielo ha proibito.
«Noi quando decapitiamo qualcuno, dico noi perché anche io faccio parte dello Stato Islamico, quando facciamo un’azione del genere, stiamo obbedendo alla sharia»
«Noi quando decapitiamo qualcuno, dico noi perché anche io faccio parte dello Stato Islamico, quando facciamo un’azione del genere, stiamo obbedendo alla sharia». Perché vergognarsi di seguire la legge divina?
In fondo, questa è una storia-paradigma. Frequentava la moschea di Segrate – non quella controversa di Viale Jenner – dove rilasciava interviste alle giornaliste in cerca del solito pezzo su «donne e Islam». Si dichiarava moderata. Usava la parola preferita dai democristiani e dai massoni, «dialogo». Andava alle lezioni in Statale con il velo, ma era amica di tutti. Andò a Canale 5 per dimostrare in diretta alla Santanché che essere donna e musulmana può essere bello e pacifico.
Non credo che fosse così cambiata da quando dalla Siria parla vis Skype di mutilazioni, decapitazioni e sterminio degli infedeli. Non pareva diversa da quel 27% di giovani francesi (età 18-24) che simpatizza per l’ISIS, né da quel 81% di fan del Califfo rilevato tra il pubblico muslmano di Al Jazeera.
Una suora stupenda
«Non siamo musulmani italiani! Siamo musulmani del Jihad»
La Maria Giulia, che divorziò dal primo marito magrebino perché troppo islamicamente tiepido, e ciò risalta in maniera stupenda. «Non siamo musulmani italiani! Siamo musulmani del Jihad» urla ai genitori.
La fede universale più forte di qualsiasi confine. Sì, devo ammettere che questa devozione può suscitare ammirazione. O forse, non è ammirazione quella si prova, perché tutto questo ha un sapore tanto amaro.
Che disastro. Che spreco.
Sappiamo tutti dove una sessantina di anni fa sarebbe finita una come Maria Giulia. Un convento, magari una bella clausura. Ho pochi dubbi su questo.
Quale meravigliosa madre superiore, severa e determinata quanto serve, sarebbe stata Maria Giulia!
Chi possedeva tale zelo, quando vi era l’opzione, sceglieva quella strada. Quale meravigliosa madre superiore, severa e determinata quanto serve, sarebbe stata Maria Giulia!
Una religiosa in grado di spingere tutta la famiglia dentro la religione, come succedeva una volta a chi aveva un prete o una suora tra i famigli: Maria Giulia aveva convertito tutti quanti, padre e madre e chissà chi altri, perché è sul suo slancio mistico che si appoggia chi le sta vicino, le pecore seguono il pastore e pure il suo cane.
Così – una monaca capace di eseguire in indefessamente quello che la sua religione l’ha programmata: custodire il convento, educare i bambini, sfamare i poveri, assistere i malati. Se è il caso, abbracciare il fucile, come quella suor Eupraxia, unica abitante di quel convento a Drenica, in Kosovo, dove né albanesi né serbi né giornalisti sono mai riusciti a penetrare, ché quella – programmata allo zelo – sparava appena ti avvicinavi al campanello.
Una monaca capace di eseguire in indefessamente quello che la sua religione l’ha programmata: custodire il convento, educare i bambini, sfamare i poveri, assistere i malati
Il prodotto del Concilio
Sappiamo cosa ha fatto sì che a suor Maria Giulia si sostituisse un’assassina islamista: si chiama Concilio Vaticano II. Quella che ritengo sia la più grande catastrofe della storia umana. Lo stand-down dello spirito cattolico, la perversione della dottrina, la distruzione dell’ultimo argine rimasto alle tenebre del relativismo,cioè alle tenebre tout court.
Il suicidio della Chiesa Cattolica ha fatto sì che persone come Maria Giulia cercassero altrove quel senso profondo che brama il cuore.
Il suicidio della Chiesa Cattolica ha fatto sì che persone come Maria Giulia cercassero altrove quel senso profondo che brama il cuore
Possiamo, quindi, anche dirlo: la jihad è un frutto del Concilio.
Lo abbiamo scritto varie volte: l’islamo-nichilismo dell’ISIS, con la sua narrazione fatta di tweet e progetti millenari, finirà giocoforza per filtrare nella mente della gioventù europea, innaturalmente sedata dall’onanismo, dalle droghe, dalla omosessualizzazione forzata, dai giochi elettronici, e – nel peggiore dei casi – dalla falsa religione conciliare, dove Dio è un amico, la messa è un concerto di chitarre, l’Eucarestia un pezzo di pane, l’Inferno è vuoto.
Maria Giulia, infatti, era cattolica. «Molto cattolica» disse in una intervista anni fa, quando faceva la ragazza immagine per le italiane convertite. Erano «ferventi cattolici», riportano le cronache, anche i genitori. Il padre Sergio Sergio, cassaintegrato, si era mosso da Torre del Greco dieci anni fa solo dopo aver avuto da una conoscente la garanzia che a Inzago avrebbe risolto le sue difficoltà economiche, con il pieno supporto di Caritas e parrocchia, dove i Sergio erano assidui.
Possiamo, quindi, anche dirlo: la jihad è un frutto del Concilio Vaticano II
Immaginiamo cosi vi abbiano trovato. Il Cattolicesimo del Concilio, perfino nella sua forma ultimativa, quella di ONG pietosa, quella del Papa amico dei poveri: i preti hanno dato loro il pane, ma evidentemente i Sergio erano in cerca di qualcosa d’altro. Cercavano lo spirito – chiaro quindi che la Chiesa moderna non li abbia saputi accontentare.
Tanto più che è la Chiesa stessa a indicare le vie di uscita.
L’islamo-nichilismo dell’ISIS, con la sua narrazione fatta di tweet e progetti millenari, finirà giocoforza per filtrare nella mente della gioventù europea, innaturalmente sedata dall’onanismo, dalle droghe, dalla omosessualizzazione forzata, dai giochi elettronici, e – nel peggiore dei casi – dalla falsa religione conciliare, dove Dio è un amico, la messa è un concerto di chitarre, l’Eucarestia un pezzo di pane, l’Inferno è vuoto
«La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione».
«Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno. Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà».
Sono le parole della dichiarazione Nostra Ætate (28 ottobre 1965), il documento del Concilio che rappresenta l’inizio del processo di decadenza patente del Papato. Gli ebrei, non più deicidi, divengono per decreto «amici» dei cattolici. I musulmani sono da comprendere e stimare.
La chiesa moderna è divenuta insomma come l’inferno della sua nuova teologia: vuota.
La chiesa moderna è divenuta insomma come l’inferno della sua nuova teologia: vuota
Era la profonda verità già nota a Federico II: in fondo, pensava l’imperatore, i maomettani sono facili da governare.
È il caso sunnita che abbiamo sotto gli occhi. Nessun Papa, nessuna gerarchia, nessuna legge naturale, nessuna inclinazione allo sviluppo, corpi proni alla frusta. Dovete guardare all’Arabia Saudita: uno Stato ricco al centro dell’Islam, tenuto sotto scacco da una famiglia che affama, umilia, ammazza il suo popolo mentre dilapida trilioni in oscene gozzoviglie.
Fitna
In questo stallo, come è possibile vincere? Senza che abbiano una vera religione ai nostri figli, come possiamo anche solo pensare di reagire di fronte all’avanzata di Maometto? Quale motivo, quale valore può avere nel cuore chi sarà preposto a difenderci?
Prima di ucciderci i figli perché cafri, l’Islam potrà sedurli riempiendone il vuoto creato dentro di loro dalla non-chiesa conciliare
Prima di ucciderci i figli perché cafri, l’Islam potrà sedurli riempiendone il vuoto creato dentro di loro dalla non-chiesa conciliare.
Su una cosa ulteriore sono d’accordo con Maria Giulia. «E’ finito il tempo che il musulmano sta nella terra della miscredenza, quello era il tempo dell’ignoranza» tuona ai famigliari. È per colpa degli islamici moderati che l’Islam si trova in questa situazione imperfetta. I tiepidi vanno abbattuti.
Sì: se vogliamo guarire la terra desolata della Chiesa di Cristo, dobbiamo innanzitutto liberarci di coloro che l’hanno avvelenata. Traditori, modernisti, democristiani.
Essi sono la causa della catastrofe. Essi sono i veri padri della jihad, che in un mondo pienamente cristiano – quello che ci ha domandato Nostro Signore – nemmeno avrebbe potuto partire.
Sono i cattolici del Concilio i creatori del vuoto che ha convertito la famiglia di Maria Giulia. Essi sono la causa della catastrofe. Essi sono i veri padri della jihad
Sono i cattolici del Concilio i creatori del vuoto che ha convertito la famiglia di Maria Giulia.
È lo stesso vuoto che inghiottirà tutto l’Occidente, e loro stessi. Sappiamo infatti che il loro è un desiderio di morte, un imperativo suicida che la forza oscura ha inserito nel loro sistema operativo.
C’è un termine nell’Islam, fitna. È jihad, «sforzo», ma rivolta ad intra, dentro la stessa comunità dei fedeli.
I credenti dell’Unica Vera Religione sono chiamati ora alla fitna.
Solo una volta che questa sarà terminata, potremo darci alla nostra «jihad» del Logos, e portarla in tutto il mondo, come da comando di Dio, convertendo il profondo del cuore umano, e difendendo la nostra Fede, la nostra terra, le nostre donne.
Suore, madri superiore: non terroriste jihadiste.
Roberto Dal Bosco
Pensiero
Mosca bataclanizzata: qual è il messaggio?
Al momento in cui scrivo la conta dei morti del massacro di Mosca è di 60 morti e 140 feriti.
Abbiamo raccolto e mostrato qualche immagine agghiacciante: sì, un commando è entrato in un centro commerciale (su qualche canale ebete di Telegram avete letto che era un municipio: il traduttore automatico dei geni ha tradotto «Crocus City Hall» in «Municipio di Crocus», come se Crocus fosse un quartiere della capitale russa; gli ignoranti che seguite sui social fanno anche questo) con fucili automatici e hanno iniziato a sparare all’impazzata. Sono stati colpiti anche dei bambini, e due dodicenni sarebbero gravi.
È interessante notare quanto siano restii i nostri media a pronunziare, davanti allo schema perfettamente ripetuto, la parola che aveva inondato il discorso pubblico sul terrorismo quasi dieci anni fa: Bataclan.
Il disegno tecnico è il medesimo: colpire la popolazione comune, falciandola con armi a ripetizione e magari qualche bomba suicida o meno, nel momento di massimo svago e massima vulnerabilità – quando va a vedere un concerto. Sparare sulla gente quando è concentrata in un unico punto ed indifesa. Massacrare in maniera massiva per compiere il lavoro del terrorismo, e portare il suo messaggio.
Sostieni Renovatio 21
Mosca è stata bataclanizzata. I grandi media non vogliono dirvelo – perché significherebbe elevare il popolo russo a vittima, dopo due anni di campagna martellante per convincerci che la Russia è carnefice. E poi, soprattutto, nessuno ha voglia davvero di guardarci dentro: se il disegno è lo stesso del Bataclan, gli autori sono gli stessi? I mandanti pure?
Alla rivendicazione dell’ISIS, buttata subito in stampa da tante testate internazionali, non possiamo credere. Curioso, tuttavia, che l’ISIS possa voler colpire la Russia proprio ora, quando l’intervento in Siria è finito da anni…
L’Ucraina, per bocca di un ciarliero e molto visibile tizio consigliere di Zelens’kyj, Mikhailo Podolyak (quello che aveva insultato il papa e il cristianesimo) ha detto non siamo stati noi, mentre altri ucraini hanno ovviamente tirato fuori l’hastatoputin. Chiaramente, ci vogliono far credere, è un false-flag del Cremlino per scatenarsi, anzi, guarda, è la festa personale di Putin per aver vinto l’elezione con quasi il 90% dei voti. Come no. (in rete circolano meme divertenti con il passaporto di un terrorista miracolosamente, come al solito, ritrovato sul luogo del delitto: la foto è quella di un Putin barbuto)
Si tratta della più grande strage terrorista dai primi anni 2000. Qualcuno ricorderà i 130 morti (più quaranta terroristi) e i 700 meriti della crisi del Teatro Dubrovka, quando vennero sequestrati 850 civili da un gruppo di islamisti separatisti ceceni.
Dobbiamo capire che la vittoria sulla questione cecena – e sul terrorismo correlato – è stata la scala d’ingresso di Putin verso il Cremlino. La Cecenia era un disastro che poteva trascinare giù tutta la Russia: un alveare terrorista nel cuore del Paese, e allo stesso tempo un fattore di demoralizzazione devastante per la popolazione. Erano i primissimi tempi di internet, ma già circolavano i video, poi perfezionati da ISIS e compagni, di sgozzamenti di soldati e civili russi.
Putin fu colui che mise fine al pericolo. Da primo ministro ha vinto la Seconda Guerra Cecena, di fatto sottomettendo una fazione in lotta, quella di Kadyrov, il cui figlio ora al potere a Grozny manda i suoi soldati a combattere in Ucraina con adunate oceaniche negli stadi dove si grida «Allahu Akbar» e subito dopo «viva il presidente Putin».
La strage di Dubrovka non è stata la sola. Poco dopo, ci fu il massacro di Beslan, ancora più intollerabile nella volontà terrorista di colpire gli indifesi: il 1 settembre 2004 un gruppo di 32 fondamentalisti separatisti ceceni entrò in una scuola elementare e sequestrò 1200 persone, per maggior parte bimbi. Ricordate quell’immagine: una bomba pronta ad esplodere piazzata dentro il canestro della palestra, e i bambini sotto. Il conto, dopo che gli Spetsnats (le forze speciali russe) liberarono la scuola, fu di oltre trecento morti, di cui 186 bambini, e 700 feriti. Quasi tutta la scuola è stata ferita dal terrorismo.
Si tratta di traumi che i russi pensavano passati. Sono seguiti gli anni putiniani dove stipendi e pensioni sono saliti di 7, 15 volte. Dove il popolo russo, che dopo il 1991 aveva cominciato a perdere un milione di persone l’anno (alcol, disperazione) ha ritrovato la dignità, e, parola chiave per capire Putin e la Russia odierno, rispetto.
Il terrorismo, essenzialmente, è un linguaggio. Ogni atto terroristico ha un messaggio da portare al mondo – questo è quello che ci dicono, almeno. Sappiamo che il messaggio è, in genere, più di uno. C’è un messaggio di superficie, quello dei perpetratori: vogliamo l’indipendenza, vogliamo vendetta, vogliamo la shar’ia, vogliamo la fine dell’occupazione, cose così.
Poi c’è il messaggio profondo, quello dei veri mandanti, di cui non si può discutere, perché non si può saperne nulla.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Le stragi dei primi 2000 avevano, come messaggio di superficie, la Cecenia: la terra dove Putin aveva riportato l’ordine, promettendo di inseguire i terroristi anche al cesso ed ucciderli lì, disse in una famosa dichiarazione.
Il messaggio profondo possiamo immaginare fosse un altro: lasciaci continuare a depredare la Russia. Il desiderio, profondo ed irrevocabile, dei veri mandanti, che non necessariamente stavano in russo.
I terroristi takfiri ceceni, si è detto, potevano aver legami con oligarchi nemici di Putin riparati all’estero. Era chiaro cosa volevano gli oligarchi ribelli: proseguire, anche per conto dei loro soci occidentali, la razzia resasi possibile con il crollo dell’Unione Sovietica nel decennio di Eltsin, come visibile, ad esempio, nel caso magnate del petrolio Mikhail Khodorkovskij, quello che Pierferdi Casini difendeva al Parlamento italiano, prima di essere imprigionato da Putin si diceva avesse trasferito le sue quote a Lord Nathaniel Jacob Rothschild, quello dei quadri satanici con Marina Abramovic spirato pochi giorni fa. Liberato dalla clemenza di Putin prima delle Olimpiadi 2014 (l’Occidente ringraziò organizzando poco dopo i Giochi di Sochi Piazza Maidan a Kiev), il Khodorkhovskijj ora è tornato a galla per la questione ucraine, i giornali lo definiscono «oppositore di Putin».
Vi sono tuttavia casi più evidenti. Rapporti tra terroristi ed oligarchi furono discussi per uno dei nemici più acerrimi di Putin, l’oligarca riparato a Londra Boris Berezovskij. Una trascrizione di una conversazione telefonica tra Berezovsky e il fondamentalista Movladi Udugov – attualmente uno degli ideologi e il principale propagandista del cosiddetto Emirato del Caucaso, un movimento militante panislamico che rifiuta l’idea di uno stato ceceno meramente indipendente a favore di uno stato islamico che comprenda la maggior parte del Caucaso settentrionale russo e si basi su principi islamici e sulla legge della shar’ia – fu trapelata su uno dei tabloid di Mosca il 10 settembre 1999. Udugov propose di iniziare la guerra del Daghestan per provocare la risposta russa, rovesciare il presidente ceceno Aslan Maskhadov e fondare la nuova repubblica islamica di che sarebbe stata amica della Russia pre-putiniana.
Dopo la Seconda Guerra Cecena, Berezovskij aveva mantenuto i rapporti con i signori della guerra islamisti. Nel 1997, nell’ambito di supposte attività di ricostruzione della Cecenia, fece una donazione di 1 milione di dollari (alcune fonti menzionano 2 milioni di dollari) per una fabbrica di cemento a Grozny. Per tale pagamento fu negli anni accusato di finanziare i terroristi ceceni.
Il 23 marzo 2013 Berezovskij, che bazzicava il World Economic Forum di Davos e aveva avuto un ruolo attivo nella rielezione di Eltsin nel 1996, fu trovato morto nel bagno nella sua villa nel Berkshire, vicino ad Ascot, luogo caro alla nobiltà britannica. Dissero dapprima che era depresso, perché aveva perso una causa con Roman Abramovic (ex patron del Chelsea, anche lui oligarca ebreo ultramiliardario che però si era sottomesso a Putin) e quindi aveva debiti; la polizia inglese invece disse che era una morte senza spiegazioni e volle lanciare un’inchiesta, ma non arrivò a nulla. Si dice prendesse farmaci antidepressivi, e un giorno prima di morire avrebbe detto ad un giornalista londinese che non aveva più niente per cui vivere.
Parlo della morte di Berezovskij perché all’epoca notai come potesse essere correlata ad una strage terrorista dall’altra parte del mondo: il 15 aprile dello stesso anno due bombe esplodono alla Maratona di Boston ammazzando tre persone e ferendone 250. Vengono accusati due fratelli ceceni, Dzhokar e Tamerlan Tsarnaev. Emerse che loro zio, che i giornali dissero subito si era dissociato dalla deriva islamista dei nipoti, era stato sposato con la figlia di un agente CIA, con cui avrebbe pure convissuto.
Difficile capirci qualcosa: tuttavia, la domanda che mi feci, all’epoca, era: il messaggio profondo della strage bostoniana è che, morto Berezovskij, qualcuno stava chiedendo il riequilibrio di questa rete antirussa occulta che attraversa il mondo.
La mia era solo una supposizione. Di certezze sulle connessioni tra gli americani e gli islamisti ceceni, invece, ne ha Vladimir Putin.
In una sequenza di tensione rivelatrice del documentario che Oliver Stone ha dedicato a Putin – un’intervista di ore e ore tra il 2015 e il 2016 – il presidente russo dà una notizia piuttosto gigantesca: racconta che gli USA, trovati ad aver contatti con i terroristi ceceni, hanno risposto alle rimostranze del Cremlino dicendo che essi erano autorizzati diplomaticamente a parlare con chi volevano.
Putin era visibilmente scosso: la Cecenia, per lui che l’aveva vinta come prima missione della sua carriera ai vertici, significava tanto: il dolore di tanti morti, il rischio di far finire la Russia, ancora una volta, in una spirale di razzia e violenza, in pratica di farla sparire dalla storia.
Discorsi simili sono stati fatti poche settimane fa nell’intervista che Putin ha concesso a Tucker Carlson. Il presidente russo lo aveva ripetuto ai giornalisti anche l’anno scorso: «nel Caucaso l’Occidente sosteneva Al-Qaeda». Washington appoggia il terrorismo antirusso, in sintesi. Per gli italiani che si ricordano quando – al tempo non c’era la parola «complottista» – si parlava della Strategia della Tensione, non è una storia tanto campata in aria.
Aiuta Renovatio 21
E quindi, qual è il messaggio della strage terrorista al Crocus di ieri sera?
È lo stesso, crediamo, di quello di quando l’anno scorso hanno bombardato a Mosca Darja Dugina o a San Pietroburgo il blogger Vladen Tatarskij: vogliono ri-cecenizzare la Russia.
Vogliono riportare le lancette indietro a quegli anni, quando Mosca era debole, il popolo incerto ed impaurito, e le risorse del bicontinente libere per i rapaci internazionali. Quando c’era il terrorismo islamico, usato come solvente da un potere superiore per distruggere definitivamente ogni potere indipendente per la Russia e piegare nella paura la psiche del popolo russo.
Tutto questo è durato fino a Putin. I mandanti non hanno mai accettato di aver perso. E quindi, nell’ora del trionfo politico e popolare di Putin, ripetono il messaggio. Puoi anche vincere le elezioni, puoi anche avere l’affetto del tuo popolo: noi te lo possiamo portar via a suon di mitragliate terrorista. Puoi vincere la guerra ucraina, noi massacreremo le famiglie ai concerti a Mosca. Lo faremo con i ceceni, con gli ucraini, con i daghestani, con i nazisti russi, con chiunque potremo manovrare.
Ora, da temere, più che il messaggio, che è chiaro, è la risposta che darà Putin.
Perché, come è evidente, potrebbe essere l’innesco della Terza Guerra, che di fatto l’élite occidentale, brama affannosamente.
Roberto Dal Bosco
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Pensiero
Il diritto e il suo fondamento. Dall’antica Roma al COVID, da Hegel a Gaza
Sostieni Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Aiuta Renovatio 21
Sostieni Renovatio 21
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Occulto
Feto trovato in uno stagno. Chi ce lo ha messo? E soprattutto: perché?
Leesburg è storica cittadina di 40 mila abitanti nello Stato americano della Virginia. Si trova vicino al fiume Potomac, quello che passa per la capitale Washington.
Leesburg è il capoluogo di contea della contea di Loudoun – praticamente omonima della piccolo paesino francese che nel Seicento fu teatro della possessione di massa delle suore di un convento, da cui il romanzo I diavoli di Loudun di Aldous Huxley – il luogo finito nelle cronache negli scorsi mesi per il clamore seguito alle presunte molestie sessuali subite da una ragazzina adolescente in un «bagno transgender» ad opera di uno studente transessuale. Lo scandalo si moltiplicò quando la repressione si abbattè sui genitori che protestavano negli incontri con i dirigenti della scuola, con il padre della giovane vittima arrestato dalla polizia durante un meeting.
Lo scorso 12 marzo il dipartimento di polizia locale della piccola città americana ha emanato un comunicato stampa agghiacciante.
Vi si dichiara che l’11 marzo, «il dipartimento di polizia di Leesburg è stato allertato intorno alle 16:33 da un membro della comunità che ha scoperto il corpo di un feto a termine nello stagno dietro Park Gate Drive, a Leesburg». L’espressione inglese usata per il bambino, «late term», indica un bambino nato tra 41 settimane e 0 giorni e 41 settimane e 6 giorni.
Il feto è stato trasportato all’ufficio del capo medico legale della Virginia per l’autopsia.
Sostieni Renovatio 21
«Questa è una situazione profondamente tragica», ha detto il capo della polizia di Leesburg, Thea Pirnat. «Esortiamo chiunque abbia informazioni a farsi avanti, non solo per il bene delle indagini, ma anche per garantire che a chi ne ha bisogno ricevano cure e servizi medici adeguati».
La polizia ha anche ricordato alla gente del luogo le risorse disponibili per le donne incinte, inclusa l’opzione per la consegna sicura e anonima dei neonati secondo le leggi Safe Haven della Virginia, con le quali i genitori possono consegnare il proprio bambino se ha 30 giorni o meno, insomma come si faceva un tempo con la ruota degli esposti.
«La legge fornisce protezione dalla responsabilità penale e civile in alcuni procedimenti penali e procedimenti civili per i genitori che consegnano in sicurezza i loro bambini», dichiara il dipartimento. «La legge consente a un genitore di rivendicare una difesa affermativa davanti all’accusa se l’accusa si basa esclusivamente sul fatto che il genitore ha lasciato il bambino in un luogo sicuro designato».
«L’indagine viene trattata con la massima serietà e sensibilità» afferma il dipartimento nel comunicato. Per il resto, vista la mancanza di aggiornamenti sul caso, possiamo forse usare la famosa espressione giornalistica: la polizia brancola nel buio.
La verità è che, con grande probabilità, non si farà molto per risalire a chi ha abbandonato al bambino – anche se, a pensarci, la genetica di consumo in voga negli USA, con cui si stanno prendendo serial killer che l’avevano fatta franca per decenni, potrebbe aiutare ad avvicinarsi quantomeno ai genitori del piccolo.
Il vescovo della diocesi di Arlington Michael F. Burbidge ha espresso «grande dolore» per la scoperta. «Esorto i fedeli della diocesi e tutte le persone di buona volontà ad unirsi a me nella preghiera per la madre del bambino e per chiunque sia coinvolto in questo incidente».
Il problema è che chiunque in questo caso parte con un’idea che, per quanto non dimostrata, è persistente: si tratta di un caso di degrado, un segno orrendo di disagio sociale, un effetto del livello di bassezza cui è sprofondata la società… Cose così. Inevitabile, a questo punto, che salti fuori anche quello che dice che con l’aborto si risolveva tutto. È il tema dell’antica canzone di Elio e le Storie Tese: Cassonetto differenziato per il frutto del peccato.
Eccerto, se il bambino veniva fatto a pezzi nel grembo materno, gli sarebbe stato risparmiato di finire in uno stagno. La minuta voce utilitarista dentro ogni cittadino sincero-democratico dice: così non soffriva. In verità, in tanti, specie se interessati al mantenimento dell’establishment, vorrebbero dire che, uccidendolo semplicemente prima grazie alle leggi feticide, ci risparmiavamo l’orrore, lo scandalo, i quindici minuti di destabilizzazione sociale conseguenti all’orripilante scoperta.
Crediamo che ci sia la possibilità che si sbaglino tutti: polizia, abortisti, vescovi, pro-life pregatori vari. Potrebbe essere che si stiano ponendo la domanda sbagliata. Potrebbe essere che stiano guardando al dito invece che alla luna. Perché su Renovatio 21 stiamo, da tempo, sviluppando l’idea che tali ritrovamenti, che avvengono di continuo in tante parti del mondo, non siano casuali, e nemmeno siano tutti scaturigini del degrado sociale della società odierna.
Abbiamo sotto gli occhi tanti strani casi italiani, di cui da tempo stiamo tentando di iniziare un censimento.
Per esempio, nell’aprile 2006 a Terlizzi (provincia di Bari), in un cimitero, trovano sotterrato maldestramente un feto di sesso maschile di tre mesi: il bambino è inserito in un barattolo di vetro.
Nel 2017 in provincia di Benevento, i carabinieri del comando provinciale trovano «un barattolo in vetro, con all’interno un oggetto dalle presunte fattezze di un feto umano» che sarebbe stata messa, anche qui, nel verde, «in un’area prospiciente il fiume Calore, seminascosto dietro un terrapieno». Poco dopo, rientra tutto: si trattava di «due guanti in tessuto, avvolti tra loro con dello spago che erano stati riempiti con una sostanza spugnosa» scrivono i giornali. Insomma, uno «stupido scherzo», dissero. Caso chiuso.
A metà novembre 2019, in uno spazio verde di Piazza Benfica, a Torino, un signore che porta a passeggio un cane si accorge che qualcuno aveva messo lì un contenitore con all’interno, visibile nel liquido trasparente di conservazione, un feto embrionale. Dal primo esame svolto all’epoca dei sanitari fu detto che il feto aveva tra le 10 e le 15 settimane. Mesi dopo il Pubblico Ministero chiederà l’archiviazione. I giornali dicono che «il giallo è risolto» perché il feto risalirebbe ad almeno vent’anni prima. Ciò ovviamente non spiega nulla, ma basta trasmettere al lettore sincero-democratico che va tutto bene. Circolare, niente da vedere qui.
Giugno 2023, Bassano del Grappa, provincia di Vicenza: in una zona di campagna i carabinieri, secondo quanto riportato, stavano conducendo un’operazione antidroga, andando a cercare luoghi dove gli spacciatori potrebbero nascondere gli stupefacenti. Durante il setaccio, dietro un cespuglio, gli agenti scoprono un barattolo, con dentro un essere umano grande quanto il palmo di una mano. Un feto di sei mesi, conservato in un liquido che probabilmente è formalina. I giornali locali parlano di «ipotesi di riti satanici», ma come sempre, l’eterna «pista del satanismo» va a sparire dopo pochi giorni, come tutta la storia.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Poi giace da qualche parte, enorme e dimenticato, il caso di Granarolo. Febbraio 2022: un ragazzo che recupera ferro vecchio e altri materiali nelle industrie si reca presso un capannone per eseguire una raccolta. Gli viene detto di portare via anche dei bidoni gialli, sono una quarantina, tutti accatastati lungo un muro, tra altri rifiuti. Il suo compito sarebbe di «smaltirli da qualche parte». Lui ne apre uno: è pieno di un liquido di colore verde. Dentro vi galleggia un feto umano. Il ragazzo si spaventa. Filma la situazione, poi chiama la polizia. Sembra di capire, quindi, che di feti mica ce ne era solo uno: forse che tutti quei bidoni gialli contenevano feti? Da dove provenivano? Di chi erano figli? Cosa ci facevano lì… quanti erano?
Come avevamo predetto su queste colonne, anche questa storia di feti abbandonati sparisce immediatamente dai radar. Non ci è chiaro cosa abbiamo fatto le autorità, se una qualche ricostruzione è stata data: avevano detto che forse centravano musei e università, ma era davvero così? Qualche responsabilità è stata assegnata? Qualche indagine è stata conclusa? Stiamo cercando, ma sembra proprio che, come avevamo preconizzato, notizie sulla vicenda non sono state più date – nel disinteresse totale di curia, politici locali, ebetudine pro-life organizzata varia. Va così.
Ora, il pensiero che stiamo sviluppando è quello per cui tutti questi casi di feti «abbandonati» non siano effetti casuali del disagio sociale. Potrebbe essere, invece, parti di un disegno «religioso» con forme e dimensioni ancora sconosciute. I feti non sono lasciati lì per caso: sembrano, in molti di questi casi, disposti appositamente, secondo regole precise, forse geografiche, ambientali.
Ci aveva colpito, ad esempio, che in Italia i bambini imbarattolati venissero trovati per lo più nel verde, in mezzo al nulla: cespugli, aiuole, campagne, lungo argine. Un po’ come il feto di Leesburg, trovato non in una fogna, ma in un placido specchio d’acqua, tra i verdi giardini delle casette residenziali lì attorno.
Renovatio 21 aveva fatto delle ipotesi: la società post-cristiana è in realtà divenuta anche post-satanista, dove il satanismo non più legato a messe nere e formule magiche varie, ma innestata invece nel discorso dei «diritti umani», come il feticidio e i rapporti contronatura, ora divenuti legge dello Stato moderno. Il caso del Tempio di Satana, che vuole aprire cliniche abortiste in nome della libertà religiosa, costruisce altari satanici da piazzare a Natale nei Palazzi del potere e organizza festoni satanici con green pass e mascherina obbligatori, va in questa direzione.
Ma quindi, perché la disseminazione dei feti?
Abbiamo pensato che forse, la disposizione di questi feti potrebbe suggerire che li si voglia nascondere, come si fa con gli amuleti maledetti affinché persistano la loro funzione contro la vittima: sepolti nell’erba, occultati, ma presenti nella loro drammatica verità. Delle bandierine dell’universo post-satanista, delle «antenne» con la loro funzione: reliquie occulte, ripetitori del messaggio, dell’energia del Male.
Un feto a termine ucciso e impiantato nel territorio può volere dire: qui si fa l’aborto. E il fatto che nel caso della Virginia si trattasse di un bambino late term, potrebbe fare pensare qualcuno: nel grande paradosso del presente americano, la Corte Suprema elimina l’aborto come diritto federale mentre una parte della politica parla apertamente di late term abortion, cioè della possibilità di abortire fino al momento della nascita, o pure dopo.
Aiuta Renovatio 21
Se vuole essere un segnale politico per la situazione attuale, il bambino a termine ucciso nello stagno offre un messaggio chiarissimo. Continueremo, andremo avanti anche con l’età dei sacrificandi. Questa terra è nostra.
Non è sbagliato pensare che, in questo piano metafisico, vi sia chi all’aborto dedica riti occulti – perché esso è la porta ideale per il ritorno del sacrificio umano, l’inversione definitiva della religione divina, per cui non è più Dio che si sacrifica per l’uomo (come sulla Santa Croce, come nella Santa Messa), ma l’uomo che si sacrifica per gli dei dei pagani – i quali sono, come dice il Salmo, tutti demòni.
Il sacrificio umano è, per il momento, illegale, l’aborto no – ed ecco che quindi che essi devono proteggerlo ad ogni costo, attendendo che la fetta superiore del panino, l’eutanasia, scenda giù schiacciando noi in mezzo, fino a rendere l’intera popolazione sacrificabile in ogni momento. Fino a disintegrare una volta per tutte la dignità umana, e rendere la vita spendibile, sprecabile a piacimento. Fino al Regno Sociale di Satana.
Vorremmo andare oltre. Stiamo tentando di raccogliere materiale per farci un’idea sui continui casi dei feti nei cassonetti che funestavano in passato le cronache italiane. Forse non era esattamente come pensavamo. Forse anche lì si trattava di un messaggio, della disposizione di antenne oscure, della diffusione del segnale dell’Inferno.
Quando avremo tempo, ce ne occuperemo.
Nel frattempo, preghiamo il lettore: dai gruppi che vi parlano di difesa della vita, di lotta contro l’aborto – magari chiedendovi con automatica insistenza dei danari – state alla larga.
Con evidenza, non hanno capito nulla di quello che sta accadendo. La loro funzione, forse, è proprio quella di farci continuare a non comprendere forme e proporzioni di questa guerra occulta.
Roberto Dal Bosco
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine su licenza Envato, rielaborata
-
Scuola1 settimana fa
INVALSI e PNRR: a scuola nasce il mostro tecnocratico-predittivo che segnerà il futuro dei nostri figli
-
Gender2 settimane fa
Mons. Viganò reagisce alla notizia dell’ambulatorio per la disforia di genere al Policlinico Gemelli
-
Salute2 settimane fa
I malori della 11ª settimana 2024
-
Ambiente1 settimana fa
Il senato di uno Stato americano vieta la geoingegneria delle scie chimiche
-
Occulto1 settimana fa
Feto trovato in uno stagno. Chi ce lo ha messo? E soprattutto: perché?
-
Pensiero6 giorni fa
Mosca bataclanizzata: qual è il messaggio?
-
Reazioni avverse2 settimane fa
I vaccini COVID-19 collegati a lesioni renali a lungo termine
-
Salute4 giorni fa
Vaccini COVID e trasfusioni, studio giapponese chiede la sospensione a causa dei problemi di contaminazione delle banche del sangue